[Remix] Il mistero del chimico di Whitby - 1/3

May 01, 2011 22:34

Autore: minnow90.
Titolo: Il mistero del chimico di Whitby;
Fandom: Sherlock Holmes [movieverse];
Personaggi: John Watson/Sherlock Holmes, il morto, qualche cattivo assolutamente inventato e privo di qualsivoglia spessore, e un fantomatico quanto inutile Ispettore Patel per l’occasione (Lestrade era decisamente troppo figo per questo ruolo inutilissimo u.u...xD);
Parte: 1/3;
Rating: NC17 complessivo, PG13 per il capitolo;
Conteggio Parole: 4.142/16.624 circa;
Riassunto: Dieci anni dopo gli eventi accaduti nel film. John Watson alle prese con (in ordine strettamente casuale xD): la follia di Holmes, un caso che suo malgrado si trova costretto a seguire, la più odiosa ed estenuante vacanza della sua vita.
Avvertimenti: È una movieverse. Peggio ancora, è la mia prima movieverse. Movieverse nella mia percezione del film significa che: Holmes è da schiaffi (persino più che nel canone, intendo) e saltuariamente lo si può trovare a raccogliere margheritine; Watson è esaurito - letteralmente (persino più che nel canone intendo), non lo sopporta e, per inciso, ne ha ben d’onde; inseguimenti e scazzottamenti assolutamente leciti (e Watson ha una gamba e una spalla ferita, come si dice da noi, “ppi cumpassa” - che per chi non ha familiarità col siciliano sarebbe tradotto in: ce le ha, ma anche no u.u) e ah, sì, humor decisamente meno victorian style e più american modern style xD. Bon, non dite che io non vi ho avvisato u.u
Note: Scritta in occasione del Sherlock Holmes Remix 2011 di holmes_ita. La storia remixata, per vostra informazione e norma (ovvero sia, correte a leggerla u.u) è di quel piccolo amorino mio di pachelbel90: My life would suck without you.
Ah, per inciso, l’assunzione che la casa in campagna di Mycroft (citata nel film) sia a Whitby e che Holmes ci sia cresciuto, è assolutamente ARBITRARIA u.u

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Era una fredda mattinata di Dicembre, un mese che non ho mai apprezzato per tanti motivi e nessuno in particolare. Ero assorto nella lettura quotidiana del mio giornale - annoiato come rare altre volte - Holmes disperso chissà dove e non ero neanche certo di volerlo sapere.

Sperai con tutte le mie forze che non tornasse ancora per un po’.

Forse, dopotutto, sarei finalmente riuscito a leggere fino alla terza pagina - un record senza precedenti, considerato che quando il mio persecutore era in casa non potevo nutrire la benché minima speranza di arrivare alla terza riga della prima.

«Mio caro Watson!»

Eccolo.

E non ne fui neanche particolarmente sorpreso. Il mio inestimabile compagno, dopotutto, aveva sempre avuto questa sua particolarissima capacità di entrare in una stanza nel momento in cui meno lo si desiderava, neanche fosse il Demonio in persona a preoccuparsi di chiamarlo ogni volta.

Sospirai rumorosamente, richiudendo il giornale sulla piega. Nemmeno oggi avrei provato l’ebbrezza di sapere cosa era misteriosamente celato dalla prima pagina del giornale in poi - mi arresi.

Holmes - come sempre - finse di non farci caso. O forse non finse affatto: sempre più spesso mi domandavo - e ormai erano passati più di quindici anni dal nostro primo incontro e circa dieci da quando avevo avuto la sciaguratissima idea di lasciare quella santa donna per lui - se dietro il suo grandissimo genio non si celasse in verità un perfetto idiota. In realtà sapevo con pacifica certezza che così fosse, ma mi piaceva lasciargli il beneficio del dubbio.

«Allora?» Mi chiese, eccitato come un bambino, mentre cominciava a spogliarsi del suo travestimento. Un prete? Un clown? Un agente di borsa? Un ispettore di polizia? Non intendevo spendere un solo istante del mio prezioso tempo a pormi la domanda.

«Allora cosa?» Mormorai chiudendo gli occhi e facendo cadere di peso la testa contro la poltrona.

«Non mi chiede dove sono stato?» Domandò ad alta voce. Mi aspettavo che da un momento all’altro cominciasse a saltellare per l’entusiasmo.

«Dov’è stato.» Gli feci eco sconfortato, arrendendomi all’inevitabile. Adesso avrebbe cominciato a parlare. Per ore. Di nuovo. Nessuna speranza che smettesse prima di cena. Qualcuno lassù mi odiava - stabilii. Profondamente.

«Ha in mente la donna che si è presentata...»

Quel pomeriggio avrei avuto tre appuntamenti. C’era Mr. Bartleby per le quattro; Mrs. McFerran - una simpatica massaia di origini scozzesi con le fattezze di una donna e il carattere del generale del mio battaglione - subito dopo. E avrei chiuso il giro di visite con il giovane Davies.

«... a quel punto ho quasi rischiato di essere scoperto perché...»

Considerai che avevo quasi finito l’anestetico - e non ricordavo di averne usato così tanto, per cui Dio solo sapeva che uso aveva deciso di farne Holmes stavolta, avrei dovuto controllare le condizioni di salute del povero Gladstone, quel cane disgraziato non aveva più l’età per certe cose - e avrei anche dovuto chiedere a Mrs. Hudson di essere tanto gentile da farmi una commissione, ma volendo il mattino successivo sarei stato libero per cui forse non ce ne sarebbe stato bisogno.

«... può immaginarsi, amico mio, che a quel punto...»

Ma si poteva sapere - in nome del cielo - perché mai fosse coperto da tanta fuliggine? Cosa aveva quell’uomo contro l’igiene? E cos’aveva tanto da gesticolare!

«...avrebbe dovuto vedere la faccia di quel vecchio caprone di...»

Gettai un occhio al giornale, sospirando di rimpianto. Forse avrei potuto leggerlo nel pomeriggio, con un po’ di fortuna.

«Watson, mi sta ascoltando?» Mi domandò a un certo punto, interrompendosi di scatto.

«Certamente.» Risposi, improvvisando un sorriso in cui era scritto a chiare lettere quanto francamente irritante lo trovassi tutte le volte che apriva bocca. Neanche a dirlo continuò come se nulla fosse.

«E cosa pensa?» Chiese, sorridendo estasiato.

«Penso che lei abbia l’urgente necessità di un bagno.» Commentai secco. Fu spiazzato per qualche secondo, ma non di più.

«Insieme?» Sorrise malizioso, sollevando un sopracciglio.

Mi trattenni dal ridere, non intendevo dargli questa soddisfazione neanche se avessi avuta puntata una pistola alla tempia.

«Non credo le converrebbe. Valuterei seriamente la possibilità di tenerle la testa sott’acqua fino al suo totale annegamento. Temo sia verosimilmente l’unica maniera per stare in silenzio in sua presenza.» Commentai con una certa secchezza.

«Non si preoccupi. Il vantaggio della sua compagnia è proprio che in caso di necessità c’è sempre un dottore negli immediati paraggi...» Ribatté, subdolo, sporgendosi verso di me e poggiando le mani sui braccioli della mia poltrona.

«Resta comunque da stabilire se in caso di necessità il dottore in questione non potesse essere già impegnato a fare qualcos’altro di più importante.» Risposi, senza battere ciglio, fingendo platealmente di ignorare la sua vicinanza.

«Qualcos’altro di più importante del salvare la vita del suo amico? E cosa potrebbe esserci di tanto importante?» Domandò, simulando indignazione.

«Ogni sorta di cose,» Feci notare, atono. «ho una vaga ragione di credere che anteporrei addirittura l’ipocondria di Mrs. Simon alla sua irritante compagnia, Holmes».

«Vedo che non sono ben accetto.» Riprese, con finta noncuranza.

«E se ne accorge soltanto adesso? La sua intelligenza è decisamente sopravvalutata, ne sono convinto da anni... nessuno che mi dia mai retta.» Risposi asciutto, stendendo le gambe sul tavolino e sistemando meglio la schiena contro la poltrona.

«Eppure, dottore, mi lasci fare un’osservazione del tutto banale, la prego.» Ghignò malevolo. E quel ghigno non mi piacque. Per niente.

«Come se io potessi non lasciarle fare qualcosa.» Osservai, caustico.

«Lei è ancora qui.» Sghignazzò, poggiandomi il mento sulla testa - dispettoso come un bambino. Sbuffai seccato. Un bambino di quattro anni - ne avevo l’assoluta certezza - sarebbe stato meno appiccicoso, meno fastidioso e meno egocentrico.

«Le ho già esposto anni fa la mia teoria sul mio essere evidentemente psicologicamente disturbato a seguirla, mi pare.» Risposi prontamente, lungi dal darmi per vinto. «Pensavo che avesse una memoria migliore. Un altro punto in più riguardo la sua tragica sopravvalutazione, suppongo.» Continuai, riappropriandomi del giornale.

Si sollevò da me, finendo di spogliarsi. Gli lanciai uno sguardo di sfuggita.

«Non si ecciti.» Sghignazzò, con un chiaro riferimento a quando mi ero ritrovato ad avanzare contro un tritacarne con la testa in mezzo alle cosce della Adler e l’unica soluzione che la sua mente geniale era riuscita ad elaborare fu privarmi della cintura. In nome del Cielo, erano passati dieci anni e ancora passavo un’indegna quantità di tempo a chiedermi che razza di problema mentale dovessi avere per farmi consapevolmente trascinare in situazioni del genere.

«Dunque qual è il suo prossimo caso?» Domandai, ignorandolo.

«Cosa le fa pensare che ce ne sia uno?»

«Lo spero. Altrimenti mi toccherà di nuovo spiegare ai miei pazienti perché si sente odore di polvere da sparo in casa. Non è una buona pubblicità per il mio studio medico.» Commentai tagliente.

«E se non volessi accettare subito un nuovo caso e non volessi nemmeno rinchiudermi in stanza a sperimentare...?»

«Sperimentare la resistenza dei miei nervi?» Lo interruppi, con finta ingenuità.

«No, davvero, sono serio».

«Non ne sarebbe capace.» Risposi secco, assolutamente convinto di quello che stavo dicendo.

Mi guardò attentamente, senza rispondere.

«Stavo pensando...» Esordì a un certo punto il torso ancora nudo mentre gattonava tastando il terreno.

«Non mi dica!» Esclamai ironico e smise di parlare, indispettito.

«Cosa?» Sbottai infine, esasperato, quando capii che non avevo altra scelta.

«Ma dove l’avrò messa... ah, eccola!» Esclamò, raccogliendo una vestaglia da sotto il divano - ma come Diavolo era finita lì sotto? Non avrei mai smesso di rimanere sconvolto. «Dicevo... stavo pensando...»

«Ha in progetto di terminare la frase prima o dopo che Mrs. Hudson serva la cena?»

Mi regalò un sorriso platealmente forzato.

«Certamente. Pensavo... per farla breve pensavo di accettare l’offerta di mio fratello - quella di cederci la sua tenuta di campagna per un paio di giorni - potrebbe essere oltremodo ricreativo... sa, per l’occasione».

Aggrottai le sopracciglia.

«Quale occasione?» Domandai, sospettoso. Mi guardò a lungo e in pochi secondi una lista di sentimenti sfilò nel suo volto. Sorpresa, sbigottimento, delusione. Poi sorrise.

«Nulla.» Ma quello era un “Nulla” tanto quanto io ero uno yarder.

«Non è il mio compleanno, né il suo.» Feci notare, cauto. Brancolavo nel buio, e se mi stavo scordando qualcosa di importante Holmes sarebbe stato capacissimo di legarselo al dito per tutta la vita.

«Non ho idea di quando sia quello di suo fratello, ma non vedo perché in occasione del suo compleanno dovrebbe lasciare la sua tenuta di campagna a noi...»

«Watson, davvero. Per quanto divertenti io possa trovare i suoi sparsi tentativi di fare una deduzione degna di questo nome, le consiglio vivamente di limitarsi alle sue diagnosi. Non è davvero portato.» Rise. Non credetti a quella risata neanche per un istante. «Era solo per dire. Non ci andiamo.» Tagliò corto, guardando il soffitto con aria interessata.

Ma certo. Perché non mettersi a fischiettare, a questo punto?

«Pensavo solo che avrebbe potuto interessarle, tutto qui. Un paio di giorni in pace, lontano dai miei clienti, dai suoi pazienti, dalla nonnina.» Rimarcò velenoso quando intravide Mrs. Hudson entrare nel soggiorno.

«Lei non sarebbe capace di stare neanche cinque minuti di buon umore senza un caso fra le mani, figuriamoci isolarsi per giorni in una casa in campagna chissà dove...»

«Whitby.» Mi informò entusiasta.

«Whitby?» Chiesi, sospettoso.

«Whitby! Contea nel North Yorkshire, a quarantasei miglia da York, sulla foce del fiume Esk...»

«Sì d’accordo non ho bisogno di...»

«...13.594 abitanti, fiorente porto di pescatori...»

«Holmes!»

«Mi scusi,» Sghignazzò. «Allora? Che ne dice?»

«Lei odia la campagna!»

«Niente affatto. E lei ha tutta l’aria di essere stanco.» Incrociò le braccia, trionfante, consapevole di avermi in pugno. «Un paio di giorni senza indagini non mi uccideranno certamente...»

«Ci crederò quando lo vedrò».

«Potrà vederlo già domani, se lo desidera».

«In campagna? Senza indagini? E lei è disposto a promettermelo?» Lo sfidai, sarcastico.

«Assolutamente.» Annuì.

Quella me la dovevo davvero vedere.

*********

Eravamo seduti nello scompartimento del treno da venti minuti. E da venti minuti non aveva cessato di parlare un istante. Non uno solo. Per un attimo pensai ai criceti che giravano instancabilmente sulla ruota tramutando il loro moto in energia.

«...fu George Hudson a completare la rete ferroviaria che collega Whitby con East Riding e York appena sessant’anni fa - cinquantanove per l’esattezza - che ne pensa, amico mio? Dovremmo chiedere a Mrs. Hudson se esiste una qualche parentela? Ne dubito. Se fosse così ben messa non ci tormenterebbe con l’affitto ogni mese puntuale -taccagna! - come la Signora con la Falce. Consideri che la località è...»

Sarebbe stato un ottimo criceto in un’altra vita, senza dubbio.

«...senza contare che sono cresciuto in questi luoghi, questa tenuta è stata dei miei genitori prima di essere di Mycroft, potrei farle visitare il posto! Sono certo che per un animo romantico come il suo l’Abbazia offra diversi spunti. Per non parlare della chiesa di Saint Mary, dovrebbe essere interessato, dopotutto ha già dimostrato di apprezzare il nome in maniera particolare...»

Feci una smorfia scocciata continuando a guardare fuori dal finestrino, sbuffando. Ero giunto alla conclusione che lo facesse esclusivamente per irritarmi - peraltro riuscendoci egregiamente - e non gli avrei dato la soddisfazione di discuterne neanche per un secondo.

«... ma guardi queste case di campagna! Le une così distanti dalle altre! Commettere un crimine in un posto come questo sarebbe così spaventosamente facile...»

Alzai il viso per lanciargli uno sguardo eloquente. Mi aveva convinto a seguirlo in questo suo ennesimo colpo di testa per staccare. Certamente non avevo la benché minima intenzione di lasciarmi trascinare a destra e a manca a caccia della criminalità di Whitby. Dovette leggermelo in faccia perché subito corresse il tiro.

«Stavo solo parlando per ipotesi, amico mio. Solo pure congetture ed ipotesi.» Si difese, alzando le mani teatralmente. Gli lanciai una seconda occhiata scettica e tornai a guardare il paesaggio. Si presentava davvero come un bel posto. Forse sarebbe stato piacevole, dopotutto. Anche Holmes sapeva rivelarsi una compagnia piacevole - quando voleva. Quando ero fortunato. Quando davvero era di buona - ottima - volontà.

«Pare che sia la nostra fermata! Peccato interrompere così la nostra chiacchierata...»

Repressi un sorriso e scossi la testa sconfortato, mancando di fargli notare che non avevo aperto bocca una singola volta.

«Ha qualche progetto in particolare, amico mio?» Mi domandò in fretta. Sapevo che non avrebbe aspettato la mia risposta quindi non mi preoccupai neanche di affrettarmi a formularne una. «In caso contrario potrei proporle un giro della città? Potremmo recarci nell’abitazione di mio fratello, lasciare disposizioni alla governante circa la sistemazione dei nostri effetti e poi sfruttare quel che resta di una così bella giornata facendo un giro... che gliene pare?»

A dimostrazione del fatto che nulla poteva importargli meno che di cosa me ne pareva fermò la prima carrozza con un gesto della mano, dando precise indicazioni al conducente.

Mi presi un secondo per osservarlo stupefatto, la sua energia non finiva mai di sorprendermi. Quanto a me avevo solo voglia di stendermi in un letto - preferibilmente con quell’insopportabile individuo al mio fianco - e di restarci per un periodo indefinito di tempo. Non per forza dormendo, è chiaro.

Mi aiutò a salire - il passare degli anni non aveva per niente migliorato le condizioni di salute della mia gamba, affatto - ma in maniera molto casuale, senza darvi peso apparente. Queste ultime erano esattamente il genere di accortezze per le quali di tanto in tanto mi investiva prepotente e improvvisa la precisa consapevolezza del perché ero lì con lui e non altrove.

«Sa, dottore?» Sghignazzò una volta preso il posto, guardandomi divertito. «Il panettiere in fondo alla strada ha appena tornato il resto sbagliato a quella povera anziana, e lo ha fatto assolutamente di proposito...»

«Holmes! Come Diavolo ha fatto a... no! Non lo voglio sapere!» Mi corressi subito, non appena lo vidi prendere la carica presumibilmente per lanciarsi in una delle sue spiegazioni chilometriche che di solito mi interessavano come le previsioni del tempo di un posto dove non dovevo andare.

Il vetturino schioccò la frusta e in pochi istanti la carrozza fu in moto.

Sapevo fin troppo bene cosa significavano tutte quelle chiacchiere inutili del mio amico. Che si stava annoiando. Di già. Non eravamo neanche arrivati e si stava già annoiando. Di solito blaterare come se non ci fosse un domani era uno dei suoi rimedi contro il tedio. Quello, e drogarsi con sostanze usate nella medicina oculistica. Per quanto masochistico nei confronti della mia stessa persona, continuavo a preferire il suo blaterare come se non ci fosse un domani.

«Prenda nota che lo sto dicendo,» Lo sfidai, tra il divertito e lo sconfortato. «lei non riuscirà a stare con le mani in mano questi cinque giorni neanche durante il sonno. Non siamo neanche arrivati e ciancia di panettieri disonesti e abitazioni naturalmente predisposte al crimine».

«Dottore! Non mi insulti! Le ho dato la mia parola!»

«E io non le credo».

«Perché mai, mi domando?»

«Si sta già annoiando...»

«Non è esatto».

«La conosco meglio di quanto non le piacerebbe... purtroppo e mio malgrado.» Sentenziai, strappandogli un sorriso furbo.

«La biblioteca di mio fratello le piacerà senz’altro. Potrei azzardarmi a dire che è una delle più fornite di tutta l’Inghilterra».

«E posso domandarle questo cosa c’entra?» Scoppiai a ridere, seguito a ruota da lui.

«Eccellente! È tutto il giorno che cerco di estirpare quell’espressione cupa dal suo viso, mi sento moderatamente soddisfatto...»

Al Diavolo! Lui e il suo compiacimento!

«Moderatamente?» Osservai, incuriosito.

«Sarò pienamente soddisfatto solo quando saremo arrivati a casa, mi avrà levato - trova che strappato suonerebbe più appropriato? - tutti i vestiti di dosso e posseduto nella stanza da letto - o anche sul tavolo della cucina, non ho obiezioni in proposito, sempre che ci curiamo di dare al personale la giornata libera - fino a lasciarmi stremato su me stesso privo di sensi. Adesso lei osserverà certamente che una carrozza pubblica non è il luogo ideale per una conversazione del genere, e quindi io - come da copione - sarò costretto a dire qualche frase di circostanza, possibilmente particolarmente stupida, e impedirle di protestare baciandola. Possiamo dunque saltare la parte della protesta e passare direttamente al bacio? Non mi fraintenda, lo faccio nell’ordine del più mero ed elementare risparmio di tempo.» Sghignazzò, poggiando i gomiti sulle ginocchia e protendendosi nella mia direzione.

Ho già detto di quanto francamente insopportabili e irritanti io trovi i modi della persona con cui ho scelto di accompagnarmi?

«Per colpa sua finirò i miei giorni in una clinica psichiatrica, pretendo che lei lo sappia.» Risposi fra i denti, portando una mano dietro la sua nuca di lui, fra le ciocche disordinate e scomposte - non gli sarebbe costato poi molto dare loro una parvenza di decenza, andiamo! - e spingendo il suo volto contro il mio.

«Beh, in qualità di dottore è probabile che...» Biascicò fra le mie labbra, sghignazzando.

«In qualità di paziente! O in alternativa su un patibolo, giustiziato in quanto assassino di Sherlock Holmes... oh questa sì che è un fine possibile.» Lo interruppi, sempre con la bocca sulla sua, senza lasciarlo andare.

Prima di quanto potessi immaginare mi aveva sbottonato la giacca, i due bottoni superiori del panciotto e - appoggiando la schiena contro la parete del suo sedile - mi stava tirando per la cravatta contro di lui.

«Che lei sia dannato in questo istante, Holmes! Siamo in una carrozza pubblica!»

«Bene, adesso se non c’è nient’altro di ovvio e del tutto evidente che sente la necessità di rimarcare, potrei proporle un modo decisamente più interessante di impiegare il suo prezioso fiato...» Mi ignorò del tutto, aggredendo senza esitazione alcuna quel punto appena sotto il lobo del mio orecchio.

In quel momento, mentre chiudevo gli occhi cercando di non emettere il sospiro di resa che avrebbe decretato miseramente la fine delle mie proteste, lo detestai con un’intensità senza pari.

Sentii Holmes sghignazzare col viso nascosto dentro il mio collo - prova inconfutabile del fatto che era consapevole e cosciente di starmi facendo perdere il senno, che in tutta probabilità lo stava facendo a bella posta, che stava traendo soddisfazione personale dal farlo e che, per inciso, ci stava riuscendo più che degnamente.

Quell’uomo era il figlio del Demonio - stabilii. Sempre ammesso che non fosse il Demonio stesso in persona. Il che era parimenti probabile, in fondo.

Mentre cercavo di formulare le parole adatte per fare capire a quel bambino troppo cresciuto che eravamo in una carrozza, che presto saremmo arrivati e che non c’era nulla che stessimo facendo lì che non potessimo fare al sicuro tra le quattro mura di una casa, la frenata improvvisa del vetturino fece sobbalzare entrambi.

Seguirono frenetici secondi impiegati nel cercare frettolosamente di ricompormi. I vestiti del mio compagno non erano più in ordine dei miei, ma Holmes aveva dalla sua che i vestiti che aveva indosso erano sempre disordinati. Per questo motivo non si curò nemmeno di sistemarsi prima di scendere dalla carrozza per interrogare il conducente.

«Che è successo?» Lo sentii domandare.

«Alzi gli occhi e lo veda da lei.» Disse il vetturino, un po’ scosso. Non appena la mia cravatta fu nuovamente dentro il panciotto; il mio panciotto fu nuovamente abbottonato, come anche il mio giubbotto, scesi anch’io, stavolta - in assenza di Holmes - appoggiandomi al bastone da passeggio.

Lo spettacolo che mi ritrovai davanti in effetti sorprese anche me e non mi meravigliai che il ragazzo fosse tanto scosso. Una folla di persone bloccava il passaggio della strada, ammassata davanti al portico di una casa in condizioni obiettivamente penose.

«Cos’è successo?» Domandai io stesso, ma stavolta ad uno degli astanti.

«Un morto. Ammazzato. Ossignore, che noi ci dobbiamo mica spaventare? Morto ammazzato, glielo dico io! Stecchito! Una brutta storia, giuro Dio una brutta storia... noi non lo conoscevamo mica, nossignore. Ma c’era puzza di carogna, ormai si sentiva da lontano la puzza di carogna, e non si poteva mica stare con quel tanfo, nossignore. Così il ragazzo, il piccolo Richard, è quello lì, sissignore, quello con i calzoni un po’ strappati - ma sa noi siamo gente che non ci abbiamo mica tanti soldi quindi bisogna tirare avanti, lei è un Signore distinto, lei capisce - ha scavalcato il recinto per vedere, ed era tutto bianco quando è tornato, tutto spaventato era. Poverino. Se lo sapevamo non ci mandavamo mica un ragazzino, eh! E c’era questo qui. Morto. Di sicuro ammazzato, non c’è dubbio. Ma noi non lo conoscevamo mica, no, no. Sulla mia parola, non ci sapevamo manco chi ci abitava. Se non era perché per le luci accese manco ci sapevamo che ci abitava qualcuno lì, eh!»

Neanche a dirlo di Sherlock Holmes non c’era più traccia alcuna - e che speranze potevano nutrirsi in merito? - lo immaginavo già a zampettare con l’entusiasmo di un bambino il giorno di Natale in mezzo alla folla, facendosi largo fino al cancello principale.

Con un sospiro nervoso e rassegnato, avanzai con l’aiuto del bastone verso dove ero assolutamente certo l’avrei trovato.

E infatti eccolo, le mani strette dietro la schiena - grondante della più imbarazzante ed inadatta esaltazione, data l’infelice circostanza - immerso in un’animata discussione con quello che immaginai dovesse essere l’ispettore a cui era stato affidato il caso.

«Oh, Watson, eccola, mio caro! Lasci che le presenti l’Ispettore Aaron Patel... un chimico, dunque?» Continuò subito, evitando molto intelligentemente di guardarmi in faccia. Mi avrebbe trovato livido.

«Oh sì, certamente. Un chimico. Samuel Bartholomew Jones, ha conseguito la laurea presso l’University College London, nel campus di Bloomsbury, abbiamo già provveduto a verificare... ma non c’è affatto bisogno del suo aiuto, signore. Abbiamo sufficienti motivi di credere che non si tratti di nient’altro che un tentativo di furto. La casa è stata messa a soqquadro e non c’è traccia di oggetti di valore per cui...»

«Certamente! Certamente! Non le dà fastidio se entro giusto un secondo, non è vero?» Il povero Ispettore Patel - al quale se non la mia stima andava comunque tutta la mia sincera compassione - non fece in tempo a dire che sì, gli dava molto fastidio, che Sherlock Holmes lo aveva già superato ed aveva rapidamente percorso il vialetto che conduceva all’entrata dell’abitazione a grandi falcate.

Tutto questo senza guardarmi in faccia una singola volta.

Fu molto furbo da parte sua farlo, bisogna dargliene atto. D’altra parte tutto si può dire di Sherlock Holmes tranne che non sia qualcuno in grado di manipolare a suo piacimento le situazioni ed altrettanto capace di evitare quelle che meno gli aggradano.

Non esagero se dico - proseguendo con la similitudine di cui sopra - che si gettò sul cadavere come lo stesso bambino sui regali sotto il pino.

«Un chimico, eh?» Il suo tono era incredibilmente ironico, ma non proseguì. Immaginai che dietro quell’ironia ci dovessero essere ore di spiegazioni noiose quanto inutili e quindi mi trattenni caldamente dall’interrogarlo in merito.

«E un furto? Dice?» Continuò, il suo tono ancora più ironico del precedente.

Il povero Ispettore Patel - sì, ho la vaga idea che continuerò ad onorarlo di questo epiteto ancora per qualche tempo - lo guardò sconvolto e poi mi lanciò la tipica occhiata che mi lanciano tutti il giorno del loro primo incontro con Sherlock Holmes. Ovvero quella che sembra sempre inequivocabilmente domandare “È forse sfuggito al campo di internamento più vicino?”. Tutte le volte la voglia che ho di rispondere affermativamente è imbarazzante e non mi fa per niente onore.

«E questo odore cos’è?» Disse Holmes improvvisamente, alzandosi all’impiedi in un balzo. Continuò ad annusare l’aria, cercandone la fonte, apparentemente senza successo.

«Mio caro ispettore, mi può credere quando le dico che quest’uomo può essere tutto ciò che più vi aggrada ma non è un chimico e che qualunque sia il movente dell’omicidio certamente non è la rapina! Ma questo odore mi domando... dovremmo indagare.» Disse, e per la prima volta incrociò il mio sguardo che, non ho alcun dubbio in merito, esprimeva solo ferocia.

Lo vidi interrompersi un istante e deglutire.

«Dovreste indagare. Mi domando perché non vi siate ancora posti dei dubbi sulla natura di questo odore. Io certamente non posso farlo, sono qui in vacanza... buona fortuna Ispettore Patel, sono certo che riuscirà a gestire il caso in maniera eccellente...»

Strano che non avesse fatto alcuna battutina in proposito, pensai.

«...come tutti i suoi colleghi a Scotland Yard, del resto...»

Ecco, appunto.

Si avvicinò a me, guardandomi con espressione angelica.

«Holmes lei mi darà la sua parola d’onore qui, ora, che non passeremo i nostri cinque giorni di vacanza a Whitby indagando sulla morte di quel chimico...» esordii, sibilando minaccioso.

«Oh, non è un chimico questo è poco ma si...»

«Qualunque cosa sia!» Sbottai, esasperato.

«Dottore, si rilassi, davvero. Non ha motivo di preoccuparsi, le sto dando la mia parola...»

Già, mi stava dando la sua parola. E allora perché non mi sentivo affatto più tranquillo?

slash, fanfiction, iniziativa: remix, personaggio: john watson, autore: minnow90, rating: nc17, pairing: holmes/watson, personaggio: sherlock holmes

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