[Hikanoo] I love you so much that I could risk my everything

Aug 09, 2014 22:27

Titolo: I love you so much that I could risk my everything [Best Luck - Chen of EXO-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikanoo
Rating/Genere: PG/ romantico, fluff, AU
Warning: slash
Wordcount 3.694 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la diecielode per la tabella Humanity Face con il prompt ‘Zigomi’ e per la 500themes_ita con il prompt ‘Sognare l’impossibile’.
Spin off di I’m almost losing my breath when you come so close
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita
Tabella: Humanity Face

Kei era nervoso; era il suo primo giorno di lavoro come tirocinante in quel famosissimo studio di consulenza e tutta l’adrenalina provata durante il periodo di colloqui e selezione, e poi l’entusiasmo avuto quando aveva saputo che, tra tutti, proprio lui era stato scelto come stagista, l’avevano privato di ogni forza.
Adesso che si trovava a un passo dal cominciare quella sua nuova indipendente vita si sentiva in un certo qual modo spaventato. Ma non poteva darlo assolutamente a vedere, né poteva parlare con nessuno della sua famiglia di come si sentisse, perché doveva essere forte e non voleva appoggiarsi a nessuno: doveva farcela con le sue sole forze.
Trovarsi davanti tutti quei volti sconosciuti un po’ lo impensieriva, non aveva idea di che mondo fosse quello, non sapeva come si sarebbe trovato con i colleghi e i senpai e sapere di essere il novellino, l’ultimo arrivato, non aiutava certo la sua situazione. Ma doveva dare il meglio e dimostrarsi sicuro di sé, perché lui quel posto se lo era meritato e sarebbe arrivato in alto. Ne era certo.
“Inoo-kun?”
“Sì!”
Kei si volse e vide un ragazzo dal sorriso gentile rivolgergli la parola.
“Sono Arioka Daiki, sarò il tuo tutor!” si presentò. “Per qualsiasi cosa, dubbi, spiegazioni, problemi di sorta, rivolgiti pure a me, sarò ben lieto di aiutarti!” si offrì disponibile.
“Oh, grazie! Molto piacere. Io sono Inoo Kei!” si presentò, chinandosi verso di lui educatamente.
“Ho letto il tuo curriculum e la tua scheda, sei più grande di me, ma io ti farò da maestro” rise appena, Arioka trovando la cosa divertente e Kei si sentì subito a suo agio con Daiki.
“Oh, beh, ho avuto diversi problemi a trovare la mia strada” gli spiegò.
Il ragazzo più piccolo scosse le mani e si scusò: “Perdonami, non volevo dire che sei in ritardo con il tuo percorso o altre cose, solo lo trovo buffo, ecco, per il fatto che sei più grande. Ma non c’è bisogno di usare onorifici particolari. Ecco, volevo dire questo. Credo di essermi espresso male” rettificò. “Va bene se mi dai del tu, in questo senso!” spiegò meglio.
“Oh, bene, allora ti posso chiamare Arioka-kun o Daiki-kun. Suona un po’ ridondante, però” espose, pensandoci su.
“Daiki andrà bene!” gli concesse Arioka e Kei annuì.
“Allora per te sarò Kei!” esclamò Inoo e Daiki gli sorrise gentile.
“Allora, iniziamo un po’ a orientarci, Kei” iniziò subito pratico. “Prima di tutto ti faccio vedere le stanze dell’ufficio” spiegò, facendogli fare un tour. “Qui c’è l’archivio dove teniamo tutti i documenti passati e quelli ancora in corso. Al momento ci stiamo occupando di sistemare tutto secondo un ordine telematico con il quale sarà più facile poi trovare le cose e velocizzarle. Ma al momento abbiamo ancora molto materiale cartaceo” gli spiegò, mentre Kei si guardava intorno curioso, cercando di memorizzare tutti i percorsi.
“Qui c’è la sala stampa, ci sono vari tipi di macchinari, sai usarli?” chiese.
Inoo si avvicinò a una fotocopiatrice e guardò Daiki con un sorriso.
“Certamente!”
“Molto bene!” annuì il più piccolo che proseguì con Kei il suo itinerario.
“Questi sono gli uffici principali!” disse, entrando in una grande sala con delle ampie finestre che permettevano alla luce naturale di illuminare l’intera area. “Ognuno ha una sua postazione, questa è la tua, vieni!” lo indirizzò.
“Bello! Non ho mai avuto un posto tutto mio!” spiegò Kei, sedendosi sulla sedia girevole e osservando il grande piano di lavoro.”
“Se hai un portatile puoi lavorare con quello, io te lo consiglio, così hai tutto il materiale che ti serve sempre a portata di mano!”
“Certo, capo!” annuì Kei, portandosi una mano alla fronte e Daiki a quell’esclamazione batté tra loro le mani.
“Ah, giusto! Il capo! Vieni!” fece un cenno della testa a Inoo affinché lo seguisse. “L’azienda è una filiale di un gruppo molto più grande, come già saprai” gli diede qualche cenno informativo e Kei annuì. “Questa è gestita dal figlio più piccolo del presidente. Si chiama Yaotome Hikaru, ma non è uno di quegli snob figli di papà!” ci tenne a precisare Daiki. “È molto gentile e alla mano, per cui se dovessi mai avere problemi puoi rivolgerti a lui tranquillamente” gli disse e Kei si sentì di nuovo un po’ nervoso nel conoscere il suo datore di lavoro.
“Hikaru è permesso?” Daiki bussò alla porta, sorridendo a Kei quando l’aprì, cedendogli il passo.
“Permesso, buongiorno!” salutò educatamente Inoo, inchinandosi.
Il ragazzo seduto alla scrivania sollevò la testa dai documenti che stava esaminando e sorrise.
“Oh, Daiki, avanti, prego. Ah, tu devi essere il nostro nuovo acquisto!” sorrise il giovane capo, tendendo a Kei una mano.
“Yaotome Hikaru, presidente della filiale” si presentò.
“Inoo Kei, molto piacere, capo. Grazie per avermi assunto!” disse educatamente, osservando il ragazzo in volto. Era davvero un giovane imprenditore, non doveva essere molto più grande di lui eppure aveva già fatto tanta strada, non gli dava idea di essere spocchioso o che fosse arrivato là dove fosse senza alcun merito. Inoltre credeva alle parole di Daiki.
Vide il proprio capo parlare con il suo tutore, consegnandogli una cartella e Arioka lo ringraziò educatamente.
“Hikaru, posso lasciarti un attimo Kei? Mi ha chiamato prima Takaki-kun dalla segreteria e ha bisogno di me” chiese il dipendente più giovane.
“Certo vai e salutami, Yuuyan. Hai già mostrato tutto a Inoo-kun?” domandò Yaotome.
“Quasi, manca l’area relax, pensavo che potessi fare tu gli onori” gli disse scherzando.
“Cosa vorresti insinuare?” lo redarguì il capo.
“Niente, io non insinuo mai nulla!” affermò, guardando poi i due e dando un colpo affettuoso a Kei sul braccio. “Ci vediamo dopo, Kei!” lo salutò, precedendo i due.
Quando Kei rimase da solo con Hikaru lo studiò di sottecchi, mentre prendeva il cellulare e abbassava lo schermo del computer.
“Andiamo?” gli disse Yaotome e il dipendente sussultò, facendo sorridere il capo. “Sei nervoso, per caso?” gli chiese Hikaru.
“Mi dispiace, so che non dovrei, ma credo di dovermi abituare alla cosa” gli spiegò.
“Lo capisco bene, anche io ero nervoso i primi tempi” confessò.
“Davvero?” si stupì Kei. “Anche se tutto questo è tuo?” domandò.
Hikaru rise: “Sì, sai, non è facile essere il figlio del capo, ereditare una sorta di piccolo impero e fare bene. Per il fatto stesso di essere il figlio di mio padre la gente ha non pochi pregiudizi nei miei confronti. Quindi dovevo fare quanto più in mio potere per piacere loro. Per farmi apprezzare per quelli che erano i miei pregi. Anche io ho dovuto affrontare non pochi ostacoli, sai?” gli rivelò.
Kei lo ascoltò con attenzione, annuendo di tanto in tanto. “In effetti si potrebbe pensare che non vali abbastanza ma sia qui per la tua parentela” riassunse.
“Esattamente. Fortunatamente però le persone che lavorano per me hanno subito capito come fossi fatto e mi hanno dato fiducia. Spero di potermi guadagnare anche la tua” sorrise, mentre entrava in una piccola stanzina e versava del caffè pronto nella boccia in due bicchieri.
“Daiki ti ha fatto una buonissima pubblicità e adesso che abbiamo parlato un po’, ecco, mi sento più tranquillo” spiegò, ringraziandolo per la bevanda.
“Daiki è molto gentile” annuì Yaotome, sorseggiando il suo caffè.
Restarono altri minuti insieme, poi Kei iniziò a sentirsi impaziente a stare lì con il capo trascurando le sue mansioni e prese parola.
“Credo di dover andare adesso” disse. “Così posso iniziare a rendermi utile!”
Hikaru sorrise e Kei lo guardò dubbioso.
“Che ho fatto?”
“Niente, sei divertente, non ti stavo mettendo alla prova!”
“Eh?”
“Non devi essere così diligente, insomma, va bene che ti voglia mettere subito a lavoro, ma cerca di non essere così nervoso” gli consigliò.
“Ma non lo sono, davvero!” si affrettò a spiegare Kei, sebbene, dovesse ammetterlo, aveva pensato a quella eventualità.
“Va bene, ti credo. Andiamo allora!” decise Hikaru, tornando con lui nell’ufficio e poi rimettendosi ognuno al proprio lavoro.

*

“Oh, accidenti! Perché?” domandò Kei alla stampante, con la quale stava litigando da mezz’ora.
“Problemi?” Daiki, entrato in quel momento in sala stampa, si avvicinò a Inoo.
“Sì, non va! La carta si inceppa, mi ha fatto una copia ma non va più. Ho già buttato cinque fogli, tutti si accartocciavano” gli spiegò.
“Hai provato ad aggiungere carta?” tentò di capire Arioka, avvicinandosi.
“Sì, l’ho anche sostituita, niente!”
“Mh, aspetta non vorrei che…” Daiki si fece spazio tra Kei e il macchinario e i suoi timori trovarono fondamento. “Si è rotta un’aletta, ecco perché!” gli spiegò, mostrandogli il danno.
“Oh no, e adesso?” chiese Kei. “Devo ancora stampare tutte queste!” gli indicò il fascicolo di fogli e Daiki sorrise.
“Chiamo il tecnico in mattinata. Se quelle sono urgenti puoi andare in ufficio da Hikaru, la sua stampante è un fulmine e queste necessitano di una manutenzione in effetti!”
“Quella non va?”
“Senza inchiostro!” svelò Daiki, facendo cenno a Kei di mantenere il segreto.
“Dai-chan!”
“Lo so, lo so, ma mi sono dimenticato di ricaricare le cartucce. Ne faccio portare di nuovo quando viene per quella!”
“Sei un pasticcione!” lo riprese Kei, scherzoso.
“Ehi! Ti ricordo che qui il novellino, sei tu!”
“Non più ormai e sono più grande di te!” puntualizzò Kei, prendendo tra le braccia le copie e salutando con la mano l’amico.
“Hikaru, posso?” domandò Inoo bussando alla porta dell’ufficio del capo.
“Avanti!”
“Scusami se ti disturbo, di là abbiamo un problema con le macchine e Daiki mi ha detto di venire qui. Posso fare delle copie?”
“Sì, certo… che problemi ci sono?” si interessò, facendo una pausa dai propri compiti e togliendosi gli occhiali da vista che usava per lavorare al computer.
“Si sono rotte delle alette non ho ben capito e l’altra ha finito l’inchiostro” riassunse, digitando i numero di copie e lasciando che la stampante lavorasse da sé.
“Ti va qualcosa da bere nel mentre che aspetto? Così fai una pausa!” propose Kei, avvicinandosi al tavolo di Hikaru.
“Sì, volentieri!”
“Allora te lo porto, aspetta!” disse Kei, ma Hikaru lo fermò.
“No, vengo con te. Possiamo andare in cortile, oggi è una bella giornata!” propose il capo, guardando il cielo limpido fuori della finestra.
Inoo annuì piano, mormorando un semplice “Ok” e seguendo il suo datore di lavoro, restando un passo dietro di lui, cercando di calmarsi.
Lavorava in quella società ormai da quasi tre mesi e non capiva perché ogni volta doveva sentirsi in quel modo quando stava con Hikaru. Inizialmente pensava che dipendesse dal fatto che l’ambiente fosse nuovo, ma si era subito trovato bene, sia con i colleghi che con i propri compiti, che svolgeva senza alcuna particolare difficoltà. Inoltre Hikaru era davvero un ragazzo alla mano, gentile e disponibile con tutti, si faceva rispettare, ma non imponeva mai la propria autorità.
Kei stava bene con lui, fin troppo a volte che rischiava di confondere i propri doveri e le priorità, soprattutto non doveva dare altri significati alle attenzioni che Hikaru aveva nei suoi riguardi. Non doveva vedere nei suoi confronti una eccessiva gentilezza, né un significato particolare al modo in cui gli sorrideva, sebbene per Kei il modo in cui gli sorrideva sembrasse davvero diverso da quello che rivolgeva a Daiki.
Erano solo sue stupide congetture, si diceva, e possibilmente doveva smettere di sognare l’impossibile. A volte credeva che, un giorno o l’altro, le sue fantasie si sarebbero confuse a tal punto con la realtà che lui avrebbe finito per fare qualcosa di veramente, ma veramente stupido.
“Guarda che belle!”
Hikaru distolse Kei dai suoi pensieri e Inoo guardò il punto che l’altro indicava.
“È davvero arrivata la Primavera!” constatò Kei, osservando le margherite che spuntavano qua e là tra l’erba del prato.
“Oggi si sta proprio bene, è davvero un peccato sprecare simili giornate chiusi in ufficio, non pensi?” disse Hikaru, guardando Kei.
“Questo non dovrei dirlo io, non sarebbe carino da parte mia” gli fece notare, prendendo un sorso dalla sua lattina e Hikaru rise.
“Andiamo, ancora ti metti problemi a parlare con me? Puoi dirmelo che sono un dittatore!” scherzò.
“Non lo penso assolutamente!” negò Inoo. “Però, se vuoi che sia sincero, sì, ti direi che sarebbe bello non lavorare a andare invece fuori a godere di questo sole. Magari per fare un pic-nic!” propose in astratto.
“Sì, sarebbe bello! Potrei organizzare delle giornate di ritrovo per i dipendenti, sai, tipo giochi all’aperto, tanto per stare insieme al di là del lavoro, magari ognuno può invitare qualcuno, amici o familiari” progettò Yaotome e Kei lo guardò curioso.
“Sei serio?” domandò Inoo, guardando Hikaru e imitandolo quando lo vide sedersi sul bordo di un aiuola.
“Assolutamente, perché no? Molte aziende lo fanno in altri Paesi” ponderò. “Quando ho studiato all’estero l’ho fatto. Mi chiedo come ho fatto a non pensarci prima…” ponderò tra sé Yaotome e Kei lo guardò sorpreso.
“Hai studiato all’estero?” chiese.
“Sì, ho fatto due anni negli Stati Uniti” rivelò sorridendo al dipendente.
“Oh! Che bello!” si entusiasmò Inoo. “Ti invidio!”
“Ah, non devi, non sono stato così privilegiato, tutti mi prendevano in giro per la mia pronuncia, ma era una gavetta che dovevo fare” rise, al ricordo.
“Capisco” annuì Kei, osservando poi i fiori e Hikaru lo osservò curioso.
“Ti piacciono le margherite?” gli chiese, rompendo uno stelo e porgendoglielo.
“Molto… grazie!” Kei prese il fiore e lo annusò, guardando poi l’altro con espressione luminosa. “Posso fare una cosa?”
“Certo” concesse Hikaru ridendo e Kei chiuse gli occhi, stringendo la margherita e poi spuntando ad uno ad uno i petali.
“Fai m’ama non m’ama?” rise l’altro e Kei annuì, senza parlare per non perdere il conto fino a che non rimase con un unico petalo.
“Allora?” domandò Hikaru alla fine, volendo sapere il verdetto.
“Niente…” mormorò Kei, stringendosi nelle spalle con fare deluso.
“Adesso provo io!” decise Yaotome e Kei lo vide spezzare un altro gambo, sfogliando il fiore, vedendolo poi sorridere. “Io sono più fortunato di te!” lo prese in giro e Kei lo spinse per una spalla.
“Smettila!” lo riprese, alzandosi e scuotendosi i pantaloni dalla polvere. “A quest’ora le copie saranno pronte. Io vado a lavorare!” gli disse Kei, guardandolo divertito e Hikaru sbuffò.
“A volte mi domando se sia tu il capo o viceversa. Andiamo!” lo seguì Hikaru, tornando verso il palazzo principale.

*

“Basta!”
Kei si lasciò andare disteso sulla scrivania, esausto. La giornata lavorativa non era ancora finita e lui si sentiva già fin troppo stanco.
Aveva passato la mattina a correre avanti a indietro negli uffici, a fare le scale su e giù a tutta velocità, perché ovviamente quando serviva a lui l’ascensore era inagibile e a pranzo aveva fatto in tempo a mangiare un boccone al volo perché poi doveva assistere a una riunione preliminare dove lui aveva dovuto distribuire, dopo averlo personalmente fatto, il caffè.
Se solo quel ragazzino tuttofare che avevano preso in prova non fosse stato un emerito pasticcione a quell’ora lui sarebbe stato a casa a riposare.
Chiuse solo un istante gli occhi e si concedette un lungo sbadiglio, risollevandosi e sbuffando contro i post-it che gli si erano appiccicati sulle guance.
“Non vi ci mettete anche voi” si lamentò, passandosi una mano tra i capelli e alzandosi dalla sedia, concedendosi una panoramica della sala principale completamente vuota: faceva davvero uno strano effetto vederla così silenziosa.
A questa constatazione, il suo sguardo si spostò verso l’ufficio di Hikaru e Kei si ricordò dei documenti che doveva consegnargli: al momento però il capo era fuori e Kei non sapeva se fosse opportuno o meno entrare senza permesso.
Ci pensò un attimo, poi decise che avrebbe fatto di testa sua: non c’era nulla di male nel posare dei fogli sulla scrivania dopotutto e non era colpa sua se Hikaru non era là. Era per una giusta causa, si disse.
Allora perché si sentiva così a disagio nell’entrare nell’ufficio vuoto, sentendosi quasi un ladro?
“Permesso” chiese sottovoce, come se questo lo sollevasse un po’ dalle sue colpe.
Si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò alla scrivania, passando dall’altra parte, poggiando i fogli vicino al portatile di Hikaru e scrivendo veloce alcune righe su un foglio per motivare la presenza del plico.
Quando stava per andare via, però, un pensiero gli sovvenne molesto e Kei non poté fare a meno di fermarsi a riflettere su una cosa: Hikaru gli aveva detto, quel pomeriggio in cui erano scesi insieme in giardino, che era stato più fortunato di lui con la margherita. Quindi questo voleva dire che c’era qualcuno che gli piaceva? E che tipo doveva essere? Sicuramente una persona molto fortunata se aveva attirato su di sé l’attenzione del suo capo.
Avrebbe voluto sapere chi fosse, anche se lui non la poteva di certo conoscere. Magari scopriva che non era poi una così bella persona e forse era pure stupida e di poco interesse.
Kei rise tra sé, se fosse stato così, lui sarebbe stato di certo un partito migliore.
Subito dopo aver avuto questo pensiero, però Kei scosse il capo: cosa andava a fantasticare? Si rimproverò, tornando alla scrivania di Yaotome e sedendosi sulla sedia girevole notando, dicendosi che era stato un caso che si fosse permesso di curiosare, che non vi era alcuna foto ritratto di alcuna potenziale fidanzata.
“Però è comoda!” si stupì, spostandosi da una parte all’altra, trovando la cosa estremamente divertente e rilassante. Si lasciò andare all’indietro e chiuse gli occhi, tirando su le gambe, abbracciandosi le ginocchia, osservando la scrivania. La visuale da quella prospettiva non era affatto male e nell’aria c’era il profumo tipico di Hikaru: da quando Kei aveva imparato a riconoscere il profumo del proprio capo era meglio che non se ne interrogasse, ma tanto anche se non voleva indugiare in simili pensieri, era ormai consapevole del fatto che Yaotome gli piaceva e gli piaceva veramente tanto.
Afferrò il bordo della scrivania tirandosi in avanti e battendo le dita sul piano, picchiettando distrattamente, sfiorando a caso gli oggetti sistemati sopra. Era perso nei suoi pensieri, Kei, quando uno rumore lo fece sussultare e ancora di più quando vide la porta aprirsi: Hikaru comparve sulla soglia, sorpreso di vedere lì il suo dipendente.
“Scusami, papà, ti richiamo dopo” lo sentì dire al telefono.
“Hikaru, scusami, io non stavo facendo niente, non volevo curiosare tra le tue cose. So che sembra strano, ma è la verità e mi dispiace essere entrato qui senza permesso, ma dovevo portarti questi fogli e non sapevo quando saresti tornato” si affrettò a spiegare Kei, alzandosi di scatto dalla poltrona, fermato però da Yaotome.
“Kei, Kei, calmati, non sono arrabbiato!” spiegò come prima cosa. “Per cui rilassati!”
“Non mi licenzierai, vero?” si volle accertare l’impiegato e Hikaru rise.
“Assolutamente no. Sono solo sorpreso, perché credevo che sarei stato solo. Siediti!” lo invitò a stare comodo.
“Oh, ma questa è la tua sedia e io dovrei…” iniziò Inoo, fermato di nuovo da Hikaru.
“Stai pure qui. In effetti avevo bisogno di vederti, devo parlarti” gli disse e a Kei quell’affermazione non suonò tanto bene.
“Ho fatto qualcosa di male?” domandò Inoo, preoccupato.
Hikaru scosse il capo, poggiandosi contro la scrivania e facendo in modo che Kei si voltasse meglio verso di lui.
“No, stai andando alla grande, davvero!” gli assicurò.
“Allora cosa…?”
Hikaru sorrise, guardandolo divertito.
“Scusa, prego, parla…” gli concesse Inoo e Yaotome allungò una mano verso il suo volto, passandogli un dito su uno zigomo macchiato di inchiostro.
“Ah… prima si sono addormentato su degli appunti” ammise, passandosi una mano sulla guancia.
“Mi dispiace sei carico di lavoro ultimamente” si scusò il datore di lavoro.
“Non ti preoccupare, è tutta esperienza” sorrise Inoo, aspettando poi che Hikaru gli spiegasse il motivo per il quale volesse parlare con lui.
“Cosa mi hai fatto, Kei?” domandò finalmente il più piccolo, lasciando Inoo stranito.
“In che senso?” chiese questi.
“Da quando sei qui io non capisco più me stesso” ammise. “Ho cercato di essere professionale e fare sempre il mio dovere al meglio, ma da quando ti ho assunto Kei, non sono più obbiettivo ed equilibrato” spiegò.
Inoo abbassò il volto, dispiaciuto, mordendosi un labbro.
Hikaru si chinò sulle ginocchia, reggendosi alle gambe di Inoo per stare in equilibrio e gli parlò ancora: “È colpa mia se sei così stanco, perché io ti ho dato incarichi che non ti spettavano, ti ho chiesto di fare cose che non ti competevano solo per il mio egoismo” si scusò.
“Hai fatto mobbing su di me?” domandò Kei che non capiva e Hikaru rise.
“Se vuoi lo possiamo chiamare così, io volevo semplicemente vederti” spiegò il presidente. “Volevo che mi girassi intorno e che parlassi con me, anche solo per pochi minuti e, in realtà” disse, voltandosi a guardare i fogli che Kei gli aveva portato in sua assenza. “Non so nemmeno cosa fossero quelle copie, ma volevo che me le facessi perché volevo che fossi tu a portarmele per avere la scusa per vederti” confessò.
“Mi chiedevo infatti a che cosa ti servisse sapere la distinzione tra erbe medicamentose e aromi” gli disse, accennando un sorriso.
“Mi dispiace Kei” si scusò ancora Hikaru.
“Perché?” chiese Inoo.
“Perché mi piaci e non sono riuscito a impedire che ciò accadesse” affermò, sollevando di nuovo le mani sul suo volto, sfiorandogli gli zigomi.
“Sono ancora sporco di inchiostro?” chiese Kei in un mormorio, sentendo il fiato mancargli per quella vicinanza e il tocco delle mani di Hikaru.
“No, volevo solo accarezzarti” ammise sincero il più piccolo e Kei annuì.
“Ok” disse solo, guardandolo negli occhi. “E… e non vuoi fare nient’altro?” domandò incerto.
Hikaru lo guardò e sorrise, inginocchiandosi sul pavimento, tendendosi con il collo verso di lui.
“Cosa mi dici della tua margherita?” gli chiese invece Hikaru, senza rispondergli.
“Cosa?” Kei lo guardò stranito.
“Sì, l’altro giorno, quando hai sfogliato i petali… la persona a cui hai pensato non ti amava” gli ricordò.
“Oh, quello… forse, forse mentiva” annuì Kei, guardando Hikaru negli occhi.
“La mia invece no, a quanto pare” ribatté sicuro il più piccolo, accostandosi ancora di più al volto di Inoo.
Kei sorrise, posando le mani sulle guance di Hikaru, attirandolo contro di sé, chiudendo gli occhi: “Se non mi baci adesso potrei accasciarmi sulla tua poltrona privo di sensi” lo avvertì Kei, arrossendo in viso per quella richiesta diretta.
Hikaru rise, circondandogli il collo con un braccio tergiversando: gli baciò la fronte, le palpebre, gli zigomi, le guance e poi finalmente si persero l’uno nel calore delle labbra dell’altro.

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