Adam & Eve reaction fict - The animal instinct

Nov 04, 2014 21:18

[Another post in Italian. I know, I know...]

Reaction fict sul PV di "Adam&Eve", la unit di Yoko e Tacchon dell'album Kanjanism.
Ne sentivo la necessità per mettere "su carta" dei sentimenti e delle riflessioni che mi sono nate durante la prima/seconda visione e che ritengo discostino straordinariamente dall'intento originario del PV. Per chiarirmi le idee, ho provato a scriverle. Non me le sono chiarite, me le sono confuse ancora di più... e ho capito di avere tanti problemi, ma non è una sorpresa.

Titolo: The animal instinct
Gruppo: Kanjani8
Pairing: Yoko/OC (Tacchon/OC)
Rating: R (?)
Genere: sentimentale-psicologico-introspettivo (no, non mi drogo)
Disclaimers: di tutto questo, possiedo solo la fantasia malata (no, davvero... non mi drogo)
Note: potrebbe contenere degli spoiler per chi ancora non ha visto il PV di "Adam&Eve" (eh beh). Per chiunque l'abbia visto: vi prego, ditemi che non sono solo io ad averci visto "questo" e/o a guardare a Yoko con questi occhi, perché lo so di non star bene, ma se fossimo in compagnia sarebbe tutto più rassicurante e divertente (entrate nel club!).


Abbracciò il ragazzo, l'uomo con cui le avevano chiesto di lavorare e pensò: perché sta tremando?
Dal punto di vista professionale, non riusciva a capire come un tipo di video musicale così volutamente sensuale potesse risultare difficile da girare per una persona che gli era stata descritta come un idol, un uomo di spettacolo, qualcuno che incantava folle di donne di ogni età cantando, ballando e recitando. Che cos'era quella se non una recita? Cosa interpretava lei stessa, se non una donna attratta dal peccato?
Accettava raramente quel genere di lavori, perché in qualità di modella straniera riteneva di poter puntare a pubblicità e canali con visibilità maggiore, per ottenere un maggiore successo in un mondo caotico come quello dello spettacolo giapponese. Ma, come il proprio manager le aveva parlato di questo gruppo di idol (del qualche avrebbe collaborato solo con un paio di persone, in ogni caso), qualcosa l'aveva incuriosita abbastanza da farla accettare.
Il primo ragazzo, il più giovane dei due (anche se stentava a credere avessero quattro anni di differenza e fossero entrambi attorno ai trenta), aveva avuto un atteggiamento attento, professionale... e quasi spavaldo. Sembrava a suo agio nella propria pelle, in coerenza con le proprie capacità e le indicazioni del regista. A suo modo, sapeva celare molto bene l'imbarazzo inevitabile di alcune inquadrature che avevano dovuto condividere, take dopo take, nonostante non si conoscessero neanche.

Ora, tuttavia, si ritrovava fra le braccia un uomo tremante. Un tremito impercettibile, nascosto nello sguardo freddo che Yoko (così gli era stato presentato, per aiutarla con la pronuncia) dedicava a lei, al regista, all'ambiente e a tutto ciò che li circondava: come a difendersi, come un'arma, più che uno scudo. Si mosse da copione, accarezzandogli il viso o la nuca, nascondendo il viso nell'incavo fra spalla e collo, rubando segretamente un respiro del profumo inaspettato della pelle candida del giapponese.
Lui fece lo stesso, con esitazione: concentrato nel sussurrare il testo della canzone per mantenere il labiale, nel non lasciarsi sopraffare dall'imbarazzo che gli colorava teneramente le orecchie e la base del collo, ma che non sarebbe apparso in video per, ne era certa, ampio utilizzo della color correction.
E quel tremito costante e segreto, come le basse fusa di un gatto, non contento e rilassato, ma all'erta, spaventato.
Concessero loro una pausa, durante la quale, per la prima volta dall'inizio dell'orario di lavoro, la telecamera dedicata alla ripresa del backstage rimase spenta. Vide Yoko avvolgersi in un accappatoio nero simile a quello che le era stato consegnato e sedersi da solo in disparte, su un divanetto senza schienale appoggiato alla parete scura dello studio. Allontanò il proprio manager con una scusa e, vincendo una strana esitazione, si sedette al fianco dell'idol, che si ritrasse appena, sorpreso.
-Helen- si presentò, allungando la mano.
Yoko la osservò per qualche istante, prima di stringerla poco convinto, come se dopo l'eccessivo contatto che avevano dovuto mostrare alla telecamera, anche solo sfiorarsi in privato potesse comportare un cambio drastico dei rapporti professionali.
Si sforzò di far leva su tutto il giapponese che era riuscita a studiare da quando si era trasferita e chiese: -Qualcosa non va?-.
Yoko la osservò stranito, senza dire una parola. Lei percepì ancora una volta qualcosa di istintivo e primordiale nel profumo, nel calore e nell'espressione del viso dell'altro. Tentò di nuovo: -Sembri strano- e si maledì per aver studiato troppo poco. L'inglese non avrebbe fatto altro che spaventare ancora di più il giapponese, già sulla difensiva.
-Sono strano- rispose lui dopo un istante ancora di riflessione, con una voce bassa completamente diversa da quella che usava per cantare e che veniva diffusa dall'impianto audio ad ogni take: -Ma non strano da far spaventare!- si affrettò a dire, il viso rosso di improvviso imbarazzo: -Solo strano che non riesco bene a fare questo- indicò tutto attorno: -E a parlare con le persone-.
Un idol decisamente atipico, pensò lei. Poi le si dipinsero nella mente diverse immagini che l'atteggiamento dell'altro le ricordavano, le più ridondanti erano quelle legate alla natura: animali feriti, braccati. Si accorse di essersi distratta e che il proprio manager le stava facendo dei cenni con la mano per richiamarla alla propria sedia e allontanarla dall'idol in difficoltà.
Salutò appena e si alzò, per continuare la pausa altrove, ancora persa in pensieri che non riusciva a capire cosa, nell'altra persona, le stessero suggerendo.

Come ripresero a girare, studiò ancora l'atteggiamento ferino di Yoko e sentì ancora distintamente quel profumo, quel tremito incontrollabile sotto la pelle del corpo esposto contro al suo.
Spogliati dei pochi vestiti che indossavano nei ciak precedenti, sentiva quasi il sangue scorrere nelle vene dell'altro, il cuore battere nel suo petto e, per la prima volta durante un lavoro, si sentì a disagio, imbarazzata, bambina di fronte ad un segreto che non avrebbe dovuto scoprire: quest'uomo è vivo, è vero, mi sta accanto, si muove, respira fra i miei capelli, risponde ad un compito ed al tempo stesso è qui ora, è libero, è carne e anima. E lo sono anche io.
Con la completa consapevolezza dell'altro, realizzò, avviene la completa consapevolezza di sé: sono nuda nelle sue braccia e non ci conosciamo. Ma sto bene. Forse, qua sotto la pelle, è nato un legame.
Il regista chiamò un'altra breve pausa, durante la quale i manager di entrambi gli si avvicinarono per sentire le direttive: comunicarono loro, ancora immobili nelle posizioni assunte sul set, che stavano andando bene, meglio di prima.
Lo sguardo di Helen si incontrò con quello di Yoko e allora seppe che sì, si capivano.
Le chiesero di sedersi a terra, di piegare le gambe di modo tale che Yoko potesse appoggiare il viso sulla sua coscia, passarvi delicatamente una mano; si girò prona, la schiena inarcata sopra alle gambe rannicchiate, e Yoko era ancora appoggiato a lei, sospirava parole sulla sua pelle, con piccoli tocchi incerti, inesperti, che la fecero sorridere.
Ora capiva cos'aveva provato fino a quel momento: l'istinto di vita e di sopravvivenza che ogni animale ha dentro di sé, nascosto. Ed ancora, il segreto che una donna tiene per sé, sotto le membra, sepolto fra i pensieri e le emozioni, che ora sentiva sgorgare vivo, come risucchiato dalla sete di quell'uomo, come se gli mancasse del nutrimento, dell'ossigeno. Il bisogno di calore umano, di affetto.
Il desiderio di ogni figlio di ricevere le attenzioni di un istinto materno tenero, primordiale, scevro da barriere. Le lacrime le salirono agli occhi mentre, senza più seguire le direttive di nessuno, si girò lentamente, dischiuse le braccia e accolse nel proprio calore quel giovane stanco, affamato, implacabile nel suo desiderio d'amore. Tremarono assieme, piansero, risero nel tempo di un istante, senza guardarsi negli occhi o ascoltare ciò che li circondava, che avrebbe rotto il loro legame.
Il loro più puro legame di donna e uomo, genitori e figli, esseri viventi, corpi ed energia.

Ancora oggi, a distanza di settimane dalle riprese, sentiva il cuore riempirsi di nostalgia al solo ripensare a quel momento condiviso con un completo sconosciuto. E un prorompente sentimento senza nome, a volte, le rigava le guance.

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