Titolo Bogeyman Blues
Autore
fantasticpantsSerie Heroes
Timeline Post 1x21 "The Hard Part"
Pairing Mylar
Rating VM. 18
Parte Capitolo Unico
Link
http://community.livejournal.com/heroes_slash/152813.html Bogeyman Blues
di fantasticpants
C’è del sangue.
Ovunque.
Non posso distogliere lo sguardo - è magnetico.
Solo sangue - globuli rossi, globuli bianchi, anticorpi, così semplice… ma c’è molto di più.
Questo è il futuro.
No, non è esatto.
Io sono il futuro.
Ma non c’è da soffermarcisi sopra ora, non importa quanto i motivi si mescolino perfettamente, quanto improvvisamente sia tutto chiaro, quanto…-- sorprendente, terrificante, ipnotico sia.
Devo iniziare a crearlo.
Mi alzo.
Lei è lì.
È sempre lì - perché lei deve sempre - morta. Lei è morta.
Non ha importanza. Non piangere sul latte versato, non è così che si dice?
Penso intendessero il sangue.
Perché qualcuno dovrebbe piangere su del latte versato?
Vado in bagno, mi lavo le mani - ci vuole un po’, e non so perché Lady Macbeth ne facesse un tale dramma - è terapeutico, sul serio.
Qualcosa - qualcosa nel retro della mia mente, un urlo in lontananza, lacerante, qualcosa…
No, nulla. Devo essermelo immaginato.
Ho sempre avuto un’immaginazione leggermente iperattiva. Lei me lo diceva sempre.
Lei diceva che mi rendeva speciale.
E lo sono. È tutta una questione di prospettiva, opportunità, visione. Chiarezza.
Io le possiedo tutte.
Tutto pulito - è quasi deludente: nessuna traccia rimasta, come se non fosse successo, come se fosse stato tutto un sogno e forse - forse lo è stato, lo è, forse non è reale -
Torno in salotto e lei è ancora lì.
Reale. Morta.
È così silenzioso - un silenzio impossibile - e non sono certo che il mio cuore stia battendo così mi soffermo ad ascoltare -
Un battere fermo, ritmico. Tutto come dovrebbe essere. Meglio, persino. Più chiaro.
Tutto è stato aggiustato. Ticchetta perfettamente.
Anche il vecchio orologio di papà.
Mi metto la giacca, apro la porta.
Non guardare indietro.
Ciao mamma.
~*~*~
Il mondo mi si spalanca davanti - per nulla simile ad una boccia di neve - è infinito, in bilico sull’orlo di un respiro, dormiente. In attesa.
Mi sta aspettando.
Non ho intenzione di tenerlo in sospeso più a lungo. Sarebbe crudele.
Ma c’è qualcosa di cui devo occuparmi prima. Qualcosa d’importante.
Qualcosa di speciale.
La porta è chiusa. Entro - una semplice serratura, un semplice click.
Sono sicuro che non gl’importi.
Non ha nemmeno ripulito questo posto dalla mia ultima visita - deve essere stata una giornata impegnativa anche per lui.
È alla sua scrivania, quasi mi stesse aspettando. Forse è proprio così.
"Mohinder."
Non cerca di raggiungere la pistola - mossa intelligente. Non è andata così bene per lui l’ultima volta, ed è un bene che sia
pronto ad imparare dai suoi errori. Non vorrei doverlo far finire ancora una volta sul soffitto.
Per quanto piacevole sia stata quella piccola esperienza, non è la ragione per la quale sono qui.
Si alza invece, la postura rigida, sulla difensiva.
È la morte che si aspetta? No, è troppo semplicistico per noi - e lui lo sa.
Lo sguardo che ha - non può neppure fare appello all’incredulità ormai. La paura è presente naturalmente, ma solo perché
così dovrebbe essere, ed è così debole e sbiadita e spossata e…
Qualcos’altro è differente.
È più forte, meno bisognoso, più…completo.
Ha trovato qualcosa.
“Cosa vuoi, Sylar?”
Oh, qui non si tratta di quello che voglio. È più di questo.
“Ho bisogno che tu mi ascolti.” L’odio striscia nei suoi tratti, prende il sopravvento - così vibrante - e io mi ricordo tardivamente di essere educato - non si può mai essere troppo educati, “Per favore.”
“Per favore?” sputa quasi le parole - bè, questo decisamente non è educato. “Tu hai ucciso mio padre, tu sei un
assassino, e ti aspetti che io ti stia a sentire?”
Ma certo che mi aspetto che lo faccia. Non è tanto un’aspettativa quanto una previsione in realtà - lui ascolterà. Questo lo so.
E non intendo suonare razzista, davvero non è così, ma quel suo mantra sta diventando un po’ stancante.
"Ti prego?”
Ride. É una risata tinta di dolore e dell’odore di vecchio sangue - tutta oscurità e amarezza e schegge di vetro. Muore velocemente - molte cose belle lo fanno.
"Tu sei…”lotta per trovare la parola giusta. Sono certo sia difficile - ce ne sono talmente tante che si adattano - ma nessuna di esse che corrisponda.
Mi faccio più vicino.
“Che cosa sono Mohinder?
E lui continua a guardare, neppure me, ma quasi attraverso di me - cosa un po’ insultante dato che non ho acquisito l’invisibilità, ancora.
Alla fine, scuote la testa. “L’Uomo Nero.”
L’Uomo Nero.
É…
Mmh.
“L’uomo nero non esiste Mohinder. È infantile.”
Mi fissa senza espressione, fingendo di essere fatto d’acciaio e pietra, che io non sia proprio sotto la sua pelle, a strisciare contro carne e ossa e nervi. E più a fondo.
Non può mentirmi, non in questo modo - posso sentirlo. Persino se lui non può.
“Dimmi solo quello che sei venuto a dirmi.”
D’accordo allora.
Ma il palcoscenico non è ancora pronto, c’è troppa atmosfera, rumore bianco che ci circonda - non va bene.
Qualche altro passo distrugge la distanza tra noi - vuole tirarsi indietro ma è magnetico, quello che abbiamo, pura e semplice fisica - non si può combattere.
Bè, io posso. Lui non può.
Intrappolo il suo sguardo - possiedo già una parte di lui. La parte che sta ribollendo attraverso di lui come
catrame - nessuna piuma ancora - lentamente ma con decisione, scivolando fuori dalle crepe - definito da morte e vendetta, che s’incrociano in maniera perfetta - è tenuto a freno ora, nulla che lui ammetterebbe mai, ma è lì - posso sentirlo.
Il resto - bè, il resto è solo una questione di tempo, non è così?
Aspetta, tenuto in sospeso - non solo lui, ogni cosa.
Quando parlo, è nel completo silenzio.
“Non sono io.”
Un battito.
“Cosa?”
“Ad esplodere,” è quasi buffo a dirlo. “Non sono io. L’ho visto.”
Certo, non è così facile come dirlo semplicemente. C’è ancora la piccola questione della fiducia - vagamente problematica.
Non riesce a credermi, ma non può nemmeno eliminare la possibilità - è una cosa troppo grande. C’è dello scetticismo nei suoi tratti - è un atteggiamento naturale per lui nei confronti delle situazioni; non mi preoccupo nemmeno di sentirmi offeso.
“Allora cosa stai facendo qui?”
È mio adesso. Non può non ascoltare. Non può resistere l’urgenza di sapere, di capire.
So com’è.
Inclino la testa, persino più vicino adesso, le nostre facce quasi si toccano - si tira indietro ma non è reale, solo un gioco - è ancora lì, con me.
“Possiamo fermarlo, Mohinder,” quasi un sussurro,”insieme.”
Scuote la testa, non proprio sarcasmo - non sarebbe naturale per lui in ogni caso - e la sua bocca si atteggia in una piega di dubbio.
“Stai scherzando.”
“No.”
“Tu vuoi,” fa una pausa, l’ironia è spessa nella sua voce, quasi soffocante, “salvare il mondo.”
Perché è così difficile da credere?
Non ho mai avuto niente contro il mondo.
“Esatto,” faccio una pausa costruita, guardo da un lato - la mappa è lì, ciò che ne rimane - un tale grandioso progetto sprecato… ma un’arma interessante, devo ammetterlo. Mi volto di nuovo verso di lui. “Noi ne saremo i salvatori, Mohinder. Eroi. Il mondo ci applaudirà.”
S’inchinerà a noi.
Non può essere più speciale di questo.
“Tu pensi di essere un eroe? Sai almeno quello che sei?”
Domanda interessante.
Non ci siamo già passati prima? Cerco un eco.
E sorrido.
“L’Uomo Nero.”
Rabbrividisce - ancora impaurito dai mostri, adorabile.
“Tu sei malato.”
Perché quello suona come un complimento?
E se è la malattia l’argomento scottante -
Non ho nemmeno bisogno di toccarlo - l’aria intorno a noi è invasa dall’elettricità statica - generata per noi soltanto, velenosa, infetta, una melodia ultrasonica composta dalla natura.
Lui l’avverte- s’inumidisce le labbra, il respiro s’addensa - ti stai scaldando, non è così, Mohinder?
“Tutti sono malati. Non vedi? L’intero mondo è malato.”
Anarchico. Spezzato.
“Alcuni più di altri,” c’è del mordente nella sua voce, ed è divertente, gliela lascerò passare, ma non abbiamo tempo di giocare a questo gioco.
“Quello che abbiamo..” Così vicino. “é più grande di questo Mohinder.”
Più grande che l’umanità. Più grande che l’evoluzione.
“Questo è destino.”
“E’ l’incubo di uno psicotico.”
Semantica.
Ma forse lo è, forse nulla di tutto questo è reale, forse - penserai a me, quando sarai solo -
“Forse. Che differenza fa?” Sono vicino al suo orecchio adesso, solo il respiro - il resto è per dopo, “E’ il nostro
.”
Ha gli occhi chiusi, la mascella serrata in quella che dovrebbe essere determinazione se lui non fosse così alla deriva - decisioni, decisioni. Gli do il tempo che gli serve.
Un momento passa silenzioso.
Vale l’attesa - un movimento brusco e le sue mani sono sul mio bavero, serrate, mi spinge contro la scrivania.
Ooh, ora, questo è un gioco che mi piace.
“Ti aiuterò. Non cambia nulla. Dopo che sarà finita,” immette tutto il disprezzo che possiede in quelle parole, occhi scuri
consumati da un’energia risoluta - mi piace quand’è così, “Ti ucciderò.”
Così pensa lui. Vuole pensarlo.
Staremo a vedere.
Gli offro un caldo sorriso di rimando.
“Oh, d’accordo.”
È solo giusto, davvero.
C’è una stagione per ogni cosa. Un tempo per ogni proposito sotto il sole.
Un tempo per nascere, un tempo per morire -
E un tempo per questo.
“Ma prima-“ comincio, ma la frase sta a lui completarla.
Odo l’esatto battito cardiaco che lo spoglia del controllo, strappa via il peso delle regole imposte, frantuma la realtà e ci
trascina insieme.
Boom.
La sua bocca collide con la mia - inevitabile, appositamente accidentale - denti e odio e brama impossibile.
Mani sulla mia cintura adesso - sollevano la mia camicia, sopra la mia pelle, cercando risposte o una fuga o - non m’importa.
Prima che deragli davvero e prenda fuoco, si ferma, accigliato.
“Che cos’hai addosso?”
Oh, ha ragione. Ho dimenticato di disfarmi dell’abbigliamento da Gabriel.
Una dimenticanza minore. Dopo tutto, è una disposizione del tutto…temporanea.
“Ha importanza?”
Enfatizzo la mia posizione - facendo scorrere la lingua lungo il bordo del suo orecchio, chiudendo i denti e facendo pressione
.
Chiude gli occhi, deglutendo, perdendo il respiro - mio.
Giunge la risposta, bassa e senza inflessioni.
“No.”
~*~*~
Nell’oscurità, tutto è possibile.
E nessuno può sentirti urlare -
No, quello è lo spazio. Riesco sempre a confonderli.
Non ci sono ombre nel buio, e in un certo modo, tutto è un’ombra.
Ognuno.
Fortunatamente, io sono la mia ombra.
La sua ombra è forte, rabbiosa, disperata. Mi morde la spalla.
Stiamo recitando nel nostro personale teatro delle ombre.
Non per dire che questa è un’illusione - è esattamente l’opposto. Questo è quanto di più reale possa esserci.
Lui sa che è diverso.
Migliore.
Nessun inganno. Io non sono Zane - non una qualche marionetta che è stata divertente finché è durata ma è rimasta fin troppo a lungo.
Non sono Gabriel - che era persino meno reale dell’altro. Tutti morti ora.
Io sono me stesso.
Ed è quello a cui lui da la caccia - ciò che vuole davvero.
Può nascondersi dietro parole vuote e accuse, dietro pistole e nastro adesivo, ma qui nulla di tutto quello ha importanza.
Non quando l’unica cosa a separarci è il movimento, lo stesso che ci riporta insieme, e finiamo con l’avere un piccolo paradosso personale tra le mani.
Senza possibili scusanti, talmente rozzo, come dipingere con le mani.
Non c’è nulla dell’incertezza, dell’esitazione, del timido imbarazzo - nulla di ciò che è carino.
Non posso dire che non mi manchino del tutto i vecchi tempi, dopotutto era stato divertente, ma questo -
Questo è come avrebbe dovuto essere.
Gli cedo il completo controllo, - ne ha bisogno più di me, deve convincere sé stesso che questo non è quello che è in realtà,
trovare delle scuse, raccontarsi favole - e più ne ha il controllo, più gli arriva vicino, e più lo perde.
Fa male - non è particolarmente gentile.
Un così bravo ragazzo, Mohinder, da rendere il papà orgoglioso.
Grugnendo, martellando, come se stesse tentando di riportare indietro il suo caro padre morto con ogni spinta - o per lo meno compiere il suo dovere di ‘figlio’ con la vendetta. Non è così che va? In modo un po’ contorto, suppongo.
Non che m’importi, davvero.
Ma ci si può fare accompagnare dai fantasmi lungo il viaggio solo per un certo periodo - dopotutto possiedono una data di scadenza.
Questo è un esorcismo. Solo vagamente non convenzionale. Non sono certo che la chiesa approverebbe.
Alla fine, tra la nuda acustica e le macerie, finiamo soli.
Solo noi.
Così primitivo, ma in realtà evoluto oltre le umane barriere, oltre tutte quelle sciocche limitazioni e mura artificiali.
Sudore e bisogno e dolore - così facile da perdercisi.
Poi rallenta - la mano mi afferra i capelli, tirandomi indietro la testa.
“Implora.”
L’inflessione della sua voce roca e spessa che si sforza per acquisire una forma.
Pensa di stare affermando - qualcosa. Oh, mi sbagliavo - questo è carino.
Non posso reprimere una bassa risata. È tutto troppo divertente.
“Fallo - o mi fermo.”
Può addirittura diventare più perfetto di così?
“Ti prego,” gemo - non sarà abbastanza per lui, ma so come non sprecare la mia migliore interpretazione troppo presto nel gioco.
Stringe la presa, si fa più vicino, ma nessun ago questa volta.
“Puoi fare meglio.”
Come un ragazzino deciso a giocare col fuoco.
Non ne ha idea.
“Ti prego Mohinder,” mi metto quasi a piagnucolare, è così facile. “Scopami,” mi avvicino di più ad un ringhio, per buona misura. “Ti prego.”
Non riuscirà a resistere ancora a lungo - ha bisogno solo di una piccola spinta -
Ripeto le parole magiche - con maggiore urgenza, mangiandomi le sillabe - sta ricominciando a muoversi - guaisco, gemo, spingo ogni pulsante -
Le sue mani scorrono lungo la mia schiena, scivolano sul sudore, le unghie si piantano dolorosamente -
Abbattendo e ricostruendo e ridefinendo - una genesi al contrario.
E raggiunge la rottura - un gemito con un singhiozzo che lo spezza dall’interno e che probabilmente sperava di poter trattenere o soffocare, ma non può - è troppo forte.
Non è ancora il mio momento, ma quel suono -
Mi concentro su di esso, lo amplifico - riverbera attraverso di me - la vulnerabilità, la resa in frantumi.
Rantolo.
Oh c.azzo.
È sorprendente.
Uno stato d’incoerenza.
Questa è beatitudine.
Per un momento.
Il dolore è minimo, sparirà presto, ma qualcosa permane.
È fredda.
Mi volto e mi metto e sedere.
Si sta rivestendo, nasconde il disgusto verso di sé sotto strati di negazione, tentando di ritrovare sé stesso - potrebbe essere
un po’ complicato al momento.
Qualcosa gli cade dalla tasca - un pezzo di carta. Lo raccolgo - è il disegno di una stella gialla - mi ricorda qualcosa di
distante.
Da dove arriva?
E perché dovrebbe possedere una cosa del genere? Non ha senso.
“Cos’è questo?”
“Non toccarlo,” me lo prende dalle mani, come se fosse una qualche preziosa reliquia che io sto infettando.
Strano.
Il freddo si fa persino più intenso. Reprimo un brivido.
Qualcosa mi sta sfuggendo, si nasconde sul fondo della mia gola, sanguinante.
Forse - forse lui capirà.
“L’ho uccisa, Mohinder.”
Si fa immobile, il viso perde ogni espressività -
“Chi?”
“Non volevo,” le parole fuoriescono con un senso d’urgenza, non riesco a controllarle. “é semplicemente successo. È stato un incidente.”
“Di cosa stai parlando?”
Non è assente. Orrore - furia, tutto sospeso da un filo, pronto a spezzarsi, a consumarlo.
“Mia madre.”
E la sua espressione cambia - comincia con del sollievo, poi scivola nella confusione. Termina con qualcosa di più familiare per noi - repulsione.
“Cosa vorresti che ti dicessi?” mi domanda tagliente. “Bel lavoro?”
Mi appoggio alla parete, chiudo gli occhi per un secondo.
Respiro.
“No, io-“ Cosa mi aspettavo? Perché l’ho tirato fuori? È stato stupido. Senza senso. “Nulla.”
Mantiene lo sguardo su di me, congelato - per un secondo sembra che stia per dire qualcosa - qualcos’altro - ma poi scuote la testa.
“Non sono il tuo confessore, Sylar.”
Abbandona la stanza.
Codardo.
E perché poi dovrei aver bisogno di un confessore?
Non devo rispondere a nessuno. Men che meno a lui.
Rimango fermo.
E mi domando-
Ora dovrei esprimere un desiderio su di una stella?
~*~*~
La boccia non è riempita di neve adesso.
Strano.
Non capisco cosa sia - la sollevo, tento di vedere più da vicino - non dovrebbe essere così difficile -
Un battito.
L’aria si gela nei miei polmoni.
Sangue.
È piena di sangue.
Sta sanguinando dall’interno.
Perché - perché è -
Viva.
Avverto un’ondata di nausea, lotto per trattenerla.
Si sta facendo buio all’interno, comincia lentamente a ribollire -
Pulsare.
Si scalda nella mia mano, brucia.
Qualcosa sta cercando di venire fuori -
Cosa -
Non posso tenerla più a lungo - la mano mi trema, fa male e io - la lascio andare.
Cade.
Il vetro s’infrange.
Urlo.