Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Balthazar, Bobby, Original Character, Sam.
Rating: NC17.
Charapter: 3/10.
Beta:
koorime_yu (la martire ♥).
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Angst, Fluff, EGGPREG (o Egg-Fic, come preferite), Sesso descrittivo, Slash, What if.
Words: 4388/41160(
fiumidiparole).
Summary: Madre Natura - o Dio, visto il contesto - vuole che più sia grande una creatura, più tempo sia necessario per la gestazione; come le elefantesse, che restano gravide per due anni. E se la creatura in questione è grande “approssimativamente quanto il Crysler Building”, quanto potrebbe volerci? Diciamo… quattro anni? Più o meno il tempo che passa da quando Dean viene “salvato dalla perdizione” al momento in cui recupera l’anima di Sam, sì.
Note: La storia nasce grazie e si ispira a questa dolcissima fan-art:
Vedere il mondo in un granello di sabbia di
ai_sellie. Il titolo della fic - adorabile e crack e… ho già detto adorabile? XD - è un suggerimento di
koorime_yu ♥
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There is an Egg between Us
Capitolo 3.
Con un sommesso ronfare, l’Impala si accostò al ciglio della strada e Dean scese per entrare nel piccolo ma ben fornito emporio alimentare di fronte al parcheggio. Era già stato lì diverse volte e lanciò un sorriso alla cassiera, che non poteva avere più di ventidue anni, mentre prendeva un cestello per la spesa.
Gli occhi della ragazza brillarono e le sue guance arrossirono, prima che lei venisse richiamata dalle persone in fila. Era carina, anche se forse un po’ troppo giovane per lui.
È maggiorenne, ricordò a se stesso, prima di darsi una scrollata mentale. A trent’anni suonati, forse era il caso che la smettesse di abbordare le collegiali. Dean borbottò tra sé e sé, cercando di tenere a bada la propria libido, messa a dura prova da quasi due mesi di solitudine.
Fare del sano sesso occasionale era una faccenda un tantino complicata, quando risiedevi in una piccola cittadina in cui tutti conoscevano tutti e dovevi badare ad un uovo. Se anche avesse trovato una bella ragazza in un pub e l’avesse seguita a casa sua, avrebbe dovuto stare particolarmente attento a come si toglieva la giacca, nella cui tasca teneva il pulcino, e soprattutto a dove la poggiava.
Tra l’altro la paranoia lo portava sempre a pensare che avrebbe potuto ritrovarsi tra le braccia di un demone o di qualche altra schifezza sopranaturale. Avrebbe potuto risolvere la questione portando le ragazze a casa sua, dove le trappole ed i sigilli avrebbero rivelato subito se fossero umane o meno, ma detestava doverle mandare via appena finito - quello al massimo si poteva fare con una che si guadagnava da vivere in quel mondo, non con una tipa qualsiasi - e, comunque, non avrebbe saputo spiegare loro perché stesse tenendo d’occhio un uovo posato sul comodino.
Una parte di lui, che aveva una voce fastidiosamente simile al fu Arcangelo Gabriel, gli fece notare che - se avesse davvero voluto farlo - una soluzione l’avrebbe trovata; avrebbe potuto andare in cerca di lucciole o semplicemente entrare in un night club, dove qualunque ragazza si sarebbe occupata volentieri di lui anche se si fosse spogliato il minimo necessario.
Non era stato con nessuna, dopo aver lasciato Lisa, e non è che stesse davvero pensando di tornare con lei, ma - per quanto lo imbarazzasse ammetterlo - ora conosceva la differenza tra il sesso occasionale ed il “fare l’amore”, come lo chiamava lei.
Dean, Dean, Dean, lo canzonò la sua Gabriel Coscienza.
Il cacciatore fissò con ostilità una scatola di cereali senza alcun motivo apparente.
E va bene, d’accordo, le cose non stavano esattamente così. La verità era che c’era una questione in sospeso con il suo amico piumoso e, per quanto Dean cercasse di ricordare a se stesso che non gli aveva messo una fede al dito… nulla, era complicato, okay? Si trattava di Cas e lui non ricordava nulla, e la cosa era già orribile di per sé senza incasinarla ulteriormente, ecco.
Caricò il cestello dei pochi generi alimentari che gli servivano, prima di passare nella zona dei detersivi. Giusto il giorno prima aveva istallato nel bagno al piano di sotto una lavatrice nuova fiammante; fino a quel momento si era arrangiato con una lavanderia a gettoni, fino a quando non aveva davvero preso coscienza che sarebbe rimasto lì per un bel pezzo e, quindi, comprare una lavatrice sarebbe stato di gran lunga più conveniente. E non voleva nemmeno iniziare ad immaginare quanti cambi di bebè ci sarebbero stati da lavare, in futuro.
Continuavano a venirgli in mente quel genere di cose con molta lentezza, a mano a mano che si abituava a quella vita sedentaria. Ad esempio, anche se la lavatrice era dotata di asciugatrice, aveva già comprato un comodo stenditoio, di quelli che si potevano aprire sul portico e portare facilmente dentro casa, quando scendeva il sole, ma ora si rese conto che - con tutto lo spazio che aveva all’esterno - gli sarebbe piaciuto stendere dei fili in giardino a cui appendere la biancheria.
Da bambino adorava vedere le lenzuola bianche stese al sole, a casa di Missouri. Ci si lanciava contro a braccia aperte, facendo ridere la “zia” e, quand’era diventato un po’ più grande e Sam aveva cominciato a camminare, si rincorrevano, nascondendosi dietro di esse come fossero paraventi. Mentre prendeva un ammorbidente economico dagli scaffali, pensò che era il genere di cosa che gli sarebbe piaciuto fare con suo figlio, e per un momento si bloccò, assaporando quel immagine e sentendosi vagamente terrorizzato.
Nella tasca interna della giacca, l’uovo era un forma calda e solida, incredibilmente presente. Stava sul serio iniziando a considerarlo il suo bambino? Non era un po’… presuntuoso?
È di Cas, si ammonì, è il pulcino di Cas, la mia è solo una custodia temporanea.
Si affrettò a portare le cose alla cassa e a pagare, per poi montare subito in macchina. Voleva allontanarsi da lì, anche se non sapeva bene per cosa, forse solo per prendere distanza da quelle fantasie un po’ troppo vivide.
Parcheggiò l’Impala nel vialetto di casa e, carico di buste della spesa, si fermò davanti alla porta per ritirare la posta. In mezzo a qualche volantino pubblicitario e alle bollette trovò la prima cartolina di Sam.
Raffigurava la statua di una Venere e suo fratello aveva scarabocchiato dietro qualcosa come “Dal vivo è molto meglio”. Dean ricordò il suo riferimento al fatto che gli dei non se la passassero troppo bene, in quella zona, ed ebbe una fugace visione del suo fratellino e della biondina che interpretava la dea dell’amore in Hercules arrotolati tra le lenzuola. [1] Scosse il capo, mentre si frugava nelle tasche per cercare le chiavi, augurandosi che Sammy non si fosse cacciato in qualche guaio.
Aveva appena infilato la chiave nella toppa, quando la porta di spalancò dall’interno, facendolo sobbalzare. Immediatamente due mani lo afferrarono per le spalle e lo tirarono dentro, e Dean si ritrovò davanti la faccia di un Castiel molto preoccupato.
«Stai bene?» esclamò l’angelo, stringendolo con un po’ troppa forza.
«Cas, cosa diavolo- certo che sto bene! Ti dispiace lasciarmi lo spazio per respirare?» sbottò lui, frapponendo tra loro le buste della spesa e scostandolo con esse.
Dopo un momento, in cui lo scannerizzò da capo a piedi per accertarsi che fosse effettivamente tutto okay, l’amico lo lasciò andare, ma non smise di fissarlo, per nulla pentito. «Sono venuto durante il giorno» disse, con quella sua capacità innata di sottolineare l’ovvio.
«Lo vedo. Ma sei riuscito a farmi prendere un colpo comunque» osservò Dean, chiudendo la porta con un piede.
«E tu e il piccolo non eravate da nessuna parte» continuò l’altro, come se nulla fosse «Non sapevo come rintracciarvi» concluse.
«Oh. Uhm… da quanto sei qui?» domandò il ragazzo, perché era stato via non più di mezz’ora, ne era certo.
Castiel inclinò la testa in quella sua solita posa buffa, poi adocchiò l’orologio del display della TV e dichiarò: «Circa dieci minuti».
«E sei saltato subito alle conclusioni peggiori?» fece Dean, inarcando le sopracciglia ed iniziando a vedere il lato divertente della cosa.
L’angelo ebbe il buon gusto di sembrare imbarazzato, passandosi una mano sulla nuca e sviando lo sguardo. «Sembrava passato più tempo» borbottò vago.
Il cacciatore sorrise apertamente e passò un braccio attorno alle sue spalle. «La prossima volta lascerò un biglietto, okay?» disse divertito «Avanti, dammi una mano a sistemare questa roba» aggiunse, guidandolo in cucina.
Di buon umore, Dean poggiò le buste sul tavolo, appese la cartolina al frigo con una calamita, poi iniziò a riporre la spesa nella credenza, ancora troppo poco vissuta per essere disordinata.
Frattanto, Castiel si guardò attorno curioso, seguendo le sue mosse con attenzione. «Hai fatto molti cambiamenti» osservò nel suo familiare tono uniforme.
Il ragazzo annuì soddisfatto. «Ti piace?» domandò, lanciandogli uno sguardo da sopra una spalla, mentre continuava la propria occupazione.
«Sembra… confortevole» si sforzò di dire l’angelo, forse cercando di valutare l’ambiente secondo gli standard umani, che ancora non capiva del tutto.
«Sarà meglio che ti vada a genio, perché dovrai passarci un sacco di tempo» gli ricordò allora Dean, un po’ deluso dalla sua reazione.
«L’importante è che sia comoda per te e per il piccolo» rispose Castiel, ancora in piedi come uno stoccafisso, sottintendendo che a lui andava bene tutto.
Il cacciatore sospirò. «Siediti, o dammi una mano, ma non stare lì impalato come se ti avessero infilato una scopa su per il culo. Questa dovrebbe essere anche casa tua» gli fece presente, passandosi stancamente una mano sugli occhi.
«Mi dispiace. Non sono in grado di stimare quanto una casa sia bella o funzionale. Non conosco l’utilizzo della maggior parte degli oggetti qua attorno» ammise l’angelo «Ma l’accostamento di colori è… gradevole» concluse incerto, nel tentativo di dire qualcosa di carino.
Dean emise un sbuffo divertito e scostò una sedia dal tavolo, prima di spingerlo a sedere. «Ti va un caffè o una birra?» propose.
Era strano ritrovarsi con Castiel in un contesto così casalingo. Improvvisamente si rese conto che senza cacce o apocalissi di mezzo, non sapeva bene di cosa parlare, ma non voleva che l’amico andasse via subito.
«No» rispose questi, laconico, ma non scortese «Posso vedere il piccolo?» chiese poi, frugando la sua figura con lo sguardo per capire dove il ragazzo lo tenesse.
«Oh, certo» rispose lui, tirando fuori l’ovetto dalla tasca interna della giacca e mettendoglielo con attenzione tra le mani.
Le dita dell’angelo sfiorarono le sue, nel prenderlo, e Dean si sforzò di non pensare alla notte che avevano passato insieme, quando quelle stesse dita erano rimaste intrecciate alle sue per ore e si erano avventurate nei suoi capelli come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Si voltò in cerca della caffettiera termica e versò la bevanda nera in una tazza, per nascondere l’evidente imbarazzo che gli era salito al volto. Dannazione, non c’era stato niente di romantico o sessuale in quel contatto e nemmeno quella notte, non aveva nessun motivo di comportarsi come una verginella insidiata dall’orco cattivo.
Quando si girò di nuovo, portandosi la tazza alle labbra, scoprì Castiel fissare il piccolo uovo con un’espressione che non gli aveva mai visto in volto. Lo teneva tra le mani chiuse e coppa e vi passava sopra i pollici in carezze quasi ipnotiche; il suo sguardo era morbido, il viso rilassato.
Dovresti passare più tempo con lui, avrebbe voluto dirgli Dean, ma suonava troppo come un rimprovero e sapeva che l’amico non si teneva lontano dal pulcino per propria scelta.
«Quanto tempo hai?» gli chiese quindi.
«Qualche ora» rispose l’angelo, riscuotendosi da quella sorta di torpore e alzando su di lui quello stesso sguardo soffice, come se volesse includerlo in esso.
«Bene» si limitò a dire il cacciatore, chiedendosi se l’altro stesse parlando silenziosamente con il piccolo o qualcosa del genere.
C’erano tante di quelle cose di cui lui e Cas avrebbero dovuto discutere, che Dean non sapeva bene da dove cominciare. Si accomodò al tavolo, sul lato corto, alla destra dell’amico, che era invece seduto su quello lungo, e si fissarono in silenzio per qualche momento, senza aver davvero bisogno di aprire bocca, o forse soltanto riabituandosi alla reciproca presenza.
«Come va ai piani alti?» domandò infine.
L’angelo strinse le labbra in una linea sottile e poggiò l’uovo sul tavolo con estrema attenzione, fissandolo assorto. Sospirò, poi scosse il capo, e all’improvviso parve molto stanco e molto vecchio. Le sue spalle s’incurvarono ed il suo sguardo si fece lontano.
Istintivamente, Dean chiuse le dita su una manica del suo trench, chinandosi appena in avanti per cercare i suoi occhi.
«Sono stato creato per combattere, Dean, per servire, e a volte ho l’impressione di non aver fatto altro per tutta la vita. Forse è per questo che siamo giunti a questa situazione. Cosa sappiamo fare, oltre lottare? A cosa siamo utili, se non a questo? Forse avremo trovato un’altra scusa per entrare in guerra, se non avessimo avuto questa, perché siamo incapaci di fare altro» rifletté amareggiato.
«Ehi, non mi diventare emo, okay?» replicò il cacciatore, preoccupato di vederlo tanto abbattuto «Fa’ solo in modo di restare vivo» gli ingiunse, stringendo di più la stoffa color kaki tra le dita.
Castiel lo fissò inespressivo per un lungo momento, poi - con sorpresa del ragazzo - poggiò la propria mano sulla sua. «Scusa, non avrei dovuto lasciarmi andare» asserì, raddrizzandosi.
«No, ehi, puoi parlarmi di tutto. Solo non abbatterti. Devi restare focalizzato» gli ricordò Dean, stringendo di più il suo braccio.
L’angelo scostò la mano e distolse lo sguardo, puntandolo dritto davanti a sé. «Lo so» replicò soltanto, riuscendo a suonare infastidito nonostante il tono monocorde; se con lui o con se stesse, il cacciatore non avrebbe saputo dirlo.
Dean strattonò leggermente la presa. «Ehi» lo richiamò e, quando l’amico non si voltò, allungò una mano per prendere il suo viso e girarlo verso di sé. Avrebbe voluto dirgli molte cose, ma semplicemente non era in grado di - o non era disposto ad - ammettere quanto lo terrorizzasse l’eventualità di perderlo, di apprendere da terzi della sua morte, senza poter fare nulla per aiutarlo, e di ritrovarsi a crescere da solo una creatura che non aveva idea di come gestire.
Non andartene, non puoi arrenderti, non lasciarmi solo, era tutto ciò che fu in grado di pensare.
Castiel coprì la sua mano con la propria in un gesto incredibilmente dolce, trattenendola sulla propria guancia. «Farò del mio meglio. Lo sto già facendo» gli assicurò.
Dean annuì e sfilò con imbarazzo la mano dalla sua presa gentile, riportandole entrambe sul suo braccio e stropicciando con nervosismo la stoffa del trench, già malconcia per conto suo. «Non riesco ancora a ricordare» ammise, senza alcun collegamento apparente «Mi sono sforzato per farlo, ma non ci riesco» spiegò, frustrato.
«Non è colpa tua» lo rassicurò l’angelo «Ritengo che il cervello umano non sia in grado di assimilare la gloria degli angeli. È qualcosa di troppo grande, comporta un eccessivo carico emotivo».
«Rammento alla perfezione ogni fottuta tortura, ogni secondo passato all’Inferno, ma prima di svegliarmi in quella tomba c’è solo il vuoto, uno spazio completamente bianco» obbiettò il cacciatore.
«Apparentemente, per la mente umana è più facile accettare l’orrore, piuttosto che la perfezione. Non riesce a processarla, forse per scetticismo. Non la ritiene reale» considerò Castiel «Forse se lasciasti il tuo corpo rammenteresti, ma ora come ora sei fisicamente impossibilitato».
«Smettila» ordinò Dean, irritato.
L’angelo si accigliò appena, confuso, ed inclinò la testa nella sua solita posa buffa. «Di fare cosa?»
«Di cercare d’essere così pragmatico» sbuffò il ragazzo. Cas poteva tentare di suonare ragionevole finché voleva, ma lui sapeva quanto quella faccenda lo seccasse. E come avrebbe potuto non farlo? Quella era la sua prima - e forse unica? - volta ed il suo migliore amico, con cui l’aveva vissuta, non la ricordava! «Fa girare le palle a me, quindi posso solo immaginare come sia per te» asserì e notò il suo angelo stringere le mani a pugno sopra il tavolo e distogliere lo sguardo, in quello che, con tutta evidenza, era un grande sforzo per controllarsi.
«Non voglio che accusi te stesso. Non è una tua mancanza. È semplicemente inevitabile» replicò questi.
«Io voglio ricordarti, voglio sapere come sei nella tua vera forma» confessò Dean, con più intensità di quanto volesse.
Castiel sussultò visibilmente e gli rivolse uno sguardo sorpreso; una delle espressioni più vere ed umane che lui gli avesse mai visto in volto. Poi frullò le ciglia e chinò leggermente il capo, osservandolo da sotto in su. «Questo vuol dire molto, per me, Dean» gli assicurò in un sussurro.
Lui borbottò qualcosa che poteva essere Figurati o Non dire sciocchezze, poi sì alzò. «Andiamo, ti faccio vedere il resto della casa» disse, nel tentativo di accantonare la questione, almeno per il momento; sapeva che avevano dovuto parlarne e, in un certo senso, si sentiva meglio adesso, ma era altrettanto consapevole che erano venute fuori troppe cose a cui nessuno dei due era capace - o intenzionato - di dare voce.
«Ha completamente cambiato aspetto» osservò l’angelo, seguendolo al piano superiore. Naturalmente aveva visitato la casa con lui e Sam, prima che Dean firmasse l’atto. «Hai fatto tutto da solo?»
«No, con il mio amico invisibile» ironizzò il cacciatore, con un mezzo sorriso.
Castiel si tese. «Che genere di creatura?» domandò serio, facendogli inarcare un sopraciglio.
«Era una battuta, Cas» spiegò, sconsolato «Certo che ho fatto tutto da solo. Sammy è impegnato nella sua personale ricerca di Shambala, o quel che è, ed io non voglio estranei a ronzare attorno al pulcino. A casa sono entrate solo le persone strettamente necessarie» chiarì.
«Una scelta molto saggia» annuì l’amico, continuando a guardarsi attorno; sembrava sinceramente interessato.
«Ti piace?» domandò il ragazzo, mostrandogli la camera da letto alla luce del sole.
Le pareti non erano bianche come nel resto della casa, ma di un tenue color crema, che faceva sorprendentemente pendant con il trench dell’angelo, i pochi mobili - un ampio armadio, il letto e due comodini - erano color ciliegio ed il copriletto a rombi era nei toni del rosso.
«Non pensavo fosse possibile apportare tanti cambiamenti senza miracoli» ammise Castiel «E non hai nemmeno sfruttato l’aiuto di altri umani» considerò.
Dean si concesse un sorriso soddisfatto. Lo sguardo dell’altro si perse un momento tra le pieghe delle lenzuola, ancora sfatte, e tornò sul cacciatore solo quando questi si schiarì la voce.
«Manca solo la cameretta» disse, indietreggiando fino all’altra parte del corridoio per aprire la porta di fronte a quella della sua stanza «Dovrebbe essere quella del pulcino».
L’ambiente era ancora in grigie e tristi condizioni, ma Dean aveva già staccato la vecchia carta da parati, livellato le pareti e steso la plastica sul pavimento; insomma, era pronta per essere tinteggiata. In un angolo attendeva un barilotto di tinta azzurra e, sì, sapeva che c’era il cinquanta percento delle possibilità che nell’ovetto ci fosse una femminuccia, ma aveva scelto il colore pensando a quello del cielo, piuttosto che al sesso del pulcino.
«Ho già visto i mobili che ci serviranno,» raccontò, spalancando la finestra per far arieggiare la camera. La commessa l’aveva lasciato quietamente traumatizzato non appena aveva cominciato a ciarlare di culle, fasciatoii, lettini con la sponda e quant’altro «ma forse potresti venire a sceglierli con me, prima che li ordini. Insomma… se avrai tempo» azzardò, senza voltarsi, stringendo le mani sul davanzale.
In qualche modo non gli sembrava giusto progettare tutto quello senza coinvolgerlo, in special modo quello che riguardava strettamente suo figlio. E lo faceva sentire tremendamente solo.
«Cercherò di ritagliarmi un po’ di tempo» promise Castiel, dopo qualche infinito secondo di silenzio, e Dean rilassò impercettibilmente le spalle; non si era nemmeno accorto di quanto fosse teso.
Quando si girò, scoprì che l’angelo era molto più vicino di quando avesse immaginato. In effetti era un po’ troppo vicino. Se avesse lasciato la finestra chiusa avrebbe potuto vederlo muoversi nel riflesso dei vetri, ma ovviamente lui aveva dovuto aprirla, perché era un cazzone nervoso che non sapeva dove ficcarsi le mani. Deglutì a fatica, umettandosi le labbra e sentì qualcosa aggrovigliarsi nel suo stomaco quando l’amico seguì quel piccolo tic con un po’ troppo interesse; come sapeva tenerlo sulle spine Cas, nessuno mai.
Dopo un momento, questi chinò il capo e vagò con lo sguardo un po’ ovunque, fottutamente vicino eppure esitante a toccarlo. Dean allungò una mano e la strinse sul suo soprabito per il puro desiderio di spezzare quel filo di tensione che si era allungato tra loro, e solo allora l’angelo si permise di poggiare un palmo sulla sua spalla, lì dove era nascosto il suo marchio. L’altra si strinse su uno dei suoi fianchi in un contatto così intimo ed inaspettato da farlo sobbalzare. Sembrava una sorta di Twister al contrario, dove il segreto era toccarsi in punti apparentemente innocenti, e per un attimo il ragazzo immaginò entrambi vestiti di bianco e coperti di grossi pois colorati; il pensiero servì a farlo sorridere un po’ e ad allentare l’imbarazzo.
«Sapevo che potevo fidarmi di te» sussurrò Castiel, e Dean si stupì a cogliere nella sua voce una percettibile nota d’orgoglio, come se l’amico fosse fiero di lui.
«Be’…» borbottò il cacciatore, sfregandosi una mano sulla nuca, poi scrollò le spalle, in quella che riteneva una risposta più che sufficiente. «Ehi, hai ancora un po’ di tempo, giusto? Dammi una mano» propose dunque, indicando i rulli ed i pennelli posati accanto al barilotto di vernice, nel disperato tentativo di smorzare quel… quel… qualunque cosa fosse quella tensione.
Castiel seguì il suo sguardo, inclinando la testa per cercare di capire a cosa servissero quegli strani strumenti, poi annuì. «D’accordo» fece un passo indietro, lasciandogli finalmente un po’ di spazio personale, e Dean senti rompersi quel filo tra loro come se avessero davvero reciso un organo vitale; non fu affatto una sensazione piacevole, a differenza di quello che aveva sperato.
«Okay, vado a mettere dei vestiti vecchi, e sarà meglio che anche tu ti liberi di un po’ di roba, o ti sarà d’impaccio e la macchierai» lo avvertì. Passò in camera da letto e s’infilò rapidamente un paio di vecchi jeans ed una maglietta scolorita dei Led Zeppelin, che aveva decisamente visto giorni migliori.
Quando torno nell’altra stanza, il trench, la giacca e la cravatta di Castiel erano spariti e lui si stava rimboccando le maniche sugli avambracci con aria assorta. Dean si perse per un lungo momento a guardarlo operare quei semplici gesti, così umani, ammirando i muscoli asciutti e forti che emergevano dalla stoffa bianca. L’angelo sembrava avere qualche problema a slacciare il polsino destro, non essendo mancino, così, senza pensarci, lui lo raggiunse e lo aiutò, ripiegando lentamente la manica fin sopra il gomito. Nel farlo, sfiorò inevitabilmente la sua pelle con il dorso delle dita, scoprendola liscia ed appena ombreggiata da un velo brunito di peli sottili e morbidi; a confronto, le sue braccia sembravano quelle di un orco, ed era ridicolo, perché Cas era tutt’altro che minuto nel suo metro e ottanta di muscoli asciutti e atletici, ma riusciva comunque a sembrare incredibilmente aggraziato, in modo tutt’altro che femminile. Lo faceva sentire goffo e sproporzionato.
Rialzando lo sguardo, scoprì - senza nemmeno troppa sorpresa - che l’angelo lo stava fissando. «Che c’è?» chiese perplesso, accennando un mezzo sorriso.
Castiel stava osservando le sue guance. «Le lentiggini» disse solo.
«Uh?»
«Sono interessanti».
Dean si ritrovò a ridacchiare, imbarazzato. «Pronto?» domandò, tentando per l’ennesima volta di cambiare discorso. Spiegò all’amico come usare i rulli, assicurandosi che fossero ben pregni di tintura, prima di iniziare a pitturare, e lui seguì le sue istruzioni con l’espressione seria ed accigliata di un soldato alle prese con le strategia di guerra del proprio generale.
Per un po’, Castiel si dedicò a quel compito con concentrazione eccessiva, poi i suoi muscoli si distesero pian piano e la sua espressione si rasserenò. «È rilassante» osservò allora, strappandogli un sorriso.
Dean si voltò ad osservarlo, scoprendolo coperto da una pioggerella di goccioline azzurre che erano precipitate un po’ ovunque: sulle sue braccia nude, sulla camicia bianca, tra i capelli arruffati, sul viso chiaro e assorto. E gli occhi blu sembravano ancora più scuri per contrasto.
Lui sapeva di non essere in condizioni migliori, ma in qualche modo vedere il suo angelo ridotto così lo fece sogghignare, e fu una stupida distrazione, perché se fosse stato concentrato sul proprio lavoro si sarebbe accorto delle gocce che stavano colando dal suo rullo. Così, invece, una gli finì nel occhio sinistro, strappandogli un’imprecazione.
Lasciò cadere il rullo e si portò istintivamente le mani al viso, sfregandosi le palpebre. Bruciava come l’Inferno, dannazione.
In un attimo Castiel fu al suo fianco e gli strinse con forza i polsi, allontanando le mani dal suo volto. «Fammi vedere» ordinò.
Dean cercò di aprire l’occhio dolorante, combattendo con le ciglia appesantite dalla vernice. Le dita dell’amico lo sfiorarono con gentilezza, quasi impalpabili, ripulendolo con il suo potere, poi il bruciore sparì.
«Meglio?» domandò, ancora appiccicato a lui, scrutando con attenzione entrambi gli occhi, che ormai non erano più nemmeno arrossati.
«Sì, sì, alla grande» confermò il ragazzo «Grazie» sospirò, sollevato.
Castiel abbassò lo sguardo, fissando trucemente il rullo caduto a terra, come se la colpa fosse tutta sua. Stringeva ancora uno dei suoi polsi e con il pollice stava tracciando piccoli cercoletti sull’interno tenero, in un modo che al cacciatore parve del tutto inconscio.
«Sono un coglione. Non avrei dovuto distrarmi» si schernì, quest’ultimo.
«Gli incidenti domestici accadono molto più di frequente di quelli automobilistici» asserì l’altro, teso.
Dean inarcò le sopraciglia per la sorpresa. «E tu come lo sai?» chiese perplesso.
«Osservo voi umani da molto tempo» disse solo.
Il cacciatore scrollò le spalle. «Non è di certo una vita più pericolosa di quella che facevo prima».
«Ma se non fossi stato qui…» cominciò Castiel.
Dean pensò che, innanzi tutto, se non fosse stato lì, lui non si sarebbe distratto, ma lo tenne per sé, perché sarebbe stato un po’ come ammettere che Cas attirava la sua attenzione e non voleva dare all’angelo un pretesto per presentarsi ancor più di rado.
«Mi sarei lavato per bene e non sarebbe successo nulla» lo interruppe, quindi.
«I corpi estranei negli occhi sono una cosa seria» obbiettò l’amico, accigliato.
«Se avesse continuato a farmi male, sarei andato da un medico».
«E come avresti guidato, senza vedere bene?»
«So prendermi cura di me stesso, Cas» sbottò Dean esasperato. Si arrangiava da solo da tutta la vita e le cose non sarebbero cambiate certo ora, solo perché era il fottuto tutore di un uovo piumoso.
«Voglio che mi chiami, se dovesse accaderti qualcosa. Anche qualcosa di piccolo» dichiarò l’angelo e, quando lui fece per obbiettare, uso il polso che teneva ancora stretto per scrollarlo. «Promettimelo» comandò.
Quello servì solo a far intestardire il cacciatore; i prepotenti non gli erano mai andati giu. «È un’idiozia».
«Dean» lo rimproverò Castiel con voce granitica, scrollandolo ancora. «Ho bisogno che tu me lo prometta. Devo essere certo che sei al sicuro, o non riuscirò a fare il mio compito. È già abbastanza difficile così».
«Appunto. Non posso disturbarti per ogni cazzata» esclamò lui. Semplicemente non poteva approfittarne.
Cas lo strinse più forte, in maniera quasi dolorosa, avvicinandosi di mezzo passo, fino a fissarlo con durezza da appena una manciata di centimetri di distanza. «Qualunque cosa ti riguardi, non è una cazzata» disse in tono basso e forzatamente controllato.
Dean deglutì a fatica, messo a disagio da quegli occhi incrollabili e dal significato stesso di quelle parole. «D’accordo» cedette, dopo qualche secondo «Hai la mia parola».
Solo allora l’angelo allentò la presa. «Bene» asserì «Ora devo andare» ammise a malincuore, ripescando da una tasca dei pantaloni l’ovetto, che aveva tenuto addosso per tutto il tempo. Sfiorò il guscio candido in un’ultima carezza, poi lo chiuse con attenzione nella mano di Dean, stringendolo lui stesso le sue dita attorno ad esso, e trattenendo il suo pugno per un momento. «Prenditi cura di lui. E di te» gli raccomandò.
Poi sparì. Lasciandolo da sola in una stanza vuota, con il cuore sottosopra ed una vita in mano.
[1]
Afrodite in
Hercules.
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