Fandom: Merlin;
Pairing: Artù/Merlino;
Rating: NC17;
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico;
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spoiler!;
Beta:
Narcissa63;
Summary: Post 2.01 “The Curse of Cornelius Sigan”. La fiducia fra Merlino e Artù sembra essersi incrinata ed il primo decide di mettere alla prova il loro rapporto.
(Per la
Criticombola di
Criticoni e per il compleanno di
Lori)
Note: Questa fic è scritta per la
Criticombola di
Criticoni, con prompt 21 - “We need to swallow all our pride and leave this mess behind.” (Fairytale gone bad, Sunrise Avenue).
Dedicata a Lori che oggi copie gli anni <3 Elorie, non ci conosciamo ancora bene, ma sei sempre così gentile e disponibile che un regalino era doveroso, anche se so che non è niente di speciale ^__^ E’ anche un modo per ringraziarti, dato che sei stata la prima ad incoraggiarmi a scrivere su Merlin! Buon Compleanno e 100 di questi giorni!
Ringrazio, inoltre la mia, Morgana personale,
Narcissa63, che ha betato splendidamente anche questa fic!
Crepe da Rattoppare
Non ci sono più conigli nel mio cappello
che possano rimediare a questa situazione
Fuori dalla mia vita, fuori dalla mia testa
fuori dalle lacrime che non possiamo negare
abbiamo bisogno di inghiottire tutto il nostro orgoglio
e lasciare tutto questo casino dietro di noi *
Merlino posò con estrema delicatezza il piatto ed il bicchiere sul tavolo, augurando buon appetito al proprio signore, scostandosi di lato ed osservandolo mangiare, rimanendo in religioso silenzio.
Dopo qualche minuto, Artù sbatté più forte del necessario il calice sul ripiano di mogano, innervosito da quello sguardo fisso ed ancor più dal suo silenzio.
«Desiderate altro vino, Altezza?» domandò il valletto con una voce impersonale e rispettosa, così poco consona alla sua persona, accostandoglisi nuovamente con la caraffa tra le mani.
Il Principe lo guardò allibito, come se non lo riconoscesse.
Erano giorni che andavano avanti così: Merlino lo serviva con efficienza e precisione sconcertante, senza mai emettere un solo fiato più del necessario e tutto ciò, maledizione, non era affatto da lui! Non era da lui chinare il capo ed eseguire ogni suo ordine senza proteste, non era da lui quel silenzio composto e quella reverenza tanto servile. Artù, ovviamente, capiva che ci fosse qualcosa di sbagliato in tutto ciò, che il moro dovesse essere furioso per chissà quale motivo e che si stesse comportando in modo tanto formale, per esternare il suo sdegno ed il suo distacco, ma…lui non poteva fare nulla per scrollarlo, perché non poteva rimproverarlo! Quell’idiota si stava comportando talmente bene, che non aveva nulla di cui lamentarsi. Eppure quella situazione languiva inalterata da troppo tempo e l’aria attorno a loro era così tesa, che la si sarebbe potuta affettare con un coltello. Mai avrebbe immaginato che il continuo ciarlare di quel ragazzo, un giorno gli sarebbe mancato. Se c’era qualcosa che distingueva Merlino da tutti coloro che Artù aveva attorno, era il fatto che fosse l’unica persona, a parte Morgana, ad avere il coraggio di spiattellargli sempre le cose in faccia. L’unico a non prostrarsi ai suoi piedi in modo ipocrita, accondiscendendo ad ogni suo capriccio per paura, o desideroso di compiacerlo per brama di potere.
«Si può sapere che ti prende?» sbottò esasperato.
«Proprio nulla, mio signore, non capisco a cosa vi riferiate» rispose il Mago, con finta perplessità.
L’Erede al trono, però, non si lasciò incantare da quel falso stupore e venne subito al punto «Sono giorni che non parli».
«Sto parlando con voi anche adesso, Sire» replicò l’altro ed il biondo pensò che se solo avesse sentito un altro “Sire” gli sarebbe venuta una crisi isterica e gli avrebbe gettato il vino in faccia.
«Questo non è parlare, Merlino» ringhiò esasperato.
«Mi era parso di capire che non foste affatto interessato ai miei discorsi» ribatté pacatamente lo Stregone.
Artù lo scrutò stranito, aggrottando le sopracciglia: «Quando mai ti ho dato ad intendere una cosa simile?» domandò.
Il Servitore, nuovamente, non aprì bocca. Il Principe, però, lo vide contrarre nervosamente la mascella, chiaro segno di quanto si stesse trattenendo.
«Rispondi, Merlino!» lo incalzò allora.
«Non posso, mio signore, perché in tal caso vi mancherei di rispetto…e voi non volete ciò, giusto?» questi scandì lentamente le sillabe, come se il pronunciare ognuna di esse gli costasse un enorme sforzo e solo allora il biondo intravide quanta rabbia si stesse portando dentro.
«Certo che no» rispose automaticamente e lo Stregone annuì più volte, senza guardare un punto preciso, come se stesse riconfermando tra sé una propria convinzione.
«Vi sto creando scontento in qualche modo, Sire? Ho fatto qualcosa che non vi aggrada?» chiese dunque il valletto.
«No…» dovette ammettere il Delfino, seppur contrariato.
«Bene, in tal caso, se per stanotte non vi occorre altro, io andrei. Credo che Gaius abbia bisogno di qualche commissione» concluse il Mago, posando la brocca sul tavolo e facendo per avviarsi verso la porta.
Artù, però, lo trattenne per un polso: «Non hai ancora risposto alla mia domanda, Merlino. Cosa c’è che non va?» ripeté.
Quest’ultimo lo fissò con evidente sdegno e frustrazione: «Avete detto che volete un servitore migliore ed è ciò che sto cercando di essere. Niente di meno e niente di più» rispose lapidario.
«E’ per quella faccenda di Cedric!» comprese improvvisamente il giovane Pendragon «Credevo fosse un episodio chiuso».
Una risata amara sfuggì alle belle labbra del Mago: «Per voi lo è di certo» affermò, dando chiaramente ad intendere che per lui fosse tutt’altro.
«Non capisco dove stia il problema» ammise Artù, incrociando le braccia.
«Non avevo dubbi» replicò Merlino asciutto, impudente per la prima volta da giorni.
«Spiegami allora» ordinò l’Erede al trono, alzandosi in piedi per fronteggiarlo.
«Il punto è, che non dovrebbe esserci bisogno di spiegarvelo!» esclamò il servo «Avete preferito fidarvi della parola di qualcuno che non conoscete, piuttosto che della mia!»
«Tutto qui?» ribatté il Principe stupito e quasi… sollevato.
«Tutto qui…» ripeté in un sussurro ferito il valletto «Se credete che sia “tutto qui”, perché avete chiesto?»
«Merlino, le prove erano contro di te» rispose il futuro sovrano con quello che avrebbe voluto essere un tono ragionevole.
«Quali “prove”? Lui era l’ultimo arrivato, non era nessuno, mentre io sono al vostro servizio da un anno ed ogni cosa che ho fatto, da allora, l’ho sempre fatta nel vostro interesse!» sbottò.
«Sei un servo, come lui del resto. Era la tua parola contro la sua ed io ti avevo visto mancare ai tuoi compiti» chiarì con quella che era la sua logica da aristocratico. Ovviamente, se fosse stata la parola di un nobile contro quella di un servo, la prima avrebbe avuto senza dubbio più peso.
«Perché, essendo io un popolano, la mia parola non vale niente» ne dedusse l’altro «Dunque, che importanza può avere, ora, per voi?»
Artù scosse il capo, contrariato con il suo valletto e snervato dall’intera discussione: «Non ho mai fatto simili discriminazioni e mi sono sempre fidato di te».
«Stavolta non l’avete fatto. Avete dimostrato di non conoscermi per niente e di non attribuire alcun valore alla mia presenza».
«Non è così» sbuffò il Principe, esasperato «Io ti conosco bene» dichiarò convinto.
«Davvero? Sapete quanti anni ho?» domandò il valletto reale.
«Venti, come me. Siamo coetanei» rispose il Delfino corrugando la fronte, sempre più seccato dalla piega che stava prendendo quel discorso.
Un sorriso triste si affacciò sulla bocca di Merlino: «Ne ho ventuno, sono un anno più vecchio di voi» aveva quasi sperato che il suo signore sapesse la risposta esatta.
«No, non è vero» sorrise il Principe, stranamente infastidito dall’idea di poter davvero essere un anno più giovane del suo servo.
«Conoscete mia madre, credete che mi avrebbe lasciato partire se non avessi già raggiunto la maggiore età?» argomentò quest’ultimo.
«D’accordo, un anno in più o un anno in meno non fa differenza. Mi tieni il broncio come un bambino il cui genitore si sia dimenticato di mantenere una promessa!» esclamò il giovane Pendragon, alzando le braccia al cielo.
«Ed a voi che importa?! Se non vi interessa ciò che dico, se non vi fidate di me, che v’importa di come io stia? Che v’importa di me?!» sibilò Merlino.
«Io mi fido di te» controbatté Artù deciso.
«Non è vero, lo avete dimostrato chiaramente, e sapete qual è la cosa peggiore? Che vi ritenevo un amico. Io avrei messo la mia vita nelle vostre mani e voi, invece, mi considerate meno che niente».«Ti sbagli» affermò il più giovane con sicurezza, chiedendosi immediatamente dopo perché si stesse accanendo tanto nel dissuaderlo da quelle idee senza senso.
«Davvero? Allora cosa sono per voi?» chiese giustamente il ragazzo.
L’Erede al trono, però, non trovò una riposta. Lui era… Merlino, punto.
«Vedete? Non sono altro che Merlino, il vostro servitore e, come tale, non sono nessuno» concluse il Mago «Con il vostro permesso, mio signore» gli rivolse un breve ed artificiale inchino, prima di voltargli le spalle.
Un groppo amaro ed impossibile da deglutire ostruì la gola del Principe, il quale, ancora prima di rendersi conto di cosa stesse facendo, afferrò l’altro e lo fece voltare, intrappolandolo tra il proprio corpo ed il tavolo. Si fissarono con rabbia e dolore per diversi secondi, senza più parlare. Turchese nello zaffiro. Il cielo che si gettava nel mare.
«Se davvero credi questo, sei tu che in un anno non hai imparato a conoscermi nemmeno un po’» Artù non sapeva dire cosa fosse quel giovane per lui, ma sapeva di dover trovare un modo per spiegarlo. Perché sì, era “solo Merlino”, ma proprio per questo era importante e, se il suo valletto non se ne rendeva conto da solo… beh, allora stava a significare che davvero non fosse la persona che credeva di conoscere e che quindi tutta quella discussione non avesse alcun valore. Scosse il capo: «Vai pure» concluse scostandosi e lasciandolo uscire. Si diresse verso la finestra e, quando sentì la porta richiudersi, poggiò la fronte contro il vetro freddo e serrò le palpebre.
Che senso aveva tutto ciò?
*°*°*°*°*
Merlino rientrò nelle stanze di Gaius e, senza nemmeno salutare quest’ultimo, si precipitò verso la propria cameretta, ne sbarrò l’uscio con il chiavistello e si buttò a faccia in giù sul letto.
Che diavolo aveva fatto? Perché aveva parlato?! Si chiese rabbiosamente, scagliando un paio di pugni al cuscino. Ma d’altronde, era stato quell’asino di Artù ad insistere, aveva voluto la verità e l’aveva avuta. Quindi, perché diamine, ripensando a quei penetranti occhi turchesi, avrebbe dovuto sentirsi in colpa?!
Come poteva, Artù, credere di conoscerlo? Quando mai si era interessato a lui ed alla sua vita, se non per prenderlo in giro?!
Con sofferenza ripensò ai brevi momenti che avevano condiviso ad Ealdor, quando non erano stati altro che due ragazzi stesi a dormire sul nudo terreno.
Come poteva proteggerlo, se il suo signore lo allontanava alla prima occasione? Se il Principe non si fidava di lui, come avrebbe potuto stargli accanto sino all’incoronazione?!
Aveva taciuto troppe verità e lo aveva fatto per tutelare se stesso, in modo da poter continuare a servirlo ed aiutarlo in segreto. Questo, però, aveva pian piano creato delle crepe nel loro rapporto. Doveva sempre stare attento quando apriva bocca, perché ogni volta che gli confidava una piccola cosa personale, rischiava di svelare troppo ed ormai la verità premeva sulle sue labbra per essere liberata, sgomitava con forza nel suo petto perché i polmoni le dessero fiato.
Se non era sincero, come poteva Artù appoggiarsi a lui? Come poteva conoscerlo?!
Era un circolo vizioso, impossibile da spezzare. Il punto a cui erano arrivati era la diretta conseguenza di tutti quegli equivoci, lo squarcio creato dalle crepe.
«Se davvero credi questo, sei tu che in un anno non hai imparato a conoscermi nemmeno un po’»
Ripensare alla voce del giovane Pendragon quando gli aveva rivolto quelle ultime parole ed al suo sguardo ferito e rassegnato quando infine gli aveva permesso di congedarsi, gli causò una fitta al cuore. Affondò il volto nel cuscino ed artigliò la federa con le dita, soffocando un grido di dolore e frustrazione. Non potevano andare avanti così.
Forse, era arrivato il momento di mettersi in gioco, di rischiare il tutto per tutto e costruire un futuro diverso… migliore.
*°*°*°*°*
Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, il Mago s’introdusse nella camera del proprio Principe. Muovendosi alla cieca, con l’abilità data dalla pratica, raggiunse silenziosamente la finestra e tirò le tende. Si accostò al letto ed osservò per qualche secondo la sagoma ancora addormentata del suo padrone, poi lo scosse con gentilezza per una spalla, come faceva tutte le mattine: «Sire, è ora di alzarsi» annunciò con chiarezza, in un tono deciso, ma non eccessivamente alto. Sapeva infatti che i rumori squillanti infastidivano il giovane Pendragon durante la prima veglia, però un tono più basso di quello appena adoperato non l’avrebbe destato.
Si aspettava di udire i soliti mugugni ed il consueto “Ancora cinque minuti, Merlino”, invece stavolta una mano emerse dalle coperte e con essa l’Erede al trono si sfregò il viso, scacciando la patina di sonno che lo gravava, e subito dopo aprì gli occhi. Non disse nulla, ma sembrò in qualche modo sollevato di vederlo ed il valletto mormorò: «Buongiorno» stirando le labbra in un sorriso teso.
«Non avete una bella cera, avete dormito male?» aggiunse poi, mentre il suo signore si metteva seduto.
«Lo stesso vale per te» replicò semplicemente questi.
Si scrutarono silenziosamente per qualche momento, cercando di sondare con il solo sguardo le emozioni e le intenzioni dell’altro, poi Merlino sospirò e trovò la forza d’enunciare: «Ho preso una decisione» inginocchiandosi ai piedi del letto, per essere all’incirca della sua stessa altezza, e prendendosi la libertà di poggiare i gomiti su di esso.
«Vuoi andartene?» domandò Artù serrando la mascella con evidente tensione, ma l’altro scosse il capo.
«No, sarò lieto di servirvi fino alla morte, ve l’ho già detto*» replicò dedicandogli un sorriso… un sorriso vero, seppur velato di tristezza e rassegnazione «Ma sto per rivelarvi un importante segreto e da esso dipenderà tutto… almeno per me. Se sto facendo la scelta giusta e ciò che ho detto ieri era sbagliato, allora andrà tutto bene, anzi le cose non potranno che migliorare. Se invece mi sto buttando nell’ennesima follia e ieri avevo ragione, probabilmente mi farete arrestare e poi verrò giustiziato» preannunciò con estrema serietà.
Un brivido di gelida anticipazione scivolò lungo la schiena nuda del Principe: «Che accidenti stai dicendo?» chiese preoccupato, mettendosi più dritto.
Il servitore prese un profondo respiro e deglutì pesantemente, comprendendo che non sarebbe mai riuscito ad esprimersi a parole e che, in ogni caso, sarebbe stata più esplicita una dimostrazione pratica. «Guardate la brocca» suggerì, indicando la caraffa posata su di uno scrittoio poco distante. Quando il biondo si voltò in quella direzione, questa si mosse ed, involandosi lentamente in aria, raggiunse le mani di Merlino.
Il giovane Pendragon s’irrigidì ed il suo respiro si spezzò, facendosi all’improvviso breve e sincopato. Premendosi i polpastrelli sulle palpebre, mormorò: «Sto sognando?»
«No, Sire» sussurrò l’altro, attendendo che riaprisse gli occhi e schiacciando le dita contro il recipiente per appigliarsi a qualcosa e non vacillare.
«Fallo di nuovo» ordinò il Delfino, quasi sperasse di essersi sbagliato in precedenza.
Il moro aprì i palmi e la caraffa si staccò da essi, andando a posarsi sul comodino lì accanto e, quando accadde, Artù riuscì a vedere le sue iridi tingersi d’oro. Non era la prima volta che scorgeva quello sprazzo di colore stonato, nel familiare blu di quegli occhi, ma sin ad ora aveva sempre creduto - o forse sperato - che fosse solo uno scherzo giocatogli dalla luce.
«Sei uno Stregone» riconobbe invece stavolta «E non me lo avevi mai detto… mi hai mentito per tutto il tempo» aggiunse e la sua voce suonò dolorosamente roca, come se ogni parola gli avesse grattato la gola riarsa.
Merlino annuì e s’impose di non abbassare il capo: «Ho dovuto, se qualcuno lo avesse scoperto non avrei potuto stare accanto a voi e proteggervi. Tuttavia, ve lo giuro su quanto mi è più caro al mondo, non ho mai fatto del male a nessuno con i miei poteri» affermò, stringendo nervosamente tra le dita le lenzuola candide.
L’Erede al trono afferrò i suoi polsi sottili, forse per trattenerlo o per il semplice bisogno di toccarlo, di accertarsi che fosse tutto reale: «Hai studiato la magia, nonostante sapessi che a Camelot fosse proibita?» domandò, ma suonava più che altro come un’affermazione.
«No, non l’ho studiata, sono nato così ed è per questo che ho dovuto lasciare Eldor… mia madre temeva che qualcuno, prima o poi, lo avrebbe scoperto» spiegò «Vedete, la magia non è né buona, né malvagia, è il modo in cui la si adopera a distinguerla come tale» aggiunse in tono più accorato, sperando che il Principe capisse. Cercò di leggere nel suo sguardo e riconoscere cosa stesse provando, temendo fosse arrabbiato o si sentisse tradito. “Sono sempre io, non abbiate paura. Non è cambiato niente da ieri. Sono sempre il vostro Merlino” pensò disperatamente tra sé.
«Lo so, non ho mai creduto che mio padre avesse ragione nell’ affermare che tutti i Maghi siano malvagi e non ci si possa fidare di loro» replicò il Principe in un soffio, donandogli un filo di speranza «Già una volta ti ho sentito confessare che sei uno di loro, quando il padre di Ginevra è miracolosamente guarito da quella strana epidemia… eri stato davvero tu, dunque» comprese finalmente.
«Sì, Altezza. Fin da quando sono arrivato a Camelot, ho sempre usato il mio dono per il bene vostro e del regno. Vi ho salvato la vita così tante volte che ne ho perso il conto» confermò con un piccolo sorriso «Ricordate il cavaliere Valiant? Studiai tutta la notte per imparare un incantesimo che facesse materializzare i serpenti sul suo scudo ad un mio comando, in modo da mostrare pubblicamente a tutti che stesse barando. E la sfera di luce che vi guidò fuori dalla grotta, quando partiste per cercare il fiore che mi avrebbe salvato la vita? Fui io ad evocarla. Sono solo esempi, ma potrei andare avanti così per ore» rivelò.
Ci fu una breve pausa in cui l’Erede al trono assimilò quelle informazioni: «Sai, in realtà ho sempre intuito che ci fosse qualcuno a guardarmi le spalle» bisbigliò poi, arcuando le labbra compiaciuto «Raccontami tutto» comandò.
Ed il suo valletto lo fece, parlando a lungo e svelando quello che gli aveva taciuto sino a quel momento. Tutto ciò che stava dietro alle avventure che avevano affrontato insieme.
«Avresti scambiato davvero la tua vita per la mia?» chiese il Principe, quando l’altro terminò di narrargli della sconfitta di Nimueh.
«Lo farei in qualunque momento» ammise il Mago.
«Chi altro sa dei tuoi poteri?» domandò quindi il suo signore.
«Solo mia madre e… Gaius» rispose, pregando di non averli messi in pericolo.
Ed il giovane Pendragon comprese. Capì il sacrificio che l’altro aveva fatto sino ad ora per tenersi tutto dentro, quanto dovesse essere stato difficile rimanere a guardare, senza intervenire, pur sapendo di avere le capacità per risolvere i problemi delle persone che amava. Servirlo ogni giorno, mentre altre creature magiche come lui venivano giustiziate per mano del suo signore. Vivere a Camelot sentendosi braccato, con il terrore che Uther avrebbe potuto scoprire cosa lui fosse in qualunque momento e, nonostante ciò, andare avanti, impavido, pur di compiere il proprio Fato. Tutto nella speranza di un futuro migliore, dove la gente come lui non avrebbe dovuto più nascondersi, nel sogno di un regno libero governato da un Re giusto, dall’uomo che serviva e rispettava. Ed all’improvviso la paura di poterlo perdere, di non avere più quel ragazzo accanto a sé, gli gelò il cuore.
«Non deve scoprirlo nessun altro… è chiaro? Promettimi che sarai attento e continuerai a mantenere il segreto» il sole, ormai alto, filtrò attraverso i vetri della finestra ed investì di luce i capelli di Artù, illuminandolo come l’aureola di un santo. Merlino lo fissò ammaliato, finché l’altro non lo scrollò per i polsi, che ancora teneva stretti, attirandolo più vicino a sé: «Giuramelo!» ringhiò, facendolo trasalire.
«Ve lo giuro, mio signore. Il mio Destino è proteggervi, la mia vita e la mia magia sono vostre» dichiarò ad un soffio dal suo viso ed il suo sguardo s’incatenò nuovamente a quello del suo signore, vibrante di sincerità e calore.
Il Principe si mosse rapidamente, inclinando il volto e coprendo le sue labbra con le proprie in un tocco impetuoso ed avido, così caldo da fargli tremare il cuore.
Un bacio per segnare una svolta, per interrompere la discussione e dichiarare la pace.
Si scostò lentamente e lo Stregone cercò di nuovo i suoi occhi, incredulo, prima di incorniciare tra i palmi il suo viso e baciarlo ancora, fermamente convinto a non lasciarselo sfuggire.
Un bacio per suggellare una promessa e guardare al futuro, insieme.
Un mugolio sommesso sfuggì dalla bocca di Artù, prima che questa si schiudesse per approfondire il contatto e Merlino non si lasciò pregare, andando a cercare la sua lingua con la propria. Il suo padrone si adagiò nuovamente sul letto e lo tirò verso di sé, facendolo stendere sopra il proprio corpo, senza interrompere il bacio.
Avere quel fisico snello e flessuoso avvinto al proprio, fu una sensazione sconvolgente… Merlino era suo, era solo SUO. «Tira il chiavistello della porta» ansò quando furono costretti a separarsi per carenza d’ossigeno. Lo Stregone fece per scostarsi, ma lui lo trattenne, circondandogli il busto con le braccia «Non ti ho ordinato di alzarti» sussurrò al suo orecchio «Possibile che io debba sempre specificarti tutto?» brontolò, scendendo a baciargli il collo lungo ed affusolato, strappando via il fazzoletto rosso che lo copriva sempre. La sua pelle era candida e dolce come panna sotto la sua lingua ed il suo profumo muschiato lo investì, stordendolo piacevolmente.
L’altro sorrise, bloccando l’accesso con un incantesimo ed un lampo dorato dei propri occhi di zaffiro: «Possibile che dobbiate sempre essere arrogante e scortese?» replicò, accarezzandogli liberamente quelle spalle ed quel torace, così familiari, come non aveva mai potuto permettersi prima.
«E’ eccitante…» ponderò Artù, ammirato dalle capacità di Merlino, e rendendosi conto per la prima volta del fatto che, probabilmente, avesse accanto a sé il Mago più potente di tutto il regno.
«Potrei sconfiggerti con un soffio» ricordò di averlo schernito la seconda volta che si erano incontrati, provocandolo apertamente.
«Io potrei sconfiggervi con meno*» aveva ribattuto il moro con un sorrisetto impertinente.
«Che cosa?» chiese proprio quest’ultimo, perplesso.
«Il tuo dono. Potresti davvero sconfiggermi con meno di un fiato, non è così?» dedusse curioso, chiedendosi fin dove arrivassero i poteri di quel giovane.
«Potrei… ma non voglio» ammise, posandogli un bacio sul petto.
«Con la tua magia saresti in grado di conquistare Camelot ed invece stai qui a rispondere ogni giorno ai miei ordini…perché?» chiese il Principe, sinceramente dubbioso.
«Perché io non sono nato per diventare Re... ma volete davvero discutere di questo adesso, Sire?» replicò il servitore.
«Non chiamarmi così quando siamo soli… e no, in effetti adesso non ha proprio importanza» convenne, attirandolo nuovamente a sé, catturandogli con bramosia le labbra morbide, ribaltando le posizioni subito dopo e schiacciandolo con il proprio peso: «Avanti, mostrami che sai fare» lo incitò, infilando le mani sotto la sua maglia ed accarezzando quella pelle così insolitamente liscia, per una persona del suo rango.
«Non credo sia il caso» riuscì a ribattere, alzando le braccia perché il Delfino gliela potesse sfilare più facilmente e lasciando che l’altro studiasse il suo corpo con gli occhi e con le mani.
«Hmm…comincio a pensare che con questo corpicino magro non potresti battermi affatto» lo sfidò Artù, e quando un ghigno comparve sul visetto del suo servo, comprese di star giocando con il fuoco. Fece appena in tempo ad ammirare un nuovo lampo dorato di quegli occhi blu, che si ritrovò ancora con la schiena contro il letto, ed un attimo dopo il fazzoletto scarlatto di Merlino ricomparve e gli legò i polsi, costringendogli le braccia in alto. «Non è divertente» si accigliò contrariato.
«Lo sarà presto» gli assicurò il Mago, schioccandogli un bacio sulla bocca, prima di poggiargli le labbra sul collo, succhiandogli la giugulare ed il pomo d’Adamo e causandogli, nonostante tutto, una cascata di brividi lungo tutto il corpo.
«Merlino, liberami» ordinò il Principe, teso come una corda d’arpa.
Questi si puntellò su un gomito e lo accarezzò gentilmente dai gomiti alle spalle: «Fidati di me… lascia che mi prenda cura di te» mormorò con sguardo sicuro, sorridendo quando, dopo qualche secondo, vide il fisico aitante del biondo rilassarsi sotto le proprie carezze. Riprese a baciarlo, esplorando ogni curva ed avvallamento di quel corpo tanto familiare, che aveva spogliato e vestito innumerevoli volte. Si soffermò più a lungo sui capezzoli, che scoprì particolarmente sensibili, e li graffiò con i denti per poi succhiarli, godendosi gli ansiti che il suo signore non riusciva a soffocare. Tracciò più volte con la lingua ogni cicatrice su quelle membra muscolose, contandole e memorizzandole, reclamandone ognuna come sua proprietà.
«Sei meno impacciato di quanto avessi immaginato» affermò improvvisamente il giovane Pendragon.
«L’avete immaginato spesso?» replicò divertito lo Stregone, ricevendo in cambio uno sbuffo imbarazzato.
«Hai mai …giaciuto con un uomo, prima d’ora?» domandò curioso l’Erede al trono, e quando l’amante annuì, incastrò la sua testa nell’incavo tra le proprie braccia, attirandolo maggiormente a sé: -Con chi?- chiese allora, con una nota di gelosia ben percettibile nella voce. Chi aveva osato mettergli le mani addosso?!
«Ricordate il mio amico William?» ribatté il servitore a mo’ di risposta, succhiandogli un delicato tratto di pelle sotto l’orecchio.
Il volto del Delfino si contorse in una smorfia: «Non mi è mai piaciuto» dichiarò.
«E lui aveva più di un motivo per poter dire altrettanto di voi…di te» concluse il valletto, correggendosi sul finale e sgusciando via dalla sua presa per andargli a baciare l’addome. Voleva memorizzare ogni centimetro di quel fisico atletico e muscolo.
Quando raggiunse l’orlo della calzamaglia, strusciò compiaciuto il viso sul rigonfiamento che tirava il tessuto sottile, passando maliziosamente la lingua su di esso e strappando un gemito al suo signore, che inarcò i fianchi per incitarlo. Era stato lui a scatenare quell’eccitazione, e questo lo fece sorridere galvanizzato. Incastrò gli indici tra la stoffa e la pelle di Artù, facendo scorrere l’indumento verso il basso, con calma, sino a liberargli i piedi, poi posò le labbra su una delle caviglie e risalì lungo il polpaccio e la coscia, giungendo nuovamente al suo inguine. Sollevando appena il capo, il moro incrociò gli occhi turchesi dell’amante, trovandoli scuriti e velati dal desiderio, ed inalò profondamente l’odore della sua intimità, lasciando che il proprio fiato accarezzasse quel membro turgido ed arrossato.
«Merlino…» lo chiamò il Principe, inumidendosi le labbra riarse «Sei ancora troppo vestito» lo rimproverò e, nonostante il desiderio, il Mago riuscì a leggere una certa nota d’imbarazzo nella sua voce. Di sicuro non era piacevole essere l’unico nudo.
Il valletto si allontanò brevemente dal nobile e cominciò a slegarsi i lacci dei pantaloni, abbassandoli insieme all’intimo e cercando di non fare caso allo sguardo del suo signore, che scrutava avidamente ogni nuovo palmo d’epidermide esposta. Infine gli si riaccostò, spalmandosi nuovamente sul suo corpo, premendo la propria virilità contro la sua e strappandogli un gemito sorpreso. «Volete…vuoi essere tu a…» mormorò accarezzandogli il viso e non riuscendo a concludere la frase, preferendo di gran lunga baciare la sua bocca.
L’Erede al trono sorrise: «Non ho la più pallida idea di dove si cominci…» confessò, mordendosi nervosamente un labbro «Dubito che sia come con le donne».
-No, in effetti no- confermò lo Stregone, con uno di quei sorrisi radiosi in grado d’illuminare l’intera stanza e scacciare qualunque preoccupazione. Le sue dita agili si mossero per slacciare il nodo che costringeva i suoi polsi ed Artù portò immediatamente le proprie dita tra i suoi capelli d’ebano, scompigliandoli dispettosamente, immensamente grato che quello sciocco, una volta tanto, non avesse fatto commenti mettendolo a disagio. Era buffo e delizioso così scarmigliato.
Accarezzò il suo viso, poi la nuca, la schiena, le natiche… cibandosi con il tatto di quella pelle così morbida e venerandone ogni curva: «Sono nelle tue mani» annunciò, completamente rilassato sotto il suo peso.
«Di… dici sul serio? Ne sei sicuro?» balbettò il moro incredulo. Aveva capito bene?? Il guerriero più forte del regno si stava davvero offrendo a lui?!
«Mi fido di te» confermò questi, e solo allora Merlino recepì il completo significato di “Sono nelle tue mani”… con quelle parole Artù gli stava affidando il proprio benessere e la propria vita.
Lo baciò di nuovo, con più decisione e poi soffiò: «Lascia fare a me» con uno sguardo così serio da divertire il suo padrone. Quando un nuovo lampo d’oro accese le sue iridi blu, una cassapanca si aprì e, dal suo interno, volò fuori un’ampolla d’olio che solitamente il servitore usava per massaggiargli i muscoli contratti. La stappò, versandosene una generosa dose su un palmo ed immediatamente l’aria si riempì di un profumo intenso e floreale. Si mise in ginocchio e cominciò a massaggiare il torace scolpito del Principe, stuzzicando brevemente i capezzoli turgidi e scivolando rapidamente più in basso, sul suo ventre, ed infine sul suo sesso.
Il Delfino chiuse gli occhi, abbandonandosi alle sue cure, e sospirò quando il proprio valletto cominciò a masturbarlo, dando sollievo alla sua pressante eccitazione. Le mani del ragazzo erano così calde, così lascive su di lui, sembravano conoscere alla perfezione il suo corpo ed il modo migliore per farlo impazzire. Artù s’inarcò insoddisfatto, desiderando un maggior contatto con il proprio amante, e gli passò un braccio attorno al collo, per trascinarlo verso di sé ed impossessarsi nuovamente della sua bocca, sentendo già la mancanza del suo sapore. Quando il tocco di una di quelle mani si spostò più giù, dietro ai suoi testicoli, tracciando il solco delle sue natiche, a malapena se ne accorse, troppo concentrato su ben altre sensazioni. La percezione di un polpastrello che sfiorava lievemente il suo più intimo accesso era strana e stuzzicante e spedì nuovi brividi lungo la sua colonna vertebrale.
«Ti darà un po’ fastidio, ma non sarà doloroso» lo rassicurò il Mago, con le labbra che accarezzavano le sue ad ogni parola, e poi quella falange gli scivolò morbidamente dentro, più facilmente di quanto il giovane Pendragon avrebbe mai immaginato.
Merlino riprese a baciarlo, attendendo pazientemente che si abituasse a quell’intrusione e cominciò a muoverla delicatamente per rilassare il suo accesso: «Tutto bene?» si assicurò e sorrise quando l’amante annuì, aggiungendo poi un altro dito quando lo sentì aprirsi per lui. Ricominciò il medesimo procedimento, più e più volte, angolando lievemente i propri movimenti per cercare un punto ben preciso al suo interno, e constatò di averlo trovato quando il respiro di Artù si spezzò ed egli conficcò le unghie corte nelle sue spalle ossute. Non ci volle ancora molto prima che, proprio quest’ultimo, lo incoraggiasse a darsi una mossa. Lo Stregone prese posto tra le sue gambe, lasciando trasparire nel proprio sguardo, per la prima volta, la portata della lussuria che stava celando e questa infiammò le sue iridi come la magia, tingendole d’oro.
«Pronto?» domandò solerte, vedendo l’interpellato trattenere il fiato e poi annuire con sicurezza «Rilassati…» soggiunse, posando la fronte contro la sua e premendo lentamente il proprio membro sulla sua apertura, che accettò a poco a poco quell’invasione, centimetro dopo centimetro. Il Mago si morse un labbro, sia per soffocare un lamento che la voglia si spingersi in lui senza riguardi, e non distolse gli occhi dal suo viso nemmeno per un momento, attento a coglierne ogni minima espressione, pronto a fermarsi ed a dargli il tempo di abituarsi se lo avesse visto in difficoltà.
Il corpo del Principe era arrossato e coperto da una leggera patina di sudore, profumava d’olio e di sesso, e non gli era mai parso tanto bello e maestoso come in quel momento. Quando riuscì a completare la penetrazione, il valletto venne colto da un’euforia totale e nascose il volto nella curva del suo collo, tentando di racimolare il briciolo d’autocontrollo rimastogli.
Il respiro di Artù era febbrile ed ingolfato e s’infrangeva contro i capelli dell’amante con un ritmo cadenzato e regolare. Le sue dita artigliavano con tanta forza le sue scapole che, con tutta probabilità, più tardi avrebbe potuto trovarne i segni su quella pelle candida, e questa idea gli piacque non poco. Al momento però, l’unica cosa che riusciva a percepire era quella verga dura che spezzava in due il proprio corpo e quelle sensazioni contrastanti che lo squassavano. Le mani di Merlino, posate sui suoi fianchi, tremavano visibilmente ed il Principe nemmeno riusciva ad immaginare lo sforzo che stesse facendo per trattenersi: «Continua…» lo incitò con un filo di voce e, quando questi cominciò a dondolare gentilmente i fianchi, ebbe l’impressione che la parte inferiore del proprio fisico si stesse sciogliendo. Faceva male, ma era sopportabile, e quel lieve disagio non era niente se paragonato alla consapevolezza che l’altro fosse dentro di lui…e non più solo metaforicamente. Aveva pensato che si sarebbe sentito fragile e perso, ma non era affatto così, al contrario non era mai stato tanto certo di aver fatto la scelta giusta, né si era sentito mai tanto completo. Aveva deciso di donarsi totalmente a lui e lasciare che lo facesse suo, ma solo in quel frangente si accorse di quanto la cosa fosse reciproca. Solo quando sentì Merlino ansimare il suo nome, si accorse di come questi gli appartenesse. Ogni suo ansito, ogni suo tremito, ogni suo respiro… gli apparteneva.
Intrecciò le gambe attorno alla sua vita per agevolarne i movimenti, stringendolo ancora di più a sé, imprigionandolo nel proprio abbraccio e, con la successiva spinta, l’amante raggiunse un punto dentro di lui che gli strappò un singhiozzo sorpreso e grato.
Il servitore prese un ritmo più sostenuto, mantenendo la medesima angolazione ed osservando il piacere stravolgere i lineamenti del suo signore, che inconsciamente iniziò ad andargli incontro con il bacino, approfondendo i suoi affondi. Ormai quasi al limite, Merlino si gettò con avidità sulla sua bocca dischiusa ed ansimante, chiudendo nuovamente tra le proprie dita la sua erezione ed accarezzandola al ritmo crescente del loro amplesso. Le unghie del giovane Pendragon strisciarono lungo tutta la sua schiena ed, un attimo dopo, sentì il suo seme bagnare il proprio palmo, mentre i denti affilati dell’Erede al trono gli si conficcavano con forza nella spalla, a soffocare un grido. Gli spasmi dei muscoli palpitanti in cui era incastrato, furono tutto ciò che gli servì per raggiungere l’orgasmo e, con un altro paio di spinte decise, venne, riempiendolo di sé.
Come una marionetta a cui si fossero spezzati i fili, il corpo del valletto ricadde senza forze su quello del suo padrone, che continuò a custodirlo nel proprio abbraccio.
«Peso?» domandò lo Stregone, cercando di riprendere fiato e facendo per scostarsi.
«Non essere ridicolo, sei più leggero di un sacco di farina» lo sbeffeggiò il Principe, facendogli capire, in un modo tutto suo, che non doveva affatto spostarsi.
«Come ti senti?» chiese Merlino, scostandogli premurosamente i capelli sudati dalla fronte.
«Non ne sono certo…» ammise l’altro «Come se avessi cavalcato ininterrottamente per tre giorni, credo» aggiunse con un sorriso pigro e soddisfatto.
«Sarà il caso, per oggi, che non saliate sul vostro destriero, Sire… il vostro regale deretano ne risentirebbe non poco» ribatté allora l’amante, ritrovandosi schiacciato contro il materasso un attimo dopo.
«Razza d’isolente!» esclamò infatti il più giovane, carpendogli ancora le labbra e soffocando così la sua risata.
«Mi dispiace…» mormorò il Mago, una volta che poté di nuovo parlare.
«Di cosa?» lo interrogò perplesso il giovane Pendragon.
«Di aver detto quelle sciocchezze, ieri, ma io temevo che…» esordì il moro, ma il compagno gli schioccò un nuovo bacio sulla bocca, zittendolo opportunamente.
«Basta così, lasciamoci tutta questa diatriba alle spalle. Promettimi solo che non ci saranno più segreti, che ti fiderai totalmente di me ed io non metterò più in dubbio la tua parola» propose, inchiodandolo con il suo sguardo più serio e penetrante.
Lo Stregone annuì solerte: «Te lo prometto, Artù» dichiarò, incorniciando il suo volto tra le mani ed attirandolo di nuovo a sé per un altro bacio.
«Bene…» sussurrò questi, tra un vivace “scambio d’opinioni” e l’altro «Ora vediamo se sei stato un buon maestro» aggiunse divertito, catturandogli i polsi ed insinuandosi tra le sue gambe.
I suoi doveri di Principe Ereditario, una volta tanto, avrebbero atteso.
FINE.
*La frase d’introduzione è tratta dalla medesima canzone che ha dato il prompt a questa fic.
Quelle che, invece, trovate nel testo in corsivo e contrassegnate con l’asterisco, sono tratte direttamente dal telefilm. Rispettivamente puntate 1.13 “La Morte di Artù” e 1.01 “La Chiamata del Drago”.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Fire&Blade;