Titolo: Nella stessa lingua
Autore:
haruka92 Beta: nessuno :/
Fandom: RPF: Real Madrid CF
Personaggi/Pairing: Ricardo Izecson dos Santos Leite (Kakà), Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro, José Mário dos Santos Félix Mourinho; nominato Andriy Mykolayovych Shevchenko *uff*
Rating: Per tutti
Warning: pre-slash, se si vuole
Disclaimer: I personaggi qui descritti esistono, ma non hanno mai fatto niente del genere, non sono miei né è stato scritto su di loro a scopo di lucro.
Note: ieri sera mi sono imbattuta nei profili Twitter di due di questi personaggi. Da lì è nata l'idea che ho buttato giù stamattina in questa fanfic, la prima che scrivo da moltissimo tempo. Se dovessero esserci errori, segnalatemeli e li correggerò appena possibile.
Dedicata a una persona che probabilmente non la leggerà, come risarcimento per tutte quelle storie che non le ho mai finito di scrivere :D
Grazie di tutto.
Nella stessa lingua
Capita che si incontrino a casa di Cristiano. Spesso è Kakà a farsi avanti, ovviamente dopo avergli chiesto il permesso al telefono: arriva davanti alla porta con il suo solito sorriso educato e “Spero di non disturbarti, volevo fare quattro chiacchiere”. Magari poi finiscono per fare tutt'altro ma la frase è sempre lì, sempre uguale, giusto qualche variazione sul tema ogni tanto. Cristiano ride e non gli dice mai di no e guardandolo, Kakà non può fare a meno di pensare a che tipo di ascendente abbiano l'uno sull'altro.
In quei momenti ricorda Andriy, l'amico e la guida, il più esperto quando lui era il più giovane, e crede di aver preso il suo posto; sa che Cri e i suoi venticinque anni non possono essere paragonati a quello che era lui allora, ma l'affetto responsabile che sente a volte nei suoi confronti è lo stesso sorriso che ha ricevuto lui, quattro anni fa, e che ora cerca di restituire per quanto può a Cristiano.
Una volta come tante, Kakà si siede accanto a Cristiano su quel suo divano morbidissimo e stralussuoso e gli parla di quel periodo della sua vita. Si perde in una vertigine di spalti rossoneri, di vittorie, di giovinezza trionfante; ha appena rievocato la sua amicizia più salda quando si rende conto che Cristiano si è scostato da lui, e la distanza non è tanto fisica quanto mentalmente siderale, addirittura di anni luce nella sua espressione distaccata che non nasconde il fastidio che sta provando.
Ricardo pensa solo di averlo annoiato. Cristiano è così teso al presente, la sua stella è tanto alta da non fargli concepire l'idea di un passato che non ha mai avuto, non ancora; così lascia cadere la questione.
Lo scoppio avverrà non molto tempo dopo, senza che lui lo voglia. Non saprebbe dire come si sia trovato di nuovo a parlare del Milan, sa solo che quando ha nominato Andriy Cristiano si è stiracchiato in modo teatrale e ha cambiato discorso di punto in bianco, a voce sufficientemente alta da coprire le sue parole. Lì non ha potuto fare finta di niente, si è arrabbiato e non c'entra l'argomento, il punto è che quello è un atteggiamento infantile e lo ha lasciato perplesso e dispiaciuto, per la prima volta da quando si conoscono. Cristiano ovviamente non si è mosso di una virgola dalla sua posizione di bambino capriccioso e la situazione è degenerata, tanto che Ricardo se n'è andato prima del solito e senza scambiare con lui un saluto meno che formale.
Più tardi, quella sera, Ricardo lo chiama a casa per chiarirsi, rimediare, quello che può fare. Gli risponde la segreteria telefonica: Cristiano è uscito, chissà quando tornerà e dove è al momento raggiungibile, anche se può farsene una vaga idea. Lascia perdere e mette giù la cornetta: Cri può comportarsi come vuole, non è un bambino, si dice. Possiamo aspettare.
Almeno fino al giorno dopo, quando Kakà si presenta agli allenamenti della squadra. Cristiano è il primo a venirgli incontro con la sua migliore espressione contrita e risponde alle sue scuse per averlo involontariamente annoiato con un “Non mi piace sentirti parlare del passato e dei tuoi vecchi” calca sull'aggettivo “compagni. A casa mia, parla con me. O di me, non sono un argomento abbastanza interessante?” ridacchia, in quel suo modo strafottente che è il suo gesto di pace; Kakà lo sa e ride con lui.
Parlano fra loro fino a quando Cristiano non inizia a fare il riscaldamento. Kakà lo segue con lo sguardo, lui e gli altri compagni, ma c'è un altro paio di occhi puntato invece su di lui e il brasiliano rabbrividisce quando si volta e si trova faccia a faccia con lo sguardo indecifrabile di Mourinho.
Il mister è lì di fronte a lui, che mastica pensoso una gomma, indifferente e immobile: prima che Kakà possa fare qualsiasi cosa, si gira e va a incitare i suoi giocatori senza più degnarlo di un'occhiata.
Ricardo lo vede parlare in portoghese con Cristiano e un'ansia inspiegabile gli serra il petto. Si chiede da quanto tempo li stesse guardando, se lo ha già fatto altre volte, se per caso non sia tutta una sua immotivata paranoia.
Quando i due sembrano voltarsi nella sua direzione, abbassa lo sguardo.
Continua a tenerlo basso quando arriva a casa di Cristiano quel pomeriggio: supera il suo saluto allegro, un po' sorpreso dalla visita inaspettata, precipitandosi nell'appartamento come se qualcuno lo stesse inseguendo. Solo dopo che la porta si è chiusa alle loro spalle, Ricardo sente allentarsi la morsa sul suo stomaco: respira profondamente, guarda Cristiano che gli si è piazzato davanti con aria interrogativa e, finalmente, sorride.
“Avevo voglia di passare un po' di tempo insieme” gli dice semplicemente. Ed è sincero.