Ultima, promesso xD
Titolo: Behind The Glass
Fandom: Heroes
Ship: Sylar/Eden
Rating: R/NC17
Prompt: poteri
Parole: 3102
Caratteri: 19513
EFP:
LINK.Summary: Poteva fingere di essere diversa, ma quello era probabilmente l'unico vizio di cui non si sarebbe mai liberata. Cambiò nuovamente idea: non era di caffeina che aveva bisogno. E poi era appena passata la mezzanotte. Aveva voglia di qualche altro margarita e poi, forse, sarebbe tornata a casa.
Note: ultima ff che scrivo per l'
Italian P0rn Fest, l'idea era portare avanti la crociata Sylar-è-etero (o al massimo bisex ù_ù), ma è venuta fuori una roba strana. Dunque .. amen.
Postata
QUA su
fanfic_italia.
BEHIND THE GLASS.
Era rimasta al buio in fissa della parete di vetro che separava l'anticamera dalla cella in cui era rinchiuso.
Non si sentiva molto bene.
La questione le stava dando un po' alla testa, per questo si era concessa un margarita di troppo, quella sera, in attesa che Noah le desse ulteriore direttive.
Direttive che non erano arrivate.
L'unica cosa che aveva voglia di fare in quel momento, era tornarsene a casa... magari chiamare Mohinder con una qualche scusa.
Sospirò rumorosamente, sedendosi meglio sulla sedia sbilenca che aveva recuperato dal corridoio. Non sapeva esattamente per quale motivo fosse finita là dentro, probabilmente stava seguendo un suo personalissimo filo di pensieri. Pensieri non troppo divertenti. Si era persa a pensare a quel temuto assassino, che sotto quelle luci spente aveva solo l'aria di un essere umano spaurito, abbandonato a se stesso, privo di una qualsiasi consolazione che si potesse definire "umana".
Aveva un gran mal di testa - se le avessero chiesto qual'era stata l'ultima volta in cui aveva abusato dell'alcool, probabilmente non avrebbe saputo dare una risposta sufficientemente esauriente.
Non aveva nemmeno acceso la luce, un po' per sua personalissima necessità, un po' perché non aveva nessunissima intenzione di attirare l'attenzione del prigioniero. Non le faceva particolarmente paura... il suo "dono" le aveva permesso di cavarsela indisturbata in situazioni ben peggiori, e poi c'era quella solida lastra di vetro ad impedire qualsiasi contatto.
Lasciò ricadere il capo all'indietro, socchiudendo gli occhi.
Perché lo tenevano ancora là dentro? Aveva capito che qualcuno aveva ancora intenzione di smontarlo pezzo pezzo, per vedere come avesse fatto ad arrivare fino a quel punto, ma continuava a non comprendere: se era così pericoloso cosa aspettavano ad ucciderlo?
Era l'assassino del Dottor Suresh, un uomo che tanto l'aveva aiutata, che poi aveva finito per diventare vittima dei propri studi. Aveva commesso un'ingenuità... troppe volte si dà per scontata la buona fede delle persone.
Si rimise dritta, scrutando curiosa la cella oltre il vetro. Noah le aveva fatto vedere come funzionava l'ingresso riservato ai medici che lo avevano fino ad allora visitato, avidi di scoprire quali e quante anomalie esistessero attualmente nel suo codice genetico.
Ignorò il leggero capogiro che la colse del tutto impreparata mentre si rialzava, spingendo rumorosamente la sedia contro il muro.
Non l'aveva mai visto per bene... era sempre troppo debilitato e debole quando l'avevano chiamata là dentro, sempre tassativamente in presenza dell'Haitiano. Le manifestazioni dei poteri di Gabriel Gray potevano anche essere drasticamente diminuite, ma non per questo meno pericolose e devastanti. C'era qualcosa nella sua testa che sembrava in continua macchinazione... quel lento tic-tac che tentava disperatamente di comprendere nelle altre persone, pareva non tacere mai nella sua testa.
Eden si chiese se fosse veramente impazzito del tutto. Potevano così tante e azzardate modifiche, portare un uomo alla follia più totale? All'annullamento più completo della sua identità?
Si avvicinò al vetro, senza preoccuparsi di non far rumore: era convinta che stesse dormendo. Le ombre informi che indicavano la presenza di qualcosa in quella cella, sembravano moltiplicarsi e spostarsi continuamente, a seconda del punto in cui Eden si trovava. Non distingueva granché... si chiese se fosse colpa del buio o della sbornia.
Probabilmente di entrambe.
Appoggiò la fronte alla lastra trasparente, socchiudendo per un secondo gli occhi quando la trovò gelata al contatto con la sua pelle. Le venne da ridere: un anno fa, quei quattro margarita che si era bevuta le avrebbero fatto a malapena il solletico.
Inspirò a fondo. L'idea che un terribile assassino stesse dormendo a qualche metro di distanza da lei, la divertiva. Poteva fare seriamente così paura? Non aveva l'aria dello psicopatico, non a prima vista. O forse era solo il suo potere che le dava quella strana sicurezza che probabilmente altri non avrebbero avuto.
Aveva cercato di ricostruire il suo volto nella propria testa, tentare di rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che amava farsi chiamare Sylar. L'idea che fosse spaventato da Dio e dal suo ultimo giudizio, la inquietava terribilmente. Non le riusciva molto semplice fondere la figura del fanatico religioso con quella del folle assassino assetato di potere.
E tutte quelle scritte, assiepate una sull'altra, senza alcun ordine, senza alcun controllo, in una disperata richiesta di perdono. Eppure -
Trasalì di colpo ad un improvviso rumore metallico che annunciava di qualche decimo di secondo l'entrata in funzione dei neon biancastri che illuminavano la cella.
"Cazzo," pensò telegraficamente, riabbassando gli occhi.
Sussultò per l'ennesima volta, indietreggiando rapidamente di un paio di passi.
Il cuore le era letteralmente schizzato in gola: due occhi scuri, attenti la fissavano quasi maniacalmente dall'altra parte del vetro. Era lì .. immobile, con un'espressione indecifrabile sulla faccia.
Tentò di convincersi a riprendere a respirare normalmente, sebbene il fiato le si fosse letteralmente mozzato in gola. L'espressione che aveva sul viso tradiva tutta la sorpresa (la paura?) di quell'inattesa e guardinga presenza.
Restò sorprendentemente ferma, ricambiando il suo sguardo insistente... non si era mai accorta di quanto vibrasse il colore profondo dei suoi occhi. Neri, ma incredibilmente accesi, vivi. Sicuramente non lo sguardo vacuo che gli aveva visto qualche giorno prima.
"Ancora sveglio?" Si costrinse a chiedere con tono strafottente.
Nel silenzio, era convinta di poter sentire il suo respiro pesante, irregolare... non se n'era accorta subito, ma ci doveva essere qualcosa che decisamente non andava.
Fu un attimo, e quell'espressione sul volto di lui si mutò in una smorfia di dolore. Prima che potesse rendersene conto, lo vide crollare a terra, il sostegno degli arti inferiori improvvisamente venuto a mancare.
Sgranò gli occhi, riavvicinandosi al vetro.
"Ehi!" Cercò di richiamare la sua attenzione battendo una mano sul vetro. "Gray, alzati!" Gli ordinò perentoriamente, ma tutto quello che ottenne fu un penoso tentativo di lui di rimettersi in piedi. Fece leva sul letto che campeggiava al centro dell'asettica cella dalle pareti grigiastre, ma nemmeno le braccia sembravano in grado di sostenerlo. Ricadde pesantemente a terra, faccia in giù, gli occhi sbarrati in fissa del niente.
"Merda," mormorò lei a denti stretti. Lanciò un'occhiata al corridoio buio, valutando per un attimo la possibilità di andare a chiamare aiuto.
Ma... non le sembrò necessario. Poteva persuaderlo a fare qualsiasi cosa, non costituiva una grandissima minaccia per lei, non se lo avesse gestito nel migliori dei modi. Era sicura di potercela fare anche da sola, senza l'aiuto dell'Haitiano o di Noah.
Si spostò rapidamente sull'entrata automatizzata, rivelando il piccolo pannello sul quale inserì il codice che aveva imparato a memoria.
Continuava a lanciargli occhiate preoccupate: e se fosse morto proprio durante quella stupida visita senza senso? Era finita là dentro solo per curiosità, un insano desiderio di rispedire quell'essere tanto temuto dritto al creatore del quale sembrava aver avuto così tanta paura.
La porta scivolò di lato, permettendole di entrare nell'angusto spazio che gli era stato concesso, prima di richiudersi alle sue spalle. L'atroce dubbio di non poter uscire l'assalì per un attimo, prima di dissolversi rapidamente alle pessime condizioni dell'uomo.
"Gray...," lo richiamò di nuovo, con tono assolutamente odioso. Sarebbe stato inutile tentare di convincerlo a rimettersi a letto... perfettamente inutile.
Lo raggiunse in un paio di passi, chinandosi su di lui. Lo prese per una spalla, costringendolo a girarsi, permettendole di guardarlo in viso. Rabbrividì a quello sguardo privo di qualsiasi senso, mentre l'idea che fosse seriamente morto le balenò in testa.
Si morse le labbra, indecisa sul da farsi: forse stava veramente andando troppo oltre.
Finì per allungare una mano, e poggiargliela dritta sul petto, all'altezza del cuore. Rimase immobile, in ascolto, per una manciata di secondi. Sentiva l'ovattato tum-tum del suo battito cardiaco, proprio in corrispondenza del palmo della sua mano. Buffo, credeva che il cuore se lo fosse giocato assieme al cervello quando aveva deciso di intraprendere la carriera di serial killer.
Se fosse stata attenta, oltre a quella piacevole e cadenzata nenia che le assicurava il suo non-decesso, avrebbe sentito anche quel tic-tac insistente che, invece, non preannunciava niente di buono.
Prima che potesse rendersene conto, si sentì afferrare per le braccia.
"Pessima mossa," la voce di lui era bassa e roca. Le fece uno strano effetto.
Mentre l'atterrava al pavimento, impedendole qualsiasi movimento col proprio corpo, non era di paura il brivido che le corse lungo la schiena.
Alzò una mano, stringendole il mento con violenza, costringendola a farsi guardare: la sua espressione era di pura rabbia... rabbia e disgusto.
Eden era rimasta assolutamente immobile: l'aveva colta di sorpresa, senza darle nemmeno il tempo di realizzare cosa esattamente era successo in quei pochi secondi che andavano dall'entrata nella cella di Sylar, al ritrovarsi stesa a terra faccia a faccia con quello che una volta era Gabriel Gray.
Trattenne inconsciamente il respiro, mentre ogni singolo centimetro del corpo di lui che le premeva addosso iniziava improvvisamente ad assumere una consistenza molto più concreta. Eppure sembrava tanto innocuo quando lo aveva visto dall'altra parte del vetro...
"Voglio che tu mi faccia uscire di qui," sentenziò lui, usando di nuovo quel tono di voce che non le suggeriva che una cosa... possibile che non l'avesse mai sentito parlare?
"No," fu la concisa e seccante risposta che ricevette in cambio.
La morsa in cui le stava serrando il viso si fece di colpo più serrata e violenta.
"Voglio che... tu... mi faccia uscire... di qui...," sillabò di nuovo, molto lentamente, come se stesse avendo a che fare con una bambina piccola.
Non era del tutto sicuro che ci sarebbe riuscito. Era stato capace di simulare quello svenimento poco prima, aveva resistito a quell'irresistibile impulso che gli aveva suggerito di rimettersi in piedi quando si trovava ormai a terra, immerso nella sua personalissima messinscena, messinscena che avrebbe dovuto fargli conquistare la libertà.
Eppure non c'era nessun impulso, in quel momento, che gli suggerisse di fare qualcosa di totalmente diverso dai propri desideri. Era cosciente, padrone di sé, in una forma più o meno decente, e aveva quella ragazza dall'aria così innocente, dal dono così dannatamente interessante, in pugno.
Se fosse riuscito ad uscire di lì, si sarebbe preoccupato di aprirle la testa, e rubarle quell'abilità che gli sarebbe tornata incredibilmente utile. La persuasione.
Un'abilità tanto potente, messa al servizio di altri... si preoccupavano di fare cosa là dentro? Rubare poteri alle persone? Privarle di ciò che spettava loro di diritto?
Eden non si meritava quell'enorme regalo che la natura, la selezione, la genetica, le avevano voluto fare. Era una... mercenaria, minimamente degna della fortuna che aveva avuto.
Ma lui... lui avrebbe trovato il modo di utilizzare quell'abilità così come essa chiedeva di essere sfruttata. Avrebbe capito ogni singola sfaccettatura di quel dono... gli si sarebbe rivelato utile, utilissimo. Così anche lei avrebbe avuto un briciolo di utilità in quell'enorme meccanismo in cui si era volontariamente rintanato.
Fu solo allora che sentì uno strano rumore, misto ad un profumo sconosciuto... sembrava muschio, muschio e... alcool, un soffocato odore di alcool che doveva provenire da lei.
Alzò leggermente il capo per poterla guardare meglio.
Era il suo profumo.
Lo inspirò a fondo, sentendolo penetrare nei polmoni e riempirglieli.
Socchiuse gli occhi, mentre il battito insistente del proprio cuore riprese a risuonargli nelle orecchie, accompagnato da quello di qualcun altro...
Erano così dannatamente vicini. Era sicuro di poter contare il numero delle sue ciglia, o di poter descrivere per filo e per segno il colore dei suoi occhi. Deglutì a fatica, mentre una sensazione tanto estranea quanto piacevole si impadronì di lui costringendolo a respirare più irregolarmente, mentre un brivido strano gli percorse il basso ventre.
Lei non aveva detto nient'altro... si limitava a ricambiare il suo sguardo con una tale intensità da impedirgli di guardare altrove. Il battito accelerato del cuore di lei gli avrebbe suggerito paura... panico... ma i suoi occhi esprimevano tutt'altro, e il suo sguardo era così ferreo che sembrava tenerlo incollato a lei, senza dargli alcuna possibilità di fuga.
Chinò lentamente il capo, nascondendo il viso nell'incavo del suo collo. Accostò il naso alla pelle morbida della sua spalla, accarezzandola blandamente e respirando silenziosamente il profumo che emanava. Lo rifece, stavolta passandole le labbra fino all'orecchio in una lenta e spietata carezza.
La sentì sospirare. Rialzò il capo per poterla guardare... aveva le palpebre abbassate, e si stava passando la lingua sulle labbra. La fissò, senza mollare la presa sul suo viso, ancora serrata e immobile, chiedendosi se avrebbe sentito il sapore dell'alcool anche sulla sua bocca.
Per un attimo aveva pensato all'insensatezza della cosa, ma qualche secondo dopo si era già dimenticato di cose volesse dire "insensato". Si impadronì possessivamente della sue labbra, facendo scendere una mano dal suo braccio, sui fianchi, fino alla vita, che strinse rabbiosamente contro di sé.
La costrinse a dischiudere le labbra, impaziente di poter trovare una risposta alla propria domanda. Non tardò ad avvertire quel retrogusto etilico che trovò incredibilmente eccitante, almeno quanto quel gemito che le sfuggì dalle labbra andando a mischiarsi al suo respiro affannoso, e al battito del suo cuore che gli martellava nel petto senza alcun controllo.
Il desiderio irrefrenabile di andare avanti in quell'esplorazione si impadronì di lui. Non aveva la forza di controbattere, o forse... forse non ne aveva voglia. Forse stava facendo esattamente ciò che aveva sempre voluto fare.
Le morse le labbra, tentando di costringerla a gemere di nuovo. Gli piaceva terribilmente il suono di quei sospiri, la sensazione di totale onnipotenza che ne scaturiva, il calore del suo corpo che pareva aumentare vertiginosamente di secondo in secondo, senza il minimo preavviso.
Insinuò una mano sotto la sua maglia, accarezzandole il ventre, risalendo lungo i fianchi, soffermandosi sul seno, per poi ricadere in basso sempre più lentamente.
Una forza pareva trattenerlo, l'altra spingerlo. Non sapeva dire quale delle due fosse la più giusta, quel che era certo è che in quel momento non gli interessava poi tanto.
Sollevò la stoffa tanto quanto poté.
Le lanciò un'occhiata, mentre ne riceveva una altrettanto indecifrabile, prima di abbassarsi appena. Continuava a tenerle fermo il volto, anche quando riprese a baciarle la pancia: i brividi che parevano essersi impossessati di lei gli causarono uno scoppio di quella che aveva tutta l'aria di essere euforia. La sentì tendersi sotto di lui.
Fu l'ennesimo sospirò che le sfuggì incoerentemente dalle labbra, che lo portò a sganciarle i pantaloni in un gesto brusco. Oltrepassò prepotentemente l'orlo del suo intimo nero, alzandosi appena mentre riprendeva ad accarezzarla come mai aveva fatto prima.
Si era irrigidita, per poi rilassarsi subito dopo.
L'idea di avere la sua più totale attenzione non fece altro che portare avanti quella folle serie di reazioni che lo stavano spingendo a cercare il calore di lei in modo totalmente insensato.
Spinse quelle inutili barriere lungo le sue gambe. Avrebbe voluto scoprire ogni minimo lembo della sua pelle chiara, ma non c'era il tempo.
Per un attimo quell'assurdo tic-tac sembrava aver ripreso il suo risuonare sincopato. Ma passò subito, nemmeno se ne rese conto, come non si rese conto delle mani di lei che stavano provvedendo a liberarlo dei suoi pantaloni... quegli stupidi indumenti bianchi, dall'aria tanto asettica quanto ogni singola cosa che lo circondava.
Stavolta fu suo il sospiro che invase il silenzio di quella cella, sospiro che parve resistuirgli la lucidità per un misero attimo. Illusione che si spense prima ancora che potesse realmente accorgersene.
Si sentì attirato verso il basso, ritrovandosi di nuovo a pochi centimetri dalle labbra di lei, umide, arrossate, dischiuse...
Affondò ancora una mano nel suo fianco morbido, prima di scivolare in quel calore che tanto l'aveva attratto. Si sentì quasi soffocare da tutta quell'eccitazione, quel tremore che gli aveva afferrato le mani, quel singhiozzo che era sfuggito dalle labbra di lei, in un ennesimo suadente invito a continuare.
Si spinse in lei con più forza, assecondando quel desiderio che continuava a rinnovarsi nella sua testa. Si lasciò guidare da qualcosa che avrebbe tranquillamente definito come istinto, se avesse avuto un solo briciolo di lucidità dalla sua parte.
Non riusciva più a distinguere... il calore che gli attanagliava il ventre, che gli stringeva il petto, il respiro caldo di lei sulla bocca, il suo... che andava mischiandosi senza alcun riguardo al gelo di quella prigione senza sbarre, mentre i suoi movimenti si facevano sempre più esigenti e rapidi, mentre il fiato gli veniva improvvisamente a mancare e i polmoni iniziavano a bruciargli in preda ad un disperato bisogno d'aria.
Serrò prepotentemente la presa sia sul suo mento, che sulla sua vita, incapace di fermarsi nemmeno se avesse voluto.
Fu lei che, gemendo, interruppe quell'assurda atmosfera, delirante e assolutamente immobile allo stesso tempo.
Lui fece eco alla sua voce, senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Si sentì solamente svuotato, mentre ricadeva in avanti, a corto di fiato.
La guardò con quei suoi occhi accesi e attenti, mentre un calore estraneo sembrava espanderglisi a macchia d'olio all'altezza del petto.
"Fine dei giochi," la sentì mormorare, senza realmente prendere atto di quelle parole.
Non oppose alcuna resistenza quando lei lo spinse di lato di malo modo per potersi rimettere in piedi.
Sylar non la stava più guardando: era rimasto disteso sul pavimento, in una posizione simile a quella che l'aveva fatta preoccupare a quel modo. Il freddo stava nuovamente tornando ad impadronirsi di lui.
Si rivestì rapidamente, senza degnarlo più di uno sguardo mentre tornava a riavvicinarsi all'uscita della cella. Inserì nuovamente il codice, aspettando più o meno pazientemente che la porta si aprisse per permetterle di uscire.
Riprese a respirare solo quando la parete di vetro tornò a dividerli. Cercò l'interruttore delle luci, spengendole di nuovo, trattenendo a stento un sospiro di sollievo quando il buio tornò ad inghiottire entrambi.
Sperò che potesse portarsi via qualsiasi cosa fosse successa là dentro...
Aspettò qualche secondo prima di uscire e inforcare il corridoio.
Aveva bisogno di un caffè... detestava utilizzare i propri poteri in quel modo.
Eppure si era divertita così tanto prima che venisse coinvolta in quello stupido progetto.
Poteva fingere di essere diversa, ma quello era probabilmente l'unico vizio di cui non si sarebbe mai liberata.
Cambiò nuovamente idea: non era di caffeina che aveva bisogno. E poi era appena passata la mezzanotte.
Aveva voglia di qualche altro margarita e poi, forse, sarebbe tornata a casa.