milano è una necessità benedetta: mi tiene lontano da quell'antro di tecniconi scatenati che è il posto dove sto di solito, mi mette faccia a faccia con l'economia reale, con ambienti decadenti e sciccosi (il che per me -e per voi, bastardi- è un vero toccasano), mi permette (a fronte di un calo ponderale utile per l'inevitabile prova costume) di pagarmi un mutuo e continuare a vivere al di sopra delle mie possibilità e tutto sommato mi comporta solo svegliarmi talvolta alle tre col pensiero di dover spedire le attestazioni degli impianti al pregiato socio (mi alzo e gliele mando) e -certe mattine- dover prendere un autobus alle sette dalla batcaverna in collina e girellare per pisa per un paio d'ore prima d'infilarmi in un treno.
le donne, alla mattina, mentre vanno al lavoro, sono distratte.
stamane ho avuto l'impressione che pensassero a cose loro, che non avessero ancora tirato su quella difesa a volte fascinosa che ostentano anche quando sono cordiali.
magari è ancora il fresco di sonno, i pensieri minimi del bambino a scuola, dell'ovvio asessuato (bollette, spazzatura, un macchiato freddo), di quando non sei ancora tu ma sempre quell'ormai irriconoscibile foto sulla patente.
è stato così che ho incrociato raffaella, il mio consulente business.
parlava con una sua collega non credo dell'euribor, come fa sempre con me prima di salutarmi come un centravanti (ciao grande!). non mi ha visto, semplicemente.
la messinpiega, la tinta nera ancora nuova; quel volto antico e sabino che dalla risata si raggruma subitaneo in concentrate scansioni di ratei e ammortamenti, stamane era distratto sul niente mentre andava ondeggiante verso l'agenzia del sanpaolo, venti metri più avanti.
magari ragionavano di dove prender l'ombrellone quest'estate. a marina? a tirrenia?
io tiravo dritto, mimetico nel disinteresse indaffarato degli impiegati di mattina.
ero quasi sull'arno e, sull'abbrivio della discesa del ponte di mezzo, inforcando un'olandesina, vaporosa di riccioli e strizzata di jeans sbrilluccicosi e cache-coeur, riconosco in timoroso bolide la donna cannone.
la donna cannone -non v'ingannate- la dico così per via che porta uno strano cognome e delle bombe omonime.
in un lampo sott'occhio m'è parso d'intuire il french manicure abbarbicato sulle leve dei freni.
aveva espressione di preoccupazione cinetica, le scarpine di vernice aperte sulla punta, il mezzo tacco in cabrata sui pedali come a voler frenare, la borsetta ciondolante assicurata alla spalla e nel viso, smascherato dalla consueta studiata espressione seduttiva, il pensiero evidente al treno, alla stazione in fondo a corso italia.
un moto di tenerezza a pensarla vestirsi di quell'espressione quando volge lo sguardo dall'odiato excel a chi le cicisbea apprezzamenti dalla soglia vetrata del suo ufficio.
sospirosa, sventaglia ciglia e concede formali sorrisi e birignao.
ho sempre sospettato che invece pensasse a quanto le dolessero i piedi, in quei momenti.
ora che l'ho vista concentrata in discesa come fosse niki lauda tanto da dover disarmare tutto l'arsenale di civetterie che tiene pronte in canna è come se l'avessi vista nuda.
non è male, no. e certamente c'è la sua differenza.
avrei preso il treno un'ora dopo per venire qui a milano, ancora il sorriso addosso per queste donne sguarnite.
le pensi così difficili, così complesse e poi le scopri impacciate subito sotto il fondotinta.
le pensi così bonariamente ridicolizzabili e poi una sconosciuta su skype ti saluta calorosamente svenevole.
- ooooh! finalmente!
- scusami, ci conosciamo?
- hihihihihihihi
non ti ricordi?
- sono costernato ma no
- ma dai! al corso
- al corso di?
- al tuo corso di costruzione di macchine! ma ho fatto un bel po' di assenze
- abbia pazienza non avevo fatto mente locale
- e sono indietro col programma. prossima lezione vengo però ;)
- e temo di non poterle più dare del tu
...
non se n'è data per inteso e ha continuato imperterrita.
ricorda paola turci.
faccio un lavoro difficile.
molto difficile.