Tradimento (terzo capitolo)

Mar 03, 2010 18:49

Titolo: Tradimento
Fandom: Merlin
Paring: Merlin/Arthur, Arthur/sorpresa (non poi tanta, lo ammetto)
Rating:R per questo capitolo
Disclaimer: Non mi appartiene Merlin, non mi appartiene Arthur, non mi appartiene tutto ciò che fa loro da contorno.
Riassunto: C'è sempre bisogno di una moglie.
Note: Questa storia è slash. Uomini con uomini, ebbene sì.
L'esame mi ha preso mooooooooolto più tempo di quanto credessi. Ecco la terza parte, ne dovrebbero mancare (ma sono abbastanza sicura, eh) altre due.

Il sole che splendeva a Ealdor non aveva niente del sole di Camelot. La luce era più calda e illuminava spazi distesi e silenziosi con una sfumatura che Merlin era sicuro non esistesse da nessun’altra parte. Sorrise a Will, disteso sull’erba pungente accanto a lui.
La primavera era scoppiata da un paio di settimane. Merlin era arrivato tre giorni prima, appena in tempo per godersi il cielo sgombro e la brezza leggera che soffiava contro le montagne e muoveva i capelli di Will, spingendoli sugli occhi socchiusi.
“Non c’è niente che posso dire, eh? Niente che posso chiederti.” Disse Will, allungando pigramente una gamba fino a sfiorare la sua.
Merlin annuì. Will probabilmente non lo vide, ma la domanda era già stata posta (in altri modi, certo, e altri momenti) tante di quelle volte che la risposta ormai era scontata.
Era tipico di Will non accettare una sconfitta, Merlin lo sapeva, ma non poteva fare a meno di sperare che prima o poi il suo periodo a Camelot scomparisse nelle mente di tutti gli altri, come cercava di fare nella sua.
Ma Ealdor era splendida in primavera, più bella di quanto il castello potesse mai essere, e sua madre gli era mancata così tanto, e Will correva lungo il fiume e lo spingeva a fare il bagno nudi, quindi c’era davvero una possibilità che tutto si risolvesse per il meglio.
Avevano fatto l’amore al crepuscolo nel vecchio fienile, ridendo della paglia che si impigliava ovunque. Si erano baciati furiosamente sull’erba e sul fango e lentamente nei primi attimi di dolore. Era stato bello, come lo era già stato in passato, e sarebbe andato bene, se non fosse stato tutto sbagliato.

Merlin aveva dentro ogni angolo della vita precedente. Le nocche di Arthur, serrate sulle lenzuola bagnate, gli spingevano nello stomaco ad ogni movimento, la torre di Camelot premeva ad ogni suo respiro, i capelli biondi gli si erano impigliati all’altezza del cuore. Il dolore non diminuiva, perché non c’era modo di non pensarci. E il risentimento nemmeno, perché gli scavava dentro appena si distraeva, nonostante i suoi sforzi per ricacciarlo indietro.
Ogni movimento di Will era uno mancato di Arthur, ogni sua espressione un tradimento di ciò che Merlin davvero aspettava.

“Hunith non si meraviglia di non trovarti nel tuo letto?” Gli chiese Will la mattina seguente, strofinandogli la testa arruffata e calda sul petto. Si erano svegliati da qualche minuto e cercavano ancora di toccarsi e avvicinarsi senza che l’intento fosse troppo palese. L’ingresso al fienile era stato sbarrato, la luce della prima mattina entrava solo dagli spazi tra le assi, andando a disegnare strisce irregolari sui loro corpi e tutto attorno.
“Non fa domande.” Articolò Merlin languido, solleticato dalle ciocche sparse dell’altro. “E tua madre? Non si chiede perché non può entrare nel fienile?”
“Crede che io mi fotta la figlia della levatrice.”
Merlin gli tirò uno spintone e gli si arrampicò subito sopra per tenergli ferme le mani. “Fai schifo.”
Will si lasciò catturare con un sorriso assonnato. Fin da piccolo era sempre stato più grosso di Merlin, gli sarebbe bastata una spinta per liberarsi.
“Che c’è? Il tuo Re non usa certe parole?”
Il sussulto costrinse Merlin a trattenere il respiro. Con voce appena alterata, ribatté “Nessuno che conosco usa certe parole.”
Will liberò facilmente una mano dalla presa di Merlin e se la passò sul viso, come per togliere le ultime tracce di sonno. Poi tornò a guardarlo, più serio di com’era stato, e in qualche modo più triste.
Merlin si affrettò a farsi da parte.
Probabilmente distendersi in modo da dare le spalle a Will era davvero infantile, ma non c’era cosa che desiderasse di più al momento che evitare di guardarlo.
Con un movimento leggermente troppo forte Will gli afferrò una spalla e per un momento Merlin credette che lo avrebbe costretto a girarsi. Invece la mano scese, scivolando con una carezza ruvida lungo il braccio e fermandosi sull’incavo del fianco.
Non pesava quanto avrebbe dovuto.
“Pensi che io sia stupido?” Chiese. La voce gli soffiò sul collo, e Merlin avrebbe anche voluto girarsi, ma non aveva niente da dire e un’ondata di panico, dolore e rimpianto gli era salita dentro. “Non ci voleva molto a capire. Non per me.”
“Lo so.” Sussurrò di rimando Merlin, mentendo. Aveva davvero sperato che nessuno capisse niente.
“Si è sposato.”
“Lo so.”
Will rimase in silenzio per qualche istante, e Merlin poté concentrarsi sul suo respiro, che incredibilmente era più calmo di quanto lui si sentisse. Il silenzio scomodo durò troppo, ma lo rimpianse lo stesso quando Will aprì di nuovo la bocca.
“Ma avete…” La frase rimase sospesa, mentre il resto si incideva a lettere di fuoco davanti a Merlin. “Voglio dire. Uhm. E’ un’… idea tua o…?”
“O.” Mormorò Merlin. Per un attimo pensò davvero che dopo l’ammissione si sarebbe spalancata la terra per inghiottirlo. Invece, Will si mise a ridere.
Dapprima con ritegno, con sbuffi che cercò di mimetizzare con un attacco di tosse, poi con qualche sghignazzo aperto, e infine scoppiò in una risata fragorosa e totale che rimbalzò sulle assi e spettinò i capelli sulla nuca di Merlin, ancora girato e ora pietrificato dalla sorpresa.
“Cosa…” Provò a chiedere, spaesato, ma Will era troppo preso per ascoltarlo.
Finalmente si girò, e trovò l’altro con le lacrime agli occhi dalle risate che si teneva la pancia, ancora nudo.
“Cosa?” Chiese di nuovo, con più forza.
“Oh, puoi contare su Merlin Emrys!” Riuscì a articolare Will “Mandalo a Camelot per qualche anno, e si porterà a letto il Re!”
Attonito, Merlin continuò a guardarlo contorcersi. “Smettila.” Provò.
“Ma sei un fenomeno! Di tutti i ragazzi presenti a Camelot - che dico! - nel regno!”
“Non l’ho fatto apposta.”
Will allungò una mano a scompigliargli i capelli. Le risate si calmarono. “Lo so. Certo che non lo hai fatto apposta. Tu sei così. Ti distrai un attimo, e ti ritrovi nel letto del Re.” Il tono era quello di sempre, ruvidamente affettuoso, e Merlin non poté fare a meno di farsi stringere quando l’altro aprì le braccia.
“Che razza di bastardo.”
Merlin si trovò vendicativamente d’accordo, ma la bile gli risalì in gola.

Qualche parte di Merlin aveva sempre saputo che Arthur non lo avrebbe lasciato andare.
Non così. Non scappando senza spiegazioni.
Provava a non pensarci, perché era già troppo occupato ad accontentarsi e perché pensarci voleva dire sperare, e questo davvero non poteva permetterselo.
Ma quando si ritrovò faccia a faccia con il cavallo di Arthur, scoprì di non esserne sorpreso. Devastato, certo, e distrutto, e addolorato, ma non sorpreso.

Era una sera di Aprile, non pioveva da qualche giorno e anche se l’aria si era rinfrescata nelle ultime ore, la strada e i suoi ciottoli erano invasi dalla polvere. Merlin teneva la testa bassa, costretto a guardare per bene dove metteva i piedi per colpa dei secchi d’acqua che doveva portare a casa. Will era corso più avanti, scomparendo dietro l’angolo.
Quel cavallo sta alzando molta polvere, fu la prima cosa che Merlin pensò. Speriamo che non entri nei secchi.
La seconda fu ‘Arthur’, perché Merlin aspettava un cavallo dal primo giorno che aveva trascorso a Ealdor.
“Merlin.” Disse qualcuno da sopra la sua testa.
“Arthur.” Rispose Merlin, senza alzare lo sguardo dal manto scuro del cavallo, sentendosi infinitamente sconfitto. Poi lo sentì saltare agilmente giù e farsi più vicino, il suo odore e la sua presenza e il suo corpo tutto intorno a Merlin. Le ombre delle case accarezzarono quella di Arthur e si confusero nei suoi occhi stanchi.
“Vieni a casa.” Mormorò Merlin, piano, nonostante avrebbe voluto dire o fare tutt’altro. Ma non era concesso che andasse come voleva, questo l’aveva capito da molto, così prese per la briglia il cavallo e lo condusse a casa sua, senza che nessuno dei due aggiungesse altro.

Guardò davvero Arthur appena ebbero oltrepassato la soglia della casa di sua madre. Com’era stato già per quella prima volta che era venuto a Ealdor, il Re era completamente fuori posto tra quelle mura scure e umide. Merlin sentì il disagio entrargli dentro come un rivolo gelato e scivolargli dalla schiena alle gambe rendendole molli. Come già sapeva avrebbe fatto, l’odio si era sciolto alla sola vista di Arthur, lasciandolo solo disperato e stanco.
Forse si aspettava un cambiamento nell’altro che non trovò. Ogni tratto di Arthur che riconosceva lo costringeva a distogliere lo sguardo, e poi a guardarlo nuovamente, e poi a riconoscere un altro frammento di lui, un altro pezzo, che… era stato suo. Tutto qui. Era stato suo, prima.
“Tua madre?” Chiese Arthur, in un evidente sforzo di essere gentile.
“E’ dalla madre di Will.”
“Mi dispiace. Avrei voluto salutarla.”
Si guardarono in silenzio, e qualcosa cambiò nell’espressione di Arthur. Era stata neutra e sicura, quasi indifferente, ma la rigidità si disgregò sotto gli occhi di Merlin. Si sciolsero la mascella e i muscoli della spalle, e anche Arthur fu lasciato stanco e spaesato. Merlin sentì una fitta di dolore e rabbia per quello che avrebbe potuto essere.
“Sei scappato.” Disse Arthur, senza rinunciare a guardarlo.
Merlin fece qualche passo indietro e si appoggiò con la schiena al vecchio tavolo di rovere. Arthur dominava la stanza, ovviamente, e a lui sembrava di soffocare. Annuì.
“Merlin…”
Il suo nome sulla bocca di Arthur era stato il sottofondo di ogni suo momento, da quando era scappato da Camelot. Ma era stato cancellato da altre voci, da altre labbra. Merlin non si mosse, fu Arthur a fare un passo verso di lui.
“Merlin?” Chiamò Will dalla porta. “Sono solo. Vedi di essere nudo.”

Il mondo di Merlin si fermò in contemplazione del viso di Arthur, che mai come adesso era stato aperto e decifrabile. Osservò da spettatore la sorpresa, l’incomprensione, la rabbia e il dolore. Il dolore più di ogni altra cosa. Vide chiudersi ogni porta che l’altro aveva spalancato per lui, e poi sentì la voce spietata di Will dire “Scusate.”, e i suoi passi tornare verso la porta e poi fuori, lasciando l’aria irrespirabile.

Arthur gli fu addosso, gli afferrò le braccia, lo spinse contro il tavolo. Sembrò senza parole per qualche istante, poi strinse i denti e chiese, preciso, “Perché?” .
Merlin non aveva risposte da dargli, nessuna che per Arthur fosse accettabile. Non voleva lasciarsi andare a inutili recriminazioni, credeva ancora di essere migliore di così. Scosse la testa.
“Mi devi più di una spiegazione.” Disse Arthur, trattenuto e furioso, respirandogli pesantemente addosso.
“Non ti devo niente.” Rispose piano Merlin, ma si odiava perché non era vero, non era vero per nessuna parte di lui, e lottare contro sia la rabbia che il rimorso lo stava spezzando in due. Le braccia di Arthur lo immobilizzarono con più forza.
“Bugiardo.” Sibilò Arthur, senza staccare gli occhi dai suoi, ferocemente.
“Mi stai facendo male.”
Arthur si tirò immediatamente indietro, come scottato. Lo lasciò andare e fece un passo verso la porta. In un attimo aveva recuperato la sua maschera che credeva imperscrutabile, ma che lasciava trapelare fin troppa rabbia e dolore. Merlin rabbrividì, stanco.
“Non so cosa mi aspettassi.” Disse Arthur.
“Non lo so nemmeno io.”
“Era ovvio.” Continuò Arthur, nonostante fosse chiaro non avesse più niente da dire. “Avrei dovuto saperlo appena sei scappato.”
Ma non era vero, per nessuno dei due. Merlin aveva visto come l’altro lo aveva guardato prima di andare a sposarsi. Arthur doveva aver capito qualcosa. Non che importasse, ovviamente.
“Non so nemmeno perché sono venuto.”
Merlin ingoiò il ‘nemmeno io’ che aveva sulle labbra. Invece si strinse nelle spalle.
Non aveva nessun senso che fosse venuto, non aveva senso che continuasse a parlargli. Non avevano senso, loro due, una volta c’era stato ma era scomparso. Merlin non era ancora disposto a riconoscere che non fosse colpa di Arthur. Poteva capirlo, razionalmente, perché aveva assistito a ogni passo del matrimonio, ma il risentimento lo bruciava dentro da quando se n’era andato. Dovevano solo finirla di pensare a possibilità che erano state gettate via. Fu quasi sul punto di dirlo.
“Sei in tempo a tornare a Camelot.” Disse invece, privo di tono.
“E’ questo che vuoi?” Rispose immediatamente Arthur. Poi si bloccò e si irrigidì ancora di più, se possibile. Merlin sapeva che stava rimpiangendo di averglielo chiesto.
“Non voglio niente.”
“Bugiardo.” Ripeté Arthur, senza la ferocia di prima ma con molta più disillusione. “Qualcosa vuoi. Quel - quel contadino- ”
“Will.”
Arthur lo guardò, ed era chiaro che fosse ferito, ma Merlin non poteva offrirgli niente per migliorare la situazione. “Già. Bene.”
Sentendo di non poter resistere un secondo di più, Merlin si voltò verso il tavolo, dove aveva sistemato i secchi, e aggirandolo si dedicò a spostarli verso il fuoco spento. Ne rovesciò uno immediatamente. Quando si girò per seguire il rivolo d’acqua che si spargeva per tutta la casa, vide che Arthur se n’era andato.

mie storie, merlin

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