Titolo: Delicious
Pairing: Germania x Italia
Rating: NC17
Genere: fluffy, alla fin fine XD
Disclaimer: Tutti i presenti di cui narro le eroiche gesta sono di Himaruya-sensei, e io non possiego nemmeno un capello dei baldi giovani
u_u
Note: scritta per il compleanno di un'amica, va contro ogni mio principio religioso XD il porno fra Ludwig e Feliciano lo trovo inconcepibile ç_ç" quindi di NC-17 in realtà c'è poco XD è più una pippa mentale di Ludwigiana matrice.
Riassunto: Ludwig sbuffò pesantemente, trovando l’ennesima camicia di Feliciano sparsa per casa.
Ludwig sbuffò pesantemente, trovando l’ennesima camicia di Feliciano sparsa per casa. Solo in quella mattinata ne aveva trovate ben quattro: una sulla lampada in soggiorno, una dietro il televisore (il gigantesco televisore al plasma che il suo amante aveva preteso piagnucolando come un cucciolo abbandonato per vedere meglio le sue stupide partite di calcio; che bisogno c’era, si chiedeva Ludwig, di vedere ogni millimetro possibile dei pantaloncini sudati e attaccaticci alle chiappe di un qualche giocatore dal cervello sottosviluppato? Pensò che il suo ragazzo avesse qualche feticismo non confessato, nei primi istanti: poi quando lo vide sbavare ed esultare per un gol - distraendosi dal bacio più appassionato di quella sera, fra le altre cose - si rispose ch’era solo scemo, come in verità aveva già confermato innumerevoli volte), una sotto il letto e una davanti alla porta chiusa del bagno. Sbuffò di nuovo: cosa gli costava portarla fino al cestello della roba sporca?! La raccolse - notò qualche macchia di varechina sui polsi, sicuramente si era sporcato giocando coi detersivi, ed ora non poteva essere utile se non come straccio - e sotto vide le mutande. Ah, no, questo era davvero troppo! Ma non urlò, era tedesco, ordine.
“Italiaaaa…”, grugnì all’aria, infilando le mutande nel fagotto di vestiti sporchi.
Feliciano era sparito la mattina presto per andare a fare la spesa, l’unica cosa utile che sapeva fare in casa. Voleva fare il pesto alla genovese, totalmente sconosciuto a Ludwig, ed era riuscito a privarsi delle sue dodici ore di sonno apposta per andare presto al mercato.
Ludwig arrossì leggermente: era un elenco mentale davvero degno di una mogl un marito. Aveva un sapore strano in bocca, quella parola, un suono piccolo e grazioso, lo avrebbe definito Feliciano sorridendo. Feliciano era davvero stupido, ad entusiasmarsi per quei particolari minuscoli. In realtà, Feliciano si emozionava per ogni cosa: quando Ludwig parlava e diceva qualcosa - distrattamente - che gli piaceva, la ripeteva quasi cantilenando, come facendogli le feste. I suoi occhi luccicavano davanti a piccoli preziosismi che nessun’altro avrebbe notato. Feliciano non amava l’ordine, e allora il tedesco non sistemava mai il suo comodino, in modo che se lo gestisse liberamente, nonostante piangesse dentro ogni volta che voltava lo sguardo e notava piccoli ammassi di briciole negli angoli. Italia non apprezzava per nulla la cucina tedesca - e glielo aveva fatto notare con la sua pochezza caratteristica di grazia, quando aveva preso i crauti e li aveva gettati dalla finestra - e allora Ludwig non protestava mai per mangiare i suoi wurstel, se non quando era il ragazzo a prepararli di sua sponte. Quello stupido ragazzo con la voce squillante adorava gli odori da ragazzina, come la vaniglia e le fragole, e in bagno non mancavano mai i bagnoschiuma alla frutta (Italia, la sua amata Italia, lo inebriava quando lo abbracciava e conservava quella traccia dolce sulla pelle, e mentre la baciava si sentiva sciogliere). Feliciano non sopportava i film dell’orrore e di guerra per cui Ludwig andava matto, e il tedesco si ritagliava il tempo per guardarseli da solo, a basso volume, quando il suo ragazzo andava a cogliere fiori nel giardino.
Italia aveva preteso il giardino. La sua terra era piena di colori e profumi, e non voleva esserne assolutamente privato. Ludwig li trovava quasi ridicoli, ma erano scesi a compromessi. Non più di un vaso di fiori a settimana, e che non fossero troppo sgargianti. Ovviamente Italia raccoglieva papaveri e rose ogni giorno e li spargeva in ogni angolo possibile della casa. (pensò che forse non avrebbe mai amato Italia se non fosse stato così - naturale spontaneo stupido ed incapace, talmente scemo da essere bianco e poterlo stupire ogni giorno e non farlo mai annoiare) (Italia, Italia, la sua amata e bellissima Italia che brillava quando sapeva di essere guardato da lui, che non riusciva a non sorridere ogni giorno, che non riusciva assolutamente ad evitare di amarlo incondizionatamente e costantemente, devoto fedele amorevole perfetto, lui e la sua stupidità, lui e il suo far tardi a letto perché troppo preso da un film strappalacrime e poi cercare e pretendere le coccole per essere consolato da quell’insopportabile tristezza, lui e le sue sceneggiate sulla scemenza tedesca di averlo imbrogliato e aggiunto troppo sale nella pasta - quella era affare suo, sbraitava inviperito, salvo poi farsi corrompere davanti ad un dolce, lui e le macchie di cibo sul vestiti e sul volto - tracce di crema che davano scuse per baci fugaci, lui e quel suo essere irrimediabilmente lento a capire e straordinariamente veloce ad imparare ogni difetto e ogni pregio e ogni più piccola cosa che lo riguardava lui e quel suo “Ludwig” che mormorava lento, come se ogni sillaba fosse preziosa lui , la sua Italia adorata dalla notte dei tempi)
Ludwig mise la mano sulla maniglia, che stranamente trovò calda.
“Ma cosa…”
L’abbassò ed entrò in bagno, e in bagno c’era Italia.
“COSADIAVOLOCIFAIQUA?!”, sbraitò Ludwig dimenticando il suo ordine tedesco, vedendo Feliciano nella vasca intento a farsi il bagno - c’era odore di vaniglia e zucchero filato, e i suoi denti si stavano cariando.
“Il bagno!”, rispose ovvio.
“Quando sei entrato in casa?!”
“Mezz’ora fa!”
“DA DOVE?!”
“Dalla porta di servizio!”
“Noi non abbiamo una porta di servizio.”
“Certo che l’abbiamo, Doitsu…”
E si ricordò di quanto aveva rotto le scatole per averne una, per farti le sorprese. (era davvero sorprendente come si rendesse conto ogni secondo quanto fosse amato, mein Gott.)
Germania arrossì, e fece per uscire, avendo sempre trovato certi momenti davvero troppo privati per essere condivisi, ma Italia fu molto più rapido nell’acchiapparlo e trascinarlo nella vasca con lui. Scoppiò a ridere nel vederlo carminio in volto e lo schizzò d’acqua in volto, mentre quello cercava di conservare quando più rigore tedesco riuscisse.
“Non ho tempo, ora!”
“Aah, Ludwig!” e si fece corrucciato e le labbra in fuori erano, DIO!, da mangiare. E poi, DIODIODIO, lo aveva chiamato per nome e cazzocazzocazzomaeratuttonudosottol’acquamadiodiodio “Tu non hai mai tempo. Dai, dai, spogliati e fatti il bagno con me!” e lo schizzò di nuovo, come a rimarcare la propria richiesta.
Ludwig sbuffò, il viso dal solito cipiglio rassegnato, e cominciò a slacciarsi la camicia, ma ancora una volta Feliciano fu più rapido: si alzò in piedi - la schiuma che, dalle clavicole, scendeva lungo i pettorali appena accennati e percorreva le ossa del bacino sottolineandole come luce del mattino (e la luce, al mattino, davvero si scioglieva sulle sue gambe sempre nude e riusciva a trovarlo uno spettacolo bellissimo ogni volta) e infine si perdeva in mezzo alle gambe e si rendeva fuoco nelle guance del biondo, il cui pudore gli aveva sempre impedito di vedere Feliciano totalmenteintegralmenteommioddiosantissimo nudo.
Si ritrasse brusco, finendo di spogliarsi da solo. Feliciano se la prese, e finì col viso per metà sott’acqua a fare bollicine col naso.
“Italia, tirati su, che sennò il sapore ti finisce nei polmoni…”, sospirò il tedesco mentre si toglieva le mutande e nell’istante immediatamente successivo era già coperto dalla schiuma.
Ludwig aveva un senso del pudore altissimo. Si vergognava come un ladro a farsi vedere nudo da Feliciano. Era un blocco stupido, particolarmente stupido anzi, considerando per di più il fatto che loro, l’amore, lo avevano già fatto. Ma per lo più baciati dal chiarore della Luna (trattenne la voglia di vomitare quando Feliciano pronunciò quelle parole, lui e il suo stupido romanticismo italiano rubato da filmetti americani di quarta categoria), e il corpo di Feliciano lo aveva accarezzato, immaginato, modellato come creta nella propria mente - ed era asciutto e sottile come presupponevano gli abiti, aveva le cosce tese e la pelle liscia e le curve delle ossa erano morbide contro le sue spigolose e la pelle ruvida. Italia protestava tutte le volte, perché lui voleva vederlo il suo amato Ludwig - e pronunciava amato e Ludwig in esatta sequenza, morbido e dolce, proprio per farlo capitolare, eppure non riusciva mai nel suo intento, perché la vergogna di Ludwig era più forte di tutti gli occhi dolci e le moine di cui era capace, e il broncio iniziale si infrangeva in sospiri e gemiti trattenuti un poco e poi esplodeva negli urli dell’orgasmo, il broncio che carezzava coi polpastrelli e trasformava presto in sorriso coi baci sulla pancia piatta.
“Doitsu, Doitsu.”
“Dimmi.”
“Posso venirti tra le gambe?”
“… fai pure…”
Un gridolino di gioia e aderì con la schiena al petto del tedesco. “Aaaaaa-hn…”, emise sofficemente come un gatto posizionandosi per bene tra le sue gambe aperte.
Ludwig lo guardò dall’alto: il petto era davvero piatto e la pancia davvero liscia. Timidamente, piano piano, gli circondò la vita con le braccia, e il ragazzo per un mezzo secondo sobbalzò - era davvero Germania che si lasciava andare a certe coccole fuori programma? Si mosse un pochettino per meglio mettersi tra le sue gambe e rilassarsi totalmente, abbandonarsi contro di lui. Era tremendamente rilassante godersi il battito del cuore di Ludwig. Appoggiò per bene la testa al petto - era grandissimo, soprattutto in confronto al suo, ed era bellissimo nonostante le cicatrici che però, pianissimo, si stavano cicatrizzando. Italia si sentiva molto orgoglioso di questo: non guarivano così velocemente, prima che abitassero insieme.
Rimasero in silenzio, e nel bagno si sentivano solo i loro respiri calmi e il rumore dell’acqua che Italia continuava a muovere coi piedi. Italia odorava di frutta, Ludwig odorava di pulito, un pulito asettico che però non era di nessun’altro al mondo, era solo del suo Ludwig, l’odore di casa in ordine e ordini marziali e tantotantotanto amore fusi tutt’insieme in un unico uomo, il suo uomo.
Il cuore di Ludwig, oramai, innumerevoli attimisecondiminutiore dopo, batteva terribilmente forte, ne sentiva il rumore in gola, il rimbalzare continuo da una parete all’altra; teneva la bocca serrata, sennò quello sarebbe scappato di sicuro. Sentiva il sedere di Italia terribilmente attaccato a sé, le mani intrecciate e le cosce vicine e un calore assurdo dalla punta dei piedi a quella dei capelli.
Si diede del cretino da solo per non aver mai acconsentito a vederlo nudo prima di quel giorno. Era davvero… una nazione minuscola. Era sottile, in un qualche modo. Di struttura dolce. Le spalle, le clavicole - era magro ma niente sporgeva aguzzo. Era, Gott, terribilmente bello.
Cominciò a baciare la clavicola che spuntava e sentiva la sua pelle scottare - in verità erano le sue labbra a bruciare, il volto oramai scomparso sotto una patina rossa. Sentirlo sussultare lo incitava a proseguire, la stretta attorno alla vita appena più possessiva.
Ludwig aveva il difetto di essere troppo rude e veloce. Non sapeva come muoversi, né dentro né fuori il corpo di Feliciano - per quanto lo facesse venire, il più delle volte si risolveva nel povero Italia che si lamentava del dolore e dei suoi modi. Sei proprio un tedesco!, gli diceva contro, non sapendo neppure bene cosa intendesse lui, per proprio un tedesco. Nella sua mente, di sicuro, era un insulto.
Per questo i suoi baci si fecero un po’ più distanti uno dall’altro, come a volerli impreziosire e riempire di significato, come se ognuno dovesse immensamente farlo fremere di piacere. Le labbra si posavano sulla pelle e solleticavano Feliciano, si aprivano e chiudevano e Feliciano ridacchiava, e Ludwig si sentì incredibilmente deficiente ad amare così tanto la sua risata e trovarla la migliore musica del mondo.
(era la sua risata, quella della sua adorata Italia, lo spartito migliore e il suono più dolce, Austria non sarebbe mai riuscito a riprodurre qualcosa di più puro in nessun modo, con nessun pianoforte. La sua meravigliosa Italia, l’orchestra perfetta)
Le mani si intrecciarono sul ventre piatto, poi le dita iniziarono a tiracchiarne un po’ la pelle, solleticandolo e provocando persino in lui piccoli sorrisetti molli. Le dita risalirono dalla pancia al petto, carezzavano le costole appena accennate, disegnavano cerchietti con le gocce d’acqua che sostavano. E arrossì ancora di più (eccoli, i preliminari per cui Feliciano scocciava così tanto, quanto diavolo erano imbarazzanti e terribili): pettorali, pancia, pancia, pettorali, le mani si aprivano e chiudevano sopra i capezzoli senza neppure toccarli, e Feliciano non aspettava altro. Gli succhiava leggermente la pelle del collo, già rossa per il bagno. Ludwig deglutì e i polpastrelli sfiorarono le aureole una, due, tre volte in contemporanea, e già i sospiri delicati di Italia si fecero un po’ più marcati, e a Ludwig sembrò di poter perdere il controllo da un momento all’altro. Cominciò a prenderli tra le dita, a tirarli, a muoverli nel momento esatto in cui Feliciano si scioglieva in un nuovo “A-aahn…”.
Poteva sentire distintamente tutte le sue energie confluire in un unico punto, un unico durissimo punto che cozzava contro il sedere di Feliciano, Feliciano che reagiva come se fosse percorso da scariche elettriche, che sospirava e gemeva e girava il più possibile il viso bellissimo per baciarlo - ed erano schiocchi e sfioramenti e dolcezze. Mugolava ed era bellissimo, sospirava ed era bellissimo, teneva gli occhi chiusi e la bocca aperta ed era enormemente, fottutamente, naturalmente bellissimo. Germania lo voltò per poterlo meglio vedere, se lo mise sulle gambe per poterlo afferrare saldamente per i fianchi e baciarlo continuamente, per riempirgli il collo e le spalle di piccoli segni rossi e sentirlo insieme sospirare e ridacchiare. “Doitsu, mi fanno solletico i capelli…”
Gott, Gott, Gott, riusciva a rendere ogni cosa perfetta in ogni dettaglio.
“Tenterò di non fartelo più…”, soffiò divertito e le fronti si sfioravano e lo ribaciava di nuovo, e anche la sua bocca ora era alla fragola. Lo guardò negli occhi, ti amo mormorò con le iridi, lo so rispose il suo ragazzo sorridendo enormemente, con quelle sue labbra che gli arrivavano alle orecchie.
La lingua sui capezzoli li muoveva e induriva, le mani forti sulle natiche lo rendevano impaziente e in attesa. Ludwig deglutì mille volte, il pomo d’Adamo che schizzava impazzito e i baci di Feliciano sul collo, le leccatine e i lobi che muoveva e tiracchiava coi denti, mille baci sul petto e la lingua sui capezzoli che gli rendeva impossibile non gemere, anche se il rigore tedesco era ancora lì, un po’ inopportuno, ma Feliciano sapeva accontentarsi.
Deglutì, deglutì, deglutì, prima di riuscire ad infilare un dito dentro il suo uomo. Non aveva mai visto il suo viso in quelle occasioni, non sapeva davvero come reagiva. Italia si morse per un istante il labbro e aggrottò le sopracciglia, ma si rilassò ben presto quando l’uomo, con una lentezza a tratti snervante, iniziò a muoversi a piccoli cerchi concentrici e fece spazio per il secondo dito.
“Non mi fai male…”, mormorò il moro al suo orecchio prima che lui potesse chiedere qualsiasi cosa. Si rilassò, aggrappandosi al collo dell’amante. Quello sorrise, lo sollevò e gli entrò dentro.
Feliciano aprì la bocca ma da lì non uscì niente - non si aspettava che ci mettesse così poco.
Ludwig lo strinse forte, mentre cominciava a muoversi in lui. Si maledisse per l’ennesima volta per non averlo mai voluto vedere alla luce. Il suo viso, oh il suo viso - ogni più piccola espressione, ogni più piccolo sentimento erano espressi nel suo volto, ad ogni spinta gemeva e il viso si contorceva e quasi esplodeva di gioia mentre il corpo lo accoglieva - il suo corpo era caldo, bollente, e stare dentro di lui non era altro che alcool puro, e ogni spinta lo rendeva più bello. Continuò a baciarlo - le sue labbra rosse e gonfie - e non si sarebbe mai staccato da lui.
lo amava lo amava lo amava lo amava lo amava lo amava e nient’altro poteva fare se non amarlo ogni giorno della sua vita
Succhiò il collo ed entrò fino in fondo e i gemiti rochi e acuti rimbombavano e riempivano la stanza, infranti in frantumi di specchio e schegge di legno dentro di loro, amore puro distillato e conservato.
Ti amo ti amo ti amo, non faceva che ripetergli con gli occhi mentre non aveva mai avuto espressione più seria di quella che stava usando per scrutare ogni particolare di quel corpo che andava su e giù, il petto lucido e gli occhi lucidi, il collo e le gote rossissimi, amo ogni singola, Gott, cosa di te, sospirava rotto mentre incrociava le iridi con le sue, e lui sorrideva e le spinte aumentavano per quanto diavolo era bello.
E Feliciano non riusciva a fare a meno di trovarlo stupendo, il suo uomo che era rossissimo ed imbarazzatissimo, l’uomo con cui stava facendo l’amore e si stava così tanto sforzando di essere delicato e anche se non lo fosse stato, avrebbe finto per quanto lo stava amando in quel momento.
Ludwig era l’unico in grado di farlo sentire appartenente a qualcosa. Con lui non era Italia, non Italia del Nord; era Feliciano. Un’unità, un Individuo, un nome e un uomo vero, unico. Era lui, carne ossa e sospiri, lui e nessun’altro. Con Ludwig era una persona, ed era una persona irrimediabilmente legata a lui.
Soffocò per metà l’urlo dell’orgasmo nel bacio, gli accarezzò il petto e spinse sul suo membro affinché venisse anche l’altro.
Sospirarono pesantemente, rochi, all’unisono, mentre Feliciano si rilassava sul largo petto del suo uomo (il suo amore) ed emetteva versetti morbidi di felicità.
Ti amo.
Immensamente, anch’io.