Sente le labbra di Artù sfiorare appena le sue, con una delicatezza che lo spaventa, tanto gli sembra estranea su quella bocca, piena, decisa, modellata appositamente per il comando. […] È la paura che gl'impedisce di sottrarsi a quel bacio figlio d'ebbrezza, ed è sempre la paura che gli schiude le labbra in una muta, ansante preghiera d'avere di più. (
zephan82 )
Merlino non è sicuro di come siano andate le cose, è successo tutto troppo in fretta.
Ricorda che lui ed Artù erano ad uno dei soliti banchetti che seguono le giostre, e l’alcool scorreva a fiumi. Infatti, era costretto quasi ogni due minuti a riempire nuovamente il calice del Principe, che si svuotava con una rapidità sorprendente, ed obbligato a sopportare le chiacchiere sciocche e le risate sguaiate dei cavalieri ubriachi.
D’un tratto, uno di questi ultimi si era permesso di allungare le mani su Gwen e, senza nemmeno rendersi conto di ciò che faceva, il Mago aveva stretto l’amica tra le braccia, strappandola da quelle ebbre del soldato.
«Cosa c’è ragazzo, vuoi prendere il suo posto?», lo aveva apostrofato l’uomo sconosciuto, ma certamente di nobile lignaggio, «Per me non fa alcuna differenza, sai… anzi, forse mi divertirei anche di più», aveva sibilato poi al suo orecchio, dopo esserselo tirato sulle ginocchia, e lui si era ritrovato fra le sue grinfie bramose, cercando furiosamente di scrollarsi di dosso quel corpo troppo imponente per le sue sole forze, mentre le dita di quell’impudente già s’insinuavano sotto la sua casacca.
All’improvviso, però, un rumore graffiante di metallo aveva sferzato l’aria, ed un attimo dopo la punta lucida ed affilatissima di una spada era puntata alla gola del molestatore.
«La pregherei di tenere le mani lontane dal mio servitore personale, Sir Pellinor», aveva sibilato la voce fredda e sorprendentemente lucida di Artù, ed il cavaliere aveva alzato le braccia in segno di resa, permettendo al valletto di sgusciare via.
«Merlino, sono stanco e vorrei ritirarmi, seguimi», aveva aggiunto poi l’Erede al trono, rinfoderando la spada senza scollare lo sguardo da quell’uomo nobile di sangue, ma non certo d’intenzioni.
Il giovane Pendragon aveva praticamente trascinato lo Stregone fuori dalla sala e, non appena erano arrivati nelle sue stanze, si era chiuso la porta alle spalle con tanto di chiavistello. Un attimo dopo le labbra del Principe erano sul quelle di Merlino, con una delicatezza che l’aveva spaventato, tanto gli pareva estranea a quella bocca piena, decisa, modellata appositamente per il comando.
Ed ora è la paura che gli impedisce di sottrarsi a quel bacio figlio d'ebbrezza, ed è sempre la paura che gli schiude le labbra in una muta, ansante preghiera d'avere di più.
La propria paura, che si è sentito strisciare addosso, quando le dita odiose ed irrispettose di quel cavaliere l’hanno sfiorato.
La paura di Artù che ha assistito alla scena, vedendoselo portare via.
La paura di entrambi per lo scandalo che certamente scoppierà a breve.
Ma soprattutto la paura di perdersi.
“Mi dispiace, non volevo” sembrano voler dire gli occhi di Merlino, mentre lo sguardo del suo signore lo rassicura, chiarendogli che non ha alcuna colpa, e le sue mani calde, gentili e possessive sembrano affermare “Sei mio, solo MIO!” e nient’altro ha importanza, finché il mondo resta chiuso fuori da quella camera.
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