I fiori del Nord - Pair vari

Feb 07, 2012 15:37

*Autore: Rota
*Titolo: I fiori del Nord - Olanda/Canada
*Fandom: Axis Powers Hetalia
*Personaggi: Canada/Matthew Williams, Olanda
*Prompt/Sfida COW-T: Nord/Terza settimana
*Genere: Sentimentale, Fluff
*Avvertimenti: Shonen ai, What if...?, Flash fic, Het, Raccolta
*Rating: Verde
*Parole: 543
*Note autore: Piccole flash con un unico prompt principale, "Nord". Coppie sia etero che shonen ai. Una mia classica XD Spero possa piacervi (L)

Si sentiva l'aria fredda del Nord ogni volta che la brezza leggera si alzava da terra e andava a soffiargli sopra la pelle, e non era che Olanda fosse abituato a climi e temperature equatoriali ma riusciva a sentire perfettamente la differenza tra casa sua e quel posto. Nondimeno, si limitò a stringere la propria lunga sciarpa al collo e borbottare qualcosa di incomprensibile, senza però muoversi di un solo centimetro.
Voleva conservare negli occhi quel paesaggio splendido.
Sentì al suo fianco un movimento incerto, delle dita che si piegavano e si stringevano a pungo sulle ginocchia in cerca della dovuta sicurezza. Canada non lo guardava in faccia, non quando doveva fargli delle domande - però lo faceva quando doveva rispondere e in tutte le altre occasioni.
-Allora, che mi dici?-
Domanda vaga, indiretta. Abbastanza generale per poter dire qualsiasi cosa e anche proprio nulla. Matt era abbastanza sensibile da aver imparato in fretta a lasciargli la giusta libertà, sia d'intenzione sia di movimento dacché gli era parso, quello, l'unico modo per non vederlo ritrarsi bruscamente e starsene sulla difensiva, come sempre era solito fare.
Prima di ricevere una risposta, in parola o semplice cenno, Canada si sforzò di sorridere e si guardò attorno come per indicare ciò che li circondava. Da sotto la sua cuffia di lana parve quasi buffo e infantile agli occhi dell'altro uomo - aveva la punta del naso più rosata e le guance imporporate dal freddo - e dotato di quella innocenza che rendeva vera ogni sua parola.
-Anche qui fioriscono le piante...-
Un tappeto rosso stava di fronte a loro a coprire in un manto sconfinato l'erba ormai secca e gialla per la stagione avanzata, mentre quel che restava delle fronde color carminio del grande acero si allargava, placido, sopra le loro teste, ancora attaccato ai rami della pianta e ancora vivo, lucido, splendente di forza.
Matt sapeva che Olanda non era propriamente tipo da lasciarsi influenzare da situazioni tipicamente romantiche come quella, ma l'aveva portato in quel posto, su quella precisa panchina al riparo dell'albero dalla chioma rossa, solo perché lo ammirasse e ne rimanesse stupito.
Olanda guardò a sua volta ciò che lo circondava, parlando da sotto la stoffa pesante della sua sciarpa.
-Sembra di guardare un prato di tulipani...-
Qualche foglia rossa volò in alta, calciata dal piede di Matt. Mentre Canada si affrettava a sottolineare con una specificazione quasi inutile un dato fondamentale, le sue gambe ciondolavano avanti e indietro nel vuoto, muovendo l'aria e poco più.
Lo guardò, senza rendersene conto - preso dalle proprie parole, dall'importanza di essere lì con lui e non in un altro posto.
-Queste però sono foglie d'acero, non sono tulipani!-
Persino Olanda ricambiò il suo sguardo. Calmo, tranquillo, posato.
Per una volta non risultò brusco nel dire la verità spiccia e immediata.
-Mi piace ugualmente.-
Le guance di Matt si imporporarono ancora di più e lui sorrise, abbassando lo sguardo ancora una volta per poi portarlo indietro, verso l'acero magnifico. Sembrò quasi volerlo ringraziare, perché nello sguardo aveva un tal sentimento di gioia da dover essere condiviso per forza. Non disse nulla quando Olanda gli circondò la spalla con un braccio - grande e inaspettatamente caldo - ma adagiò con calma la testa sopra la sua spalla.
Le foglie rosse, intanto, presero a giocare col vento.

Belli sono i fiori del Nord.

*Autore: Rota
*Titolo: I fiori del Nord - Danimarca/Belgio
*Personaggi: Danimarca, Belgio
*Parole: 699

Aveva freddo e non era poi così difficile capirlo: stava disperatamente cercando di farsi caldo, a furia di passare il proprio guanto sopra il braccio e sfregare, sfregare con energia.
Danimarca dapprima aveva sorriso del suo disagio, lui che era abituato a pattinare sui ghiacci e a nuotare con le foche selvatiche dove l'acqua era tale non certo per una questione di temperatura. Poi però l'uomo, a causa del tempo che passava e del freddo che continuava a persistere sulla persona di lei, aveva capito che di divertente non c'era poi molto.
Le aveva stretto il guanto che già aveva tra le dita, cercando di infonderle un po' di calore attraverso quello - ma più che sorridergli in risposta Belgio non aveva fatto nulla d'altro, continuando quella stupida passeggiata in mezzo alla neve che lui aveva tanto voluto e per cui lui aveva tanto insistito. D'altronde, se certe cose come gli eventi atmosferici ti bloccano, da quelle parti non ti schiodavi di casa e Danimarca non era certo tipo da poter essere relegato in così miseri confini.
Lungo la costa, avevano seguito un piccolo e pulito sentiero che li aveva portati sempre più a Nord, dove la brezza diventava più forte e dove bisognava portare di tanto in tanto la mano al proprio copricapo per essere sicuri che quello fosse ancora al proprio posto. Belgio si strinse al suo uomo all'ennesima folata di vento, quasi nascondendo il proprio viso tra le pieghe del suo caldo cappotto. Lui si fermò in quel preciso punto, abbracciandole le spalle e guardandola un poco preoccupato.
-Tutto bene?-
Domanda alquanto stupida in realtà, un tranello tipico delle persone che non usano tanto la testa e che preferiscono essere rassicurate piuttosto che sentire la verità - Danimarca non era così, ma usava ben poco cervello quando gli premeva una cosa.
Lei gli sorrise, con gli zigomi tutti rossi e il naso nascosto da qualche parte sotto il bavero della lunga giacca che lui le aveva imprestato quando aveva proposto di uscire. Non si azzardò a rispondere e col capo fece un solo cenno verso il basso.
Danimarca le prese il volto e la baciò, all'improvviso, prendendola totalmente alla sprovvista e in maniera così veloce da non darle neppure il tempo di rispondere. La prese di nuovo per la mano e la trascinò via.
-Vieni con me, ti faccio vedere una cosa!-
La allontanò dalla costa, verso l'entroterra bianco di neve. Non la fece camminare troppo a lungo, anche perché la fretta gli faceva muovere le gambe in fretta e lei con difficoltà gli stava dietro - l'uomo aveva le gambe lunghe, in modo che due suoi passi erano tre di lei.
Arrivato in un punto preciso, dove una certa secca vegetazione cominciava ad alterare di novità il paesaggio piatto; le lasciò la mano e si fece avanti da solo, accucciandosi a terra accanto a un sasso e cominciando a spalare la neve con le mani nude. Belgio lo guardò perplessa e incrociò le braccia al petto, cercando di trattenere un poco di calore.
Attorno a loro, nessuno.
Cominciò persino a nevicare sopra le loro teste e se non fosse stato per il gelo che le stringeva i piedi certo lei avrebbe sorriso con più energia all'evento.
Cercò di sbirciare le mosse dell'uomo da sopra la sua spalla, ma l'unica cosa che vide furono le sue dita tremendamente rosse e il suo sguardo attento che ispezionava con cura la zolla che aveva liberato dal bianco.
Danimarca si era ricordato della cioccolata che aveva mangiato, prima a casa. Si era ricordato dei dolci, dei waffle e dei muffin. Si era ricordato del suo sorriso e di quanto fosse bello e di quanto gli piacesse. Per quello tornò da lei, in mano un piccolo tesoro dai petali appena rosati e dal centro - un piccolissimo cerchio nel mezzo - di un pallido giallo.
Belgio guardò prima il fiore e poi lui, con evidente stupore. Tutto quello che Danimarca riuscì a dirle, prima di consegnarle l'oggetto e di immergere con urgenza le mani in tasca alla ricerca di un qualche calore, fu una frase patetica che aveva il retrogusto di un romanzetto harmony.
-Per una buona causa nasce sempre qualcosa.-
Oh, ma quant'era stupendo il sorriso di Belgio - quanto, quanto!

Belli sono i fiori del Nord.

*Autore: Rota
*Titolo: I fiori del Nord - Russia/America
*Personaggi: Russia/Ivan Braginski, America/Alfred F. Jones
*Parole: 733

Alfred aveva sempre immaginato la casa di Ivan come una lunga e sconfinata distesa di niente - ogni tanto qualche contadino armato di fiaccola e forcone, ogni tanto qualche lupo solitario particolarmente cattivo. Il tutto condito da una neve perenne che mai si staccava dal terreno e che sempre scendeva dal cielo. La Russia era l'espressione tipica del "Nord", non poteva che essere così - il cappotto, la sciarpa, tutti i vestiti pesanti e quell'insana voglia di compagnia di Braginski non facevano che confermare i suoi sospetti e le sue credenze, tanto che, finché non vi mise piede, credette fermamente a tutto quello. Ma Ivan si stancò presto di sentirlo blaterale a proposito di un fantomatico canide assetato di sangue e di un qualche losco figuro che ti inseguiva la notte perché non aveva nient'altro da fare, così invitò l'americano a vedere con i suoi occhi cosa succedeva realmente in Russia e sperando, in cuor suo, che per una volta smettesse di dire stupidaggini tanto grandi o quantomeno non lo facesse proprio su di lui.
Sulle prime, Alfred non capì cosa mai dovesse fargli cambiare idea. Certo, vide Mosca, qualche altra città grande e piena di vita come Stalingrado e dintorni, ma la risposta che diede a quella diversa prospettiva fu che era logico che da qualche parte i russi nascessero o venissero prodotti, come scatolette di fagioli in serie, e che quindi una città piena di industrie doveva pur esserci - Ivan si divertiva sempre un mondo e si esasperava pure a sentire le spiegazioni pochissimo razionali che Alfred appiccicava a cose normali ma che andavano contro la sua logica. Per l'americano probabilmente i russi avevano imparato a volare, per spostarsi, perché era impossibile che avessero treni e strade atte a tale scopo. Quindi Ivan lo portò nelle sue praterie, tra i suoi contadini, nelle riserve naturali e anche sui laghi, nella neve ricca della Siberia, sulle vie commerciali che raggiungevano la Cina e tutta l'Asia, nelle grandi e immense serre dove si coltivavano persino i girasoli.
Fu per quell'ultima tappa che l'espressione di Alfred cambiò radicalmente e arrivò a toccare persino la tristezza, se quell'emozione mai fosse conosciuta dal suo animo e dal suo spirito come da un qualsiasi altro essere vivente. Ivan ne fu abbastanza incuriosito, tanto che gli chiese cosa mai fosse successo. L'altro non lo guardò neppure mentre accarezzava una lunga e verdissima foglia del girasole che aveva accanto, che lo superava in altezza di una buona spanna.
-Credevo che i girasoli li venissi a prendere da me...-
Ivan ne fu perplesso, davvero. Non si aspettava certo una replica del genere.
-Sto imparando a essere autosufficiente in tutto, America.-
-Noto...-
Alfred sembrava addolorato, come quel bambino capriccioso che ti volta il mento per ripicca ma con la coda dell'occhio verifica se lo stai davvero seguendo, perché in caso contrario sarebbe una delusione troppo grande per lui.
America aveva bisogno di continue rassicurazioni, come del resto anche Russia - e in questo, più che in ogni altra cosa, loro due si assomigliavano.
Ivan fu lì per lì di dargli una stoccata dolorosissima, desideroso di vederlo affondare nella sua vanagloria una volta per tutte. Però no, decise che per così poco non ne valesse la pena: cominciò anche lui ad accarezzare le foglie di quei grandissimi fiori.
-In realtà devo ancora fare dei miglioramenti. Questi girasoli non sono poi così belli.-
Lo sentì rinvigorito all'istante - bastava così poco per farlo felice che era quasi ridicolo.
-In effetti non può esserci niente di meglio che un girasole americano!-
Ivan non abboccò all'insinuazione e continuò il suo discorso critico, inventandosi un particolare su cui sicuramente l'altro non aveva abbastanza conoscenza da poter ribattere in qualsiasi modo.
-Probabilmente è la terra.-
E in effetti Alfred diede al discorso una piega del tutto inaspettata, all'improvviso.
-Se non ti piacciono, posso prenderli io...-
Ivan lo guardò stupito, non credendo alle proprie orecchie. Nella serra c'erano centinaia, migliaia di gambi, come aveva intenzione Alfred di portarseli via?
-Tutti?-
-Qualcuno. Giusto un mazzo!-
Glielo preparò, con tanto di forbice e fiocco arancione, glielo preparò grande e quasi gigantesco, tanto che Alfred, nello sforzo di reggerlo, dimenticò persino di far notare che effettivamente stava ancora nevicando sopra le loro teste e che di neve ce n'era fin troppa tutt'attorno a loro.
Forse, però, i fiori crescevano per il raro sorriso di Ivan - e dopo una constatazione del genere l'americano non osò far più domande a tal proposito.

Belli sono i fiori del Nord.

*Autore: Rota
*Titolo: I fiori del Nord - Turchia/Ungheria
*Personaggi: Turchia/Sadiq Adnan, Ungheria/ Elizabeta Hédervàry
*Parole: 762

Era ancora nel letto quando qualcosa la svegliò: uno spiffero freddo che veniva dalla finestra spalancata e dalle tende tirate, che lasciavano svolazzare i propri bordi al vento con negligenza voluttusa.
Elizabeta sbuffò, rintanandosi sotto le coperte e cercando lì il dovuto calore che si confaceva al primo risveglio e maledicendo, senza eccessiva cattiveria, la bruttissima abitudine del proprio amante a dimenticarsi che non tutto il mondo era caldo come la sua terra e che magari esisteva, a Nord, anche la possibilità che la mattina il sole non venisse a baciarti le membra dolcemente per svegliarti ma anzi ci fosse un discreto gelo che portava a termine il compito al posto suo. Si ricordava tutte le volte che, a casa dell'uomo, era stata svegliata a quella maniera e aveva trovato il sorriso di lui ad attenderla, senza l'irriverenza e senza la sicurezza un poco fastidiosa che rivolgeva di norma a tutte le altre Nazioni.
Ancora mezzo incosciente, nella stanza nient'altro che lei, Sadiq riusciva persino a essere dolce.
-Sei bellissima.-
Era stato bello sentirglielo dire, sentirselo ripetere contro le orecchie e riderne di gioia e di felicità - toccargli la barba e poi accarezzargli il viso nella richiesta dolce di un solo bacio. Era stato davvero bello, ma in quel momento lei si trovava a casa propria, in Ungheria, e avrebbe preferito rimanere a covare nel suo piumone gigantesco e a dormire su un unico e spesso cuscino piuttosto che ricordare piacevoli eventi che, in quel preciso istante, non stava affatto vivendo.
Rotolò ancora contrariata sul materasso, vuoto e libero; si stanziò dall'altra parte e guardò il soffitto con aria decisamente spaesata per poi ricordare: le aveva detto di dover andare via per un impegno urgente, un appuntamento diplomatico con la Russia e alcuni paesi del Caucaso, niente di eccezionale ma sicuramente vitale per la sua politica interna ed estera. Però aveva voluto, la sera prima, avere una cena con lei, un ballo dopo e un bacio che ne chiedeva altri in successione. Si era ricordato di portare qualcosa di pesante da mettersi addosso, perché non solo a causa della latitudine ma anche per la Stagione sicuramente il clima non era poi così clemente con lui, abituato al sole e al mare ogni volta che lo desiderava. Era riuscito persino a togliersi la sua adorata maschera prima del pattuito, perché lei sbuffava ogni volta che doveva o guardarlo o baciarlo sulla bocca - quell'affare le impediva un libero accesso al suo volto e lei lo sopportava davvero poco. Era stato bello e divertente.
Un altro spiffero convinse Elizabeta a lasciare il caldo giaciglio e dirigersi quasi di fretta alla finestra, ancora mezza nuda e con i capelli in disordine. Finalmente ne chiuse le ante e poté concedersi un lungo sbadiglio a bocca aperta senza più tremare di freddo.
Fece per vestirsi e prese innanzitutto la sottoveste candida, le calze scure, la sottana, la gonna e poi il vestito, infine gli stivali. Andò al grande specchio che teneva in camera, in un angolo appartato ma più luminoso degli altri, dove poteva pettinarsi e acconciarsi i capelli. Prese in mano la spazzola, sedendosi con un ampio gesto sul piccolo sgabello di legno, quando l'occhio le cadde su un oggetto insolito che aveva accanto alle poche collane e agli orecchini di bigiotteria.
La maschera bianca di Sadiq si trovava in quel posto.
Sbatté le palpebre, perplessa, per un paio di volte prima di prendere tra le dita il sottile oggetto e guardarlo meglio, come a cercare tra le sue pieghe qualche spiegazione plausibile.
Qualcosa le venne in mente, una delle sue frasi divertite e irriverenti. Sì, Sadiq parlava spesso così, per gioco.
-Facciamo uno scambio...-
Lei gli aveva sorriso, accettando la richiesta.
-Io ti do questa maschera che tu odi tanto e tu dai a me un oggetto che invece mi piace...-
Ancora il suo riso nelle orecchie e la mano di Sadiq, tra i suoi capelli, che si era fatta più audacie.
-Per esempio questo...-
Sorrise al ricordo e volse lo sguardo laddove poggiava l'unico ornamento che portava sempre con sé: il fiore rosa delle sue praterie selvagge. Sadiq ci giocava spesso, diceva che per quanto fosse bello impallidiva solamente di fronte alla bellezza sua - come romantico era veramente scarso, ma faceva del suo meglio ed era bellissimo per questo.
Elizabeta se lo immaginò vestito di tutto punto, con il suo fiore nel taschino e privo della maschera bianca che di norma indossava: era uno spettacolo ammirevole, non c'era che dire.
Sorrise ancora e provò ad allacciarsi la maschera alla testa. Chissà quanto sarebbe stato divertente incontrarlo la sera, con quella roba addosso.

Belli sono i fiori del Nord.

*Autore: Rota
*Titolo: I fiori del Nord - Scozia/Inghilterra
*Personaggi: Scozia, Inghilterra/Arthur Kirkland
*Parole: 627

Quell'affare spinava.
Glielo aveva anche detto, probabilmente ripetuto tante volte, che era impossibile tenerlo in mano per il gambo, ma figurarsi se quello stupido scozzese mai gli prestasse attenzione anche per una volta sola. Quando faceva così suo fratello sembrava ancora più scemo di quanto lui l'avesse mai stimato.
Si era passato quel maledetto fiore da una mano all'altra, continuando a farsi male ai polpastrelli delle dita e continuando a lamentarsi, per tutto il tempo, fino a che non era riuscito ad appoggiarlo su una superficie piatta e sicura e liberarsene una volta per tutte.
L'aveva già buttato a terra prima, senza tuttavia calpestarlo o farlo finire nel fango: era stato nel momento esatto in cui Scozia glielo aveva consegnato con un sorriso divertito e a tratti irriverente. Gli aveva detto che era un regalo, gli aveva detto che magari diventava un pochino più bello se lo portava con sé a spasso, che brutto lo era parecchio, gli aveva detto anche qualcosa di assai sgradevole che non ricordava con precisione. Era stato proprio per quel sorriso e per quelle parole che aveva rifiutato il regalo con così tanta forza e con estrema immediatezza, probabilmente, nella rivincita vanagloriosa del momento, e per vedere pure gli occhi dell'uomo diventare insolitamente duri nel suo atto di disprezzo - non che gli avesse visto altre volte quell'espressione sul viso, ma poté individuare quella nota di delusione che mai aveva prima scorto in lui e nei suoi occhi. Gli fece male il cuore persino ad ammetterlo, e mai lo fece con la mente e la coscienza, ma si dispiacque. Si dispiacque tanto che, quando gli occhi verdissimi di Scozia non lo guardavano più e la sua testa rossa era ben lontana da qualsiasi postazione di vedetta, lui aveva fatto marcia indietro velocemente ed era andato a riprendersi il cardo abbandonato a terra.
Quell'affare spinava. E non era neppure così bello come Scozia l'aveva sempre dipinto.
Tornando a casa, aveva preso il primo piccolo recipiente che aveva trovato alto abbastanza da poter reggere tutto il gambo di quell'assurdo fiore. Le spine erano ancora dure, irte e cattive come il tempo del Nord di quelle parti, come il carattere più vero e intimo di Scozia. Nel toccarlo quell'ultima volta, aveva sentito ancora le foglie fredde per il gelo e i petali bagnati per la leggera pioggia che sempre cadeva sulle terre di suo fratello; incredibile, poi, che in un ambiente come quello ci crescesse qualche tipo di vegetazione colorata e vivace - Arthur certe cose aveva smesso di chiedersele, com'anche l'esistenza stessa molesta di Scozia.
Aveva guardato il fiore con astio e senso di colpa, senza riuscire a trovare nella sua misera presenza un qualche pregio degno di nota. Non era elegante, non si abbinava a qualche altro ornamento, non era comodo da portare in giro: era l'essenza stessa di quell'uomo in miniatura.
Sbuffò e si portò le braccia al petto, comportandosi quasi come se avesse di fronte uno Scozia riottoso e insolitamente silenzioso, perché era tale il suo fastidio che naturalmente pensò al fratello, unica vera causa di tanto malessere.
Allungò una mano, andando ad accarezzare i petali rosati sulle punte alte - erano morbidi e si piegavano al suo tocco gentile. Arthur non sorrise, ma l'espressione sul suo viso divenne abbastanza seria e concentrata perché si potesse capire un cambiamento interiore.
Quell'affare spinava. E non era neppure così bello come Scozia l'aveva sempre dipinto. Ma aveva un buon profumo e sapeva ripagarti con la dovuta grazia se lo toccavi nella maniera giusta.
Con un peso in meno sul cuore, Inghilterra si allontanò dando un'ultima e unica occhiata al fiore. Gli sembrò quasi che Scozia, nell'ombra, gli stesse sorridendo - ed era la stessa stupida dolcezza, la stessa stranissima gentilezza che piegava anche le sue labbra.

Belli sono i fiori del Nord.

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