Fandom: Sherlock Holmes;
Pairing: Holmes/Watson;
Rating: Pg-13;
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico.
Warning: Slash, Song-Fic;
Summary: Il mio amico e coinquilino mi aveva confidato il suo recente fidanzamento con la signorina Morstan, la quale era stata nostra cliente nel caso che lui ha soprannominato “Il segno dei quattro”, ed io ero oltremodo felice che avesse ripreso ad esercitare la sua professione, perché non ero più capace di sopportare la sua presenza.
Note: Scritta sul prompt 06 - “Me la cavo da sola. Buona giornata” del
Set8 di
10disneyfic , sulle note e le parole di
“Forever” dei Kiss (il testo originale
QUI), come pegno a
gondolin_maid , che l’ha vinta in
questo giochino sul mio
LJ.
DISCLAIMER: Tutti i personaggi delle saga di Sherlock Holmes non sono opera mia, bensì della mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle. Dato, però, che i diritti d’autore sono ormai scaduti, stappiamo tutti insieme lo spumante ed appropriamocene beatamente! XD Ah, ovviamente non mi paga nessuno, anche perché altrimenti il succitato autore si rivolterebbe nella tomba, poverello.
Echo of a Promise I Made
Ti devo dire come mi sento dentro, potrei mentire a me stesso, ma è vero
Non sono falso quando ti guardo negli occhi, piccolo, sono pazzo di te.
Ho vissuto così tanto tempo pensando che l’amore fosse completamente cieco,
ma ogni cosa su di te mi sta dicendo che è ora. È per sempre, questa volta lo so e non ho nessun dubbio.
Per sempre, fino alla fine della mia vita, piccolo ti amerò per sempre.
In tutta franchezza, ricordo quel periodo come uno dei più spiacevoli della mia convivenza con il Dottor Watson. O per meglio dire, se mai vi è stato uno, si tratta senz’altro di quello.
Il mio amico e coinquilino mi aveva annunciato il suo recente fidanzamento con la signorina Morstan, la quale era stata nostra cliente nel caso che lui ha soprannominato “Il segno dei quattro”, ed io ero oltremodo felice che avesse ripreso ad esercitare la sua professione, perché non ero più capace di sopportare la sua presenza.
La sola idea che stesse per andarsene, che mi stesse scivolando come sabbia tra le dita, era sufficiente a togliermi il fiato. Provavo una costante insofferenza nei suoi confronti, che mi portava ad allontanarmi, come se mettere più distanza possibile tra noi servisse ad abituarmi alla sua assenza totale, che avrei dovuto sopportare a breve.
Quando ci trovavamo nella stessa stanza, sentivo sempre più impellente la necessità di stordirmi e fare uso di quelle sostanze che lui tanto disapprovava, e ciò aumentava sensibilmente la tensione fra di noi. Per questo uscivo il più spesso possibile, senza più chiedere la sua compagnia anche nelle indagini in cui un compagno mi avrebbe fatto comodo.
Ogni volta che mi vedeva in procinto di uscire, Watson mi osservava speranzoso e mi chiedeva gentilmente se la sua presenza mi sarebbe stata utile, ma la mia risposta era sempre la stessa: «Non si preoccupi, ragazzo mio. Me la cavo da solo. Buona giornata» a cui seguiva l’inevitabile cigolio nella porta che mi chiudevo alle spalle.
Razionalmente sapevo che avrei dovuto approfittare della sua presenza il più possibile, perché tra qualche mese non avrei più potuto goderne, ma non ero capace di accettare quella situazione. Il problema non era nemmeno la signorina Morstan. Lei, in effetti, era una giovane attraente ed intelligente, e non potevo certo biasimarla per essere attratta dal mio amico. Ella o un’altra donna non avrebbe fatto differenza, non potevo fare a meno di sentirmi messo da parte.
Sento l’eco di una promessa che ho fatto:
“quando sei forte puoi startene da solo”,
ma queste parole si fanno più lontane quando ti guardo in faccia.
No, non voglio andarmene da solo;
non ho mai pensato che avrei lasciato il mio cuore per terra,
ma ogni cosa su di te mi sta dicendo che è ora.
Ciò che mi lasciava l’amaro in bocca, probabilmente, era anche il fatto che prima d’incontrare Watson non avevo mai sentito la necessità di avere qualcuno nella mia vita. Ero solo e non avevo bisogno di nessuno.
Lui, però, era riuscito ad insinuarsi con discrezione nella monotonia delle mie giornate fino a diventarne un parte importante - forse addirittura la più importante. E, benché non volessi veramente allontanarmi da lui, era l’unico modo che riuscivo a concepire per lasciarlo andare.
Ciò, com’è ovvio che sia, non lo rendeva affatto meno doloroso.
Avevo bisogno di riabituarmi a vivere per me stesso ed in sola funzione della mia persona. Non sarebbe dovuto essere difficile per un egoista come me, eppure mi resi presto conto di non ricordare più come mi fosse possibile vivere in solitudine. Sempre più spesso mi ritrovavo a dover fare mente locale per ricordare come fosse la mia vita prima di conoscerlo e avevo l’impressione di poterla dividere nettamente in due parti: quella prima dell’arrivo di Watson e quella dopo l’inizio della nostra convivenza.
Come impiegavo le mie giornate, prima? D’un tratto mi resi conto di quanto la mia esistenza in precedenza fosse stata vuota, e la sensazione si acuiva maggiormente quanto sentivo il bisogno di esternare un’osservazione e Watson non era accanto a me, o quando semplicemente notavo qualcosa d’interessante e pensavo fosse proprio il genere di faccenda che avrebbe attratto il suo interesse.
Vedo il mio futuro quando ti guardo negli occhi,
prendo il tuo amore per far risorgere il mio cuore,
perché ho vissuto così tanto tempo pensando che l’amore fosse completamente cieco,
ma ogni cosa su di te mi sta dicendo che è ora.
Non mi ero reso conto che la situazione fosse tanto difficile per entrambi, finché una sera Watson mi sbarrò il passo, impedendomi di lasciare il nostro appartamento.
«Mi permetta di accompagnarla» propose, ma in realtà parve più un ordine.
«Non è necessaria la sua presenza, amico mio. Si tratta di una faccenda da poco e lei di sicuro sarà stanco dopo la sua giornata di lavoro» cercai di scansarlo gentilmente, ma il dottore sembrava intenzionato a non permetterti di uscire senza di lui.
«Non si è mai fatto scrupoli ad approfittare del mio tempo» mi fece notare con uno sguardo determinato che gli avevo visto adottare solo nei più aspri scontri con i malfattori.
«E ho evidentemente fatto un errore. È il caso che mi corregga, visto che - comunque - a breve lei non potrà più aiutarmi» replicai più seccato di quanto avrei voluto lasciar trapelare.
«Certo, se lei non gradisce più la mia presenza…» ribatté, come se quello fosse l’unico motivo per il quale non avrebbe più potuto seguire i nostri casi.
«Non dica sciocchezze e non insulti la mia intelligenza» asserii con asprezza crescente. «Lei sta per sposarsi e mettere su famiglia, è chiaro che non avrà più tempo da dedicarmi».
«Il fatto che io mi trasferisca non implica che perderemo i contatti» rispose perplesso, quasi spaesato ed io percepii una risata amara risalirmi la gola.
Riuscii ad arginarla, ma questa si tramutò in un ghigno sulle mie labbra. «Non è mia abitudine mettere in pericolo un marito ed un padre di famiglia».
«Quindi sta dicendo che è lei a non volermi più con sé» come al solito confuse il senso delle mie parole ed io sentii il sangue salirmi alla testa con una velocità accecante. Se non mi fossi allontanato immediatamente avrei fatto qualcosa d’inappropriato.
«Mi lasci andare, Watson» sibilai.
«Non può andarsene così, Holmes» obbiettò ed io lo spinsi contro la porta prima di riuscire a contenermi.
«Crede davvero che io non la voglia più accanto a me?» domandai retoricamente, afferrandolo per il bavero della giacca «Io non la voglia affianco a nessun altro!» chiarii, schiacciandolo ancora di più contro l’infisso.
Le labbra di Watson tremarono, come se volesse dire qualcosa, ma non trovasse la forza, ed io fui costretto a chiudere gli occhi, perché averlo così vicino era troppo, davvero troppo. Posai la fronte sulla sua e sospirai, ispirando il suo profumo - una traccia del dopobarba e della pomata per baffi che usava la mattina, e quello più intenso del tabacco dei suoi sigari.
«Sto cercando di lasciarla andare, Watson. Faccia lo stesso, la prego» quella supplica accartocciò l’ultimo brandello d’orgoglio rimastomi, ma avevo già gettato il mio cuore ai suoi piedi, quindi che differenza poteva fare?
Le sue braccia m’incarcerarono all’improvviso, premendomi contro di lui. «Temo di non esserne capace, mi spiace» rispose, rifugiando il volto nel mio collo.
Un attimo dopo le mie labbra furono sulle sue. In tutta coscienza, non so chi si mosse per primo e francamente non m’importò, quel bacio era tutto ciò che avevo atteso per settimane, per mesi, forse per anni. Intrecciai le dita ai suoi capelli, impedendogli di scostarsi per quei pochi, preziosi minuti e Watson artigliò le mie spalle così forte che fui certo di poterne contare i segni il giorno dopo.
Tutto finì con la stessa rapidità con cui era cominciato, mi chiusi la porta alle spalle, precipitandomi giù per le scale e mi ravviai i capelli una volta che mi fui allontano.
Lasciai il mio coinquilino lì, accasciato contro la parete del nostro appartamento. Solo molti anni dopo - quando ormai Mary Morstan in Watson non era più tra noi - venni a sapere che il dottore aveva deciso di sposarsi per zittire i pettegolezzi che la nostra amicizia aveva inevitabilmente sollevato.
È per sempre, questa volta lo so e non ho nessun dubbio
per sempre, fino alla fine della mia vita, piccolo ti amerò per sempre.
FINE.
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