Galeotto fu il Temporale

Feb 09, 2012 18:10

Fandom: Game of Thrones (A Song of Ice and Fire)/Harry Potter.
Pairing: Jon/Robb.
Rating: NC17.
Beta: neera_pendragon
Genere: Introspettivo, Erotico, Romantico.
Warning: HP!AU, Crossover, Incest, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 2766 (fiumidiparole).
Summary: Dopo il diploma, Jon e Robb decidono di andare a vivere insieme.
Note: Scritta per il prompt fandom!AU della mia Tabellina Generale presa da auverse e per la terza settimana della COW-T 2 di maridichallenge, Missione 1: Altrove - Team Magic Sticks.

DISCLAIMER: Non mi appartengono, non ci guadagno nulla ù_ù

Galeotto fu il Temporale

In ogni caso la felicità è sempre dietro l'angolo: la felicità arriva all'improvviso, indipendentemente dalla situazione e dalle circostanze, tanto da sembrare spietata […]. È imprevedibile come lo sono le onde e il tempo. I miracoli sono sempre in attesa, senza far distinzione per nessuno. ¹

La decisione di andare ad abitare insieme una volta finita la scuola venne fuori quasi dal nulla. Non era un bel momento, non lo era per niente. Erano rientrati da scuola con una settimana d’anticipo sulle vacanze di Pasqua a causa di una tragedia.
Certe cose, quando stanno per succedere, te le senti nelle ossa. Il sangue - o la magia che scorre in esso - romba nelle vene e urla straziata, facendoti tendere come una corda di violino. Jon si era sentito così per tutto il giorno prima, senza riuscire a spiegarsene la causa, ma comprese davvero che qualcosa non andava solo nel momento in cui fece scorrere lo sguardo sul tavolo dei professori e non vide tra i presenti suo zio Benjen - il Professor Stark, mentre erano lì a Durmstrang - ed il Preside. Quando poi il primo tornò con un aria grave in viso, dirigendosi dritto verso di lui, Jon sentì il petto chiudersi in una morsa.
Fisso con occhi assenti i compagni di scuola, le posate povere e le sgargianti divise rosse, e si chiese, per l’ennesima volta, perché non fosse a casa - a Hogwarts.
Benjen lo prese da parte, conducendolo al suo studio e gettando subito una manciata di Polvere Volante nelle fiamme del camino. «Si tratta di Ned, Jon» spiegò, posandogli le mani sulle spalle.
Il ragazzo aveva sempre saputo che quello dell’Auror era un lavoro pericoloso, specie per il capo della Sezione Speciale, ma non avrebbe mai pensato di perdere suo padre così, sotto il fuoco amico, mentre indagava sulla morte sospetta del suo migliore amico, il Ministro della Magia Robert Baratheon.
Quando riemerse dalle fiamme del camino, si rese subito conti che la moglie di suo padre era assente, ma Jon non riuscì a fargliene una colpa, nonostante avessero un pessimo rapporto. Sapeva quanto Lady Catelyn ed Eddard si amavano e non gli era difficile immaginarla a letto, prostrata dal dolore o semplicemente lontana dai suoi figli per poter piangere senza vergogna.
I suoi fratelli e le sue sorelle erano tutti lì, invece, stretti gli uni agli altri per farsi forza, ma lo sguardo che Jon incontrò per primo fu l’unico di cui aveva davvero bisogno. Robb sembrava un po’ più alto ed un po’ più freddo, dall’ultima volta che l’aveva visto, come se fosse invecchiato di dieci anni nell’ultima ora trascorsa.
Gli bastò guardarlo negli occhi per capire che, se prima suo fratello voleva diventare Auror perché era il suo sogno, ora lo sarebbe diventato per cercare vendetta.

*°*°*°*°*

Robb glielo propose di punto in bianco, subito dopo il funerale: «Appena prendiamo i M.A.G.O. cerchiamo un appartamento tutto per noi».
E Jon cadde un po’ dalle nuvole, perché erano seduti in silenzio davanti al camino da quasi un’ora, indossavano ancora le vesti eleganti e gli stivali sporchi dalla polvere della cripta degli Stark, e nessuno in quella casa riusciva a guardare a quello che avrebbero fatto da lì ad un minuto, figuriamoci alla fine dell’anno.
Si chiese se fosse stata un’idea nata sul momento, frutto del bisogno di tenersi stretti, di non permettere al mondo di dividerli ancora, o se fosse qualcosa che suo fratello si portava dentro già da un po’.
Spettro, il suo bianchissimo cucciolo di cane-lupo, aprì gli occhi rossi, vigile, spiandoli dal tappeto su cui era accucciato addosso a Vento Grigio, il suo fratellino più scuro.
«Pensavo volessi andare ad abitare con Theon» osservò Jon, dato che quell’idiota era un po’ l’idolo di suo fratello, oltre ad essere il figlioccio del loro padre, e aveva avuto un anno intero per lavorarsi Robb in sua assenza.
Lui storse la bocca. «Theon si porta a casa ogni baldracca pronta ad aprirgli le gambe. E non ricorda mai gli Incantesimi Silenzianti. Inoltre, rischierei di trovarmi i suoi calzini sporchi perfino nella tazza da tè».
Jon guardò i suoi occhi turchesi come schegge d’agata, pensò a quanto la cosa avrebbe dato sui nervi a Catelyn Tully e alla sua costante crociata per tenerlo lontano dalla sua famiglia, e non ebbe davvero bisogno di scegliere. «Okay» rispose semplicemente ed il sorriso di Robb fu il primo raggio di sole in quei giorni di lutto.

*°*°*°*°*

Gli ultimi sei mesi a Durmstrang furono i più duri. Lui e Robb avevano sognato di diplomarsi insieme, quando erano bambini, invece alla fine del loro quinto anno Lady Catelyn era riuscita a convincere Eddard, il loro padre, a trasferire Jon a Durmstrang, dove lo zio Benjen era vicepreside. Gli mancava Hogwarts, gli mancavano i suoi amici, i pranzi luculliani ed il calore della Torre di Corvonero.
Durmstrang era ombrosa e fredda, il cibo era quello che i ragazzi stessi cacciavano nella foresta e non c’erano elfi domestici a ravvivare il fuoco durante le notti gelide o a fare le pulizie. Ma anche quell’ultimo periodo passò e Jon sfruttò i soldi che suo padre aveva provvidenzialmente messo da parte per lui, in una camera separata a suo nome, per pagare la sua parte d’affitto e gli studi.
Lady Catelyn divenne livida quando scoprì di quel conto personale alla Gringott - a quanto pareva Ned non gliene aveva fatto parola -, e tutte le sue proteste non servirono a far cambiare idea a suo figlio.
Infine, a metà Luglio, Jon e Robb si trasferirono in un appartamentino al confine tra Notturn e Diagon Alley, che vantava giusto una minuscola camera da letto, un bagno striminzito e un nemmeno troppo ampio ingresso-soggiorno.
«Possiamo dividere il letto matrimoniale» propose Robb «O sostituirlo con due singoli».
Non sarebbe stata una novità. Essendo coetanei, da bambini avevano dormito insieme, nello stesso letto, e quand’erano diventati troppo grandi per starci dentro, non avevano perso l’abitudine d’intrufolarsi a notti alterne l’uno in quello dell’altro, bisbigliando sotto le coperte per non farsi scoprire. A volte Jon sentiva ancora la mancanza di quelle camere comunicanti al Winterfell, il maniero degli Stark; nessuno a parte loro aveva mai scoperto il vecchio passaggio segreto che le univa.
«Nah. Tu scalci come un cavallo. Tieniti il lettone, signorino, io prendo il divano-letto» rispose lui, che tra i due era di gran lunga il meno viziato. Robb era troppo territoriale con le sue cose e non riusciva a dormire senza il suo adorato cuscino.
Suo fratello gli tirò il suddetto cuscino in faccia. «Non venire a piangere da me, stanotte, Snow» sbuffò imbronciato.
Spettro e Vento Grigio li fissarono incuriositi dal loro nido foderato di pellicce sul terrazzo - una casetta di legno messa insieme alla meglio grazia alla magia -, molto più tranquilli e posati di quanto loro fossero mai stati.

*°*°*°*°*

Manco a dirlo, non fu Jon il primo a cedere. Quella stessa notte, mentre si rigirava per trovare una posizione comoda, lottando contro le molle sgangherate che cercavano di perforargli il costato, sentì i passi di Robb nel breve corridoio, il fruscio dei suoi piedi scalzi a malapena percettibile sotto il frastuono dei tuoni.
Lui sorrise nel buio, ricordando quanto Robb ne avesse terrore da bambino; durante i temporali si intrufolava nel suo letto e lo costringeva a tirare le coperte fin sopra le loro teste.
Rimase immobile, curioso di scoprire cosa avrebbe fatto suo fratello, ora che non avevano più otto anni, e lo sentì accucciarsi vicino a lui, ai piedi del divano-letto, ma continuò a fingere di dormire. Si convinse ad aprire gli occhi solo quando le dita gentili di Robb catturarono un ricciolo che gli era caduto sulla fronte e lo riportarono dietro l’orecchio.
«Non riesco a prendere sonno» sussurrò suo fratello quando, nell’alternarsi dei lampi, si accorse che era sveglio.
«Paura, Stark?» lo provocò Jon, ma scostò le coperte per fargli spazio.
«Ti piacerebbe» sbuffò Robb, infilandosi sotto ed intrufolando i piedi gelati tra le sue caviglie. In men che non si dica, riuscì a rubargli metà cuscino e quasi tutte le coperte.
Jon ringraziò silenziosamente Merlino che facesse abbastanza caldo da poterne fare a meno, ma questo non gli impedì di ingaggiare una lotta per riconquistarle. Si piegò leggermente su se stesso quando uno dei gomiti appuntiti del fratello gli si piantò tra le costole, lì dove le molle avevano già infierito, ed un momento dopo lanciò le coperte in aria ed attaccò con l’arma di distruzione di massa definitiva.
Sorrise soddisfatto mentre Robb si arricciava sotto di lui, ridendo convulsamente, e non smise di fargli il solletico nemmeno quando lui tentò di schienarlo e contrattaccare.
«Maledetto! Perché non lo soffrì più?»
«Perché io sono un adulto, Stark».
«Col cazzo» sbottò Robb «Si tratta solo di trovare il… punto… giusto… a-ah!» esclamò, scovando quell’infima porzione di fianco che lo fece quasi saltare in aria.
Dalla bocca di Jon sfuggì una specie di Ngh!, mentre cercava di sfuggire alle mani dell’altro, poi un lampo illuminò la stanza a giorno e subito dopo risuonò un tuono così forte da far tremare il pavimento. Robb si rattrappì su di lui, a cavalcioni dei suoi fianchi; si piegò fino a poggiare la fronte sul suo petto, come se i muri dovessero crollargli addosso da un momento all’altro.
A lui venne quasi da ridere, ma si trattenne prima di ferire mortalmente il suo orgoglio, e in qualche modo riuscì a ritrovare le coperte e coprire entrambi fin sopra la testa, come facevano un tempo. Robb sollevò appena il viso, sentendo lo spostamento d’aria, e sbuffò divertito, sfiorando con le dita il lenzuolo bianco teso sopra di loro. «Sono solo stato preso alla sprovvista dal rumore» borbottò, ma Jon non disse nulla, e allora lui gli si stese per bene sopra, infilando un ginocchio tra le sue gambe ed abbracciando il suo torace come fosse un cuscino. Dopo un momento, però, si accigliò, fissando la casacca del suo vecchio pigiama, che gli graffiava la guancia, e la sbottonò finché non poté poggiarsi sulla sua pelle nuda.
«Finito?» domandò Jon perplesso, ed in risposta suo fratello tornò a pungolare quel infido punticino, facendolo sussultare. Lui fu costretto a stringerlo il più possibile tra le braccia per immobilizzarlo, finché Robb non fu completamente spalmato sul suo petto, scosso da una risata silenziosa.
Jon si chiese perché quell’idiota non Silenziasse le finestre, se il temporale lo disturbava tanto, ma immaginò che se Robb l’avesse fatto per davvero allora non sarebbero stati lì, quindi magari poteva anche fare a meno di lamentarsi.
Dopo un po’, quando fu ragionevolmente sicuro che l’altro non intendesse più attaccarlo, cedette alla tentazione di infilare le dita tra i suoi ricci rossi, giocandoci distrattamente. Robb sospirò compiaciuto contro la sua pelle, strappandogli un fremito.
Merlino, se gli era mancato! Non riusciva a credere di aver perso quasi tre anni a causa di sua madre.
«Ehi, Snow» lo sentì sussurrare, il respiro che rotolava sul suo petto fino a scivolare su un capezzolo.
«Uhm?» fece lui, in risposta, ma Robb non disse nulla. «Sei svenuto, Stark?» lo incitò quindi.
«No» rispose suo fratello, agitandosi appena contro di lui.
Jon stava per chiedergli cosa c’era che non andava, quando Robb si sollevò sugli avambracci, cercando il suo sguardo, e lui si ritrovò il suo viso ad una manciata di centimetri dal proprio.
«Perché non vuoi dividere la camera con me?»
Che razza di domanda è?, avrebbe dovuto ribattere Jon, o qualcosa del genere, ma non riusciva esattamente a formulare un pensiero coerente con quegli occhi azzurrissimi e pieni di lampi così vicini. Si accorse di star descrivendo con il pollice piccoli circoletti sulla sua nuca e la voglia di attirarlo ancora più vicino e premere la bocca sulla sua si fece così intensa da togliergli il fiato. E forse era proprio per la paura di fare qualcosa di così stupido - e sbagliato e, Merlino sì, così perfetto - che Jon preferiva dormire sul divano, ma non aveva più molta importanza, perché all’improvviso le labbra di Robb erano sulle sue, e lui non riusciva proprio più a pensare ad un cazzo.
Per qualche glorioso minuto il suo universo si ridusse a quella lingua che gli riempiva la bocca, all’accenno di barba che gli graffiava il mento, al peso del corpo che lo schiacciava. Poi furono costretti a staccarsi per respirare ed i suoni del mondo reale tornarono tutti insieme, squarciando l’aria con tuoni e fulmini, e Jon si chiese che diavolo stessero facendo.
«Dovremmo dormire» disse, con una voce che quasi non riconobbe come propria, mentre tutto il suo corpo gridava il contrario «Se domani arrivo in ritardo, il Monco mi farà la pelle».
Quorin, il capo dell’Ufficio Misteri, era un amico del Vecchio Orso Jeor Mormont, il Preside di Durmstrang, e - per qualche motivo che gli era ancora ignoto - lo aveva preso subito tra le sue reclute.
«Sta zitto, Snow» bisbigliò Robb «Potrai diventare l’Indicibile più imbronciato del Mondo Magico un altro giorno». Intrufolò le mani fredde sotto la camicia del suo pigiama, facendolo sussultare, e Jon non riuscì a dire niente, perché la sua bocca venne presa di nuovo d’assalto.
Robb aveva un profumo buonissimo, qualcosa che sapeva di pino come la Foresta del Lupo attorno al Winterfell, di casa e sicurezza, l’odore più familiare del mondo, insomma, e lo stava facendo uscire completamente fuori di testa.
«Merlino» ansimò, mentre la lingua di Robb rotolava giù lungo il suo collo e quelle dita fredde scendevano più in basso, superando l’elastico dei pantaloni. Quando si strinsero sul suo sesso, Jon seppe di essere completamente perduto, e - porca Morgana! - non gli dispiaceva nemmeno un po’.
Artigliò la maglietta di Robb, strappandogliela quasi di dosso ed intralciando per un minuto i suoi movimenti, costringendolo a fermarsi, ma era un sacrificio che poteva fare per avere la sua pelle bianca a portata di mano - e di labbra.
Suo fratello si avventò ancora una volta su di lui e Jon stavolta non si fece pregare, attirandolo di nuovo a sé e rotolando su di lui, fino a coprirlo con il proprio corpo.
Mentre baciava il suo petto, fu colpito da una fitta lancinante di chiarezza mentale; non era affatto come quella volta in cui Rose l’aveva sorpreso sotto la doccia, dopo gli allenamenti di Quidditch. Stavolta, non si sentiva per nulla in imbarazzo, conosceva il corpo sotto il suo come se fosse il proprio, e sapeva alla perfezione cosa fare e dove mettere le mani.
Spingere i fianchi contro quelli di Robb, strusciandosi contro di lui, sembrò semplicemente naturale, al punto che lui avrebbe dovuto esserne turbato, invece non lo era affatto; si sentiva bene e aveva voglia di sorridere come un idiota, mentre una profonda soddisfazione gli attorcigliava lo stomaco.
Le mani del fratello, impazienti, tornarono ad infilarsi sotto il suo pigiama, superando l’elastico dei suoi boxer e stringendosi sulle sue natiche. Jon sfuggì a quella presa scivolando più in basso, gli morse un fianco, facendolo sussultare e poi ridere divertito - e, no, non stava sorridendo ancora di più a sentire il suono di quella risata, assolutamente no! -, prima di sfilargli i pantaloni, facendoli scivolare lungo le sue gambe stupidamente lunghe, per poi lanciarli in aria.
L’attimo dopo rimase perplesso ad osservare la stoffa delle sue mutande. «Pinguini, sul serio?» domandò, guardando la fantasia che le decorava, e Robb sbuffò e gli saltò addosso, buttandolo di schiena sull’altra parte del divano-letto, rischiando di farli finire entrambi sul pavimento.
«Non avevo in programma un incontro romantico, stanotte» spiegò imbronciato.
«E questo lo definiresti romantico?» riuscì a replicare lui, prima che la sua bocca venisse zittita in un modo decisamente più piacevole del solito.
Le loro braccia si scontrarono, intralciandosi a vicenda, mentre cercavano la strada verso l’intimo dell’altro, e due gemiti identici morirono nel bacio, quando finalmente arrivarono al capolinea. In un primo momento fu tutto troppo confuso ed incasinato, poi però riuscirono a trovare un ritmo comune, replicando come uno specchio l’uno i gesti dell’altro, in un ritmo lento che frustrava il desiderio, più che appagarlo, ma nessuno dei due sembrava avere fretta di accelerare le cose.
Robb soffocò un ansito divertito contro la sua guancia e Jon lo fissò perplesso - per quanto potesse essere perplesso lo sguardo di un ragazzo che ha l’uccello nella mani di un altro.
«Cosa c’è?»
«Pensavo solo a tutte quelle… fredde sere d’inverno… passate a giocare a scacchi magici, quando… avremo potuto fare questo» smozzicò suo fratello, senza fiato, stringendo di più la presa su di lui.
Jon gemette, inarcandosi contro il suo corpo e facendo accidentalmente sfiorare i loro membri.
«Merlino» biascicò Robb in un singhiozzo. Si issò a cavalcioni del suo bacino e Jon si ritrovò a stringere con forza i suoi fianchi, quando lui chiuse entrambi nel suo palmo, spingendosi nel proprio pugno e sul suo sesso.
Chiuse gli occhi, mordendosi un labbro, nel tentativo di resistere un po’ di più, solo un altro minuto, mentre il fratello - Lord Stark, ora - lo cavalcava come un Re sul suo destriero, e sì - maledizione, sì! - andava bene, andava benissimo, a patto che Robb restasse esattamente lì, premuto contro di lui.

FINE.

¹ Banana Yoshimoto - Ricordi di un vicolo cieco.

Potete trovarla anche su:
Nocturne Alley.

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