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Con un sonoro sbuffo, spense il cellulare stendendosi sul letto a braccia e gambe larghe.
Non ne poteva proprio più! Quella domenica parevano essersi messi tutti d'accordo per rompergli le scatole e stressargli l'anima con la storia di Haruko.
Era passata una settimana da quando la volpe aveva tirato fuori quella balla e non ne poteva più dei sorrisini allusivi della zia, le battutine di Akira e Mitsui e delle telefonate che la madre, da che aveva avuto la lieta notizia, gli faceva ogni santo giorno per sapere eventuali sviluppi sulla sua storia d'amore. Storia d'amore che non esisteva!
Era inutile poi negare, tanto nessuno gli credeva: perché? E Haruko? Lei pareva non aver sentito le voci che circolavano sul loro conto... oh beh, lei no, ma non si sa come, erano arrivate alle orecchie del fratello che si era addirittura presentato in palestra e gli aveva fatto una scenata in piena regola.
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Era un pomeriggio come tanti al liceo Shohoku, i ragazzi del club si stavano allenando seguendo le istruzioni del capitano e Hanamichi, sotto la supervisione del coach, era ancora impegnato nei suoi fondamentali: ed era veramente stufo! Inoltre, il mister aveva avuto la brillante idea di farlo seguire da Haruko che si era dimostrata ben disposta nei suoi confronti, per aiutarlo nei tiri da tre punti. Adesso era diventato quasi bravo: così continuava a ripetergli la ragazza incoraggiandolo, anche se Sakuragi doveva ammettere che forse stava esagerando. Non era ancora ai livelli dei compagni, per di più, se la volpe continuava a guardarlo storto per tutto il tempo, sentendosi sotto esame, non riusciva a concentrarsi.
Sembrava che quella nuova collaborazione gli desse fastidio, ma non era stato forse lui il primo a insinuare che ci fosse qualcosa tra lui e la seconda manager? Adesso di cosa si lamentava? A scuola non si parlava d'altro e tutte le ragazze dell'istituto parevano aver cambiato opinione sul conto del rosso, salutandolo ogni volta che passava nei corridoi, elargendo grandi sorrisi. Ma Hanamichi aveva capito perché lo facevano, non era mica un doaho! Quelle povere illuse pensavano che, grazie a quella relazione, Haruko avesse definitivamente rimpiazzato Rukawa e quindi vi era sulla piazza un'avversaria in meno. Peccato, però, che la verità non fosse come queste pensavano: l'Akagi vedeva Hanamichi solo come un buon amico e non badava ai pettegolezzi, per questo si comportava con lui come al solito, sorridendogli gentile e trattandolo anche dolcemente. Nei suoi gesti non vi era un secondo fine, semplicemente, gli voleva bene e si comportava di conseguenza.
"Harukina cara!" trillò Hanamichi, giusto per fargli un dispetto, quando sentì su di sé l'ennesimo sguardo minaccioso del cugino. "Va bene la posizione?" chiese, guardandola con un gran sorriso. Lei gli si avvicinò e, posando le mani sui muscoli delle braccia, gli sistemò la posizione per effettuare un buon tiro, spostando con le sue gambe quelle del rosso, facendole allineare al proprio corpo. E fu in quell'esatto momento, dopo quell'ultimo spostamento, che un incavolatissimo Takenori Akagi fece irruzione in palestra.
"Ops" fu il sussurro di Ayako che, vedendolo, colse immediatamente la situazione.
"Tu!! Cosa credi di fare con mia sorella, razza di depravato!" gli urlò dietro, fraintendendo completamente la situazione.
"Eh?" Hanamichi cascò completamente dalle nuvole. Che stava facendo? Abbassò lo sguardo cercando quello di Haruko e, in quel momento, si rese conto dell'effettiva posa equivoca che avevano assunto: e se Akagi, entrato in quel preciso istante, avesse frainteso? Doveva essere andata esattamente così, dato che, nel giro di pochi istanti, Sakuragi si ritrovò con il sedere per terra e la testa che gli doleva non poco: Akagi l'aveva preso a pugni allontanandolo dalla sorella.
"Fratellone! Cosa hai capito? Gli stavo solo insegnando la posizione di tiro corretta!" spiegò Haruko piccata: le stava facendo fare una pessima figura davanti a tutta la squadra! Inoltre, Rukawa li osservava con una faccia che non le piaceva per niente, chissà che aveva? Forse perché avevano interrotto l'allenamento, suppose tra sé arrossendo leggermente, come di consueto.
"Ahia! Gori, ma che ti ho fatto?!" si lamentò Hanamichi alzandosi, ci mancava solo lui a complicare la situazione.
"Taci! Mi sono giunte strane voci e dovevo controllare. Direi che ho fatto bene!" si rispose da solo.
"Eh?" Stavolta fu Haruko a non capire.
"Lascia stare sorellina, Hanamichi ha capito perfettamente quello che intendo!" le aveva detto, mettendosi tra lei e il rosso, per parlare con lui direttamente.
"No, guarda che c'è un errore!" esordì Sakuragi, ponendo le mani avanti, anche fisicamente, in segno di pace. "Noi non..." tentò di spiegare, ma senza successo, perché il gorilla si avvicinò a lui minaccioso, intimandogli con sguardo truce: "è un avvertimento, Sakuragi, stai alla larga da mia sorella o te ne pentirai!" aveva detto prima di andarsene, senza neanche salutare il coach e la squadra.
Il suo compito era stato portato a termine.
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E non solo il gorilla, la voce era arrivata, grazie a lui sapeva chi, fino a Kanagawa: ogni giorno il suo telefono squillava ininterrottamente e riceveva svariati messaggi da parte dei suoi cari amici. Aveva provato a evitare le chiamate e a cancellare gli sms, ma quelli non gli avevano dato pace finché non aveva dato loro una risposta.
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Il telefono aveva cominciato a squillare forte nel cuore della notte facendo sobbalzare Hanamichi. Aveva dimenticato di abbassare la suoneria: da che era partito non lo spegneva mai, nel caso la madre o Yohei avessero avuto da dirgli qualcosa di urgente, ma solitamente teneva un volume moderato.
"Pronto?" rispose con voce cupa e assonnata, riuscendo a leggere con un occhio solo il nome di Yohei sul display. "Amico lo sai che ore sono? Devo preoccuparmi?"
Anziché, però, sentire il timbro di voce del migliore amico, dall'altra parte si udirono un forte rumore di clacson, risate sguaiate e un chiacchiericcio confuso. Hanamichi allontanò il telefono dall'orecchio, osservando ancora una volta lo schermo illuminato, eppure era proprio il suo numero.
"Hanamiiiicccchi! Ehi ci sei?!" la voce pimpante e forte di Takamiya gli risuonò nel timpano, infastidendolo oltremodo.
"Ma che diavolo...?! Dov'è Yohei?" chiese Sakuragi sedendosi sul letto: ormai l'avevano svegliato.
"Allora è vero che rispondi solo se ti chiama Mito e noi chi siamo? Non ci vuoi più bene?" lo presero in giro.
"Andiamo, lo sapete che ore sono?" chiese, guardando al contempo l'ora sulla sveglia posta sulla scrivania: erano le tre e mezzo del mattino e tra meno di due ore di sarebbe dovuto alzare. "Io stavo dormendo, domani devo alzarmi presto per allenarmi prima di scuola" spiegò, sperando che si sentissero in colpa.
"Oh, certo e noi siamo stati scritturati per un film, ma facci il piacere. Dovrai vederti prima delle lezioni con..." pausa di silenzio e poi un coretto di "… Harukina cara" arrivò anche a lui. Quei mentecatti lo stavano prendendo in giro, ma gliel'avrebbero pagata, oh se l'avrebbero fatto!
"Vi ho detto che non è la mia ragazza, insomma!!" sbottò per l'ennesima volta. Aveva cercato di spiegarglielo con le buone, ma non era servito a niente, quindi aveva iniziato a ignorare, le loro chiamate e i messaggi, invece quella sera gliel'avevano fatta e Yohei era stato loro complice! Di chi mai poteva fidarsi più? Si chiese.
Poi, d'un tratto, in lontananza, aveva udito, finalmente, la voce alterata di Mito rimproverarli e poi prendere possesso del proprio telefonino.
"Scusa, Hana! Me l'hanno sottratto con la forza, tre contro uno non ce l'ho proprio fatta, mi hanno raggirato per bene!" si scusò il moro, ridimensionando così l'arrabbiatura di Hanamichi: almeno non era stato tradito anche da lui.
Alla fine, dopo mezzora passata con quei tre folli al telefono era riuscito a sganciarli e tornare a dormire per quel che gli restava prima di sentire, fin troppo presto, suonare la sveglia.
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"Hanaaaa!" la voce di Ayako, affacciata alla finestra, lo richiamava dalla casa principale. Il rosso sbuffò e si affacciò a sua volta dalla porta.
"Che c'è?" disse un po' brusco.
"C'è Akira al telefono!" spiegò lei, facendogli vedere il cordless.
"Digli che non ci sono!" mentì Hanamichi, ma la riccia lo guardò storto. "Non potrei neanche se volessi: ho già detto che ci sei, vieni a rispondere! Non puoi tenere occupato il telefono per ore!" lo rimproverò.
'Ecco, alla fine mi dà sempre la colpa!' pensò rassegnato, mentre saliva le scale e le strappava il telefono dalle mani.
"Che c'è!?" rispose in modo poco educato e una voce squillante dall'altro capo rise.
"Oh, eccoti, finalmente! Non rispondevi più ai miei messaggi" gli disse dispiaciuta.
"E questo non ti suggerisce niente?" domandò retorico Sakuragi. "Se non rispondo alle chiamate e ai messaggi un motivo ci sarà, non pensi?"
"Sì, penso che mi stai evitando e io non ti ho fatto niente!" si offese il suo interlocutore. Hanamichi si sedette sul divano sconsolato, gettando la testa all'indietro; in effetti aveva ragione, ma sapeva che cosa Sendo volesse da lui: voleva uscire, come gli aveva detto più volte in quei giorni tramite messaggio, ma lui non ne voleva sapere.
"Lo so che cosa mi vuoi chiedere e no, non uscirò con voi. So che lo sai, figurati se quel teppista che ti ritrovi per ragazzo non si tappa la bocca ogni tanto."
"Ahahah, Hanamichi, sei preoccupato per la storia di Haruko? Andiamo, mi conosci, non preoccuparti..." lo rassicurò e Hanamichi, per un momento, credette di essere stato cattivo a pensare male di lui, a paragonarlo a tutti quei pettegoli che ultimamente gli giravano attorno. Doveva immaginare che Sendo non avrebbe ascoltato le voci che descrivevano lui e Haruko come una coppia...
"Non penso che la tua ragazza se la prenderebbe tanto se per una sera esci con i tuoi amici, non sarai uno di quelli che, una volta fidanzati, si fanno mettere il guinzaglio e abbandonano il gruppo?"
Come non detto! Hanamichi scivolò lentamente giù dal divano sedendosi per terra, cominciando a prendere a piccole testate il tavolino davanti a sé. Ma perché il mondo era così ingiusto con lui? Che aveva fatto di male?
"Hana, ci sei? Non ti sei offeso, vero?"
Hanamichi mugugnò in risposta.
"Eddai, non fare così, ci manchi e vogliamo vederti, fai di tutto per venire, ok? Anzi, no guarda, ti passo a prendere alle sette e se non ti trovo pronto, beh ti carico di peso in macchina così come ti trovo!" lo minacciò.
"Va bene, va bene..." capitolò Hanamichi, "… ma a una condizione!" Fu ora il suo turno di contrattare.
"Sentiamo!" lo assecondò l'amico.
"Niente volpi nei paraggi, non voglio uscire con lui, non lo voglio vedere, per cui o me o lui, scegli!"
"Sì, sì... passo a prenderti tra un'ora!" rispose Akira, prima di mettere giù velocemente.
"Ehi, no! Sendo, non mi hai risposto!!" tentò di farsi udire, ricevendo in cambio solo il muto tu-tu della chiamata che viene interrotta.
Puntuale come un orologio svizzero, poi, Sendo, alle sette stava suonando il clacson per avvisare Hanamichi di scendere. Il rosso, che stava guardando fuori dalla finestra, non appena lo vide, si presentò nel cortile e rimase a osservarlo, a braccia conserte, da dietro la barriera del cancello automatico che si apriva scorrendo lento.
"Ciao!" lo salutò con il solito sorriso il playmaker avversario, ridendo della sua espressione, mentre Hanamichi saliva in macchina accanto a lui. "Sei ancora arrabbiato?" domandò.
Il rossino lo guardò di sbieco e poi smise di tenergli il muso: "no... mi è già passata. Ma voglio che sia chiaro: tra me e la Akagi non c'è niente! Il bello è che nessuno mi ascolta! Lei poi sembra non essersi accorta di niente. Tutta colpa di quella maledetta volpaccia!" sbottò infine.
"Kaede? Che c'entra?" domandò, davvero sorpreso.
"Come non lo sai? Credevo che Mitchi ti avesse detto tutto!"
"No, lui non sa chi abbia messo in giro quella voce, anche lui è stato trascinato sull'onda del pettegolezzo, ma non si è accertato della veridicità del fatto!"
Hanamichi adesso sì che era seriamente offeso con i suoi amici: allora, passasse che credessero alle voci senza parlarne prima con lui e si mettessero a fantasticare, ma che non si fossero neanche presi la briga di andare ad accertarsi con il fautore del pettegolezzo non lo tollerava.
Sendo rise per averlo lasciato senza parole, ma intendendo molte cose dall'espressione del viso dell'altro. Fecero poi il breve tragitto che rimaneva in silenzio, raggiungendo il solito locale e gli altri amici.
Scesero dalla macchina ed entrarono nel locale dove ad attenderli c'erano i soliti Mitsui, Maki e Nobunaga e Hanagata e Fujima: sembrava che le coppiette si fossero date un appuntamento di gruppo.
"Scusa, Akira, posso sapere che cosa ci faccio io tra tutti voi? Già mi trovo a disagio con voi due come coppia, questa sembra una rimpatriata bella e buona di dolci innamorati. Se volevi tirarmi su il morale in questo modo sappi che è la tattica sbagliata!" disse piccato. Non gliene andava bene una.
"Oh, ma come, non ti ho avvertito?" fece Sendo con tono volutamente innocente. "Che sbadato, non ti avrei mai invitato a questa uscita a sei... guarda!" gli disse, mentre si avvicinavano al tavolo e, accanto a Mitsui , era seduta un'altra persona. "C'è anche Kaede!"
Hanamichi spalancò gli occhi, prima di ridurli a due fessure sottilissime, fulminando il cugino. Poi, rivolgersi a Sendo, lo prese per il colletto della maglia, avvicinandoselo al viso: "tu... ti avevo detto che non volevo uscire con la volpe... mi hai preso in giro!" gli ringhiò contro.
"Ehi, testa rossa! Sei un po' troppo vicino a lui, staccati! Tu hai già la ragazza!" la voce di Mitsui fermò il rosso dai propri intenti omicidi ai danni del suo ragazzo.
Hanamichi si voltò di scatto, fulminando la guardia per quella sua puntualizzazione, e lasciò andare Sendo che prese posto accanto a Mitsui, ringraziandolo con un bacio veloce sulla labbra per averlo salvato. Hanamichi, invece, si sedette a capo tavola, lontano da Rukawa, salutando tutti e ignorando lui.
"Vi prego" esordì Sakuragi, esasperato e serio, guardando tutti i presenti. "Per l'ultima volta: Haruko non è la mia ragazza!" disse e dal suo tono di voce si percepiva quanto fosse esausto di tutta quella situazione.
Nella tavolata cadde il silenzio e fu allora Mitsui a parlare ed esprimere il dubbio che, da quando tutta quella faccenda era cominciata, non l'aveva lasciato un secondo: "ma scusa, Hana... a parte gli scherzi. Al di là del pettegolezzo in sé che può nascere sia su un fondo di verità, sia come pura menzogna solo per divertimento ai danni di chi non c'entra, se la questione si è espansa tanto, tu devi in qualche modo, forse anche inconsapevolmente..." aggiunse in fretta, "… dato modo alla cosa di ingigantirsi così tanto... fino a renderla in una certa maniera realmente credibile. Non so se mi segui."
Hanamichi abbassò lo sguardo: aveva capito cosa volesse dirgli e sapeva che aveva ragione, anche se non l'avrebbe mai ammesso. Guardò di sottecchi Kaede che aveva seguito il discorso e anche lui sembrava concordare con Mitsui. Il moro spostò la sua attenzione su Sakuragi, guardandolo con rimprovero, ma senza dire niente a riguardo: almeno aveva avuto la decenza, per una volta, di non infierire su di lui come al solito, ringraziò mentalmente il rosso.
A spezzare la piccola scenetta da tribunale che si era venuta a creare e di cui Hanamichi pareva essere l'imputato principale, fu Fujima che, seduto accanto al rossino, gli aveva messo una mano sulla spalla cercando di tirarlo su di morale: "ehi ragazzi, perché ve la prendete tanto con lui? Neanche avesse fatto chissà quale torto a qualcuno. Vi dispiacerebbe così tanto se anche lui trovasse la ragazza giusta?" chiese. "In fondo, a noi nessuno viene a sindacare quello che facciamo o meno, né tanto meno veniamo presi in giro o giudicati."
"Se solo qualcuno ci provasse, io lo menerei di brutto" si intromise Maki.
"Ecco, appunto! A noi non piacerebbe essere oggetto di stupidi pettegolezzi, perché renderebbe sporco quello che di bello stiamo costruendo. Io ti credo, Sakuragi" disse rivolto al rosso che gli sorrise grato. "Sono sicuro che tra te e la vostra seconda manager ci sia solo una buona intesa in campo e una bella amicizia... lascia perdere i commenti maliziosi, i tuoi amici lo fanno per ridere..." guardò storto Mitsui, rimproverandolo, "e dovrebbero farlo in buona fede, non attaccarti e buttarti già di morale. Per quanto riguarda gli altri..." tornò a rivolgersi a lui, "… lasciali dire, lo fanno solo perché la loro vita è ben poco interessante e si credono superiori spargendo voci infondate sul conto degli altri. Tu fregatene e ignorali, è l'arma migliore e vedrai che alla fine si stuferanno. Tu sai che non stai facendo niente di male e questo è l'importante" concluse saggio, sorridendogli e facendo tornare al rosso il buon umore.
"Hai ragione, Kenji!" lo chiamò in quel modo così familiare, tornando carico. "Nessuno può sapere meglio di me come stiano realmente le cose e poi, io sono il Tensai, nessuno da principio dovrebbe mettersi a spargere voci maligne sul mio conto! Se ne pentiranno, vedrai!" concluse ridendo.
Rukawa avrebbe tanto voluto riprenderlo a modo suo, ma non lo fece e non ne capì neanche lui pienamente il motivo: voleva riportarlo con i piedi per terra e smontarlo, ma qualcosa dentro di sé lo trattenne. Non gli piaceva l'Hanamichi sempre triste e musone con cui aveva avuto a che fare in quei giorni, preso in giro da tutti e stressato oltre l'inverosimile, ma per qualche strano motivo, non gli piaceva neanche che si fosse ripreso così in fretta.
Tutti si preoccupavano per lui tirandogli su il morale, ma nessuno si era soffermato a pensare che Sakuragi non era l'unico diverso ultimamente: era vero che era stato lui a cominciare con quella storia, ma l'aveva fatto perché era arrabbiato. Per quanto avesse tentato di convincersi che così non fosse e che gli andasse bene la situazione con il rosso, non era vero. Non gli era andato più bene da quando erano rientrati dalla loro vacanza e da che era cominciata la scuola: era stufo di quel rapporto di incertezza e cose non dette che aleggiava tra di loro, lui voleva chiarire una volta per tutte, credeva che facendo quella piccola battuta, Hanamichi avesse fatto di tutto per costringerlo, per lo meno a ritirare le accuse, ma non l'aveva fatto. Né era andato da lui a parlargli e discutere sul problema una volta per tutte. Di cosa aveva paura? Era più importante che quelle voci continuassero a girare e lui con il proprio comportamento le alimentasse o chiarire con lui?
Non riusciva proprio a capire cosa passasse nella mente del doaho.
***
"Hanamichi, noi usciamo, sei sicuro di non voler venire?" chiese Ayako, affacciandosi alla porta della palestra.
"No, grazie... andate pure, voglio finire questi tiri e poi, prima di andare a letto, devo terminare di leggere un libro di letteratura che domani abbiamo un compito" spiegò.
"Oh, sì, sarà per la prossima volta allora... non farti venire mal di testa per il troppo studio, però!" gli disse scherzosa, mentre raggiungeva i suoi in macchina per andare al ristorante.
Hanamichi non rimase solo a lungo, però: la porta della palestra si aprì nuovamente nel momento in cui lasciò andare la palla per tentare un terzo tempo che non andò a segno a differenza dei precedenti: eppure avrebbe dovuto saperli eseguire alla perfezione.
Si voltò verso la nuova presenza e vide che si trattava di Rukawa: indossava una tuta nera, la solita che portava in casa per stare comodo, le scarpe da ginnastica e aveva i capelli umidi, forse era appena uscito dalla doccia. Sapeva che probabilmente anche il cugino aveva rinunciato alla cena fuori casa, prima, infatti, l'aveva visto in salotto finire di leggere quello stesso libro che anche lui avrebbe dovuto esaminare più tardi.
Andò a raccogliere la palla finita in un angolo della grande stanza e si trovò un attimo a disagio con lui: era la prima volta che si ritrovavano da soli dopo tanto tempo.
"Hai finito di studiare?" chiese il rosso, avvicinandosi e tendendogli la palla: forse sarebbe stato meglio lasciare a lui campo libero e interrompere prima gli allenamenti per andare a studiare. Kaede non aveva una faccia molto tranquilla, era meglio levarsi di torno senza farlo incavolare ulteriormente, vista anche la pessima figura che aveva fatto al suo arrivo.
Rukawa non gli rispose, si limitò a guardarlo e prendere il pallone che Hanamichi gli tendeva.
"Fai pure, tanto io ho finito per oggi, sto cominciando a mancare un po' troppo spesso il canestro, mi alleno dalle cinque..." disse e non sapeva neanche lui se quella fosse una giustificazione o che altro: inspiegabilmente cominciò ad avere paura di un eventuale commento da parte del cugino.
"Uhmpf" il mugugno di Rukawa si confuse con il rimbalzare del pallone che aveva cominciato a palleggiare sul lucido parquet, ma questo non bastò affinché Hanamichi se ne andasse senza averlo udito. Infatti, il rosso, perplesso, si voltò nuovamente, quando era già arrivato sulla soglia della palestra.
"Hai detto qualcosa?" accusò subito.
Rukawa si volse verso di lui arcuando un sopracciglio: "coda di paglia, doaho?" lo provocò.
"No, assolutamente! Ma non mi piace l'espressione che hai assunto non appena hai messo piede qui dentro... avanti che c'è?" lo spronò: se aveva qualcosa da dire che gliela dicesse in faccia! Adesso l'aveva proprio stancato!
"Beh, è difficile non commentare quando, dopo quasi tre mesi di fondamentali e almeno un miliardo di tiri al mese, tu ancora sia così scarso nell'eseguire un terzo tempo."
Hanamichi strinse i pugni: come si permetteva?
"Ti ho detto che sono stanco, sono ore che mi alleno, non ti permetto..." ma Rukawa non lo lasciò concludere, perché sbottò.
"Non è vero! Io riesco ad allenarmi anche dodici ore di fila e, anche quando sono stanco, non manco un colpo!" ribatté, sfidandolo con lo sguardo. "Tu non sei stanco, sei solo fuori allenamento! A quanto pare hai passato troppo tempo con la tua Harukina cara perdendo di vista le cose importanti!"
"Ancora con questa storia? Sei tu che hai cominciato tutto, sei tu che hai messo in giro queste voci, non io! Io mi sono sempre comportato normalmente con lei, come avrei fatto con qualsiasi altra persona. Io, a differenza di qualcuno, so cosa significa essere gentili verso il prossimo!"
"Sì, adesso si chiama gentilezza, è da quando l'hai conosciuta che stai flirtando con lei non negarlo! L'altro giorno, in palestra, sei veramente caduto in basso" si irritò al solo ricordare come aveva fatto lo svenevole e il carino con lei. "Hai anche cominciato a interessarti al basket, solo perché te l'ha suggerito una ragazza!"
"Allora è questo che ti rode, vero? Il fatto che lei abbia visto in me qualcosa, come tutti del resto. Solo tu mi hai sempre messo i bastoni tra le ruote... cos'è, temi che possa diventare più bravo di te e quindi lei cominci a rivolgere a me tutte le attenzioni che adesso ha nei tuoi confronti?"
"Ma fammi il piacere... a me non interessano queste cose... puoi tenerti la Akagi e tutte quelle esaltate che ci sono a scuola! E, poi, tu non diventerai più bravo di me, neanche fra cent'anni" gli disse cattivo.
"Questo è tutto da vedere! Io diventerò il migliore che ti piaccia o no!"
"Se continui con questo atteggiamento non credo proprio: il basket è uno sport che richiede sacrifici e impegno. Ci vuole passione per riuscire, i tuoi sono motivi molto banali!"
"E chi sei tu per decidere se sono o meno buoni i miei motivi, cosa ne sai?!"
"Ne so abbastanza da capire che solo per fare colpo su una stupida ragazzina e spassartela con lei non si può costruire una carriera sportiva!"
"Per l'ultima volta io NON voglio fare colpo su Haruko e non intendo spassarmela con lei!" urlò esasperato. "Io voglio giocare a basket, indipendentemente dal fatto che questo sia per me uno sbocco futuro, non ne faccio il mio ideale di vita, non è il mio fine ultimo. Io non sono come te, Rukawa!"
"Sì, me ne sono accorto!" disse sarcastico.
"Cosa intendi dire?" chiese dubbioso.
"Tu non capirai mai niente se ti ostini su questa linea... il tuo è un comportamento immaturo!" disse Rukawa, voltandogli le spalle e tentando un tiro a canestro, ma, rapido, Hanamichi si frappose fra lui e il tabellone, impedendogli di tirare.
"Non puoi dire così... tu lo sai cosa ho passato e non è una colpa se mi voglio divertire. A quando pare tu sei solo concentrato su te stesso per renderti conto di chi ti sta attorno... ultimamente hai trattato male i tuoi amici senza motivo: il povero Sendo deve avere la pazienza di un santo per rapportarsi con te! E nonostante questo tuo caratteraccio continua a esserti amico."
"Non gliel'ho chiesto io di starmi addosso e se non gli piace il mio carattere, liberissimo di mandarmi a quel paese, si vede però che, se mi sta vicino, qualcosa deve aver visto, a differenza di molti altri" rispose amaro. Quel discorso aveva preso una strana piega e Rukawa non sapeva bene fin dove li avrebbe portati, aveva tanta rabbia dentro di sé, tante cose da dire e trattenute nel cuore che temeva che avrebbero avuto un epilogo drastico. Ma ormai aveva perso i propri freni, si era lasciato andare: Hanamichi sembrava non voler capire, continuando a girare intorno alla questione.
"Adesso non fare la vittima, se tu fossi un po' più aperto e incline al dialogo, forse gli altri..."
"Io non faccio la vittima!" ringhiò, guardandolo con occhi scuriti dalla rabbia, lo stava giudicando. Lo stava giudicando e sindacava sulla sua vita! Non lo conosceva, non sapeva niente e, soprattutto, credeva che il suo atteggiamento fosse migliore del proprio? Quanto si sbagliava!
"Questo è il mio carattere, io sono quello che sono grazie anche a questo... e scusami se non sto sempre con in faccia un sorriso idiota di copertura solo per far vedere agli altri che sto bene, se non è così. Ma tu che ne vuoi sapere! Tu sei un maestro nell'arte di fingere, non è così?" domandò retorico. Hanamichi aprì la bocca senza emettere, però, suono alcuno. Solo dopo, parve riscuotersi, capire cosa il moro intendesse e rispose: "il tuo discorso non regge, a volte, la vita ci costringe a portare una maschera, che ci piaccia o no, ci sono situazioni che lo richiedono, non si può sempre fare quello che si vuole!" E lui lo sapeva bene, quante volte a casa, in determinate circostanze, specie le ultime capitategli, aveva dovuto fingere di star bene, quando invece, avrebbe tanto voluto urlare al mondo il suo dolore e sfogarsi piangendo, ma non aveva potuto.
Rukawa, però, non era questo che intendeva. Il moro lo guardò e scosse il capo: come immaginava non aveva ancora capito.
"Senti, non guardarmi così... io non capisco. È questo il tuo problema, non si capisce cosa pensi, non parli mai e quando lo fai, chi ti ascolta resta confuso, se tu mi parlassi e mi considerassi..."
Rukawa distolse lo sguardo da lui e sul suo volto comparve un sorrisino di scherno: Hanamichi non l'aveva mai visto sorridere e ne rimase incantato e intimorito al contempo. Quello non era un sorriso, era un ghigno che non gli piaceva per niente: come prevedendo cosa sarebbe successo di lì a poco, indietreggiò di un passo.
"Ti considerassi... come? Qui quello difficile non sono io, Hanamichi... qui il problema sei tu! Da quando sei arrivato per me sei stato fonte di problemi... sei tu che non vuoi parlare con me. Non siamo mai andati d'accordo, è vero, ma dopo che ci siamo baciati..." calcò su quel verbo, guardandolo dritto negli occhi. Fu allora che Hanamichi comprese, solo in quel momento, comprese la grave portata di quel discorso, la tensione accumulata in quei giorni, i suoi silenzi, i gesti trattenuti, tutto.
"Io volevo parlare quella notte... l'avrei fatto anche il mattino successivo, dopo averti dato il tempo di riflettere. Io, la volpe muta e silenziosa, ero disposto a parlare e confrontarmi con il doaho casinista, invece tu cosa hai fatto? Sei scappato, mi hai ignorato per giorni e poi d'un tratto, quando sei tornato dai tuoi amici e ti sei sentito, forse, sollevato e sicuro di te, hai ripreso a cercarmi, a trattarmi come se non fosse successo niente. E mi sono detto che mi andava bene, se tutto fosse tornato come prima di quella sera. Invece hai titubato ancora e mi hai mandato segnali contrastanti: cosa vuoi da me, doaho?" ringhiò l'ultima parola. Era stanco, non ce la faceva più, ci teneva troppo per lasciar correre, adesso che erano arrivati alla resa dei conti.
"Io... io non voglio niente... non sapevo come l'avresti presa, cosa volessi dirmi..."
"Sei scappato... cosa avrei dovuto fare? Ti avevo già provato a rincorrere e mi hai allontanato, quella era la tua risposta, dovevi rimanere fermo su quella decisione!" lo fissò dritto negli occhi per vedere come avrebbe reagito.
Hanamichi distolse lo sguardo: non era ancora pronto ad affrontare quell'argomento, non aveva ancora accettato di amarlo. Non poteva ancora lasciarsi andare, aveva bisogno di tempo, di altro tempo, forse l'infinito intero non sarebbe bastato per cancellare quei sentimenti come avrebbe voluto. Ogni giorno che passava, questi diventavano più forti e il non poterli lasciare scorrere come avrebbe voluto lo spaventava, perché non era ancora riuscito a risolvere il problema che più lo spaventava: quello della famiglia.
"Senti, lasciamo perdere, vuoi una risposta? Eccola: eravamo ubriachi ed è stato un errore. Punto" ripeté a lui, come aveva fatto con se stesso e con i suoi amici.
Ma Rukawa non si sarebbe accontentato, non si sarebbe accontentato di quella fuga: gli aveva risposto, vero, ma non l'aveva guardato negli occhi, ancora non si assumeva le proprie responsabilità.
"Scappa, doaho... è questo che ti è stato insegnato? Scappi quando la situazione si fa difficile, non affrontando i problemi?" gli disse, conscio che aveva detto una cattiveria, consapevole che non fosse la verità, ma lo disse ugualmente, rendendosene conto troppo tardi.
Adesso Hanamichi lo guardava finalmente negli occhi: due polle di fuoco ardente che si scontrano in un mare in tempesta scuro e abissale.
"Non ti azzardare mai più, Rukawa... non pensare minimamente di mettere in mezzo le questioni della MIA famiglia con quello STUPIDO bacio che io neanche VOLEVO!" urlò. "Tu non sai cosa abbiamo passato io e mia madre, cosa significhi perdere una persona cara, stare lontano dalla propria famiglia che per te ha fatto sempre l'impossibile e continua a farlo nonostante le difficoltà. E penso proprio che questo non lo capirai mai, perché tu qualcuno che te l'abbia insegnato non ce l'hai. Io non sto scappando, cerco di raccogliere i pezzi della mia vita. Se devi parlare di codardia, dovresti ripensare un po' alla tua di famiglia che proprio di tale nome non ha niente!" gli disse duro, mentre cominciava lui stesso a sentir crescere dentro di sé una serpe spinosa, pungente e urticante.
"Questo dovrebbe farmi sentire meno sicuro di me, vero?" sibilò a sua volta Kaede e, senza fermarsi aggiunse sarcastico, senza ragionare, senza soffermarsi sul suo contenuto. "Detto da uno che è stato rifiutato dalla sua di famiglia che lo considera meno di zero e che ha..." si fermò appena in tempo, sbarrando gli occhi, consapevole.
Cosa stava per dire?
Chi era che stava parlando in quel momento? Cosa li spingeva a dirsi tutte quelle cose che sapevano che avrebbero ferito l'altro profondamente? Perché più si ama qualcuno e più gli si vuol far del male?
Hanamichi lo precedette ironico: "perché ti sei fermato, Rukawa? Adesso ti fai venire i sensi di colpa o devo dedurre che anche tu non sia poi così bravo ad assumerti le tue responsabilità? Perché non mi dici quello che devi? Lo so cosa pensi, so cosa pensano loro, cosa pensano tutti di me! È il motivo per cui me ne sono andato da Kanagawa, è il motivo per il quale mio padre è morto e... non farmi quella faccia, adesso!" gli urlò contro, vedendo Rukawa impallidire pericolosamente. Non dovevano arrivare a quello, Rukawa non voleva costringerlo a rivivere e ad aprire una ferita così grande per lui, si era lasciato influenzare dai cattivi sentimenti, il proprio rancore e il dolore che provava... per essere stato rifiutato.... anche da lui... anche dalla persona che amava più di se stesso.
In uno scatto d'ira, Hanamichi si avvicinò a Rukawa e gli diede un pugno sul viso, costringendo il suo labbro a sanguinare immediatamente per il colpo ricevuto.
E ancora la voce di Hanamichi, calma ma rancorosa, lasciava trasparire una tranquillità innaturale che lo sconvolgeva, sconvolgeva Rukawa e sconvolgeva se stesso.
"E dato che ormai tu mi hai detto cosa pensi di me, voglio dirti anche io la mia. Non sto scappando soltanto io, come tu dici: sappi che tua madre, tua madre" ripeté più lentamente, calcando su quelle due parole, "ha preferito pensare a se stessa, piuttosto che a te! E se non l'avesse fatto, se fosse stata una donna degna di portare il nome di madre, forse tu non saresti venuto su così: arrabbiato con il mondo. Se devi prendertela con qualcuno, è con lei che devi parlare, non sfogare la tua frustrazione sul dolore altrui" gli disse, poi, riacquistando la calma, ma non riuscendo a impedire al suo cuore di correre impazzito nel proprio petto e agli occhi di inumidirsi.
Si morse forte un labbro e solo il sapore metallico del proprio sangue parve riportagli un po' di lucidità
Rukawa era rimasto in silenzio ad ascoltare quel discorso così duro e rancoroso. Per certi versi, forse anche vero. Lui per primo aveva sempre pensato che parte della colpa per il proprio carattere fosse da imputarsi alla sua particolare situazione: sapere di non essere ben voluto dalla propria madre, sapere che prima del proprio figlio frappone se stessa era stato un duro colpo da accettare, specie per un bambino così piccolo. Per quanto poi nella vita nulla gli fosse mancato in quanto ad affetto e attenzioni, era ugualmente difficile.
E ugualmente, nonostante fosse consapevole di questo, a maggior ragione, aveva ferito Hanamichi, il suo labbro sanguinava era vero, ma non sarebbe stato mai tanto rosso quanto l'animo ferito del cugino. La testa aveva anche cominciato a pulsare nel momento in cui la sua mente era riuscita a rielaborare quanto accaduto: cosa aveva fatto? Come tutto era iniziato e in che modo tutto era finito?
Se ne pentì, per la prima volta in tutta la sua vita Kaede si era pentito di aver ascoltato solo il proprio orgoglio che aveva assordato il sussurro del proprio cuore.
E non poteva più rimediare, ormai. Anche se l'avesse rincorso, Hanamichi non l'avrebbe ascoltato. Senza che se ne rendesse conto, Sakuragi era uscito dalla palestra lasciandolo solo, solo con i propri pensieri ad ascoltare il battere furioso del proprio cuore.