Titolo: Giocare con la Morte
Fandom. Mitologia greca
Pgs: Ares/Thanatos
Parti: One Shot
Rating: R/PG-14
Disclaimer: I personaggi non mi appartengono, purtroppo, né mai mi apparterranno.
Note: Scritta grazie al prompt per 3° pOrnfest ormai conclusosi, “Mitologia greca, Ares/Thanatos, liberarsi” e dedicata a
gondolin_maid . Avevo in mente qualcosa di semi perverso, e posso dire che questa è la prima cosa abbastanza violenta io abbia scritto, il che mi soddisfa alquanto.
Il personaggio di Ares rappresenta un po’ un ragazzino frignone e facile all’ira, come si pensa fosse. Thanatos è…Thanatos. Inizia a farmi paura, per cui credo questa sarà una delle tante fic scriverò su di lui, tanto per entrare nel personaggio e capirne i segreti segretucci. La morte ha sempre un suo fascino. La sorella a cui si riferisce è ovviamente Nemesi, ovverosia la Vendetta.
La frase in greco che dice vuol significare “Non si gioca con la morte.”, tradotta grazie a
gondolin_maid , spero sia giusta ^^*
Warnings: violenza immotivata, sessuale e non.
“Inutile.”
Sibilò, mentre finiva di slegarlo. Thanatos si scrollò le catene di dosso, massaggiandosi i polsi mentre Ares lo fissava, le mani sui fianchi, lo sguardo furente.
“Sei proprio inutile. Hades potrebbe benissimo prendere qualsiasi altro pargolo di Zeus, figlio illegittimo e insegnargli il tuo mestiere; uccidere gli uomini non è in fondo così-“
Non finì la frase che la mano della Morte si era abbattuta su di lui con uno schiaffo che lo fece barcollare per un istante. Era un istante il tempo che ci voleva per far accendere la guerra, una scintilla ed una parola fuori posto, questo Ares lo aveva imparato dal primo momento, e dal primo momento aveva amato quella sensazione e l’adrenalina che gli implodeva nelle vene. I pensieri si schiantarono l’uno contro l’altro e la sua furia si infiammò quando Thanatos lo prese per il collo, sollevandolo da terra e sbattendolo contro il muro della caverna. Le mani che gli stringevano la gola erano scure e gelide, le dita premevano contro la pelle mozzandogli il respiro.
Morte sorrise, di quel sorriso candido e freddo che offriva alle proprie vittime innocenti.
“Sì, devo concordare con te, sono proprio inutile. Allora perché sei venuto a cercarmi e hai avuto l’accortezza di liberarmi? Ti sono mancato così tanto?”
Ares sibilò, l’aria che produceva un verso acuto e stridente mentre passava fra i denti. Il ginocchio di Thanatos era appoggiato appena contro i suoi genitali e stava premendo, così che un brivido gli corresse su per la schiena. Ares aprì la bocca cercando di prendere ossigeno ma le dita della Morte si strinsero ancora di più, costringendolo ad annaspare ed a chiudere gli occhi.
“Una delle cagne di Diana ti ha troncato la lingua, per caso, bamboccio? Si risponde a chi ti è superiore.”
Senza che venisse loro rivolta una parola, le catene che avevano fino ad allora imprigionato Thanatos si mossero, le estremità che si avvolgevano attorno ai polsi inermi di Ares e li obbligavano a sollevarsi verso l’alto, legandosi ad uno sperone di roccia sporgente. A braccia tese, il dio della guerra scosse la testa per cercare di riacquisire un minimo di lucidità, quell’attimo che gli ci volle perché una fitta di dolore lo trapassasse, ora che il ginocchio dell’altro era affondato impietosamente contro la propria carne morbida, quasi volesse ridurla ad un ammasso sanguinolento.
Ares gridò di dolore, una mano che scendeva fulminea ad afferrare i capelli di Thanatos per strattonarglieli, cercando di obbligarlo a lasciare la presa. Lo sentì ridere divertito, mentre le mani liberavano la sua gola e gli permettevano di respirare, e lo schiaffeggiavano, prima la destra e poi la sinistra, così che il bel viso si voltasse da una parte all’altra ed il ragazzo dovesse chiudere gli occhi. Cercò di pensare, di non farsi travolgere dall’umiliazione - era il dio della guerra, come poteva permettersi quel lurido bastardo di trattarlo così? Era merito suo se ora avrebbe potuto tornare a fare il suo sporco lavoro, liberando il campo dai corpi urlanti e laceri di quegli insulsi esseri che - un’altra ginocchiata nei genitali dissipò ogni pensiero, liberando un verso dalle sue labbra. Improvvisamente, Morte si era fermata. Ares aprì gli occhi, i riccioli corti e scuri che gli ricadevano sul viso chino, le dita che si flettevano ed il respiro che arrivava in rantoli. Alzò di poco il capo, così da inquadrare Thanatos dall’occhio che non si stava gonfiando lentamente. L’uomo lo guardava, a braccia conserte, il capo piegato di lato, l’espressione indecifrabile. Il ragazzino sputò in terra un grumo di sangue e saliva, mentre le mani afferravano le catene e le spezzavano, permettendogli di ricadere a terra, sorreggendosi alla pietra fredda. Ignorando il dolore al viso ed alle parti sensibili del proprio corpo, Ares si scagliò contro l’uomo con un grido furente, sfoderando il proprio coltello. Riuscì appena a colpirlo ad un avambraccio che la mano sinistra lo afferrò per i capelli ed il ginocchio gli raggiunse il viso, spaccandogli il naso con un rumore di ossa frantumate che riecheggiò per tutta la caverna. La mano di Thanatos lo spinse giù, lasciando che fosse la roccia a finire di graffiargli la pelle, schegge aguzze che gli penetravano nella carne. Tenendolo ancora per i capelli, Morte si sedette sulla sua schiena, una mano che prendeva le catene - scese dallo sperone ad un suo comando silenzioso - e gli legava le mani dietro la schiena. Con il suo coltello iniziò a incidere la pelle nuda delle scapole, la voce spezzata di Ares che gli arrivava alle orecchie come i singulti di un bambino.
“Te la farò pagare, figlio di cane, ti inchioderò ad una roccia e lascerò che gli avvoltoi ti divorino come fecero a Prometeo, giorno dopo giorno, invierò le ninfe a sedurti ed a bruciarti ogni centimetro libero di pelle, io… Ah!”
La lama del suo coltello stava sfiorando le natiche e si era fermata proprio sopra la sua apertura. Le dita di Thanatos gli sollevarono il mento, così che potesse guardare negli occhi neri e vuoti, in quel pozzo senza fine.
Ciò che lo fece rabbrividire non fu tanto la minaccia del ferro quanto la voce che gli sussurrò, amabilmente:
“E poi, amato? Non avresti più vittime per le tue guerre e andresti nuovamente a fare i capricci da papà Zeus. Non è forse questo il motivo per cui sei venuto a liberarmi, oggi? Eppure sembri disprezzarmi così tanto. Sono inutile, non è vero? Mia madre è una sgualdrina e mio padre un essere che striscia fino al sole, no? Eppure troveresti affascinante mia sorella, credimi. Così come la amo io stesso.”
Le labbra di Ares si schiusero ma il gemito di dolore non riuscì a liberarsi, che Thanatos aveva imposto la bocca sulla sua in un bacio vorace, affondando la lingua come se cercassi di risucchiargli l’anima. Il coltello era affondato e poi lentamente riemerso, portando con sé sangue.
Morte si rialzò, schioccando le dita e liberando il dio della guerra che rimase sdraiato, il viso poggiato alla fredda roccia del pavimento, gli occhi chiusi. Quando li riaprì, l’uomo era sull’uscio della caverna, voltato appena nella sua direzione. Sorrideva.
“Den paizeis me to thanato.” Lo sentì sussurrare, prima che uscisse, lasciandolo al buio.