Jan 06, 2010 20:08
Titolo: cicatrice
Fandom: Iliade
Personaggi: Achille/Patroclo
Disclaimer:I personaggi non sono miei (seh, magari ç_ç ) bensì di Omero, pace all'anima sua.
Note: scritta per il pOrn fest terza edizione, ormai m'è presa a male per questi due, sisi. Non c'è niente da fare.
Li udivo gridare da dentro la tenda principale, lì di fronte alle navi. Li sentivo gridare come fossero i più acerrimi nemici. Vidi Achille uscire da lì, stravolto di rabbia. Era un ragazzino, questo lo ricordo, anche dopo nove anni di guerra. Era un ragazzino a cui avevano sottratto qualcosa, ma ancora non sapevo cosa. Poi capii.
Lo vidi camminare verso la nostra tenda senza degnarmi di uno sguardo, senza degnarmi di una parola.
Mi venne da ridere, allora, stolto d’un mortale. Credevo di ridere in viso a quel destino che ci aveva piegati tutti in quella guerra, giorno dopo giorno, per il proprio orgoglio e per l’onore di un re.
Volevo ridere per i sentimenti di quel semi dio, ch’aveva portato il proprio bottino nella nostra tenda, quella donna chiamata Briseide. L’aveva amata, con quegli stessi gesti con cui in un tempo non molto lontano aveva amato me. Forse era stata quella seconda cicatrice a ferirmi maggiormente. Lo guardai arrivare alla tenda e poco dopo vidi i due scudieri venire a prenderla per conto di Agamennone. Mi chiese - lo chiese a me, il suo amato - d’andare e di portargliela ed io lo feci, perché lo amavo. Presi quella donna per mano ed annui, riconducendola fuori da lì. La vidi andare senza volerlo davvero. Vidi Achille alzarsi e fermarsi davanti al mare, proprio sulla riva.
Si sedette ed io mi voltai, perché non riuscivo a sopportare la vista delle sue lacrime per lei.
Risi ancora, allora. Risi della nostra sventura, a combattere una guerra che non ci apparteneva del tutto in una terra sconosciuta. Risi amaramente perché per me lui mai avrebbe rinunciato all’odore della battaglia, ed entrambi lo sapevamo.
Solo a notte inoltrata si presentò sulla soglia della tenda, e si fermò, come se non sapesse bene se entrare o meno. Tutti dormivano, nel campo dei Mirmidoni, tranne me. Lo conoscevo troppo bene per non sapere cosa avrebbe fatto, dove sarebbe andato. Era tornato da me, da quella brace, da quel letto.
“Non combatteremo, all’alba.”
Era solo un sussurro, eppure io riuscii a sentirlo. Non alzai gli occhi per guardarlo, mi limitai a spostare i tizzoni ormai freddi con l’attizzatoio, quasi egli non ci fosse.
“Vuoi togliermi anche tu qualcosa?”
Credevo alla lunga sarebbe tornato in riva al mare, di fronte alle navi, a pensare ed a farsi consolare dalle onde. Invece era rimasto lì e mi aveva sorpreso con quella domanda. Noi tutti lo veneravamo perché aveva del valore. Era giovane, ma aveva del valore. Era giusto, potrei affermare anche questo. Ci aveva guidati con onore sul campo, ed era giusto. Noi lo avremmo seguito persino ora che aveva preso questa decisione - e veniva a dirmi che io, io gli toglievo qualcosa? -. Riposi l’attizzatoio e con calma gli voltai le spalle, andando verso il letto.
Solo allora entrò, come se gli avessi dato il permesso, e si avvicinò a me. Parlò ancor prima che potessi girarmi.
“Per cosa vuoi punirmi, ora? Non ti basta che Agamennone mi abbia tolto ciò che mi apparteneva? Non ti basta che rinunci a combattere per orgoglio, per vederli piegati dal dolore, preganti che io ritorni fra i ranghi perché altrimenti saranno costretti a ritirarsi, o moriranno nell’impresa? Cosa vuoi, da me?”
Nove anni prima eravamo partiti. Non per scelta, ma per imposizione di qualcun altro. Erano venuti a prenderci, uno ad uno, impedendoci di avere altre possibilità di scelta e noi li avevamo seguiti. Io lo avevo seguito.
Scostai le coperte con un gesto infastidito e mi sedetti sul bordo del letto. Finalmente lo guardai. Aveva i pugni serrati e sembrava un bambino sull’orlo delle lacrime. Sospirai, più per me stesso che per lui.
“Achille, tu sei libero.” Dicono che le ferite alle volte siano facili da curare e siano invece le cicatrici a segnare una vita. Nell’infliggergliene per la prima volta non provai dolore, io, il suo amato.
“Sei libero di scegliere e noi tutti che ti rispettiamo scegliamo il tuo stesso destino, perché è così che deve essere. Hai la nostra lealtà in battaglia e noi guarderemo le navi nere bruciare, se è questo quello che vuoi. Ma non puoi chiedermi di guardarti mentre ami quella donna senza dir nulla.”
Ascoltò quanto avevo da dire e poi mi si sedette di fronte, come quand’era ancora bambino.
“Perdonami.”
Lo disse guardandomi in viso, ed io ricordai cos’era, per me. Allora mi tolsi le vesti, lentamente e mi chinai, prendendogli il volto fra le mani. Lo morsi sul collo, lo morsi sulle labbra, lo costrinsi ad abbassare il capo su di me per darmi piacere senza doverne ricevere - lui, a capo dei Mirmidoni -. Afferrandogli i capelli lo spinsi più giù, che andasse più a fondo, che sentisse… Emisi un gemito, sollevando il bacino, avvertendo le sue mani che mi afferravano i fianchi e la sua bocca su di me. Per un istante il piacere mi offuscò la vista, poi lo spinsi via, chiudendo gli occhi. Questo non era amore, ed entrambi lo sapevamo.
Portare la medesima cicatrice, sebbene in modo differente, non avrebbe alleviato le nostre pene.
Sentii le sue labbra che s’imponevano sulle mie, poi si scostò ed uscì, andando verso il mare.
Allora chinai il capo e piansi, per ciò che Agamennone mi aveva portato via.