Titolo: Tsubusa ni koi (Loving everything of you) [Tsubusa ni koi - Kanjani8-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Arioka Daiki, Yamada Ryosuke
Pairing: Ariyama
Rating/Genere: PG/ romantico, fluff, slight!angst
Warning: slash
Wordcount 3.973
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la
500themes_ita con il prompt ‘Il tradimento arriva in profondità’.
La storia è uno spin off di
questa storia.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
500themes_ita “Yamada!”
Ryosuke si volse, sforzandosi di sorridere, vedendo Daiki raggiungerlo a passo svelto.
“Stai tornando a casa? Posso accompagnarti?” gli chiese il più grande. Yamada annuì, riprendendo a camminare, ma non aveva molta voglia di fare conversazione.
Daiki lo guardò con la coda dell’occhio e poi sollevò le braccia, intrecciandole dietro la testa.
“Ho visto Chinen che saliva in macchina con Yuya” buttò lì, tornando a camminare composto, accelerando il passo e fermandosi davanti al più piccolo. “Gliel’hai detto?” gli domandò.
Yamada scosse la testa abbassando lo sguardo e Arioka sospirò.
“Ah, ho fatto bene allora a raggiungerti!” disse il più grande, facendo in modo che l’altro sollevasse uno sguardo curioso su di lui, ma Ryosuke non poté parlare che l’amico lo prese per un polso tirandolo dietro di sé, cambiando direzione, imboccando una strada per il centro. “Andiamo a fare merenda! Ho saputo che hanno aperto una nuova gelateria e ci sono un sacco di gusti stravaganti! Vieni, offro io e potrai prendere tutto quello che vuoi!”
Yamada non disse niente quella volta, né lo ringraziò mai per essere stato così gentile con lui, per non averlo lasciato da solo, per non avergli permesso di crogiolarsi nella sua tristezza, per non aver permesso che avesse un cattivo ricordo di quel suo primo amore.
Si era limitato a sorridere, a seguirlo e a mangiare del gelato.
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Ryosuke prese le chiavi di casa dalla tasca dei pantaloni voltandosi prima di aprire la porta.
“Grazie per avermi riaccompagnato, non dovevi!”
“Figurati, non ci sono problemi, mi faceva piacere!”
“Lasciami almeno pagare la mia parte per il taxi!” insistette ancora, ma Arioka scosse la testa, negando.
“Non se ne parla io avrei dovuto comunque fare questo tragitto, non ha senso che spendiamo in due!” ragionò.
“Sì, ma oggi io non ho speso mai niente, hai fatto tutto tu! Il cinema, la cena, il taxi!” elencò.
“Non è vero, tu hai pagato i popcorn e la bibita!” gli ricordò.
Yamada fece un’espressione buffissima, usando un tono sarcastico: “Accipicchia, Dai-chan, hai ragione, questo potrebbe mandarmi in bancarotta!” scherzò, dandogli una pacca sul braccio.
Arioka rise, continuando a guardarlo con espressione felice: “Ci tenevo molto, dai, lasciami fare!” gli chiese e Yamada annuì.
Il più piccolo giocherellò qualche istante con le chiavi di casa, imbarazzato di trovarsi in una situazione che poteva essere normale per due amici, ma che dentro di sé sapeva quanto invece avesse un differente significato.
“Grazie allora” disse, piano.
“Grazie a te. Buonanotte” gli sorrise Daiki, indietreggiando di un passo per lasciarlo libero di entrare in casa.
Yamada si girò infilando le chiavi nella serratura e diede un mezzo giro prima di voltarsi di nuovo, in tempo per vedere l’altro iniziare a scendere le scale.
“Daiki!” lo richiamò e quando l’altro si volse, fece di corsa i pochi passi che li separavano: gli posò una mano sul braccio e l’altra sulla spalla, tendendosi per baciarlo, posando la bocca sulla sua.
Fu un contatto brevissimo, aveva potuto assaporare solo per pochi istanti la morbidezza delle sue labbra prima di allontanarsi.
“Buonanotte, Dai-chan” mormorò in risposta, regalandogli un sorriso.
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“Ryosuke…”
Daiki lo chiamò e Yamada schiuse gli occhi.
“Ryo, guardami” ripeté di nuovo Arioka, accarezzandogli una guancia e lasciando scorrere una mano sul suo braccio, in modo rassicurante. “Ehi, stai tremando” constatò Daiki, sollevandosi con il busto e spostandosi da sopra di lui: forse aveva corso troppo, forse era stato troppo passionale nei suoi baci, forse aveva azzardato troppo in carezze, si disse.
Il più piccolo si morse un labbro, indeciso e imbarazzato.
“Ryosuke, io non voglio fare niente che non vada anche a te e se ho esagerato, mi dispiace, non devi costringerti, né voglio che tu abbia paura di me o faccia qualcosa che non ti senti” mise in chiaro Arioka mettendosi a sedere sul letto, passandosi una mano sul viso. “Mi dispiace” gli disse, accennando un mezzo sorriso e Ryosuke si sentì in colpa, perché lui non voleva che Daiki si fermasse, anche lui desiderava qualcosa di più in quel loro rapporto, ma l’aveva costretto a saltare a conclusioni che non erano esatte.
“Daiki…” parlò con voce appena arrochita, sollevandosi a sua volta, abbracciandolo. “Non mi stavo sforzando, davvero” mormorò al suo orecchio, scostandosi da lui.
Arioka lo guardò e gli prese una mano tra le sue.
“Ma sembrava che non volessi, insomma, mi sei sembrato dubbioso e io non voglio che…”
Yamada scosse il capo, fermando le sue parole: “Non ero dubbioso io… sono solo emozionato, Daiki, tutto qui. È la mia prima volta e, mi vergogno un po’, ma ho paura di non sapere come…”
Fu ora il turno di Daiki di interromperlo: gli posò una mano sulla guancia, scivolando sul collo e sorrise.
“Anche per me lo è Ryosuke e per quanto anche io abbia paura, sono felice perché farò l’amore per la prima volta e sarà con la persona che amo” confessò.
“E… e sono io?” chiese Yamada, quasi non credesse alle sue parole.
“Certo che sei tu, Ryosuke” affermò Daiki, sporgendosi per baciarlo.
Yamada gli sfiorò a sua volta le labbra con le proprie, schiudendole appena, ricercando il suo sapore.
“Anche io sono felice, Daiki. Di farlo con te. Ti amo” si dichiarò, oltremodo emozionato.
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Il campanello di casa suonò, risvegliando Yamada.
“Daiki…” mormorò appena, perso ancora nella dolcezza di quel ricordo, spalancando poi gli occhi, sentendo di nuovo quel rumore.
“Daiki!” saltò giù dal letto e corse alla porta, spalancandola.
“Daiki!” disse, speranzoso, ma il ragazzo davanti a lui non era il fidanzato.
“Yuya” constatò con tono basso, inizialmente confuso.
“Mi dispiace” gli rispose il più grande, notando la delusione sul suo viso. “Possiamo entrare?” domandò il nuovo arrivato e Yamada realizzò solo in un secondo momento la presenza di Yuri.
“Sì, certo, accomodatevi” disse loro, accompagnandoli in cucina e mettendo a fare un po’ di caffè per il più grande. “Scusate se sono ancora in pigiama, stavo dormendo” spiegò, mentre controllava nel frigo se ci fosse qualcosa da offrire a Yuri, prendendo del succo di frutta.
“Ho solo questo, mi spiace” si scusò per la poca ospitalità, ma Yuri lo tranquillizzò, togliendolo d’impiccio.
“Va benissimo.”
Yamada preparò tazze e bicchieri, disponendo poi tutto sul tavolo, sedendosi insieme ai due amici, tirando le gambe al petto, circondandole con le braccia.
“Tu non prendi niente?” domandò Takaki e Yamada scosse il capo.
“Non ho fame, non mi va niente” gli spiegò.
Chinen iniziò a sorseggiare il suo succo di frutta, osservando in silenzio l’amico, ascoltando quanto lui e Yuya si stavano dicendo.
“Come sta, Daiki?” domandò Ryosuke. “L’hai sentito?” si informò.
Takaki annuì: “È ancora a casa dai suoi, penso che rientrerà tra qualche giorno” spiegò e Yamada annuì.
“Sono qui anche per questo, infatti…” gli spiegò. Non voleva ferire il più piccolo più di quanto già non fosse, ma non poteva fare altrimenti. “Mi ha chiesto…”
“No, ti prego, Yuuyan!” lo fermò l’altro. “Non portare via niente, ti supplico!” gli chiese, sedendosi composto e sporgendosi con il busto in avanti sul tavolo. “Non portarmelo via!” gli disse.
“Non è Yuya che te lo sta portando via. Sei tu che l’hai allontanato da te” intervenne Chinen, finalmente.
“Cosa?” Yamada si volse verso di lui, stranito.
“Hai intenzione di fare qualcosa riguardo questa situazione o aspetti passivamente che le cose accadano?” gli domandò incalzante.
“Ma lui non vuole vedermi! Non risponde ai miei messaggi e alle mie chiamate!”
“E allora pensi che stando qui a deprimerti possa smuovere le cose?”
“Pensi che non ci abbia provato?”
“Forse non ti sei impegnato abbastanza!” Yuri non gli lasciava respiro, ribattendo a ogni sua affermazione con prontezza.
“E cosa dovrei fare? Io non voglio che mi odi!”
“Tanto ti odia gi!à!” ribatté Chinen incrociando le braccia al petto e Yamada lo guardò spalancando gli occhi.
“Yuri!” lo riprese Yuya.
“Pensi che mi odi sul serio?” domandò Yamada, decisamente turbato da quella eventualità.
Chinen negò con la testa.
“No, ho esagerato” ammise. “Volevo solo smuoverti!”
“Cosa intendi fare, Yama-chan?” chiese Yuya, intromettendosi nel discorso tra i due.
“Non lo so, non c’è molto che posso fare… Mi ha lasciato…”
“Vai e riprenditelo, allora, no?” intervenne Yuri.
“Ma Daiki…” cercò ancora di intervenire Yamada, ma l’altro era stufo di quel suo atteggiamento, si alzò dalla sedia battendo le mani sul tavolo.
“E allora? Intendi gettare la spugna tanto facilmente? È così poco importante Daiki per te?”
“No! E lo sai!”
“Veramente ora non lo so e il tuo comportamento non mi piace. Dici di amarlo, non vuoi che se ne vada, ma cosa hai fatto per quasi una settimana senza di lui? Niente. Aspetti che compaia da quella porta magicamente? È ferito, Ryosuke e ne ha tutte le ragioni per esserlo, adesso sta a te, se lo rivuoi, andare a riprendertelo! Dimostragli che si sbaglia!”
“Guarda che se sono in questa situazione è anche colpa tua!” gli rispose Ryosuke e Yuri spalancò la bocca iniziando a ridere sarcasticamente.
“Ti prego, Ryosuke, non cadere più in basso di quanto già tu non sia. Non sono io quello che è stato lasciato, io so tenermi strette le cose a cui tengo, a differenza tua! A me non interessa strafare, non mi interessa mettermi in mostra e so fino a che punto posso spingermi, tanto da non dare modo al ragazzo che amo di dubitare dei miei sentimenti” gli disse, serio.
Yuya li osservava, colpito tanto dalle parole del fidanzato, quanto dall’espressione triste e rassegnata sul volto dell’amico.
“Ryosuke…” lo chiamò, facendolo voltare verso di sé. “Daiki è ancora innamorato di te, non ha smesso di amarti e in questo momento sono sicuro che anche lui stia soffrendo. Non voglio dire che tu abbia tutte le colpe, ma…”
“No, è colpa mia, invece” ammise il più piccolo. “Io l’ho dato per scontato, mi sono barricato dietro la scusa del lavoro e non ho avuto rispetto. Le cose che Daiki mi ha detto sono tutte vere, dalla prima all’ultima e io non lo merito. Forse è davvero meglio che finisca qui e che Daiki trovi qualcuno migliore di me” disse, sentendo un’incredibile sensazione di vuoto nel cuore nell’esprimere quel pensiero.
“Ti stai arrendendo, quindi?” chiese Yuri, tornato calmo, guardandolo.
Yamada si strinse nelle spalle, respirando profondamente, per non piangere davanti ai due amici e rendersi ancora più ridicolo e patetico di quanto si sentisse in quel momento.
“Hai ragione” continuò Yuri. “Daiki non ti merita, ma ti ha scelto. È te che vuole ed è te che ama, è sempre stato così, anche quando tu non avevi occhi che per altri, lui ti ha continuato ad amare in silenzio, nonostante tutto” gli disse, distogliendo da lui lo sguardo quando Yamada lo guardò, stupito nello scoprire che nonostante avesse sempre cercato di essere discreto nei suoi sentimenti, Chinen sapesse cosa provava per lui.
Yuya li guardò, confuso da quello scambio di sguardi tra i due e si alzò piano.
“Adesso sarà meglio andare” disse, posando una mano sulla spalla del fidanzato, il quale lo guardò e poi annuì.
Ryosuke li osservò e si limitò ad accompagnarli in silenzio alla porta.
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“E quindi?”
Daiki sospirò, sollevando gli occhi al cielo, lasciandosi andare disteso sul proprio letto.
“E quindi cosa, Kei?”
“Perché sei ancora qui?” chiese l’altro, posandosi le mani sui fianchi.
“La domanda giusta, non è perché io sia qui, per inciso, a casa di mia madre. La domanda corretta è cosa ci fai tu qui, Kei?”
“Oh, non essere antipatico e alzati dal letto, forza!” lo spronò.
“No!”
“Non fare il bambino!”
“E tu non scocciare!”
“Daiki!”
Kei era sconvolto, non l’aveva mai sentito rivolgersi a lui, come a nessuno, in modo tanto antipatico.
“Vedi come diventi quando prendi decisioni stupide e affrettate?”
“Io non prendo decisioni affrettate!”
Kei sorrise per quella sua puntualizzazione e lo pungolò su un fianco con il dito, sedendosi accanto a lui.
“Ma ammetti che siano stupide allora!”
“Io non…” Daiki si interruppe, mettendosi a sedere e incrociando le gambe.
“Avanti, Daiki, chiamalo…” suggerì Inoo in tono più dolce, posandogli una mano sul ginocchio.
“No, Kei, non devo chiamare proprio nessuno. Io e Ryo ci siamo lasciati, questo è quanto, fatevene una ragione. Le relazioni tra colleghi di lavoro non vanno mai a finire bene!” affermò.
“Parla per te, la mia relazione va a gonfie vele!” lo contraddisse, spingendolo per una spalla. “E anche la tua, se solo tu non fossi così testardo e poco comprensivo.”
“Poco comprensivo? Kei, andiamo, lo vedi anche tu e non è così facile passare sopra certe cose, quando il tradimento arriva in profondità…” iniziò, interrotto però dall’altro.
“Lui non ti ha tradito, Daiki! E tu lo sai! Perché te ne vuoi convincere?” lo smentì Inoo e Daiki abbassò il capo sospirando. “E penso anche che tu non creda a nemmeno la metà delle cose che hai detto a Ryosuke per ferirlo e che hai usato come scusa per lasciarlo.”
“E tu come lo sai?” si stupì l’altro.
“Perché ho sentito mentre Yama-chan parlava con Hikaru e allora sono venuto qui da te. Sarei venuto anche prima, ma qualcuno mi ha intimato di farmi i fatti miei!” ricordò, storcendo la bocca.
“Avresti dovuto seguire il suggerimento!” gli disse Daiki, guardandolo con la coda dell’occhio.
Inoo sbuffò e tornò a guardarlo seriamente: “Stava piangendo, Daiki” lo informò. “Non l’avevo mai visto così” aggiunse, sapendo che stava riuscendo a toccare i tasti giusti raccontandogli quella verità, e Arioka non lo guardò, stringendo i pugni.
“Non credere che io non ci stia male o che per me sia stato semplice parlargli in quel modo e fare quello che ho fatto! Non far passare a me come il mostro della situazione, Kei” gli intimò.
Il più grande scosse la testa e riprese a parlare.
“Non voglio farlo, Daiki e io lo capisco. Lo vedo anche io quello che succede, ma pensi che questa possa essere la soluzione? Tu lo ami ancora e non provare a negarlo! E anche Ryosuke ti ama. Ti ama tanto, Daiki, dovresti saperlo molto più di me. Quindi perché farvi del male in questo modo? Anche e soprattutto perché non c’è stato alcun tipo di tradimento. Non puoi restare qui in eterno, Daiki, dovrai tornare a lavoro e lo dovrai rivedere, affrontare di nuovo questa scomoda situazione per la quale nessuno dei due può fare niente. Tu lo sai che non voleva ferirti e lo sai che ti ama” calcò sul concetto, esprimendolo ancora una volta e avrebbe continuato a ripeterlo come un disco rotto che insiste sempre sulla stessa nota, se fosse stato necessario a far ragionare quello zuccone. “Non permettere che qualcuno di esterno ti porti via ciò che ti rende felice, Daiki” gli disse, osservando per qualche istante ancora il suo viso, prima di alzarsi dal letto e lasciarlo da solo, non voleva aggiungere nulla di più perché sapeva che Daiki avrebbe riflettuto su quanto gli aveva detto e avrebbe preso da sé la decisione migliore.
Una volta che la porta si fu chiusa di nuovo, Daiki si lasciò di nuovo andare sopra la coperta, poggiandosi un braccio sugli occhi, sospirando stanco: sapeva anche lui che quello che Kei aveva detto non era del tutto sbagliato, anzi, non lo era per nulla sbagliato. Eppure si sentiva ferito: stava male a stare con Ryosuke, eppure stava male anche ora che l0 aveva lasciato, era un circolo vizioso e non sapeva cosa fare. Credeva che il tempo passato nella tranquillità della propria casa natale l’avrebbe aiutato a stare un pochino meglio, invece non era stato così. Non era stato bene quei giorni, non era stato bene pensando a quello che era successo, pensando a come potesse stare il più piccolo, del quale sentiva la mancanza già dopo poche ore che era stato lontano da Tokyo.
Come era possibile lasciare andare intenzionalmente una persona che si ama così tanto e senza la quale sai che non puoi vivere, ma sapere allo stesso tempo sapere che standole vicino soffrirai comunque? Quale era la decisione giusta da prendere? Daiki non lo sapeva. Non era in grado di darsi una risposta.
Sentì di nuovo qualcuno bussare alla porta, ma non si preoccupò di dare il proprio permesso a entrare, sbuffando poi quando la sentì aprirsi comunque.
Si voltò dall’altra parte, dando le spalle all’entrata: “Kei, ti avevo detto di lasciarmi da solo” borbottò, convinto che l’amico fosse tornato per parlargli, ma quando la porta si chiuse e Daiki volse appena lo sguardo non si aspettava di vedere entrare tra tutti proprio lui.
“Sono io, Dai-chan…” si annunciò Yamada, parlando piano.
Daiki si mise a sedere, dando ancora le spalle alla porta, e sentendo l’altro poggiarsi contro il muro, in attesa che lui dicesse qualcosa per primo.
“Posso entrare?” chiese il più piccolo, dato il suo silenzio e Daiki annuì, indicandogli la sedia vicino alla scrivania.
“Vieni” lo invitò.
Ryosuke avanzò nella stanza e si sentì un po’ stranito di mettere per la prima volta piede nella casa natia di Daiki; aveva sempre immaginato che ci sarebbe andato prima o poi, ma non avrebbe mai pensato che sarebbe successo in un’occasione come quella.
Si sedette sulla sedia, davanti al più grande, torturandosi le mani con fare nervoso.
“Cosa ci fai qui?” domandò Arioka e Yamada alzò la testa, spiegando il motivo della sua presenza.
“Mi ha fatto entrare Kei, io stavo per bussare quando lui ha aperto la porta mentre usciva e mi ha fatto salire” gli disse.
Daiki scosse appena il capo e domandò di nuovo: “No, io intendevo cosa ci fai a Chiba…”
Yamada trattenne appena il fiato, non che si aspettasse che Daiki lo accogliesse a braccia aperte o fosse pronto a perdonarlo solo nel vederlo lì, ma tutta quella freddezza non se l’aspettava.
“Io, hai ragione, forse non avrei dovuto farti questa improvvisata, ma pensavo che se te l’avessi chiesto non mi avresti risposto e io volevo vederti… Daiki” aggiunse dopo.
Non poteva davvero essere tutto finito tra loro, non l’avrebbe potuto accettare.
“Yamada…” sospirò il più grande, passandosi una mano sul volto, ma Ryosuke non lo lasciò continuare, alzandosi dalla sedia e inginocchiandosi davanti a lui, posandogli le mani sulle ginocchia e scostandosi subito, come se il suo voler creare con lui quel contatto potesse indisporlo ulteriormente.
“No, Daiki, aspetta, ascoltami prima, per favore. Solo…” ritentò, poggiandogli piano i polpastrelli sulla gamba e poi tutta la mano, muovendo piano le dita, fissando il tessuto dei jeans dell’altro. “Per favore, ascoltami solo un istante, poi ti giuro che me ne vado, ma lasciami parlare, credo… credo di meritarmelo un po’” aggiunse piano, dal momento che la volta precedente non aveva avuto praticamente voce in capitolo.
Yuri aveva ragione, non aveva fatto abbastanza per dimostrare a Daiki quanto quelle sue congetture fossero sbagliate, quanto fosse in errore nel pensare che di lui non gli importava, ma avrebbe lottato, non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portargli via il suo Dai-chan.
“Mi dispiace” esordì, quando l’altro tacque per restare a sentire quanto aveva da dirgli. “Mi dispiace davvero tanto, Daiki, per averti fatto stare male con il mio comportamento e non essermene accorto. Mi dispiace anche averlo fatto, seppur inconsciamente, perché vuol dire che non ci ho pensato e credimi mi sento davvero un idiota perché solo un idiota rischierebbe di perderti, Daiki. Io ti amo, Dai-chan, ti amo come non ho mai amato nessuno in tutta la mia vita e non mi passerebbe mai per il cervello di tradirti, di preferire qualcun altro a te. Sono uno stupido perché non ho capito quanto male ti abbia fatto il mio comportamento e se io mi fossi trovato al tuo posto non avrei sopportato di vederti flirtare, anche se solo per fare spettacolo, con qualcun altro. E mi dispiace non esserci arrivato prima. Io non lo so cosa mi è preso, non lo so perché mi sono immedesimato così tanto in questa parte fittizia, ma ti giuro, te lo giuro su quanto ho di più caro al mondo, sulla mia stessa vita, che non c’è nessuno che io voglia al mio fianco, nessuno con cui io desideri passare il resto della mia vita se non tu, Daiki. Io ti amo, ti amo così tanto che a volte fa davvero male e non sopporto l’idea di perderti. Non volevo farti così male, Daiki” gli disse, parlando con meno enfasi, ritrovando il fiato perso durante tutta la prima parte di quel suo accorato discorso, sollevando una mano, accarezzandogli il braccio. “Io non so cosa posso fare per rimediare a tutto questo, non so se sono caduto ancora più in basso ai tuoi occhi con questo mio comportamento, ma io ti amo” ripeté ancora e non sarebbe mai stato abbastanza, per quante volte avrebbe potuto dirglielo. “E io non voglio pensare di aver perso il tuo di amore, Daiki. Non mi piace” gli disse, abbassando la testa, scuotendola appena, sentendosi vicino alle lacrime, ora che aveva finito di parlare, ora che spettava a Daiki dirgli qualcosa, realizzando poi la possibilità che Arioka avrebbe potuto mettere definitivamente la parola fine al loro rapporto, o non dire niente o dirgli che non lo amava più e voleva sparisse dalla sua vita.
“Non lasciarmi, Daiki, per favore. Non dirmi che non mi ami più” lo pregò e una lacrima, poi un’altra e un’altra ancora sfuggirono al suo controllo, bagnando i jeans dell’altro.
Yamada se ne accorse e passò frettolosamente le mani sulle sue gambe, cercando di asciugarle, scusandosi: “Mi dispiace, scusa, Daiki, non volevo, io…” cercò di parlare, inciampando sulle frasi, vedendo le mani di Arioka stringersi ai suoi polsi, facendo in modo che risollevasse il busto e lo guardasse.
Yamada sollevò la testa verso di lui, mordendosi le labbra, non riuscendo a leggere, con la vista offuscata dal pianto, l’espressione sul volto del più grande.
“Non piangere, chibi” mormorò Daiki con voce bassa e terribilmente dispiaciuta nel vedere l’altro cedere in quel modo: lo attirò contro di sé, stringendolo dietro la schiena, una mano sulla testa, facendo in modo che posasse la fronte sulla sua spalla, sentendo Yamada a sua volta abbracciarlo in collo e nascondere il viso contro di lui. “Come faccio?” gli chiese Daiki. “Come faccio ancora a tenerti il muso se ti amo così tanto, se mi manca il fiato quando non ci sei e mi manchi tu?” domandò, stringendolo contro di sé in modo quasi spasmodico, tornando a respirare bene solo in quel momento che lo stringeva tra le proprie braccia e sentiva di nuovo il battere del suo cuore contro il proprio.
“Daiki!” lo chiamò di nuovo Ryosuke, scoppiando a piangere stretto contro di lui, come un bambino, lasciando andare tutta la tensione di quei giorni e la paura di averlo perso per sempre. “Mi dispiace, Daiki, scusami” gli disse ancora, senza staccarsi da lui.
Il più grande lo cullò a lungo, stringendolo contro di sé e riuscendo poi, non senza un po’ di fatica, dal momento che l’altro pareva non avere alcuna intenzione di lasciarlo andare troppo presto, a stendersi sul letto, portando Ryosuke con sé.
“Ryosuke?” lo chiamò. “Ryo…” provò di nuovo, tirando indietro la testa per riuscire a guardarlo e quando ce la fece sorrise, accarezzandogli una guancia.
“Non lasciarmi mai più, Daiki. Anche se dovessi sbagliare ancora, ti prego fai quello che vuoi, ma ti prego non pensare che non ti ami, non dire che non mi ami più” gli chiese.
Daiki lo vezzeggiò di carezze, per confortarlo e sorrise.
“Lo so, ho sbagliato a dire quelle cose, ma ero arrabbiato, Ryo. Io ti amo così tanto che ti vorrei solo per me, ma non è possibile, lo so…”
“Ma io sono solo tuo, Daiki, e di nessun altro. Non voglio essere di nessun altro!” rimarcò quel concetto. “Sono stato malissimo, Daiki, mi sembrava di impazzire” confessò.
“Anche io, chibi” gli rispose Arioka, stringendolo di nuovo e allontanandosi, solo il tempo necessario per accarezzargli il mento con il pollice e poi le labbra che Ryosuke unì per baciargli il polpastrello.
“Ti amo, Ryosuke” dichiarò, abbassandosi su di lui e cercandolo in un bacio, dopo giorni di forzata astinenza. “Ti amo.”