Tutti questi post nel giro di ventiquattro ore mi faranno male!
Finalmente sono riuscita a coniugare la mia nuova passione per le BJD con quella per la scrittura e ho scritto questo breve raccontino che spiega, in modo romanzato ovviamente, come queste creature di resina siano arrivate nella mia vita.
Titolo: Incroci
Fandom: Originale
Personaggi: Aida di Monte Frondoso, Okita Soji (are mine), nominati altri
Parte: racconto autoconclusivo
Rating: G
Conteggio Parole: 1566 (Word dixit)
Riassunto: ...in tutti i salotti bene della città una sola era la chiacchiera insistente: che fine aveva fatto la giovane figlia del Duca di Monte Frondoso?
Note: I personaggi sono miei, fin dove non sono di altri. Ovvero, per scriverre questo racconto mi sono ispirata ai background che ho immaginato per le mie bambole da collezione. Ho citato anche bambole di altri collezionisti, che spero non se ne abbiano, il mio gesto vuol essere un segno di stima nei loro confronti. Rigrazio, quindi, per avermi ispirato
michiru_kaiou7, mia beta adorata e spingitrice nel baratro del BJD world,
nanael e
_kaze_chan_; molte altre avrei voluto citare, magari la prossima volta!
Il giornale della sera titolava nella pagina della cronaca locale “È scomparsa una stella” e in tutti i salotti bene della città una sola era la chiacchiera insistente: che fine aveva fatto la giovane figlia del Duca di Monte Frondoso? Dov’era Aida, la cui voce soave aveva commosso uomini e donne di ogni ceto sociale dai palchi dei più prestigiosi teatri lirici del Mondo?
La storia andò più o meno così.
Aida di Monte Frondoso, seconda figlia del Duca, proprietario di ettari e ettari di produttivi olivi, nonché del castello di famiglia, e di molto altro ancora che sarebbe noioso e fuori luogo elencare in questa sede, era partita poco più che bambina per imparare a cantare, poiché la sua voce dolce e acuta aveva dello straordinario fin dalla più tenera età. Il Duca suo padre, che era uomo di mondo e di cultura, piuttosto che vedere quella sua figliola segregata in qualche convento di campagna, priva di vocazione com’era, aveva acconsentito a mandarla all’estero a studiare, benché il mestiere di cantante non si addicesse ad una ragazza di buona famiglia. Egli scrollava le spalle alle obbiezioni della consorte - Tanto maritarla, non la posso maritare - rispondeva laconico, poiché i beni di famiglia sarebbero stati ereditati dal figlio maggiore e di dividere o alienare la proprietà proprio non se ne parlava.
Dicevamo quindi che Aida giovinetta lasciò il castello avito e viaggiò in lungo e largo per l’Europa, prima come studentessa e poi come cantante, nella sua sfolgorante e precoce carriera. Era acclamata a gran voce da Vienna e Londra, da Parigi a Berlino. E certo, per amore del vero occorrerà dirlo, non era solo la sua voce a far palpitare i cuori di aristocratici, musicisti e artisti del Vecchio Continente: la bellezza di Aida era seconda solo al suo talento.
Dopo tanto clamore e tanto viaggiare, venne il tempo per la giovane duchessa di tornare a casa da quel padre così comprensivo, per piangere, poveretta, sul capezzale della madre morente.
Come ogni figlia devota, Aida portò il lutto per sei mesi, senza frequentare il bel mondo né esibirsi, ma venne infine il giorno del ritorno e fu scelta come sede per il recital, ovviamente, il piccolo teatro del castello di Monte Frondoso, un evento aperto solo a pochi fortunatissimi ammiratori e notabili della città. Fu proprio il giorno avanti dello spettacolo, dopo aver terminato le prove, che la duchessa fu vista allontanarsi lungo il sentiero che scende al torrente per la solita passeggiata pomeridiana, passeggiata dalla quale Aida di Monte Frondoso non era mai più tornata.
La voce più accreditata tra le signore che sorseggiavano il tè alle cinque, era che la ragazza, già abituata a vita dissoluta, perché si sa che una che fa la cantante sotto sotto non è una santa, fosse scappata con il Duca Aleksandr Mikahilov, suo grande estimatore, ma già padre di due adorabili bambine, motivo per cui il Duca di Monte Frondoso non aveva mai visto di buon occhio l’amicizia tra i due. Dunque la bella Aida era fuggita con il suo nordico e affascinante principe azzurro? Il Duca Mikahilov era tornato in Russia e non v’era modo di rintracciarlo per averne la conferma. Eppure, se tra le donne serpeggiava il pettegolezzo a tinte rosa, tra i notabili della città, raccolti al circolo a bere scotch e fumare sigari toscani, si faceva strada una versione da cronaca nera: un folle, un assassino, magari un ammiratore squilibrato, “vai a capire, è un attimo”… Una spinta e la giovane dama cade nell’acqua e la corrente porta il suo bel corpo lontano…
Così vociava la città e il povero Duca, solo nel suo castello, piangeva la scomparsa fin troppo prematura di quella sua figlia prodigio.
Ma cosa era davvero successo?
Aida camminava lungo il sentiero di olmi e lecceti che costeggiava l’ansa del torrente, ripassava a mente i brani che avrebbe cantato l’indomani, mentre faceva giocherellava con il cappello a falda larga. Gettò uno sguardo dietro di sé per valutare la distanza dal castello: aveva ancora una mezz’ora di tempo prima di dover rientrare a casa. Proseguì lungo la solita strada canticchiando a mezza bocca, un passerotto le volò accanto e la distrasse per pochi attimi, e quando tornò a fissare il sentiero, il panorama davanti a sé era del tutto diverso: non più gli alti alberi ombrosi, la terra battuta, il fragore dell’acqua. Aida si ritrovò ad un incrocio, nel bel mezzo di una campagna mai vista prima di allora, che poteva essere vicino casa sua: il grano, i girasoli nei campi, potevano appartenere alla tenuta di Monte Frondoso, ma non ricordava di essere mai stata lì, e, soprattutto, non aveva idea di come ci era arrivata!
- Oh buon Dio!- esclamò sconvolta.
Una fitta alla bocca dello stomaco la paralizzò, non era certo tipo da mettersi paura per tanto poco, ma proprio non si capacitava di cosa poteva essere accaduto. Si voltò in cerca di un’insegna, un’indicazione, qualcosa che le fosse d’aiuto, ma lì non c’era altro che un incrocio attraversato da un numero improponibile di strade: sentieri, viottoli, viali alberati, ogni tipo di strada sembrava passare da lì.
- Ma che posto è mai questo?- si chiese tra lo sgomento e l’arrabbiato.
- È l’incrocio di tutti i luoghi e tutti i tempi - rispose una bimbetta dai capelli fulvi, apparsa come dal nulla, seduta per terra a giocare con dei sassi.
- E tu? - chiese preoccupata Aida.
- Aspetto mio padre, sai, lui è il dio della morte - rispose dolcemente la bimba, sempre rapita dai suoi amici sassi.
- Come?- chiese sbigottita la duchessa, ma non fece in tempo ad indagare ulteriormente che una donna dall’abbigliamento sgargiante e una chioma color pesco quasi la travolse.
- Levati di mezzo, non vedi che ho fretta? Mi hanno chiamato per un lavoro…- e la sconosciuta imboccò una strada asfaltata che percorse con sicumera sui suoi stivali con tacco dodici.
- Oh, povera me - gemette Aida, ormai preda dello sconforto, ma in breve non ci furono più tracce né della bimba né della donna.
- La vita non è altro che sofferenza - la raggiunse una voce di un giovane uomo. Era un ragazzo sui venti, venticinque anni, dallo sguardo malinconico e addolorato ma, quel che era peggio, il ragazzo non aveva un corpo, era solo una testa che fluttuava. Aida sbarrò gli occhi e cacciò un urlo - Lo so - gemette il ragazzo - Sono solo una testa, per ora, il mio corpo deve essere da qualche parte, solo che non è ancora arrivato.
- Capisco - annuì Aida terrorizzata.
- Non ci faccia caso, la prossima volta che ci incontreremo magari avrò il mio corpo, ma non è ancora il momento. Funziona così, qui: quando è il momento ti ritrovi all’incrocio di tutti i luoghi e tutti i tempi e puoi andare dove vuoi. Vede, se prendessi quella stradina stretta e in salita, arriverei in Giappone, nell’epoca Heian; se invece seguissi quel sentiero a destra finirei a Tokyo poco prima della Fine del Mondo. Questo è il mio destino, le strade sono molte, ma alla fine le persone che amiamo le ritroviamo sempre, è tutta una questione di cogliere il momento giusto.
- Allora se per di lì si va in Oriente, andando dalla parte opposta dovrei tornare verso Occidente, in Italia, a casa mia? - chiese Aida perplessa: l’idea di parlare ad una testa fluttuante, benché bellissima e gentile, non la convinceva, anzi in cuor suo si stava chiedendo se per caso fosse diventata pazza, ma quella testa era l’unica persona a cui rivolgersi.
- Non saprei, signorina, io posso percorrere sole le strade a me destinate; per conoscere le sue, non le rimane che incamminarsi - le sorrise affabile la testa - Oh, Dei tutti, non è forse Seishiro-san quello laggiù? - esclamò ad un tratto il ragazzo - Devo andare, devo raggiungerlo. Addio, addio mia cara, tanto ci ritroveremo presto.
Aida rimase di nuovo sola, sempre più spaventata e sconsolata, a fissare tutte quelle strade, chiedendosi - Qual è quella giusta per me?
- Segui me- disse ad un tratto un ragazzino, dodici-tredici anni, non di più, elegantemente vestito come certe stampe orientali che Aida aveva visto nello studio di un suo amico pittore.
- E tu chi sei?
- Sono Okita Soji, al servizio dello Shogun. Il mio maestro ed io ci siamo persi di vista, ma sapevo che qui avrei trovato qualcuno per me. Certo, non sei il mio maestro, né un compagno di kendo, ma anche se sei femmina, vedrò di volerti bene lo stesso.
Il ragazzino aveva un broncio così tenero che ad Aida scappò un sorriso e allungò il braccio per carezzargli il capo.
- Sei piccolino - disse amorevole.
- Non è vero!- si risentì il ragazzo e corse avanti, lungo una strada di terra battuta.
- Dove vai? Non mi lasciare da sola - lo richiamò Aida, pentita di quel che aveva detto pocanzi.
- Io vado avanti, tu mi raggiungerai. La strada la trovi da te.
- Ma no, non so dove andare, piccolo Soji non scappare!
- Dai, Aida, che lei ci aspetta, anche se ancora non lo sa - le rispose Soji abbozzando un sorriso.
Aida si fece coraggio, raccolse il cappello, che tra tante emozioni le era caduto di mano, e s’incamminò lungo la stessa strada che il ragazzino giapponese le aveva indicato. Ovunque fosse andata, sperava tanto di trovarsi bene.