[Hikachii] Kowareta mama no ai no kakera

May 17, 2012 21:41

Titolo: Kowareta mama no ai no kakera (The broken love is pierced through my heart - Arashi Flashback)
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Chinen Yuri, Takaki Yuya
Pairing: Hikachii
Prompt: Vicolo
Genere: angst
Rating: nc-17
Warning: slash, non-con, !death fic
Conteggio parole: 2.057 (fiumidiparole wordcount)
Note: la storia inoltre è scritta per la seconda settimana del BadWrong Weeks con il prompt non-con indetto da maridichallenge.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: *qui*


Chinen si sentiva osservato.
Una strana inquietudine gli percorreva la schiena, mettendolo in allarme.
Non era la prima volta che si sentiva in quel modo e non è che lui fosse tipo da lasciarsi spaventare tanto facilmente, anzi. Però, quella strana morsa di gelo che sentiva dentro e quegli occhi sempre puntati su di sé gli mettevano addosso un’ansia incontrollata.
Spesso si ritrovava a voltarsi di scatto come a voler sorprendere qualche male intenzionato a seguirlo. Aveva pensato potessero essere giornalisti, ma aveva subito abbandonato quell’idea, era assolutamente impossibile. Ciò che provava era qualcosa di più profondo e angosciante che non il mero fastidio provato per la propria privacy violata dai cacciatori di qualche gossip o foto non ufficiali.
Altre volte, spesso quando finiva di registrare tardi, mentre percorreva le strade poco illuminate, o i quartieri vuoti, o anche quando usciva dalla metro, iniziava a correre e poi si chiudeva dentro casa, ritrovandosi ansimante e sudato.
Era una situazione insostenibile oramai e Chinen era stanco.
Alle volte aveva chiesto al proprio manager di dargli un passaggio in macchina o ai compagni di fare un pezzo di strada insieme e questo già di per sé aveva destato dei sospetti in loro, dover mentire poi stampandosi in faccia un sorriso e mostrando un atteggiamento che non provava rendevano il tutto più difficile.
Spesso Yuya l’aveva guardato stranito, vedendolo tornare con Yamada e Daiki, aveva visto i suoi sguardi perplessi quando scappava via dopo il lavoro e rifiutava di andare con lui o con gli altri a bere qualcosa o al karaoke.
E lo faceva perché voleva rincasare quando ancora vi era vita in città, quando ancora il cielo era chiaro, perché il buio non era consigliabile. Neanche avesse più tredici anni e avesse il coprifuoco. Ne aveva diciannove, ma si sentiva lo stesso come un bambino spaesato.
Aveva cercato di rassicurare Yuya in ogni modo possibile, ma quella sera, data l’insistenza dell’altro, aveva dovuto cedere. E poi, voleva davvero passare del tempo con lui, gli mancava il suo Yuuyan, ma non voleva parlargli di quello che gli stava accadendo per non farlo preoccupare, bastava già lui con le proprie paranoie e, conoscendo il più grande, non era il caso che anche lui iniziasse a fantasticare troppo.
Si sarebbe tenuto le cose per sé e avrebbe risolto quella situazione da solo.
“Ti accompagno, Chii” gli aveva detto Yuya, prima che lui rifiutasse con un sorriso, assicurandogli che sarebbe tornato a casa da solo, senza problemi.
“Non sono più un bambino, Yuuyan” aveva scherzato, ridacchiando, affatto convinto delle proprie parole, ma sperando che risultasse credibile almeno alle orecchie di Takaki. E doveva essere riuscito nel suo intento perché Yuya aveva annuito, anche se inizialmente titubante. Si era chinato su di lui, dandogli un bacio sulla fronte e scompigliandogli i capelli.
Chinen aveva sorriso ed aveva iniziato a camminare.
Era stato bene quella sera, gli ci voleva davvero una serata come quella, era riuscito per un po’ a non pensare a niente, a lasciare da parte i suoi problemi. Solo una volta, quando Yuya si era avvicinato a lui per mormorargli qualcosa all’orecchio per sovrastare il brusio presente nel locale, Chinen si era voltato di scatto, non trovando, però, ragione per quel brivido di freddo che l’aveva colto.
Camminava per la strada, cercando di non ripensare a quell’unico momento negativo, concentrandosi sulle belle sensazioni provate con Yuya, quando sentì altri passi, lenti, unirsi ai suoi.
Immediatamente le mani iniziarono a sudargli, il cuore ad accelerare i battiti: non era più solo una sensazione, adesso era una certezza.
Non osò voltarsi, per paura.
Non osò iniziare a correre, perché il terrore gli impediva di farlo. Aumentò solo leggermente l’andatura, sentendo gli stessi passi dietro di sé imitarlo, accorciando di nuovo la distanza tra loro.
Chinen continuò a mantenere quel passo sostenuto, ce la poteva fare, doveva solo arrivare alla fine della via e si sarebbe ritrovato sullo stradone principale, poi sarebbe stato in salvo, a casa sua.
Con quella convinzione in testa, iniziò a correre, il cuore che ormai batteva senza controllo e la gola che arida gli bruciava.
Aveva paura, aveva dannatamente paura.
Non fu però così veloce come avrebbe voluto, perché d’improvviso, quella presenza dietro di sé lo raggiunse e lo spinse per le spalle, costringendolo a infilarsi in una stradina nascosta, un vicolo puzzolente e ancora più buio.
Chinen gemette di dolore quando batté il viso contro il muro, graffiandosi la guancia e sentendo un rivolo di sangue caldo scivolargli lungo la tempia. Si spaventò ancora di più, mentre un corpo forte aderiva contro la sua schiena e un fiato caldo, leggermente alterato dall’alcool, gli bruciava la pelle.
Chinen sentì un conato salirgli alla gola, ma si trattenne, strinse le labbra tra i denti, iniziando a ribellarsi, cercando di liberare il braccio che quel folle dietro di lui gli aveva torto dietro la schiena..
“È inutile che ti ribelli, anzi, ti farai solo del male” lo avvertì, spingendo ancora di più contro di lui e aumentando la stretta sul polso.
Chinen mugolò, riconoscendo qualcosa di familiare in quella voce distorta e strascicata.
Mosse il capo, voltandosi per quanto poteva e riconoscendo quegli occhi. Spalancò i propri, incredulo, mentre vedeva quelli di Hikaru sorridere e la sua bocca avventarsi sulla sua solo per affondare i denti nel labbro inferiore, mentre la lingua si infilava a depredarlo in modo rude e irruento.
Mugolò, divincolandosi maggiormente, mordendo a sua volta le labbra del più grande che, infastidito da quella reazione che non aveva calcolato nei propri piani, si allontanò da lui guardandolo con astio.
“Non mi provocare, Chinen, non sei nella posizione adatta per poterti ribellare” lo minacciò, infilando un ginocchio tra le sue gambe, costringendolo a divaricarle, spingendolo maggiormente verso il muro.
“Lasciami immediatamente, Hikaru!” ordinò, ma il più grande lo ignorò, portò una mano sul suo stomaco, slacciandogli i jeans e introducendo una mano dentro la biancheria afferrandogli il sesso con forza.
“No, Hikaru! Lasciami, Lasciami ho detto!” iniziò a urlare, sperando che qualcuno udisse le sue grida, ma invano.
“Non verrà nessuno a salvarti, Chii-chan. Sai, avresti dovuto farti accompagnare a casa da Takaki, se avevi paura. Ma evidentemente lo volevi anche tu; perché sapevi che ti stavo aspettando.”
“Eri tu quindi?” mormorò Chinen, mentre sentiva le dita di Hikaru stuzzicargli la punta, scivolare per tutta la lunghezza, sentendosi disgustato da se stesso e dal proprio corpo che reagiva a quelle attenzioni, anche senza che lui lo volesse.
“Aspettavo solo il momento opportuno, Yuri e tu me l’hai servito su un piatto d’argento” mormorò, lasciando scorrere la lingua dal collo, dietro l’orecchio, succhiandone il lobo, mordendo il padiglione. “Devo dire, però, che hai messo seriamente a dura prova la mia pazienza. Saresti potuto essere mio molto prima se solo non ci fossero stati quei due a impicciarsi di cose che non li riguardavano” riprese, allontanandosi da lui, quel tanto che gli serviva per abbassarsi a sua volta i pantaloni e iniziare a sfiorargli le natiche, premendo sulla sua schiena, lasciando intrappolato il braccio, perché non provasse a liberarsi. Chinen mosse le dita, intorpidite dalla dolorosa posa, puntando le unghie, cercando di fargli del male e scostarlo da sé.
Senza successo, come sempre.
Hikaru rise, di quel suo inutile tentativo di ribellione : “Non fai altro che eccitarmi ancora di più così, sai?” gli confessò con tono disgustosamente lascivo.
Chinen strinse gli occhi, mordendosi le labbra, voltando il viso verso il muro, poggiando la fronte contro il cemento ruvido, sporco e freddo, lasciando che lo graffiasse. La calce gli sporcava le labbra, ma in quel momento non gli interessava di niente, voleva solo essere il più lontano possibile da lì.
Il più grande ricominciò a parlare, mentre puntava il proprio sesso contro la piccola e stretta apertura di Chinen; sarebbe stato bellissimo, lo sapeva, aveva aspettato così tanto e adesso non poteva essere delicato, aveva solo il desiderio di entrare in lui, violarlo e farlo suo.
“Farà un po’ male, Chii, ma non ti preoccupare, passerà, passa sempre” lo rassicurò, mentre con le dita gli allargava i glutei e piano si spingeva in lui.
Chinen gridò, sentendo quella presenza dura dentro di sé insinuarsi con lentezza, squarciarlo togliendogli il respiro. Il proprio corpo era come se fosse un involucro di dolore e bruciava, faceva male, ma Hikaru non si fermava, anzi, i suoi ansimi gli arrivavano all’orecchio disgustandolo.
Chinen gemeva di dolore, si mordeva le labbra e la lingua, impedendosi di urlare: non voleva fargli sentire quanto stesse male, non voleva dargli soddisfazione alcuna .
E mentre Hikaru spingeva nel suo corpo, stringeva la mano sul sesso del più piccolo, la muoveva velocemente su e giù, graffiava la pelle, chiudeva maggiormente il pugno, sentiva quel corpo contro il palmo indurirsi sempre più e lo costrinse a venire, nello stesso momento in cui lui raggiungeva l’orgasmo.
Con un impercettibile movimento dei fianchi, Hikaru si sfilò da lui, addossandosi poi meglio alla schiena di Chinen, afferrandogli la vita, facendo risalire la mano verso l’alto, accarezzandogli il collo, posandola sotto il mento, tirandolo verso di sé.
Chinen, sebbene stremato, cercò di sfuggire a quella presa, di voltare il capo, preferendo continuare a sentire il viso graffiato dal cemento: tutto era meglio che sentire quelle mani su di sé, il loro calore, il loro odore, quella presa forte e decisa che lo obbligava ancora una volta a fare qualcosa che non voleva.
Sentì quella bocca scendere sulla sua e baciarlo piano, senza fretta e Chinen se ne disgustò ancora di più. Approfittando di questo, trovò le forze per liberare il braccio e, con una gomitata, spingere Hikaru lontano da sé. Si voltò con le spalle contro il muro, guardando l’altro con odio, ma Yaotome sorrideva, soddisfatto di sé.
“Era come l’ho sempre immaginato, sei fantastico” gli disse, muovendo un passo in avanti, mentre si sistemava i pantaloni.
Il terrore tornò a farsi strada negli occhi del più piccolo che si mosse troppo velocemente per cercare di sfuggirgli, inciampando e fregando le nocche contro il muro, ferendosi; ma non gli importava, si issò aiutandosi con l’altra mano, rimettendosi in piedi, strisciando via da lì, rasentando il muro, trovando le forze per camminare, incurante del dolore alle gambe e alla schiena, incurante del bruciore che sentiva pervadergli il corpo; perché non lo sentiva, ormai non sentiva più niente e niente di quello che avrebbe mai potuto provare sarebbe stato più doloroso di quella che era stata la violenza subita.

*

“Yuri!”
Yuya si precipitò nella casa senza neanche togliersi le scarpe. Corse nel salotto, in cucina, nel bagno, prima di fiondarsi nella camera da letto e lì lo trovò: con le spalle contro il letto, Chinen stava seduto sul pavimento, un coltello piantato nel fianco, in una pozza di sangue. Tanto, troppo sangue attorno a quel piccolo corpo.
“Chinen” lo chiamò ancora. “Chii, resisti!” lo rassicurò, accarezzandogli la fronte e i capelli, premendogli una mano attorno alla ferita, sentendo il sangue scivolargli tra le dita.
“Yuuyan” lo chiamò Chinen con un sorriso, posando una mano sulla sua, sfiorando il manico del coltello. “Mi dispiace” gli disse.
“No, Chii, non parlare. Adesso… adesso vado a chiamare un’ambulanza, andrà tutto bene, vedrai” cercò di sorridere a sua volta, guardandosi intorno, indeciso sul da farsi; non voleva lasciarlo lì, voleva stare con lui, ma doveva chiamare aiuto.
“Non importa, Yuuyan, stai qui con me” si sentì dire dal più piccolo che contrasse le dita sulle sue per uno spasmo.
“Perché, Chii, cosa ti è saltato in mente?” gli chiese, sentendo le lacrime pungergli gli occhi e premere per uscire. “Perché non mi hai aspettato… perché l’hai fatto?”
“Io… mi dispiace Yuuyan, ho dovuto. Io sono sporco adesso e… avrei dovuto ascoltarti Yuuyan… avrei dovuto dirtelo, mi dispiace.”
“No, Yuri, no, sono io che dovevo accompagnarti, sono io che dovevo seguirti anche se tu-”
Chinen spalancò gli occhi a quell’affermazione.
“No, non dirlo Yuya, non dirlo neanche per scherzo, tu non sei così, tu… tu sei la persona migliore del mondo Yuya e io, io…” sospirò, ormai il fiato che iniziava a scarseggiare e le palpebre si facevano pesanti; era stanco, troppo stanco, ma non voleva avere rimpianti, non voleva compiere lo stesso errore due volte.
Portò una mano alla guancia del suo Yuya e, con un sorriso, confessò: “Io volevo solo dirti che ti amo.”
Abbassò nuovamente il braccio e chiuse gli occhi.

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