Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Gabriel/Sam, accenni Castiel/Dean e Lucifer/Michael, Bobby, Crowley, Death.
Rating: NC17/NSFW.
Chapters: 2/7.
Genere: Angst (?), Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 4345/29379 (
fiumidiparole).
Summary: Gabriel non è morto nello scontro con Lucifer, ma ne è uscito gravemente ferito, con un paio - su tre - d’ali spezzate e il potere ridotto di un terzo. Avendo bisogno di un rifugio, si rintana a casa Singer, sotto l’occhio dei Winchester.
Note: La storia riprende in buona parte gli eventi delle puntate dalla 5x20 alla 5x22 e li modifica secondo la “Variabile Gabriel”, ma alcuni dialoghi rimangono identici all’originale, o quasi.
Il titolo della canzone è una strofa di
Heat of the moment degli Asia. Sul serio, nessuno si è mai chiesto perché Gabriel tormentasse Sam proprio con una canzone che dice una cosa del genere? XD
Potete trovare
QUI il fanmix a opera di
phoenix_bellamy.
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A Look from You and I would Fall from Grace
Capitolo 2
Gabriel sapeva di partire avvantaggiato - era un angelo, quindi aveva un cervello superiore, eccetera eccetera - e a lui piacevano gli umani, davvero, la maggior parte delle volte. Ma certi potevano rivelarsi così stupidi.
«Un demone. Voi avete permesso a un demone di entrate in questa casa. Sapendo in che condizioni sono» sottolineò.
«Non è questo il punto» ringhiò Sam, continuando a far saltellare nervosamente un ginocchio, come faceva da più di un quarto d’ora, ovvero da quando si era seduto sul suo letto. «Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto? Dean è andato con Crowley e non mi hanno permesso di seguirli. E’ impazzito» esclamò.
«E non un demone qualunque, ma il dannatissimo Re degli Incroci» calcò l’arcangelo.
«Tu non sei invitato» scimmiottò Sam, in un’onesta imitazione dell’accento scozzese, preso da un attacco d’infantilismo. «Cercherà di fregarlo. È così ovvio! Come ha potuto Dean fidarsi di lui?» balzò in piedi, iniziando a fare su e giù per la stanza.
«Sam» lo richiamò l’altro.
«Cosa?» sbottò lui.
«Ti rendi conto di cosa sarebbe accaduto se avesse fiutato il mio odore? Ne hai una vaga idea?» disse, mortalmente serio, ottenendo che il cacciatore finalmente si fermasse. «Per quale motivo credi che sia venuto qui, da voi, in una casa virtualmente a prova di demone? Cosa che a quanto pare non è».
«Non è un mio problema» rispose il ragazzo, piatto, troppo incazzato per fare sfoggio della sua famosa sensibilità.
Gabriel si adombrò in modo ben poco rassicurante. «Fuori di qui» ordinò.
«Cosa?» esclamò Sam, stupefatto.
«Fuori dai piedi, stupido ragazzino borioso e viziato, lontano dalla mia vista» scandì l’arcangelo. «È esattamente per questo che il demone non ti voleva con loro. Ma non ti è passato nemmeno per l’anticamera del cervello, vero? Oh, sei così pieno di te, della tua insulsa rabbia. Sono stanco di ascoltare le tue lagne. Fuori».
«Cos- … tu non puoi. Questa non è casa tua» smozzicò lui, oltraggiato.
Gabriel aggrottò le sopraciglia, gli occhi felini taglienti come lame, innaturali. Fece un piccolo gesto secco con la mano e Sam venne sbalzato fuori dalla porta, che si richiuse rumorosamente alle sue spalle.
Con un gemito l’arcangelo si lasciò ricadere sul letto. La sua schiena pulsava in ondate di dolore soffocanti, ma era troppo furioso per badarci.
«Lucifer, questo a nostro padre non piacerà» asserì, agghiacciato, osservando il primo demone, l’orrore di quell’anima corrotta, mostruosa.
«Non è un mio problema, fratellino».
Gabriel rise. Una risata dal suono triste e vuoto.
*°*°*°*°*
«Mi ha sbattuto fuori» calcò Sam, incredulo.
«Mi domando perché» ironizzò Bobby. Lui stesso iniziava a provare il desiderio di tramortire il ragazzo e farlo smettere di lagnarsi.
Questi gli rivolse un’occhiata di rimprovero. «Da che parte stai?»
«Dalla tua, ragazzo. Ma… so che suona da pazzi, però dopo tutto questo tempo passato a fare buchi nell’acqua, forse è il momento di fare qualche follia».
Sam tracannò un lungo sorso di whisky direttamente dalla bottiglia; non gli capitava spesso di desiderare di ubriacarsi, ma quando succedeva, sapeva farlo bene.
«Ehi Bobby, ricordi quando eri posseduto?»
«Si, mi tintinna qualche campanella».
«Quando Meg ti ha ordinato di uccidere Dean, tu non l’hai fatto. Hai ripreso possesso del tuo corpo» disse il ragazzo, ma sembrava più che stesse ragionando tra sé.
«Giusto il tempo necessario per rendermi uno storpio, sì» convenne l’altro cacciatore.
«Be’, come ci sei riuscito?» domandò, rigirandosi la bottiglia in una mano. «Insomma, come si riprende il controllo?»
Bobby si sporse in avanti, osservando meglio il ragazzo seduto di fronte a lui, dall’altra parte della scrivania. «Perché me lo chiedi, Sam?» lo interrogò circospetto.
«Diciamo… che riusciamo ad aprire la Gabbia. Fantastico. E dopo? Portiamo lì il Diavolo e lo costringiamo a saltarci dentro?» disse l’altro, scettico.
Il vecchio cacciatore fece una smorfia. «Non chiederlo a me» borbottò.
Sam prese un altro lungo sorso di whisky. «E se voi due portaste lì il Diavolo» scandì con attenzione «e ci saltassi dentro io?»
«Sam…» iniziò Bobby, il terrore che s’insinuava liquido nella sua voce.
«Sarebbe proprio come quando tu ti sei accoltellato. Un gesto… solo un salto» tentò lui. Erano giorni che ci ragionava e non poteva parlarne con nessuno, ma forse Bobby avrebbe capito.
«Voi due idioti state cercando di uccidermi?» sbottò quest’ultimo.
*°*°*°*°*
Sam percorse lentamente il corridoio, i passi pesanti che rimbombavano come frane sulle assi di legno, poi si chiuse la porta della camera alle spalle. Crollò a sedere sul letto in un cigolio di molle agonizzanti e osservò le proprie mani macchiate di sangue.
Nella destra stringeva ancora il pugnale di Ruby; il rosso sulla lama luccicava ammiccante, irrisorio. Raccolse una vecchia maglietta da terra e la usò per ripulirlo, lanciandola poi lontano per non sentirne l’odore.
Il silenzio riempì la stanza, rotto solo dal suo respiro febbrile, e Sam aspettò.
Aspettò che l’adrenalina scemasse, che quella sensazione che gli riempiva i polmoni come acqua - dolorosa, pesante - sparisse. Cos’era, soddisfazione? Oscura, densa, collosa soddisfazione per aver ucciso. Vedeva ancora il volto di Brady mentre affondava il pugnale nel suo petto.
Brady aveva manipolato la sua vita, come Azazel, come Ruby. Lui gliel’aveva lasciato fare. Quindi andava bene, andava bene quella sensazione, giusto? Non era quello il problema. Perché non importava quanto gli facessero male i polmoni, o quanto lo stomaco fosse ancora pieno di rabbia. All’altezza del cuore non sentiva niente. Niente.
La porta cigolò, aprendosi lentamente, e Sam sospirò.
«Senti Dean, sto bene, lasciami solo-» cominciò, ma quando alzò il volto, non furono gli occhi verdi di suo fratello ad incrociare i suoi.
Gabriel lo osservava in silenzio, fermo sotto la cornice della porta.
Lui ricambiò il suo sguardo, circospetto. Gli sembrava trascorso un secolo da quando l’arcangelo l’aveva sbattuto fuori dalla sua camera, ma dovevano essere passate solo poche ore.
«Cos’è successo?» domandò Gabriel, infine.
«Nulla, sto bene» rispose il cacciatore, in automatico.
«Lo vedo. Così bene che perfino i tuoi capelli sembrano depressi» ironizzò l’altro, ma il suo tono non era il solito leggero e frizzante. «Cos’è successo, Sammy?» domandò ancora, facendo qualche passo dentro la stanza.
Lui si accigliò, cercando un modo efficace per rispondere, ma non gli veniva niente. «Non puoi semplicemente fartelo raccontare da Dean?» propose quindi.
«Non è Dean quello seduto al buio in una stanza vuota» osservò l’arcangelo, prendendo posto sul letto di fronte al suo.
Sam incrociò di nuovo il suo sguardo, aspettandosi di incontrare la solita ironia, il sarcasmo di chi dà lezioni all’umanità da tutta la vita. Quelli che incontrò, invece, erano due occhi dorati e riflessivi, il giallo brillante dell’iride che attendeva paziente, sfumando in una traccia di verde che prometteva pace.
Il ragazzo deglutì, intrecciando le mani in grembo. «Hai mai avuto l’impressione di- … non avere il controllo della tua stessa vita?»
«Sì» disse semplicemente lui.
«E cosa hai fatto?» domandò allora.
«Me ne sono andato» fu la risposta monocorde.
Sam incrociò di nuovo il suo sguardo e rabbrividì; per la prima volta comprese perché Dean passasse tanto tempo a fissare Castiel. Quegli occhi dicevano molto più di tutto il resto.
«Anche io, quando sono entrato al college. Ma questa non è una situazione da cui posso andarmene».
«Sappiamo entrambi che andarsene - o vogliamo chiamarlo con il suo nome? Scappare - non funziona poi così bene» convenne Gabriel, e lui annuì.
«Pensavo fossi incazzato con me» osservò, tanto per dire qualcosa.
L’arcangelo non lo smentì, tuttavia rimase lì. Sam distolse lo sguardo, a disagio. Smettila, avrebbe voluto dire, smettila di leggermi dentro.
Gabriel allungò una mano e lo fece voltare con gentilezza. «Non è colpa tua, Sammy».
«Stai per dirmi che è il Destino, Gabriel?» replicò, più acido di quanto volesse. «Non ci credo».
«Sam, devi accettare che esistono delle forze superiori che manipolano le nostre azioni. È così per tutti» asserì. «Ti sentirai meglio, dopo» promise.
Il cacciatore sorrise, cinico, sollevando solo una angolo della bocca. «Anche a voi cazzoni piumati? Chi è che manovra voi figli di puttana?» sputò fuori.
«Dio».
Sam richiuse la bocca, zittito, e deglutì a fatica.
Prese un respiro profondo e lo sentì incagliarsi in gola. «Hanno ucciso Jess per- … hanno fatto in modo che la incontrassi solo- … solo per rimettere in scena quello che hanno fatto alla mamma. H-hanno perfino scelto una ragazza bionda. Lei- … lei non meritava questo. E-era una brava persona, era-» smozzicò e chinò il capo, stringendo le palpebre, gli occhi brucianti, ma asciutti.
Mani gentili si intrufolarono tra i suoi capelli, allisciandoli e pettinandoli indietro. Il ragazzo percepì il materasso affossarsi alla sua destra, poi due braccia forti lo tirarono contro un corpo caldo. L’odore di zucchero gli solleticò la gola, sciogliendo un po’ il nodo che la chiudeva, e Sam prese un respiro profondo.
Stranamente, non sentiva alcun impulso a ritrarsi. Forse una parte di lui conservava ancora abbastanza fede per affidarsi al tocco di un angelo. Voleva solo tenere gli occhi chiusi e fingere che andasse tutto bene; era da tanto, troppo tempo che non riceveva un gesto di conforto disinteressato, una carezza che non venisse dalle sporadiche ragazze che di quando in quando gli scaldavano il letto, e non gli interessava da chi arrivasse. Gli bastava che non pretendesse nulla in cambio.
*°*°*°*°*
Il cellulare squillò all’improvviso, svegliando Dean. Lui grugnì e stirò il collo, contratto a causa della posizione scomoda, e si guardò attorno, confuso. Oh, fantastico, si era addormentato sulla poltrona perché Samantha aveva le sue cose e faceva la depressa.
Sfilò il telefonino dalla tasca dei jeans e borbottò una specie di: «Pronto» che suonò molto di più come un vaffanculo.
«Dean…» rispose una voce familiare.
«Cas?» domandò sorpreso, all’improvviso molto più sveglio. «Dove diavolo sei, amico? Ti credevamo morto».
«In ospedale» disse l’angelo, soffocando una specie di gemito.
«Stai bene?» chiese preoccupato.
«No» fu la replica concisa.
Dean attese che Castiel si spiegasse meglio, ma quando si rese conto che non avrebbe aggiunto altro, sbottò: «Vuoi articolare?»
«Mi sono appena svegliato qui» asserì l’altro ed il cacciatore non ebbe alcuna difficoltà ad immaginarlo guardarsi attorno come un moccioso perso al centro commerciale. «I dottori sono rimasti piuttosto sorpresi. Pensavano che fossi cerebralmente morto» riprese Cas.
Dean inarcò le sopraciglia, non troppo stupito. D’altronde, non era più il cervello a far muovere il corpo di Jimmy Novak da un bel pezzo. «Quindi sei in un ospedale?» tornò al punto.
«A quanto pare…» riprese l’angelo, ma si interrupe di nuovo con un gemito «… dopo Van Nuys sono comparso all’improvviso, svenuto e coperto di sangue, su una nave per gamberi al largo delle coste di Dellacroix. Mi hanno detto che i marinai si sono spaventati».
Dean scosse il capo, incredulo. «Be’, devo dirtelo amico, arrivi giusto in tempo. Abbiamo trovato un modo per aprire la scatola di Satana» lo informò.
«Quale?» domandò Cas in un lamento.
«È una lunga storia» tagliò corto il ragazzo. «Ma, senti, stiamo cercando Pestilence, quindi se vuoi teletrasportarti qui-» cominciò, pronto a dirgli dove si trovava, ma l’altro lo interruppe.
«Non posso teletrasportarmi da nessuna parte» sospirò.
«Che vuoi dire?»
«Diciamo che le mie batterie… sono scariche» si sforzò di spiegare.
«Cioè? Niente più mojo angelico?» domandò Dean, perplesso.
«Sto dicendo che ho sete e mi fa male la testa. Ho una puntura d’insetto che mi prude, non importa quanto la gratti. E sto dicendo che sono incredibilmente…» elencò l’angelo, in tono abbastanza miserabile, fino ad interrompersi.
«Umano» concluse Dean, per lui, chiudendo gli occhi a un vivido flash del futuro Castiel del 2014.
L’unica risposta fu un sospiro sofferto.
«Wow» borbottò il cacciatore, sfregandosi le palpebre. «Mi dispiace». È colpa mia.
«Be’, il punto è che non posso andare da nessuna parte senza soldi per… un volo aereo» tagliò corto l’angelo, pronunciando le ultime parole dopo un’amara esitazione. «E cibo. E possibilmente altri antidolorifici» concluse, pratico.
«Va bene. Senti, non preoccuparti. Bobby è qui, ti manderà i soldi».
«Dean, aspetta» lo richiamò l’amico, attirando di nuovo la sua attenzione. «Hai detto no a Michael» constatò. «Ti devo delle scuse» ammise dopo una pausa.
Dean scosse il capo, anche se lui non poteva vederlo. «Cas… è tutto okay» gli assicurò.
«Non sei quella carcassa d’uomo distrutta e ferita che pensavo che fossi».
«Grazie» grugnì lui, sarcastico. «Lo apprezzo».
«Prego» rispose quello, senza cogliere l’ironia, come al solito. Dean si aspettava che attaccasse, ma a quanto pareva Castiel non aveva finito: «A dire il vero, non l’ho mai creduto. Ero solo… arrabbiato».
Il ragazzo deglutì. «Lo so».
L’angelo prese un respiro profondo. «Dean… ho pensato che se tu avessi ceduto, allora non avrebbe più avuto alcun senso tutto quello che avevamo fatto in precedenza. Non avrebbe avuto senso continuare a combattere» confessò.
«Mi dispiace, Cas» si ritrovò a dire per la seconda volta. Poi si schiarì la voce. ‘Fanculo ai momenti sentimentali. «Pensa a tornare qui, okay? Ti aspettiamo» concluse, chiudendo la chiamata.
«Io farò cosa?» grugnì Bobby, risvegliato dalle loro chiacchiere.
*°*°*°*°*
Quando Castiel suonò il campanello, fu Sam ad aprire la porta. Ed eccolo lì il loro angelo, con le spalle curve, i vestiti che gli pendevano addosso e il passo claudicante.
Fermo sulla porta del soggiorno, Dean guardò suo fratello strizzare Cas in uno dei suoi temibili abbraccia da Bigfoot e quest’ultimo gemere sommessamente.
«Ungh… piano Samuel» lo pregò, con la faccia premuta da qualche parte sul suo petto, le braccia stese lungo i fianchi, come se non sapesse cosa farne.
«Oh, scusa» mormorò lui, battendogli piano sulla schiena, prima di afferrarlo per le spalle e rimetterlo dritto. «Ci hai fatto preoccupare, amico».
Castiel gli concesse un accenno di sorriso, poi alzò lo sguardo su Dean e il ragazzo ebbe l’impressione che tutto rallentasse. Oh Dio, c’era così tanta paura nascosta in quegli occhi blu e sembrò che tutte le difese che la nascondevano crollassero come un castello di carte non appena incontrò il suo sguardo. Dean lesse angoscia, pena, vergogna, smarrimento, terrore, e nemmeno si accorse di essersi avvicinato a lui, almeno finché non sentì le braccia di Castiel stringersi forte attorno alla sua vita, poi le mani salire ad aggrapparsi alle sue spalle, come un bambino spaventato avvinghiato alle gambe del padre.
«È tutto okay» mormorò il maggiore dei Winchester, sfregando una mano in circolo sulla sua schiena, come faceva quando Sammy, da piccolo, aveva gli incubi. «Sistemeremo tutto» gli promise.
L’angelo si scostò lentamente da lui, tenendo lo sguardo basso per l’imbarazzo - da bravo soldatino piumoso, non doveva sentirsi fiero di essere crollato così - ma Dean non ci badò, era più occupato a fissare i graffi sulla sua tempia e sul suo zigomo, che non volevano saperne di guarire, e le ombre scure che gli cerchiavano gli occhi.
«Allora è vero» osservò una voce, come se gli avesse letto nel pensiero.
Si voltarono entrambi verso la tromba delle scale, dove un certo arcangelo stava scendendo con passo lento e affaticato; era la prima volta che camminava tanto da quando era arrivato in quella casa.
«Gabriel» Castiel reagì istantaneamente, parandosi di fronte a Dean e Sam. «Cosa fai qui?»
Dean si affrettò a poggiare una mano sulla sua spalla per rassicurarlo. «È tutto okay, Cas. Gabe sta con noi».
«Inoltre, non sono nelle condizioni di fare del male a qualcosa di più grosso di un gattino annaffiato» si inserì quest’ultimo.
Solo allora l’angelo si preoccupò di osservare meglio il fratello maggiore. «Cosa ti è successo?» domandò ad occhi sgranati.
«Ho avuto un breve incontro di wrestling con Lucy» Gabriel sorrise a mezzo, prima di tornare serio. «Riesci a vedere le mie ali spezzate?»
Castiel annuì lentamente, come ipnotizzato da una visione spaventosa; Dean non voleva davvero sapere cosa scorgesse.
«Allora forse non è tutto perduto» mormorò l’arcangelo tra sé, arrivando sul pianerottolo. Afferrò il fratello minore per le spalle e lo girò senza troppa delicatezza. «Cos’hai fatto?» lo interrogò, passando con attenzione una mano sulla sua schiena; anche lui sembrava cogliere qualcosa d’invisibile all’occhio umano.
«Ho inciso una formula di esilio su me stesso» rispose Cas.
«Tu cosa?» sbottò Gabriel, facendo sì che l’angelo chinasse il capo come un bambino sgridato malamente.
«Era necessario» trovò chissà dove il coraggio di replicare.
«Non per interrompere questa dolce rimpatriata,» intervenne Dean «ma da quand’è che voi due siete tanto in confidenza? L’altra volta non mi siete sembrati esattamente culo e camicia».
«Gabriel era il mio generale. Era alla guida di un terzo delle guarnigioni angeliche, tra le quali la mia» spiegò Castiel.
«Yep. E, a differenza dei miei fratelloni costipati, a me piace conoscere i miei sottoposti» sogghignò l’arcangelo.
«Scommetto che Michael e Raphael non si sono mai presi il disturbo» arguì Sam.
«Bingo, zuccherino» esclamò Gabriel.
«Allora, ci diamo una mossa o vogliamo mettere su un ricovero per angeli infortunati?» li riscosse Bobby, spingendo faticosamente le ruote della carrozzella per raggiungerli.
«Robert» lo saluto Castiel con un cenno del capo.
«Questo ragazzo ha bisogna di una doccia, idiota» ringhiò all’indirizzo di Dean. «E tu» aggiunse puntando Sam, «va’ a procurare qualcosa di commestibile, perché se ti aspetti che da quaggiù io mi metta ai fornelli, moriremo tutti di fame prima che scoppi la battaglia finale».
Sam si strinse nelle spalle e raccolse le chiavi dell’Impala, uscendo per andare a comprare qualcosa, mentre Castiel fissava Dean con aria smarrita.
«In effetti questi vestiti sanno ancora di gamberi» osservò il maggiore dei Winchester. «Non dimenticare la torta» urlò poi all’indirizzo del fratello.
*°*°*°*°*
Sam era già alla cassa, le braccia piene di confezioni di pancake e omelette, quando la commessa gli chiese: «È tutto, Signore?» e lui si ritrovò a sbirciare la vetrina dei dolci lì accanto.
«Mi incarti questi, per favore» rispose, indicando gli ultimi tre muffin rimasti.
Quando arrivò a casa, gli unici seduti in cucina erano Bobby e Gabriel.
«Gli unicorni non esistono» sostenne il vecchio cacciatore, storcendo la bocca.
«Non più, già. Un po’ come le fenici. È una cosa molto triste. Ma erano dei tipi simpatici, sai?»
Il minore dei Winchester aggrottò la fronte, perplesso, prima di guardarsi attorno. «Dove sono Dean e Cas?» domandò, poggiando le confezioni di polistirolo sul tavolo.
L’arcangelo puntò un dito verso il piano superiore e, proprio in quel momento, si sentirono degli strani rumori provenire da lassù.
«Sono là da quasi mezz’ora» lo informò Bobby e Gabriel fece significativamente su e giù con le sopraciglia.
Sam inclinò la testa, accigliato, poi scosse il capo. «Vado a chiamarli» decise, uscendo dalla stanza per imboccare le scale.
«Voyeur» lo apostrofò l’arcangelo, ridendo sotto i baffi.
Lui, per il bene della propria sanità mentale, si limitò a ignorarlo. Salì la rampa due gradini alla volta e arrivò al piano di sopra in un attimo. La porta del bagno era semi aperta e, mentre si avvicinava, sentì provenire dalla stanza un gemito ed una risatina, che lo fecero esitare.
«Smettila di toccarti» sentì dire da quella che riconobbe subito come la voce del fratello.
«Ma brucia, Dean» rispose l’angelo, con tono sofferente.
«Passerà tra un attimo» insistette l’altro.
Sam sbatté le ciglia, perplesso, sentendo un vago rossore salirgli alle guance. Dio, era tutta colpa di Gabriel e delle sue insinuazioni assurde. Gettando la prudenza alle ortiche, decise di far capolino con la testa oltre il pannello della porta.
Dean e Castiel - mezzo nudo? - erano entrambi in piedi, ad una distanza abbastanza equivoca, okay, ma il primo era semplicemente intento a fasciare il torace del secondo. Sam riuscì a scorgere un grosso livido viola estendersi sulla parte del costato ancora scoperta - costole incrinate, stimò - e dei segni rossi sul ventre dell’amico che, dopo un momento, riconobbe come il sigillo enochiano che si era inciso sul petto.
L’angelo alzò una mano a stropicciarsi le palpebre e Dean lo fermò, afferrandogli il polso. «Smettila di sfregarti gli occhi, è peggio» lo rimproverò ancora.
Solo allora il minore dei Winchester notò che erano arrossati e lacrimosi.
«È spiacevole» borbottò Castiel, imbronciato.
«La prossima volta ricorderai di chiudere gli occhi quando usi lo shampoo» ghignò Dean.
Sam soffocò un sorriso e bussò sullo stipite della porta, attirando la loro attenzione. «Ho portato la colazione» li informò, quando alzarono lo sguardo.
«Arriviamo tra un minuto» rispose suo fratello, distratto, riportando l’attenzione sul bendaggio che stava facendo.
«No, non mi convincerai che i draghi esistono» stava dicendo Bobby, quando lui tornò in cucina.
«Esistevano. E loro no, non erano tanto simpatici» insistette Gabriel.
«Esattamente cosa vi ha portati a discutere di creature mitologiche?» domandò il ragazzo, prendendo posto al tavolo e distribuendo le confezioni della colazione.
«Le leggende arturiane. Robert non vuole credermi, ma io li ho conosciuti tutti quei cavalieri cazzoni. E potrei essere in parte responsabile di Excalibur conficcata nella roccia».
«Excalibur, sul serio?» Sam inarcò un sopraciglio. «Ora mi dirai che anche il Santo Graal esiste».
«L’ultima volta che l’ho visto era custodito nel Coro Oggetti Sacri» rispose Castiel per lui, entrando subito dietro a Dean.
«Aspetta» lo fermò quest’ultimo, spostandosi dietro di lui per sistemare il collo della camicia a scacchi che gli aveva prestato «Dove sei nato, in un fienile?» [1] borbottò.
«Credo che tu mi stia confondendo con Gesù di Nazareth, Dean» rispose l’angelo, lasciandolo fare.
Vederlo in jeans era piuttosto strano, decise Sam. «Coro Oggetti Sacri? Coro come i livelli del Paradiso?» tornò alla conversazione precedente.
«Bingo, Baby» confermò Gabriel.
Dean diede una pacca sulla spalla di Castiel, incitandolo a sedersi, prima di mettersi a frugare fra le confezioni. «Dov’è la mia torta?» domandò al fratello, con un brutto presentimento dipinto in volto.
«Ops» bisbigliò lui.
«Ops? Ops, Sammy? Ti rimando alla tavola calda a calci in culo!» sbottò il maggiore, puntandogli un dito contro.
Il ragazzo alzò le mani in segno di resa. «Ti ho preso i pancake» tentò. «Allo sciroppo d’acero. E la tua omelette preferita».
«Ma la torta, Sammy! La torta è la cosa più importante» si lamentò Dean.
«Se avete finito di fare i capricci, che ne dite di crescere e aggiornare degli ultimi fatti questo povero ragazzo?» li rimproverò Bobby, indicando con un cenno del capo Castiel, che fissava i suoi pancake con aria perplessa.
I due Winchester si rimisero dritti, da bravi soldatini, e Sam passò la busta di muffin all’arcangelo in religioso silenzio.
«Aww, Sammy, li hai presi per me?» fece Gabriel, piluccando una goccia di cioccolato dalla sommità di uno dei dolci.
«Diciamo che te lo dovevo» borbottò imbarazzato, pensando alla notte precedente.
«Hai pensato a lui ma non a me?» chiese Dean oltraggiato.
«Li ho notati lì nella vetrina e- senti, se avessi visto la crostata me ne sarei ricordato, ma non c’era» ritentò Sam.
«Ragazzi!» ringhiò il padrone di casa.
«Okay, okay» sbuffò il maggiore dei Winchester, iniziando a tagliare la propria omelette. «Le cose stanno così: abbiamo trovato un modo per rinfilare Satana nella sua scatola. È stato Gabe a dircelo» cominciò, indicando l’arcangelo.
«Quale modo?» domandò Castiel, imitando i suoi gesti ed iniziando a tagliare i propri pancake.
«Si tratta degli anelli dei Cavalieri dell’Apocalisse. Formano la chiave che apre e chiude la Gabbia» spiegò Gabriel.
L’angelo prese un respiro profondo. «Perché non ne sapevo nulla?» domandò confuso.
«È un informazione strettamente riservata. Io ho aiutato Michael a progettare la Gabbia, quindi sono uno dei pochissimi a sapere come funziona» rispose il fratello maggiore.
«Abbiamo gli anelli di War e di Famine» riprese Sam «Gabriel sa come mettersi in contatto con Death e, giusto di recente,» si interruppe con una certa amara ironia «abbiamo individuato Pestilence. Avevamo intenzione di partire oggi stesso per braccarlo».
«Ed è quello che faremo» confermò Dean. «Solo qualche ora in ritardo sulla tabella di marcia».
«Bene, verrò con voi» asserì il loro angelo, provando il primo boccone di pancake e sbattendo le ciglia deliziato, quando il sapore dello sciroppo d’acero gli esplose sulla lingua.
I Winchester si scambiarono uno sguardo teso, dolorosamente coscienti del suo stato fisico.
«Cas, non credo sia il caso, nelle tue condizioni» tentò di convincerlo Sam, con una certa delicatezza.
L’angelo gli rivolse uno sguardo sorpreso, quasi oltraggiato. «Non sono più umano di voi» osservò.
«Non è questo il punto, Cas» intervenne Dean. «Puoi a malapena respirare senza gemere, ci saresti solo di peso così». Si concentrò sulla propria omelette, senza incontrare il suo sguardo, risoluto nella propria decisione.
Bobby e Gabriel si tennero prudentemente fuori dalla diatriba, fiutando guai in arrivo.
«Dean» lo chiamò Castiel, poggiando una mano sul suo polso, obbligandolo a fermarsi e ad alzare gli occhi per incontrare i suoi.
Sam rabbrividì. Perfino lui riusciva a leggere nello sguardo dell’amico quanta preoccupazione ed angoscia nascondesse, e non lo conosceva bene quanto suo fratello.
Castiel e Dean ingaggiarono una di quelle conversazioni silenziose che si risolvevano sempre senza vincitori né vinti; erano entrambi troppo cocciuti.
«Non stavolta» asserì il maggiore dei Winchester, come se stesse rispondendo a qualcosa di specifico; Sam a volte non poteva fare a meno di invidiare quel loro legame, quel modo che avevano di leggersi dentro a vicenda e del quale suo fratello era a malapena consapevole - chiudevano fuori il resto del mondo.
«La decisione è presa» decretò Dean, sfuggendo alla presa di Castiel.
Questi distolse lo sguardo e strinse i denti, prima di alzarsi e uscire dalla stanza.
«Cas!» tentò di fermarlo Sam, pronto a corrergli dietro. Suo fratello non si mosse e lui gli lanciò un’occhiataccia.
«Lascialo stare. Se scappa come un moccioso vuol dire che ha ancora bisogno di crescere» disse infatti, incupito, riprendendo a mangiare.
«Vado io» lo rassicurò Gabriel, poggiando una mano sulla spalla di Sam, e lui sollevò lo sguardo a incontrare i suoi occhi dorati, annuendo con gratitudine.
*°*°*°*°*
Lo trovò nella rimessa. Castiel era lì, in una pozza di sole, le braccia abbandonate lungo i fianchi, lo sguardo alzato al cielo.
Con un mezzo sorriso Gabriel ricordò un piccolo angelo fermo sulle sponde di un lago, intento ad osservare un pesciolino d’argento uscire dall’acqua.
Suo fratello aveva gli occhi chiusi. Lui si domandò se stesse pregando. Castiel, come lo stesso Gabriel, come tanti altri angeli prima di loro, aveva passato molto tempo a cercare Dio. E aveva fallito, proprio allo stesso modo degli altri, perché il loro Padre non voleva essere trovato.
«Hai ricevuto qualche Rivelazione, fratellino?» domandò affiancandolo.
«No» rispose semplicemente lui, conciso come sempre, prima di abbassare lo sguardo per incontrare il suo. «Da che parte stai?» lo interrogò senza tanti fronzoli.
«Non da quella di Michael e non da quella di Lucifer» lo rassicurò l’arcangelo. «Sto dalla loro parte» continuò, indicando la casa alle loro spalle con un pollice. «Da quella degli umani».
Castiel annuì in silenzio; avevano fatto entrambi la stessa scelta. «È stato Dean, vero? È stato lui a scuoterti».
«Sì, è una vera spina nel culo» ridacchiò Gabriel.
L’altro alzò di nuovo lo sguardo al cielo. «Lui ha questo dono» convenne. «Quello di metterti davanti a ciò che non vuoi vedere e di indicarti la strada».
«Non è sempre la più facile» osservò l’arcangelo.
«Ma è quella giusta» concluse il più giovane e finalmente tornò a incontrare il suo sguardo.
«La stai prendendo nel modo sbagliato, lo sai» disse Gabriel. «Questi ragazzi non vogliono escluderti, lo fanno per proteggerti. Tengono davvero a te».
«Dovrei essere io a proteggerli» ribatté Castiel.
«C’è un tempo ed un luogo per tutto. Da morto non gli serviresti a nulla» gli ricordò il maggiore.
[2] Battuta rubata direttamente a Jensen Ackles:
Supernatural Paleyfest Press Event.
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