[Inoobu] Onaji yozora no shita de miageta akai tsuki to yasashii uso

May 14, 2013 17:41

Titolo: Onaji yozora no shita de miageta akai tsuki to yasashii uso (We looked up at the same nisht sky wit its red moon and gentle lie) [Think U - Fujigaya Taisuke]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Inoo Kei; Yamada Ryosuke, Arioka Daiki
Pairing: Inoobu; Ariyama
Rating/Genere: nc-17/ AU, erotico, romantico, malinconico
Warning: slash, underage
Wordcount 3.921 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la quarta edizione del mmom indetta da mmom_italia per il set Showtime con il prompt ‘In segreto’, per la diecielode per la tabella con il prompt ‘Ma le ho riconosciute in tanti occhi le mie stese paure’ e per la 500themes_ita con il prompt ‘Risorgere dalle ceneri’.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: Set Showtime
Tabella: wTunes - Playlist
Tabella: 500themes_ita

Ryosuke stava seduto sulla branda dell’amico e si torturava le mani con fare nervoso, osservando di tanto la porta in attesa che da un momento all’altro si aprisse.
Kei che stava seduto alla piccola scrivania comune scrivendo qualcosa sul suo quaderno, lanciava occhiate gentili all’indirizzo del più piccolo, decidendo poi di andare a sedersi accanto a lui.
“Ryo-chan!” lo chiamò, prendendogli la mano e chiudendola tra le proprie, accarezzandogli il dorso, dandogli dei leggeri colpetti incoraggianti. “Andrà tutto bene, vedrai!” cercò di rassicurarlo, ben consapevole che a poco valevano le sue parole in quella situazione che, da qualsiasi punto la si guardasse, per Ryosuke sarebbe stato difficile.
“E se non lo vogliono?” gli chiese Ryosuke alzando gli occhi su di lui. “E se invece poi lo prendono? Come farò io?” domandò, con il cuore che correva impazzito nel petto, un’insostenibile ansia che gli toglieva anche il respiro a un’eventualità del genere.
“Sarebbe per il suo bene, Ryo e tu dovrai sostenerlo, qualsiasi sia ciò che ci dirà una volta tornato qui” parlò piano Kei, non voleva illuderlo, ma voleva che capisse che la realtà poteva essere differente da quello che lui sperava e molto spesso non era mai come loro avrebbero voluto che fosse.
“Lo so… questo lo so” annuì Ryosuke, scivolando via dal tocco caldo di Kei e alzandosi dal letto, dandogli le spalle. “Ho paura” ammise, abbassando il capo e voltandosi verso Kei. “Non lo voglio perdere…” confessò e Kei sorrise mestamente: lo sapeva, lo sapeva bene, anche se Ryosuke cercava sempre di apparire sorridente davanti a Daiki, reprimendo quello che realmente provava per lui, nascondendolo dietro la parola amicizia, sapeva quanto invece tenesse al più grande.
“Non succederà, Ryo, anche Daiki ti è molto affezionato e sono certo che verrebbe a trovarti e…”
“È molto sbagliato da parte mia desiderare che non lo vogliano?” domandò il più piccolo interrompendolo e Kei sorrise, annuendo, lo capiva, ma non poteva giustificare in alcun modo i suoi pensieri.
“Sì, Ryo…”
“Però… però a te posso dirlo, no, Kei-chan?”
“Sì, a me sì…”
Ryosuke si morse un labbro indeciso e poi si avvicinò di nuovo a Kei, abbracciandolo, desiderando che a sua volta l’amico lo stringesse e lo confortasse, si sentiva così triste in quel momento che avrebbe tanto voluto piangere, ma non l’avrebbe fatto.
“Non voglio che se ne vada…”
“Lo so, piccolo, lo so. Ma pensa che è per il suo bene, che finalmente avrà qualcuno a prendersi cura di lui, una famiglia che gli vorrà bene, che lo renderà felice, più di quanto lo è qui…”
“Ma io, anche se non abbiamo dei genitori, sono felice. Sono felice di stare con Dai-chan, lui… io penso che lui sia la mia famiglia e anche tu lo sei. E poi c’è Yuri e…”
“Ryo…” lo fermò Kei. Capiva le sue parole, capiva come si sentisse, ma non poteva lasciare che continuasse, era ancora troppo piccolo per capire e al momento era sconvolto, come ogni volta che Daiki affrontava insieme alla direttrice dell’orfanotrofio che li ospitava un colloquio con una giovane coppia in cerca di un figlio. “Lo sai anche tu che non è la stessa cosa. Tutti noi abbiamo bisogno di una famiglia vera, di genitori che si prendano cura di noi. Lo sai anche tu che quella che facciamo qui non è vita. E meritiamo di più. Non vuoi che Daiki sia felice?”
Ryosuke si morse un labbro, gli occhi lucidi perché sapeva che quello che Kei diceva era vero; il più grande non gli aveva mai mentito, era vero che usava parole dure alle volte, ma era quello che gli ci voleva, Kei era il suo sostegno ma per quanto ne dicesse lui, i suoi amici e Daiki, lui compreso, erano una famiglia reale per Ryosuke.
“Sì…” rispose.
“Allora, asciughiamo queste lacrime e sorridi, Ryo, non facciamoci trovare tristi da Daiki quando torna, lo sai anche tu che poi si preoccupa. Dai-chan adora il tuo sorriso, lo sai, vero?” gli parlò con tono dolce, passandogli una mano tra i capelli e accarezzandogli una guancia.
Ryosuke annuì solamente, tirando su con il naso, abbracciando di nuovo Kei, il quale gli passò una mano sulla schiena, cullandolo, sentendo poi la porta del dormitorio aprirsi, facendoli voltare entrambi.
“Dai-chan…” lo chiamò in un mormorio il più piccolo, scostandosi da Kei, avanzando di un passo, vedendo Daiki avanzare verso di loro.
Kei li osservò, notando il nervosismo nei movimenti di Daiki e l’ansia di Ryosuke crescere, perché anche a lui, come per Kei, era bastato osservare il volto di Daiki per capire cosa fosse andato a dirgli.
“Ti vogliono” disse solo il più piccolo e Daiki annuì piano.
“Sì, Ryo… sono stato scelto” affermò cauto Daiki, prendendo nelle sue le mani dell’amico e Kei si alzò a sua volta dal letto, raggiungendo i due.
“Congratulazioni, Dai-chan!” gli disse, sorridendogli, posandogli una mano tra i capelli, scompigliandoglieli un poco e stringendo con l’altra la spalla di Ryosuke.
“Congratulazioni, Daiki” mormorò a sua volta quest’ultimo, guardando l’amico.
Kei lo osservò per qualche secondo, riportando poi l’attenzione su Daiki, riempiendo quel vuoto creato dal silenzio.
“Quando verranno a prenderti?” chiese.
“La direttrice ha detto che ci vorranno due, massimo, tre giorni, il tempo di compilare le carte e i miei…” sorrise, emozionato nel concludere la frase, “… i miei genitori devono contattare il loro avvocato, ma potrò andare via alla fine di questa settimana!” annunciò senza riuscire a trattenere la propria felicità.
“Andrai a casa, Daiki” gli disse Kei che capiva il suo stato ed era sinceramente felice per l’amico.
“Sì… avrò una casa finalmente e… sembrano davvero delle persone gentili” spiegò, annuendo.
“Sono sicuro che sarà così, Daiki” lo rassicurò a sua volta Kei, spostandosi di un passo, vedendo Daiki stringere le mani di Ryosuke che era rimasto per tutto il tempo in silenzio.
“Ryo?” lo chiamò Daiki, scuotendogli le braccia, cercando di guardarlo in viso.
“Sì?” chiese il più piccolo.
“Ryo… che hai? Non… non sei felice per me?” domandò, per quanto lui non stesse più nella pelle per quella novità, non voleva che Ryosuke fosse triste.
“No, io… io certo che sono felice per te, Dai-chan! Io… io sono…” si interruppe, allontanando le mani da quelle del più piccolo, sentendo quel contatto tra loro bruciare e le infilò nelle tasche del grembiule, inghiottendo a vuoto, sentendo di nuovo il fiato mancargli e la bocca asciutta, gli occhi carichi di lacrime che premevano per uscire.
“Io…”
“Ryosuke” lo chiamò Daiki preoccupato nel vederlo in quello stato.
“Ryo” lo riscosse a sua volta Kei.
“Io sono molto felice per te, Daiki, congratulazioni!” riuscì a buttare fuori tutto d’un fiato, prima di passare in mezzo ai due ragazzi più grandi e uscire dalla stanza di corsa, iniziando a piangere.
“Ryo!” Daiki fece per seguirlo ma Kei lo fermò, prendendolo per un gomito e quando Daiki non oppose resistenza alcuna, Kei fu sorpreso per quella reazione così pacata.
“Daiki…”
“Sono una persona orribile, vero? Pensi che adesso mi odierà?” gli chiese il più piccolo, senza riuscire a guardarlo.
“È innamorato di te” gli rispose semplicemente Kei e Daiki sorrise amaramente.
“Lo so, anche io lo sono di lui” confidò Daiki, guardando Kei, il quale non si aspettava quella confessione. “Ma non possiamo stare insieme” riprese a parlare, prima che Kei potesse interromperlo. “Ho pensato che se mi fossi dimostrato felice di andarmene da qui senza pensare a quello che lasciavo, lui mi avrebbe odiato” spiegò il suo intento. “È meglio così per entrambi, se pensa che non mi interessi di lui, se pensa che io sia un egoista. La separazione farà male, ma non così tanto se lui ce l’ha con me.”
“Sai che non è così semplice, Daiki vero?”
“E cosa dovrei fare secondo te?” gli rispose nervoso il più piccolo guardandolo, gli occhi lucidi, le labbra tra i denti. “Dirgli che mi piace? Dirgli che vorrei portarlo con me e stare sempre insieme? E poi? Cosa succederebbe? Non possiamo stare insieme, non lo posso portare con me perché… perché noi non siamo fratelli e perché non ci adotterebbero mai insieme! E se anche lo facessero non ci accetterebbero, riderebbero di noi, due orfani, uno di tredici e uno di quattordici anni che dicono di voler stare insieme, due maschi per di più” sottolineò. “Andiamo, per loro siamo solo dei bambini che non sanno nulla di come va il mondo, nessuno ci darebbe conto” espose con forza e con rabbia.
E Kei comprese che Daiki ci aveva davvero pensato molto, aveva cercato una soluzione alla loro situazione, ma senza trovarla e allora aveva scelto di usare quell’ultima drastica messinscena .
“Prenditi cura di lui per me, ti prego Kei” parlò di nuovo Daiki con più calma.
“Lo farò” promise il più grande.
“Vai da lui, per favore.”
“Sì, ma… tu?”
“Io devo preparare le mie cose e… vorrei piangere un po’, ma ti ho appena affidato Ryo e…” Daiki si passò una mano sugli occhi, ricacciando indietro le lacrime. “E non voglio che mi veda…”
Kei non gli permise di continuare: si tolse la felpa, lanciandogliela sopra la testa per nascondere la sua tristezza e gli posò di nuovo una mano tra i capelli con fare fraterno senza aggiungere altro, allontanandosi e uscendo dalla stanza, lasciando Daiki da solo.

*

“Ryo, sei sicuro di non volerlo neanche salutare?” Kei seduto sul letto vicino a un Ryosuke disteso, gli passava una mano sulla schiena cercando di calmare i suoi singhiozzi.
Al piano di sotto Daiki stava salutando tutti gli amici e gli insegnanti, la direttrice e i volontari e Ryosuke non era tra loro, Kei aveva provato a parlare più volte a Ryosuke in quei giorni, ma il più piccolo non ne aveva voluto sapere, si era chiuso in se stesso, evitando qualsiasi contatto con Daiki. Kei aveva cercato di dirgli che sbagliava, che se ne sarebbe poi pentito e alle volte era stato anche tentato di dirgli tutta la verità, ma non l’aveva mai fatto, non sarebbe stato giusto e poi l’aveva promesso a Daiki.
“Lo odio!” affermò Yamada, mormorando contro il cuscino, continuando a piangere. “Lo odio!” ripeté, stringendo la federa nel pugno, piangendo ancora più forte e Kei percepì intenso quel suo dolore che avrebbe voluto tanto piangere anche lui, si distese invece e si fece spazio sotto le coperte, infilando un braccio sotto al cuscino, attirando Ryosuke contro di sé e sentendo l’altro cercare riparo e conforto tra le sue braccia, continuando a piangere e piangere, fino a calmarsi solo quando il sonno e la stanchezza lo colsero piano.
Kei allora attese alcuni istanti, continuando ad accarezzargli i capelli e la schiena, sentendolo mugolare il nome di Daiki nel sonno e altre piccole lacrime scivolare sul suo volto, incontrollate.
Gliele asciugò con l’indice, scostandosi da lui e alzandosi dal letto, rimboccandogli le coperte, restando ancora un po’ a vegliarlo, prima di allontanarsi dalla stanza.
“Dorme?” Yabu si avvicinò a Kei quando lo vide uscire dalla porta del dormitorio.
“Sì, non è tranquillo però, sono un po’ preoccupato” ammise Kei, guardandosi le spalle, richiudendo l’uscio piano.
“Ci vorrà un po’, ma gli passerà…” commentò Kota, guardando il più piccolo, il quale annuì, passandosi una mano sugli occhi con fare stanco, non gli era piaciuto vedere Ryosuke in quello stato, gli ricordava sempre che una cosa del genere poteva accadere anche a lui e non osava pensare a quando quel momento sarebbe arrivato.
“Ti va di fare due passi?” chiese al volontario Kei e Kota annuì.
“Certo, andiamo!” lo esortò a seguirlo, uscendo insieme a lui nel cortile interno, camminando intorno all’edificio.
“Tu come stai?” ruppe il silenzio il più grande e Kei sorrise stancamente.
“Si vede tanto eh?”
“Un po’” ammise Yabu accennando un sorriso a sua volta.
“Sto bene… sono solo preoccupato per Ryo, ma ho promesso a Daiki che mi sarei preso cura di lui e devo essere forte per sostenerlo… anche se…”
“Anche se?” Kota lo esortò a continuare il discorso dal momento che aveva fatto una pausa fin troppo lunga.
Kei si fermò davanti a un grande albero osservando verso l’alto il cielo che andava scurendosi con il tramontare del sole.
“Anche se io lo capisco. So cosa voglia dire desiderare di non venire scelti, voler stare per sempre insieme alla persona a cui vuoi più bene al mondo” parlò piano, seguendo il filo dei propri pensieri senza riuscire a trattenersi questa volta a essere forte per non venire a sua volta scoperto. “Fa male e fingo di non farci caso ma le ho riconosciute in tanti occhi le mie stesse paure, ogni volta che lo sguardo di una coppia si posa su di te ti trovi a trattenere il fiato sperando che quella sia la famiglia giusta. Desiderare che ti accettino per sfuggire a una vita immeritevole. O sperare esattamente l’opposto perché ormai per te non c’è più niente da fare e la vita che conduci ti sembra anche fin troppo per uno come te” parlò in modo quasi cinico e Yabu lo osservava sconcertato, non aveva mai sentito Kei esprimere quei pensieri ed era doloroso accorgersi come a soli quindici anni una persona potesse arrivare a vedere la vita. A quell’età in cui tutto deve ancora avere inizio pensare di essere già arrivati e accorgersi di non avere più alcuna speranza. Era per quel motivo che Yabu aveva deciso di entrare come volontario in quell’orfanotrofio, per portare speranza, per riuscire a strappare un sorriso a quei bambini soli e abbandonati, per infondere loro fiducia eppure, evidentemente, aveva in parte fallito, se vi erano ragazzi come Kei, come lo stesso Ryosuke, che continuavano a soffrire.
“Daiki lo ama. Daiki è innamorato di Ryo così come Ryo lo ama e non possono stare insieme. E questo non è giusto!” mormorò Kei con rabbia, stringendo i pugni, sentendo una pesantezza nel cuore difficile da mandare via. Sollevò lo sguardo su Yabu ed ebbe paura, ebbe paura di perderlo e non voleva, non lo voleva per nulla al mondo.
“Kota, io ti amo!” confessò all’improvviso e il più grande fece un’espressione sorpresa.
“Kei…”
“Lo so che abbiamo sei anni di differenza, lo so che pensi che io sia solo un ragazzino, ma non mi importa. Non mi interessa neanche avere una risposta perché dubito che ce ne sia una, ma non volevo continuare ad andare avanti con questo peso. Non voglio rimpiangere, come Daiki e Ryosuke, il fatto di non avertelo detto, di non aver dato almeno una forma a questi miei sentimenti almeno una volta” gli parlò, guardandolo dritto negli occhi. “So che non posso pretendere niente di più, ma io continuerò a sperare che nessuno mi scelga, perché voglio restare qui. Voglio continuare a vederti ogni giorno, anche se per qualche ora soltanto, voglio essere felice almeno un po’. Lo desidero ogni giorno con tutto me stesso, così come ha continuato a fare Ryo fino a oggi” concluse, sentendo un inspiegabile magone salirgli dal cuore alla gola e togliergli il respiro.
Si guardarono negli occhi e nessuno dei due riuscì ad aggiungere più niente, Kei sentì in un attimo di essersi pentito di aver detto a Yabu quello che provava per lui e ne provava vergogna; Kota lo guardava indeciso se dire qualcosa al più piccolo, ma Kei fu lesto a scappare via così che il più grande non ebbe tempo di realizzare che Kei se n’era andato via di corsa, solo dopo essere rimasto da solo.
“Kei…” mormorò al vento, stringendo i pugni e affrettandosi a sua volta di nuovo dentro l’edificio, cercando di non farsi accorgere dalla direttrice o dalle altre insegnanti, cercando il più piccolo: dubitava che fosse tornato in dormitorio rischiando così di svegliare Ryosuke e dubitava anche che fosse andato nell’aula comune. Continuò a camminare per i corridoi, pensando a dove il più piccolo potesse essere scappato quando gli venne in mente un posto, improbabile, ma da non escludere a priori.
Scese le scale per raggiungere la palestra e fu in quel momento che sentì lo scrosciare dell’acqua negli spogliatoi e fu lì che trovò Kei, chino sul lavandino che si sciacquava ripetutamente il volto.
Ascoltò i singhiozzi mal trattenuti e spinse la porta, palesando la propria presenza.
“Kota!” si spaventò Kei quando, voltandosi, lo vide.
“Kei…”
“Per favore, vai via, io… non avrei dovuto dirti niente. Mi dispiace, sono stato uno stupido, ma è che mi dispiace per Ryosuke e… davvero, mi dispiace tantissimo” continuò a scusarsi e Kota azzerò la distanza tra loro, raggiungendolo, prendendolo per le spalle e posando d’improvviso le labbra sulle sue, separandosi troppo presto per i gusti di entrambi.
“Perché continui a scusarti, Kei? Perché non lasci che dica qualcosa anche io?” lo riprese leggermente divertito Kota, passandogli le mani sulle guance, abbracciandolo. “È a me che dispiace! È a me che dispiace non essermi mai accorto di niente. Di quello che provavi e del tuo tormento. Mi dispiace, Kei” gli ripeté, stringendolo e infilandogli una mano tra i capelli, inspirando il suo profumo.
Si separò da lui, chinandosi appena per riuscire a guardarlo meglio negli occhi, passandogli i pollici sugli zigomi.
“Io lo so che è sbagliato e non dovrei dirtelo, dovrei essere forte per entrambi, ma dopo quello che mi hai detto Kei io… io ti amo. Ti amo da mesi e ho sempre cercato di controllarmi, ho sempre cercato di non lasciarmi coinvolgere, ma non ce l’ho fatta e… perché ti sei dichiarato, Kei?” gli disse, stringendogli appena le orecchie, unendo le loro fronti, sfiorandogli il viso e le labbra con le proprie, volendo baciarlo di nuovo, ma combattendo per trattenersi, perché sapeva che non poteva.
“Perché non ce la facevo più Kota. Io non riesco più a controllarmi, io voglio stare con te, voglio…”
“Ma non è possibile, Kei!” lo interruppe il più grande, sollevandosi nuovamente dritto e costringendo Kei ad alzare il volto per guardarlo.
“Allora è sbagliato che io ti ami? È sbagliato che io provi questo per te? Perché se lo è allora spiegami perché è successo! Spiegami perché anche tu mi ami!” gli chiese, stringendogli la maglietta tra le mani, sentendo altre lacrime scivolargli sulle guance. Lacrime che Kota si affrettò ad asciugare con le dita e con le labbra, tornando a baciarlo: non doveva, ma non voleva neanche che Kei continuasse a soffrire e poi lo voleva, l’aveva desiderato così tanto, così a lungo che ogni freno era stato abbattuto, ogni barriera che aveva così attentamente e con fatica eretto attorno al proprio cuore si stava velocemente sgretolando.
“Non piangere, Kei” gli chiese in un mormorio, baciandolo ancora, sentendo Kei stringerglisi addosso e allontanarsi da lui poi in cerca di fiato.
“Kota” ansimò, nascondendo il volto contro il suo collo, quando i loro bacini entrarono in contatto rivelando quanto i pensieri di entrambi, a differenza di quello che cercavano di dissimulare, si muovessero nella medesima direzione. “Kota, ti prego…” gli chiese, indietreggiando e infilandosi con lui dentro una doccia vuota, prendendogli il volto con le mani, baciandolo con urgenza e impazienza.
Yabu mosse velocemente le mani portandole alla cintura del più piccolo liberandolo dei pantaloni, abbassandogli anche la biancheria, stringendo il pugno attorno alla sua erezione, sentendo Kei sospirare e muovere in avanti il bacino, incontro a quella mano calda, sospirando di piacere.
“Sssh, piano… piano Kei” sussurrò contro il suo orecchio, rallentando i movimenti, spostandosi sulla sua carne in modo lento, rubandogli altri lunghi sospiri. “Questo sarà il nostro piccolo segreto” gli disse, allargandogli le gambe con il ginocchio, mentre ancora scivolava con il palmo su di lui, stuzzicandolo con le dita, spingendosi in avanti, sfiorando la sua apertura e tornando indietro, stringendolo con la mano libera per riuscire a prepararlo e contemporaneamente distrarlo dandogli piacere.
Chiuse le dita attorno alla base del suo sesso quando forzò per infilare un primo dito dentro di lui e Kei gli puntò le unghie contro la schiena, cercando di scostarsi, ma rilassandosi quando Yabu allentò la stretta su di lui e si inumidì le dita con la saliva, prima di tentare di nuovo di entrare in lui, stavolta usando un’accortezza maggiore, riuscendo a far passare quasi subito quella dolorosa sensazione di fastidio, muovendosi a lungo dentro di lui con un solo dito, cercando con l’altra mano di dargli maggior piacere, fino a che non lo sentì tendersi e rilassarsi completamente, aprendosi per lui.
Kota tolse via le dita dal suo corpo e le portò ai propri pantaloni, abbassandoli e poi prendendo il più piccolo per i fianchi, sollevandolo, facendo in modo che gli allacciasse le gambe dietro la schiena, penetrandolo piano, tornando ad accarezzare il suo sesso teso per distrarlo, stuzzicandone la punta, stringendolo appena con due dita, scivolando su di lui con movimenti lenti ma decisi, continuando a quel modo sentendo i sospiri di Kei aumentare d’intensità, spingendosi al contempo dentro di lui, fino a possederlo del tutto. Solo allora si fermò, abbracciando il più piccolo in vita e baciandogli le labbra, la fronte, il mento, tornando sulla bocca, cercando la sua lingua, iniziando a muoversi piano, a piccoli intervalli, dando modo a Kei di abituarsi.
E quando il più piccolo fu lui stesso a chiedergli di dargli di più, Yabu non si trattenne: riprese ad accarezzare il suo sesso, aumentando la velocità delle spinte dentro di lui, cercando la migliore angolazione che lo faceva gridare più forte e desiderare di più, sentendolo poi sciogliersi nella sua stretta e a sua volta venire nel corpo del più piccolo con un’ultima spinta decisa.
Kei si aggrappò alle sue spalle, mugolando quando Kota si lasciò andare contro di lui addossandolo maggiormente alla parete di piastrelle, a sua volta sfinito.
Il più grande si risollevò, permettendogli di rilassare le gambe, tenendolo tra le proprie braccia, scivolando con lui sul piatto doccia, tenendolo stretto, baciandogli una tempia, in attesa di riprendere fiato.
Quando sentì le dita di Kei accarezzargli leggermente il collo e un bacio sulla gola, Yabu abbassò il capo guardando il più piccolo, sorridendogli.
“Ti amo” gli disse piano. “Anche io ho desiderato con tutto me stesso che non ti scegliesse nessuno. Ti volevo solo per me. Ho sperato che tu raggiungessi presto l’età in cui ti potessi rendere indipendente da solo per poterti portare via con me” confessò e Kei non riuscì a fare a meno che i propri occhi si inumidissero di lacrime, di nuovo, lacrime di gioia: ascoltare le parole di Yabu era stato come risorgere dalle ceneri, si sentì come se in quel momento la propria vita fosse finita per farne spazio a una nuova.
“Portami via con te, Kota. Non voglio stare un istante di più qui, senza di te” gli chiese Kei, muovendosi, sollevandosi sulle ginocchia per guardare Yabu negli occhi.
“Lo sai che adesso non posso fare niente. Ancora due anni, Kei, due anni e poi sarai libero, saremo liberi entrambi di vivere finalmente insieme.”
“È troppo tempo, Kota e io ho aspettato così tanto…”
“Lo so, Kei, ma dobbiamo ancora aspettare!”
“Non voglio stare lontano da te” scosse il capo, abbracciandolo in collo, lasciandosi stringere.
“Anche io, Kei, se potessi ti porterei via oggi stesso, ma non è possibile e lo sai. Passeremo dei guai altrimenti e io non voglio perderti, per nulla al mondo. Ricordi cosa ti ho detto? Questo sarà il nostro piccolo segreto” gli disse, scostandolo da sé per guardarlo e farsi guardare, affinché capisse che non potevano compiere passi falsi. “Ti porterò via da qui e vivremo sempre insieme, te lo prometto!”
Kei annuì, posando le mani sulle sue, stringendogli le dita.
“Ho capito, Kota. Va bene” affermò, sorridendogli.
“Due anni, Kei, due anni e poi potremo vivere insieme, per sempre. E fino a quel momento, ricordati che ti amo e questo non cambierà mai. Mai” affermò, suggellando quella promessa con un bacio.

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