Titolo: Start of something new
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yabu Kota, Inoo Kei, Yaotome Hikaru
Pairing: Inoobu - Hikanoo
Genere: angst, romantico
Rating: nc-17
Warning: slash, death!fic
Wordcount: 3.176
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la tabelle wTunes - Desires con il prompt “I’ll make you feel pure” per la
diecielode e per la
think_angst con il prompt “rasoio” per il set armi.
Disclaimer: I personaggi non sono miei, non li conosco personalmente, quanto di seguito descritto non vuole avere fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
wTunes - DesiresTabella:
Armi Stava male, non riusciva a farsi una ragione per quello che gli stava succedendo.
Non riconosceva più la persona che per tutti quei mesi gli era stata accanto, che gli aveva promesso luna e stelle, che aveva smosso per lui mari e monti, che professava di amarlo più di se stesso e che in quel momento, senza alcuna cura lo stava ferendo, spingeva nel suo corpo in modo animalesco e violento, senza averlo preparato prima, senza avergli domandato nulla una volta tornato a casa, senza parole gentili o morbidi baci. A Kei piaceva fare sesso con Hikaru, ma non era mai stato solo quello per lui; poteva fargli quello che voleva, Hikaru lo sapeva, ma non era mai stato tutto a senso unico. Il più piccolo si dimostrava sempre attento ai bisogni di Kei e Inoo amava sentire le labbra di Hikaru percorrere il suo corpo,le sue mani accarezzarlo, le sue dita infilarsi piano dentro di lui, prima di lasciarsi cogliere dalla passione. Adorava tutto di lui e in quel momento, invece, sotto le spinte di quel corpo che non riconosceva, lo odiava.
Perché gli stava facendo tutto quello?
Perché non ascoltava la sua voce chiedergli di fermarsi?
Perché ignorava le sue lacrime e il suo dolore?
*
Si svegliò nel cuore della notte in preda agli incubi, aprendo gli occhi di scatto, tirando un sospiro di sollievo, ma rendersi conto di questo non era bastato al proprio cuore perché si placasse e calmasse.
Perché quelli non erano semplici brutti sogni, erano dei ricordi ancora troppo vividi nel suo intimo perché potesse essere così semplice superarli.
Si voltò su un fianco, vedendo Yabu dormire calmo accanto a lui: per fortuna non l’aveva svegliato. Non voleva farlo preoccupare; era stanco, aveva lavorato molto in quelle ultime settimane e si meritava riposo. Avere a che fare con lui, poi, in quelle condizioni, non era facile, se ne rendeva conto da solo; perché ancora non riusciva a liberarsi di quegli ultimi attimi d’inferno che aveva passato e non era giusto che la sua debolezza ricadesse su Yabu.
Gli era stato grato per tutto quello che aveva fatto e avrebbe tanto voluto riuscire a ripagarlo in qualche modo.
“La tua felicità e il vederti stare bene, per me sono sufficienti, Kei-chan” gli ripeteva ogni volta. “Io sto bene se anche tu sei tranquillo. La mia serenità dipende da questo” gli diceva sempre e Kei gli credeva, ma sapeva che quella era solo una minima parte della verità. Perché era difficile stare insieme a una persona senza poterla toccare, senza potersi concedere quegli attimi di intimità che rendono una coppia più unita. Kei si odiava perché, dopo un anno e mezzo, ancora non riusciva a lasciarsi andare; era un egoista, perché lui sentiva l’amore di Yabu ogni giorno, quanto si sforzasse per lui, quanto si impegnasse per renderlo felice. Avrebbe voluto lasciarsi andare a sua volta, ma quando arrivavano al dunque, Kei si tirava indietro, non avrebbe voluto e quando si era forzato, era voluto andare contro la propria volontà, era stato Yabu a fermarsi.
“Così mi offendi, Kei” gli aveva detto, con sguardo triste, sedendosi sul letto e dandogli le spalle. “Io non sono Hikaru, te l’ho sempre detto. Voglio fare sesso con te, ma non a questo prezzo, non voglio che mi trasformi in lui, anche se sei tu a volerlo” aveva detto, alzandosi e lasciandolo da solo con quelle parole a rimbombargli nel cervello.
Yabu non aveva dormito con lui quella notte e Kei si era sentito tanto solo in quella grande stanza, in quell’enorme letto, divenuto improvvisamente freddo e scomodo.
Voleva Yabu, lo voleva al suo fianco, non avrebbe sopportato che lo lasciasse.
Il mattino dopo, poi, Kei aveva preparato la colazione e quando Yabu era entrato in cucina, il più piccolo si era scusato, abbracciandolo, baciandolo in modo quasi disperato.
Il ragazzo l’aveva preso tra le braccia e gli aveva sorriso, prima di parlare, serio e calmo.
“Ascoltami bene, Kei-chan. Io ti amo è per questo che sto con te. Io vorrei poter fare l’amore con te, ma non a questo prezzo, non se devi soffrire. Non ti lascerò andare per così poco, Kei. Abbi fiducia in me, perché io di te mi fido tantissimo e lo so che mi ami e che anche tu provi le mie stesse cose” gli aveva detto, sorridendo di nuovo e baciandolo.
Quel discorso gli tornava ogni volta alla mente e Kei si avvicinò piano al corpo di Yabu, osservandolo riposare, accarezzandogli discretamente il dorso della mano con le dita, sentendo di nuovo quella sensazione avvolgerlo. Cercò di ignorarla, perché l’aveva promesso, non voleva mancare la parola con Yabu e, inoltre, sapeva che l’avrebbe poi scoperto, lo scopriva sempre e non voleva litigare con lui, non voleva apparire ancora più debole ai suoi occhi; non voleva che Yabu perdesse la stima e la fiducia che aveva in lui.
Strinse allora gli occhi, chiudendo la mano a pugno, cercando di non pensare a niente, di lasciarsi cullare dal respiro e dalla presenza di Yabu accanto a sé, scivolando piano di nuovo nel sonno.
*
Nel risvegliarsi, Kei fu sollevato nel vedere che Hikaru non era accanto a lui. Non credeva che avrebbe mai potuto pensare una cosa del genere: doveva chiudere al più presto quella storia, ma aveva paura della reazione di Hikaru di quello che avrebbe potuto fare se gli avesse dato realmente una giustificazione per fargli del male.
Non era una situazione facile e non poteva parlarne con nessuno, non voleva arrecare disturbo ai compagni più di quanto stesse facendo: gli sguardi di Daiki e Yuya erano abbastanza esplicativi e le domande di Yabu sempre più incalzanti, non sapeva fino a quanto avrebbe potuto resistere, ma doveva farlo, perché non c’era soluzione a quella situazione, nessuno poteva fare niente per lui.
Si alzò dal letto, sentendo il proprio corpo protestare, ma finse di ignorarlo: aveva bisogno di una doccia, voleva togliersi di dosso il ricordo di quella violenza, il sapore della pelle di Hikaru dalla propria. Prese l’accappatoio, spostandosi in bagno e accorgendosi solo dopo essere entrato della luce accesa e del rumore dell’acqua della doccia che scorreva.
“Hikaru?” domandò piano, cercando di non far tremare di paura la propria voce.
Non voleva vederlo.
Si accostò al box, notando la sagoma chinata del ragazzo.
“Hikka?” chiamò un po’ più forte, ma senza ricevere risposta.
Piano allora, allungò una mano e aprì le porte scorrevoli, prima di lanciare un urlo, lasciando cadere l’accappatoio per terra, nel vedere Hikaru in un lago di sangue.
*
Di nuovo aprì gli occhi, sentendo le guance umide di lacrime e, ancora una volta, il suo primo pensiero fu Yabu.
Si scostò da lui, scivolando fuori dal letto e andando verso il bagno; odiava quel periodo dell’anno quando all’avvicinarsi dell’anniversario di quel tragico giorno, la propria coscienza pareva risvegliarsi e ripercorrere istante dopo istante quei terribili momenti, dall’inizio del cambiamento di Hikaru nei suoi riguardi, alla sua violenza e poi il suicidio.
Kei andava a trovarlo quasi ogni mese, per rendere omaggio, sapeva che non avrebbe dovuto neanche sentirsi in colpa, ma sentiva che doveva andare da lui.
Una volta, in un pomeriggio in cui si sentiva particolarmente in ansia, era andato al cimitero e si era stupito di trovare Yabu che accendeva dell’incenso sulla tomba di Hikaru. Lo vide fare una preghiera silenziosa e poi, anche se Kei si trovava un po’ in disparte, l’aveva sentito sussurrare piano a Hikaru.
“Lascialo libero, ti prego. Ha sofferto abbastanza, lascia che riscopra la felicità con me. Io lo amo, Hikka. Ti prego” gli aveva chiesto e la sua voce aveva tremato appena sul finire di quella richiesta, prima di alzarsi, spargere un po’ di incenso nell’aria e poi riposare il bastoncino, per poi allontanarsi.
E Kei, avvicinandosi a sua volta alla tomba dell’ex-fidanzato aveva pianto, inginocchiandosi ai piedi del marmo scuro, poggiandosi sulla superficie liscia e fredda aveva pianto disperato tutte le sue lacrime, per l’amore di Kota, per il proprio cuore che era ancora troppo ferito per lasciarsi andare, per Hikaru, per la sua morte e un po’ anche per se stesso.
E aveva scoperto Kei che quel dolore lo faceva sentire un po’ bene, che liberare in quel modo i suoi sentimenti lo aveva aiutato a dimostrarsi più forte davanti a Kota al suo rientro a casa ed era stato per questo che aveva iniziato a tagliarsi: sui polsi portava ancora i segni di vecchie cicatrici. Perché il dolore che sentiva dentro quando si feriva era così appagante e gli dava sollievo; quando Kota l’aveva sorpreso, però, gli aveva fatto promettere che non l’avrebbe più fatto e Kei avrebbe voluto tanto mantenere la parola data, ma a volte ci ricascava, ne aveva bisogno, in momenti come quello.
Aprì il proprio armadietto e, nascosto dietro l’astuccio dei medicinali, trovò il rasoio; gettò uno sguardo alla porta chiusa e si sedette sulla tazza del water, scostando la maglia del pigiama, sollevandola fin sul gomito, osservandosi la pelle bianca, accarezzandola con la mano, osservando la lama e stringendone il manico, ancora indeciso per un momento.
Non voleva tradire la fiducia che Yabu aveva in lui, ma non poteva farne a meno, sentiva dentro di sé l’impulso forte di farsi del male, anche perché, così facendo, si ripeteva, avrebbe poi finto meglio, anche per Kota.
Accostò la lama alla pelle e fece per premere.
“Lo vuoi fare davvero, Kei?”
Sobbalzò, voltandosi verso la porta e trovando Yabu che lo fissava.
“Kota!”
Il più grande avanzò, raggiungendolo, chinandosi sulle ginocchia davanti a lui, prendendogli il braccio che Kei,istintivamente, aveva ritratto dietro la schiena. Si sollevò la manica della maglia e accostò il rasoio, che ancora Kei stringeva nel pugno, al proprio braccio.
“Avanti, Kei. Perché non lo fai su di me. Fammi sentire cosa si prova. Visto che non riesci a smettere, allora voglio farlo anche io.”
“No, Kota, no… scusami, non volevo, non lo faccio-”
“Non lo fai più?” lo interruppe. “Quante volte hai ripetuto questa frase, Kei, non sei ancora stufo? Riesci a convincere almeno te stesso?” insistette, spingendogli il polso verso di sé, mentre Kei cercava di contrastarlo.
“Kota…” lo supplicò, cercando di ritrarre la mano, ma senza successo. Non gli piaceva il modo in cui Yabu lo stava guardando e gli parlava; aveva paura, temeva il peggio.
“Avanti, Kei, fallo. Insegnami” continuò Yabu.
Kei fece resistenza, non voleva fargli del male.
“Va bene!” disse Yabu, lasciandolo andare, ma prendendogli veloce il rasoio e portando le lame a contatto con la propria pelle, premendo e scendendo sul braccio, facendo dei tagli.
Quando Kei vide il sangue uscire, si sporse verso di lui, spingendolo per le spalle, lanciando via il rasoio e chiudendo la mano sul polso, fasciandolo immediatamente con le garze con cui tante, troppe volte Yabu aveva curato lui.
“Sei pazzo?” l’aveva aggredito, con gli occhi lucidi di lacrime. “Cosa pensavi di fare? Potevi… potevi…” non riusciva neanche a pensarlo.
“Tu che intenzioni hai, Kei?” replicò Yabu, a voce bassa, calma. Non sembrava arrabbiato, né deluso, sembrava, invece, tanto preoccupato per lui.
Kei lo guardò e tirò indietro le labbra, cercando di trattenere le lacrime, ma senza successo.
“Mi dispiace” mormorò. “Mi dispiace tantissimo, Kota” si scusò, abbracciandolo, stringendogli le braccia attorno al collo. Yabu gli posò il mento sulla spalla e lo circondò con entrambe le braccia, cullandolo, passandogli le mani sulla schiena, scostandolo poi piano da sé.
“Perché non capisci, Kei” gli parlò Yabu con tono di voce basso. “Perché non capisci quanto sei importante per me e che ti amo. Non voglio che tu soffra più, io cerco di proteggerti ogni giorno, ma non posso farlo se sei tu il primo a farti del male” gli spiegò, prendendogli il volto tra le mani e guardandolo dritto negli occhi.
Kei lo scrutò, mordendosi l’interno del labbro inferiore scuotendo il capo e poi annuendo con forza, posando i palmi delle proprie mani su quelle di Yabu e baciandogliele con tenerezza.
“Mi dispiace… Giuro, giuro, Kota che non lo farò mai più” mormorò ancora una volta, lasciando che una lacrima scivolasse dall’angolo dell’occhio.
Yabu sorrise, baciandogli le gote umide.
“Lo so, Kei… ti credo” lo rassicurò. “Torniamo a letto” gli chiese, risollevandosi dal pavimento, tornando nella stanza con Kei stretto in un abbraccio. Si stesero insieme, Kei non lo lasciò neanche per un istante, osservando la fasciatura bianca sul polso, sentendo il proprio cuore correre nel petto.
Cosa stava per fare?
Aveva rischiato di perdere la persona per lui più importante per cosa? Per la propria debolezza di spirito.
Sapeva quanto Yabu tenesse a lui, ma fino a che non aveva pensato di poterlo perdere non si era reso conto di quanto grande fosse anche il proprio di amore per il compagno; e di quanto forte fosse la propria voglia di continuare a vivere con lui. Lo strinse maggiormente a sé, sollevando il volto, baciandogli il collo, correndo con le labbra sul mento, risalendo trovandogli le labbra.
Yabu le schiuse, concedendosi a quel bacio quasi disperato di Kei, accarezzandogli la schiena, cercando di farlo calmare.
“È tutto apposto, Kei-chan” bisbigliò, guardandolo con un sorriso e tornando a baciarlo.
Inoo si lasciò cullare da quelle delicate e rassicuranti carezze: non aveva nulla da temere dal suo Yabu, lui era sempre così gentile e disponibile con lui. E paziente e lo amava. Kei questo lo sapeva, ma spesso era come se se ne dimenticasse.
Sollevò un braccio, accarezzandogli a sua volta i capelli, sorridendogli.
“Ti amo, Kota” confessò, senza smettere di guardarlo, senza permettere all’altro di perdersi la determinazione e la serietà con la quale aveva pronunciato quelle parole. Si tese, Kei riprendendo a baciarlo, avvicinando il proprio corpo a quello dell’altro, intrecciando una gamba con la quella del più grande, prendendogli la mano, portandosela sul fianco, sotto la maglia del pigiama, suggerendogli cosa volesse che facesse.
Yabu per un istante rimase spaesato, ma decise di non parlare, non c’era bisogno di alcuna parola, non voleva mettere in difficoltà Kei, non voleva rovinare l’atmosfera creatasi tra loro e seguì l’istinto, in fondo, era quello che desiderava da tempo, poter finalmente fare l’amore con Kei e questo l’altro gli chiedeva, di amarlo e Yabu l’avrebbe fatto, l’avrebbe amato con tutto se stesso.
Si mosse appena, sistemandosi meglio contro di lui, lasciando che le dita esplorassero curiose quella pelle chiara e morbida, scivolando in carezze sul petto e lo stomaco, mentre sentiva il bacino di Kei muoversi a tratti e Kei ansimare, quando con i polpastrelli scendeva appena più giù, impaziente.
Continuò a baciarlo, spogliandosi e lasciando nudo anche il compagno, sotto di sé: lo osservò per un secondo e gli sorrise, accarezzandogli la guancia.
“Fidati di me…” mormorò contro la sua fronte, tornando a specchiarsi nei suoi occhi scuri. “Ti farò sentire di nuovo puro, Kei-chan. Ti amo. Pensa solo a questo” gli chiese, mentre con una mano scendeva a stimolare il suo sesso e con l’altra, le dita unte di una crema bianca, si era spostato sul sedere, cercando la sua apertura.
Si soffermò per un tempo infinito a stimolarlo, piano, assecondando il ritmo dei suoi sospiri, quando si facevano più profondi , i suoi ansimi quando divenivano più alti e la presa sulle sue spalle aumentava.
Si sollevò allora da lui, preparandosi a entrare, quando Kei lo fermò, posandogli una mano sul petto.
“Ko…” lo chiamò, “posso stare io sopra?” domandò, arrossendo, imbarazzato.
Yabu lo guardò con espressione confusa e Kei ridacchiò.
“Scemo, non in quel senso” specificò.
“Se anche lo fosse stato… non ti avrei detto di no” gli rispose Yabu, con serietà.
Kei si sollevò con il busto per baciarlo.
“Lo so e ti ringrazio… magari la prossima volta. Adesso… adesso voglio sentirti dentro di me, Kota” parlò, emozionato e, fino a quel momento, fu come se non si fosse mai reso veramente conto di quanto lo desiderasse, di quanto tempo avessero perso senza amarsi.
Yabu annuì, sdraiandosi sul materasso e aiutando Kei a sistemarsi seduto su di sé, ma prima che l’altro potesse fare qualsiasi cosa Yabu allungò un braccio, prendendo di nuovo dal comodino il tubetto di crema e tendendolo a Kei.
“Preparami, Kei-chan” gli chiese.
Inoo lo osservò e sorrise, spremendo un’abbondante quantità di crema sulla propria mano e scivolando sul sesso del compagno, muovendosi su di lui con lentezza, cospargendogli l’erezione di pomata; Yabu si lasciò andare sotto quelle cure, adorava sentire le dita di Kei avvolgerlo, stringerlo e portarlo verso il piacere, ma non era così che voleva che fosse quella notte, quella notte doveva essere diverso.
Lo fermò, trattenendolo per un polso, quando si sentì vicino al proprio limite e Kei si sollevò sulle gambe, sentendo le mani di Yabu posarsi sui fianchi e guidarlo per discendere su di sé.
Il più grande si muoveva lento, sentendosi pian piano avvolto dal corpo di Kei e dovette faticare non poco per trattenersi dallo spingere in lui e prenderlo così subito.
Kei si reggeva a lui posandogli le mani sulle spalle, spostandole di tanto in tanto, lasciandole scivolare sui muscoli delle braccia, mentre ansimava forte, reclinando indietro la testa, esponendosi alla tortura dei suoi baci, dove arrossò la pelle del collo e del petto.
Quando Yabu fu completamente dentro di lui, attese, stringendo a sé Kei per la vita, sentendosi ricambiato con forza.
“Stai bene?” gli domandò, forzandosi di regolarizzare il respiro.
Kei annuì, accarezzandogli il viso con le mani.
“Io… era da tanto che… che non…”
Si lasciò sfuggire un gemito quando, involontariamente, entrambi si mossero appena.
“Scusa” gli disse Yabu, passandogli le mani sulla zona bassa della schiena.
Inoo gli sorrise, incoraggiante.
“Fallo di nuovo era… è stato bello” gli disse, stringendogli le ginocchia contro le gambe e Yabu si sistemò meglio sotto di lui, tenendolo per la vita, muovendosi, facendo in modo che Kei si sollevasse appena e ridiscendesse su di lui, ripetendo il movimento.
Kei abbassò il capo, stringendo gli occhi per il piacere che lentamente gli invadeva il corpo e mordendosi le labbra. Yabu se ne accorse e lo attirò verso di sé per baciarlo, facendogli assumere una posizione migliore su di lui che diede maggiore facilità di movimento a entrambi che ondeggiavano i bacini, lasciandosi guidare dall’istinto e dal piacere sempre crescente che faceva ribollire a entrambi il sangue nelle vene; Yabu introdusse una mano tra i loro corpi, iniziando a stimolare il sesso di Kei, fino a che, insieme, entrambi non raggiunsero il piacere completo.
“Grazie” mormorò Kei, pochi minuti dopo quando si riebbe. Yabu voltò il capo per guardarlo, curioso. Kei prese le loro mani unite e rise appena. “Per essere stato così paziente e avermi aspettato… per essermi rimasto accanto nonostante tutto e per questa notte” confessò.
“Ti amo” aveva risposto semplicemente Yabu e Kei scosse il capo.
“Lo so, ma ho imparato a mie spese che questo non è sempre sinonimo di felicità. Io sono stato fortunato a incontrarti Kota, ma a volte l’amore non è abbastanza né in un senso, né in un altro. Per questo ci tenevo a dirtelo. Grazie” ripeté. “Grazie, Kota. Per essere come sei e per amare me così per come sono.”