Fandom: Merlin.
Pairing: Arthur/Merlin, accenni Lancelot/Gwen e Mordred/Morgana.
Rating: R.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Future!fic, Sesso non descrittivo, Slash.
Words: 1082 (
fiumidiparole).
Summary: Mordred e Morgana sono in marcia su Camelot, e Arthur è davvero stanco di chiudere gli occhi e fingere che vada tutto bene.
Note: Scritta sul prompt
“Un pentagramma in chiave di sì (con l’accento)” per
Notte della Talpa del
Reality Challenge di
maridichallenge.
DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
Chanson de Geste
Con un sordo grattare di sedie su pavimento di pietra, gli uomini più valorosi di Camelot si alzarono dalla Tavola Rotonda, lasciando la stanza del consiglio di Caerleon.
Arthur, il Re, finse di non vedere il sorriso che affiorò sulle labbra di Lancelot, il suo cavaliere più fidato, mentre questi si rendeva conto di non avere più obblighi per quella sera e di poter finalmente correre fra le braccia della sua Gwen. Finse di non sapere, come faceva tutte le volte, anche se lui non aveva mai potuto sfiorare la persona che desiderava nemmeno con la punta delle dita. In qualunque momento avrebbe potuto fare irruzione nelle stanze della sua Regina per sorprenderli sul fatto e bandirli dalla corte, ripudiarli, perfino ucciderli, ma non l’avrebbe fatto, perché ormai aveva quasi quarant’anni, non aveva alcun erede e l’adulterio di sua moglie era l’ultimo dei suoi problemi.
Puntò i gomiti sul tavolo, prendendosi la testa tra le mani come se la corona che portava sul capo avesse improvvisamente assunto il peso di un macigno.
In quello stesso momento, un esercito immenso marciava verso Camelot, condotto da sua sorella Morgana e da Mordred, il giovane druido che avevano salvato quand’era solo un bambino. Sapeva che Morgana voleva farlo suo sposo e concepire un figlio, legittimando così la loro pretesa al trono, e c’era davvero ben poco di cui stupirsi: quei due avevano sempre condiviso un amore malsano, e lei era ancora bellissima ed in grado di ringiovanire grazie ai propri poteri.
Dato che lui non aveva bambini e che Morgana era figlia di Uther Pendragon, il primogenito suo e di Mordred sarebbe stato - di fatto - principe ed erede al trono di Camelot.
«Sire» lo chiamò una voce familiare, ma lui la ignorò.
Aveva già affrontato Mordred faccia a faccia, nell’ultimo scontro; il suo nemico poteva contare sulla magia e sulla propria giovinezza, e lui non era più certo che Excalibur e la sua esperienza sarebbero stati sufficienti a sconfiggerlo.
«Arthur» ritentò di nuovo quella voce ed un palmo gentile si posò sulla sua spalla. Solo allora il sovrano si voltò per incontrare gli occhi blu di Merlin, ancora seduto alla sua destra.
Era molto cambiato da quando era solo un ragazzo: ora - su sua insistenza - indossava vesti più costose, consone al Primo Consigliere del Re, e portava una barba curata che gli copriva la mascella e gli incorniciava la bocca, dandogli un’aria un po’ più adulta. I capelli, invece, leggermente più lunghi, scendevano a nascondere come meglio potevano quelle buffe orecchie, dandogli un aspetto un po’ più serio.
«È molto tardi» gli fece notare il Mago. «Dovresti andare a riposare».
Il Re annuì e si alzò lentamente, percependo nonostante tutto una fitta alla spalla, dove era stato ferito durante l’ultima battaglia. Lo sguardo preoccupato dell’amico corse subito su di lui, ma non cercò di aiutarlo, ben sapendo che il suo orgoglio non l’avrebbe gradito. Lo accompagnò fino alle sue stanze, poi si chiuse la porta alle spalle, e la prima cosa che fece, quando Arthur si lasciò cadere seduto sul letto, fu togliergli la corona dal capo.
Questi sospirò di sollievo, come se fosse stato appena spogliato del proprio ruolo, mentre Merlin cominciava a sciogliere i lacci delle sue vesti e cianciava di cose senza importanza. Gliene fu segretamente grato; se c’era qualcosa che riusciva a rilassarlo dopo una giornata pesante, erano proprio le sue stupide chiacchiere.
Dopo aver elevato Merlin di rango, aveva provato a trovarsi un altro valletto personale, ma la verità era che, quand’era così stanco, non sopportava la presenza di estranei attorno, figurarsi di avere le loro mani addosso. Per un po’ aveva cercato di fare da solo, ma… be’, lui non era molto bravo in queste faccende e, al quinto servitore licenziato, l’amico aveva compreso la situazione ed era tornato a svolgere quella parte dei suoi vecchi doveri senza dire una parola.
Di cosa stava parlando ora? Della fuga di Lady Isotte con lo stalliere, o delle orrende verruche di Lord Lot? Arthur non lo stava nemmeno ascoltando, tutto ciò di cui aveva bisogno era il suono della sua voce.
«Alza le braccia» gli ordinò Merlin, interrompendo un attimo l’aggiornamento sui pettegolezzi per aiutarlo ad infilare la camicia da notte. Però il Re, anziché eseguire il suo comando, ignorò quell’indumento e gli posò una mano sulla nuca, conducendolo alle proprie labbra.
«Arthur…» mormorò il Mago su di esse.
«Shhh… Resta» soffiò lui, attirandoselo addosso, mentre si stendeva sul letto.
C’era stato un tempo in cui Arthur aveva davvero amato Gwenevere, il suo coraggio, la sua gentilezza, la sua saggezza, ma soprattutto la sua onestà. Il giorno in cui l’aveva portata all’altare aveva pensato che sarebbe stata l’unica, la regina del presente e del futuro. Ora, quando guardava i suoi occhi scuri, vedeva la colpa, il timore di essere scoperta e ripudiata, la menzogna.
Il volto di Merlin poteva invecchiare e ringiovanire, aggravarsi di rughe o tornare liscio come quello del ragazzo che era entrato a suo servizio di malavoglia, ma comunque si presentasse al suo cospetto, nel suo sguardo blu Arthur vedeva sempre le medesime cose: rispetto, sincerità, sfrontatezza, tenacia. E dolore; il peso di tutti gli sbagli che avevano compiuto insieme - sempre insieme.
Lentamente, lo schiacciò sul letto con il proprio peso, e ora c’era apprensione in quegli occhi blu, confusione, ma mai - mai, mai, mai - repulsione, mentre Arthur lo portava sotto di sé. E a lui non importava più nulla dei possibili scandali o di essere sposato, aveva desiderato quel momento fin da quando era solo un ragazzo e ora non riusciva più a sopprimersi; non voleva sopprimersi.
«Arthur…» sussurrò Merlin, incorniciando il suo viso tra le mani, frenandolo, cercando il suo sguardo ed impedendogli di nuovo di fuggire verso il suo collo - quel collo lungo, bianco, illegalmente attraente per essere quello di un uomo.
«Vuoi andartene?» gli domandò il Re, la mani troppo ruvide sui suoi fianchi ossuti, un ginocchio tra le sue gambe.
«Mai» dichiarò lo Stregone, e ad Arthur tanto bastava.
La pelle pallida di Merlin si arrossava troppo facilmente, sotto i suoi denti, istigandolo a mordere ancora, ancora ed ancora. E se conosceva qualche trucco magico per facilitare le cose, non lo usò; c’erano lacrime trattenute nei suoi occhi, quando Arthur lo prese. Eppure Merlin non si tirò indietro, mai, al contrario gli venne incontro, spinta dopo spinta, mentre dalle sue labbra rotolava fuori un gemito dopo l’altro, un pentagramma di sì, sì, sì, sì, SI’, che il Re non avrebbe più dimenticato. Se la sarebbe portata in battaglia, quella canzone, nella tomba e sul cuore.
FINE.
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EFP.