[Originale] Intitolata. Untitolata. Sottotitolata. Pagina 777 del televideo, grazie.

Aug 18, 2011 20:51

Titolo: Intitolata. Untitolata. Sottotitolata. Pagina 777 del televideo, grazie.
Personaggi: Gabriel e Nicholas, ma sarebbe come dire Pinco Panco e Panco Pinco, è un originale ._.
Rating: Verde
Note: Scritta in un tempo veramente irrisorio perchè, chissà come, mi era venuta un'improvvisa ispirazione e DOVEVO scriverla, altrimenti Gianni si sarebbe fatto saltare in aria stile kamikaze e avrebbe detto addio ai confortanti interni della mia scatola cranica.
Prima originale che porto a termine ed incredibilmente me ne sento terribilmente soddisfatta *A*
Ah, e ignorate il titolo, è stato abortito in un momento di noia impossibile mentre salvavo il documento.



Era in un certo qual modo divertente il fatto che Gabriel si facesse sempre sentire, in qualche modo, quando aveva bisogno di aiuto. Ma fino a quel momento non vi aveva prestato particolare attenzione, si era sempre fatto vivo quando ne aveva veramente bisogno, e in quei momenti non riusciva a pensare a nulla; erano sempre situazioni particolari.
L'ultima era stata il funerale di sua madre.
Emma non aveva sparso la voce, volevano fosse una cerimonia con pochi intimi - lui, lei, il prete. La zia, se si fosse degnata di venire, ma quando mai aveva fatto qualcosa per sua sorella.
Solo loro sapevano della cerimonia, e padre John non era certo il tipico pettegolo. Eppure quando tutto si era concluso e la bara era stata ricoperta di terra, l'aveva visto appoggiato pigramente ad un albero a qualche metro da lui. Gli occhiali scuri intonati al completo giacca e cravatta, le scarpe italiane che brillavano sotto il sole, lucidate di fresco, i capelli corvini attorno al viso e le braccia incrociate sul petto. Si era fatto il segno della croce nonostante fosse ateo fin nel midollo ed era sparito tra le fronde.
Si era mosso per seguirlo, ma poi si era ricordato di Emma, di quanto avesse bisogno di lui in quel momento. Si era avvicinato e l'aveva stretta forte. Lei era ancora immobile a fissare il cumulo di terra smosso di fresco, nemmeno piangeva.

Era stata una giornata devastante, quando era tornato a casa nemmeno ricordava più della breve apparizione di Gabriel quel pomeriggio. Nemmeno ricordava più chi fosse, in effetti.
Il suono delle campane a lutto sembrava aver richiamato gente da ogni dove - ficcanaso e vecchie comari pettegole, più che altro - e alla fine lui e la sorella si erano ritrovati presi in mezzo ad una calca di gente che si affollava tutt'intorno e che stringeva mani, lasciava baci e spargeva condoglianze come fossero gocce di pioggia anche se non conoscevano nemmeno l'identità della defunta.
Quando erano riusciti a scivolare fuori dalla chiesa, aveva riaccompagnato a casa Emma - non la vedeva in grado di guidare, per niente, e con la pancia appena accennata che si ritrovava e la sua nipotina che vi cresceva dentro, non si sentiva di farla rischiare - ed aveva sgommato verso casa, sperando con tutto se stesso di prendere una curva dritta e schiantarsi da qualche parte. Perlomeno per dimenticare quella giornata infernale. Quelle settimane infernali, pensandoci bene.
Lanciò letteralmente le chiavi di casa e dell'auto sul tavolino costoso di vetro all'ingresso. E cosa importava se si fosse graffiato, se c'era una cosa di cui la madre si era preoccupata prima di morire era assicurare ad entrambi lui e sua sorella un ottimo fondo a coprire i conti in banca. Non le erano mai mancati i soldi, non li aveva mai fatti mancare ai figli. Giusto in quello, gli era stata vicina, non era esattamente un modello di madre.
Si era passato le mani tra i corti capelli biondi con rabbia, ritrovandosi in salotto con un'enorme confusione in testa e nessun programma per il futuro, che fosse immediato o prossimo.
Poi si era accesa la luce.
Aveva sbattuto le palpebre un paio di volte, cercando di scacciare quegli orrendi segnacci violetti che continuava a vedere e puntò lo sguardo sulla figura comodamente sdraiata sul divano con un libro ad altezza degli occhi ed un braccio piegato dietro la testa.
Che diavolo...?
In quel momento si accorse di essere stato lui stesso ad accendere la luce, in un gesto automatico.
Dalla fugace occhiata che l'uomo sul divano gli lanciò da sopra la copertina, capì che la prima mossa stava a lui. Si era preso tutto il tempo necessario, cercando di trovare quel poco di sé che gli serviva per capire chi era e cosa stava facendo. Si era tolto la giacca, abbandonandola sullo schienale della poltrona più vicina, ed aveva slegato la cravatta, che ne aveva presto seguito le orme. Aveva aperto i polsini, lasciando cadere i gemelli per terra, ed i primi bottoni della camicia, sperando in un poco più d'aria. Sfilate le scarpe senza nemmeno slacciarle, le aveva calciate sul tappeto, allontanandole, e poi, semplicemente, aveva chiuso gli occhi e aperto leggermente le braccia, sperando che Gabriel intuisse e smettesse di fare lo stronzo per qualche minuto. Non aveva più nemmeno la lucidità necessaria per pensare a quanto fosse e sembrasse idiota fermo là, così. O forse, banalmente, in quel momento non gli interessava.
Si era lasciato andare solo quando Gabriel l'aveva finalmente stretto, passandogli le dita tra i capelli ed un braccio attorno alla vita. Si era spento definitivamente, abbandonando la testa nell'incavo del suo collo e respirando tra le ciocche scure.
Il loro era un rapporto complicato. Erano quelli che modernamente amavano definirsi 'compagni di letto'. Anche perché dal suo punto di vista Gabriel era troppo stronzo, troppo bello, troppo libero, solamente troppo, anche solo per pensare ad una storia seria con qualcuno. Ed in quegli ultimi tempi lui non aveva bisogno di una persona perennemente attaccata a lui, aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto quando voleva, gli servivano i suoi spazi. E Gabriel si era sempre rivelato dannatamente perfetto, per quello, nonostante la bastardaggine profondamente radicata in lui che certe volte faceva venire un prurito insopportabile alle mani ed il desiderio impellente di ucciderlo.
Eppure per lui c'era sempre, nei momenti di bisogno, senza che nemmeno glielo chiedesse. E questo gli piaceva, dannazione quanto gli piaceva.
Affondò le dita nei suoi fianchi, premendoglisi addosso il più possibile, in cerca di un contatto che gli avrebbe assicurato che era davvero ancora lì, non si era schiantato con l'auto come aveva desiderato qualche minuto prima. Era felice di non averlo fatto, se poi il futuro gli prospettava quello.
Alzò appena la testa, raggiungendo l'orecchio dell'altro.
“Grazie.” la prima volta che lo ringraziava. Quasi certamente anche l'ultima, visti i caratteri che si ritrovavano entrambi. La prima volta che non diceva apertamente ciò che pensava, ma lo nascondeva sotto altre parole, contrariamente alla sua schiettezza sempreverde.
La stretta di Gabriel si rafforzò appena.

Grazie di non aver fatto lo stronzo, per una volta.

amore come mai, gabriel e nicholas

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