Ecco qui la storia commissionatami da
kathrein per
Help Haiti. Il prompt era 'tradimento' e la richiesta moltissimo angst. Per il momento non c'è né l'uno né l'altro, ma abbiate fede e arriveranno.
Titolo: Tradimento
Fandom: Merlin
Paring: Merlin/Arthur, Arthur/sorpresa (non poi tanta, lo ammetto)
Rating:R per questo capitolo
Disclaimer: Non mi appartiene Merlin, non mi appartiene Arthur, non mi appartiene tutto ciò che fa loro da contorno.
Riassunto: C'è sempre bisogno di una moglie.
Note: Questa storia è slash. Uomini con uomini, ebbene sì.
Merlin si era distratto un attimo, e Uther era morto nel suo letto, stroncato da una malattia che nessuno si aspettava tranne il Drago. Nemmeno il tempo di piangerlo (per quanto Merlin fosse stato ferito in prima persona dalle irrazionali paure di quell’uomo troppo solo, il rispetto c’era sempre stato) e aveva già trovato Arthur che cercava con difficoltà di sedersi su un trono che non era stato fatto per lui.
Merlin si ritrovò, senza senso apparente, a tirare un sospiro di sollievo.
Le promesse di un radioso avvenire si erano volatilizzate, l’avvenire era già arrivato e questo in qualche modo testimoniava che Merlin aveva svolto bene la prima parte del suo compito. Lo testimoniava la nuova postura di Arthur, che riusciva a non sembrare neppure troppo innaturale, la corona che cingeva perfettamente la sua testa bionda, la naturalezza che spingeva i cavalieri ad inchinarsi in sua presenza.
Merlin non se ne poté prendere il merito, ma l’aveva messo in conto da tempo e non fece quasi male.
Aveva superato lo scoglio duro: aveva garantito a Camelot un Re, il Re migliore che potesse desiderare, e si apprestava ora a godersi qualche anno di duro lavoro, ma chiaro e lineare. Niente a che fare con il nebuloso Destino che aveva dovuto cercare di interpretare in tempo e salvare fino a quel momento.
Per il resto, da quando Arthur era diventato Re non è che per Merlin fosse cambiato poi molto. Era ancora il suo servo, con suppergiù gli stessi obblighi che questo comportava: la sua migliore amica era ancora l’armatura, il suo compagno fedele lo straccio, due delle persone più presenti nella sua vita Aileen la lavandaia e Gorre il cuoco. Si svegliava ancora schifosamente presto e sopportava ancora gli stessi reali insulti.
E poi, certo, c’era il fatto che, con un enorme anti-climax, Arthur aveva scoperto che Merlin era in grado di lavare la sua armatura senza usare lo strofinaccio. O, meglio, che lo strofinaccio era in grado di lavarla da solo se Merlin muoveva appena le dita.
Non era successo niente. Si erano guardati per secondi o ore, poi Arthur gli aveva consigliato di andare a farsi una bella dormita, ché tanto era già tardi e l’armatura era già abbastanza pulita.
Non è che Camelot tollerasse improvvisamente la magia, ma la stretta ferrea si era allentata in poche settimane, alla stretta sorveglianza si era sostituita una formula che Gaius chiamava ‘Non chiedere, non dire’ e che i più speranzosi vedevano come l’avvicinarsi di un vero tempo di pace.
Così non c’erano più decapitazioni sulla pubblica piazza, le denuncie di magia erano accolte soltanto con un aggrottarsi delle reali sopracciglia, e Merlin era rimasto in vita. Arthur lo aveva svegliato il giorno dopo con una pentola di acqua gelida e gli aveva comunicato che, in quanto Re, aveva tutto il diritto di cancellare dalle loro menti qualunque cosa fosse successa la sera prima.
Insomma, lentamente le cose cambiavano, ma per Merlin all’atto pratico rimaneva un po’ tutto identico.
Il vero cambiamento era avvenuto esattamente a quattro mesi, sette giorni e nove ore dall’incoronazione di Arthur, e si era presentato sotto forma di una mano che lentamente strisciava sulla gamba di Merlin. Verso l’alto. La mano di Arthur. La mano di un Arthur ubriaco, ma non poi così ubriaco, che lo guardava fisso cercando di non sembrare teso nonostante non riuscisse neppure a permettersi di battere le palpebre. Merlin si era alzato dalla sedia come se l’avesse punto un’ape ed era volato via dalla camera.
Due giorni dopo aveva aspettato che Arthur fosse solo nelle sue stanze, lo aveva raggiunto, aveva evitato di guardarlo mentre le parole gli si attorcigliavano in gola, aveva cercato di resistere dallo scusarsi (o dal pregarlo) e, quando l’altro si era alzato, si era buttato in avanti.
Le loro bocche si erano toccate più per accidente che per altro.
Poi avevano fatto l’amore. Nonostante quello che credeva Arthur, per Merlin non era la prima volta. Proprio per niente. Ma lo era sembrata.
Si erano spinti l’uno contro l’altro con forza, non erano riusciti, avevano smesso, si erano fermati a guardarsi finché Merlin non aveva più resistito e aveva ricominciato a baciare come se dipendesse dalla sua stessa vita ogni centimetro di Arthur cui riusciva ad arrivare, avevano ricominciato, Merlin aveva ingoiato qualche lamento e Arthur qualche supplica, ed era stata la cosa più meravigliosa che fosse mai successa.
Poi Merlin era fuggito di nuovo come se avesse avuto un intero sciame alle calcagna.
Il corpo di Arthur gli era piaciuto.
Appena il pensiero si era formato nella sua mente, aveva sentito l’impulso irresistibile di far uscire una risata isterica. Aveva abbracciato nel buio qualche altro corpo maschile (più di uno, meno di quattro) ma in Arthur aveva trovato qualcosa che lo spingeva a chiudere gli occhi nei momenti più impensati per rivivere l'istante esatto in cui gli aveva piantato i denti nella curva forte del collo, o il peso del corpo abbandonato sul suo quando era tutto finito.
Forse era stato così anche per gli altri che avevano preceduto il principe. Forse era stato sveglio di notte anche per loro, razionalmente pensava fosse probabile. Ma se era successo non lo ricordava più, e in fondo nemmeno ci credeva davvero.
Ogni parte del corpo di Arthur gli era piaciuta. Il problema era che fosse, appunto, il corpo di Arthur.
Il corpo di Arthur si era avvicinato a lui altre due volte in sfioramenti troppo definiti per essere casuali, prima che Merlin abbandonasse ogni pretesa di serietà e cercasse di baciarlo invece che porgergli il pranzo.
“Cosa fai?” Chiese Arthur, fingendo di essere sorpreso in un modo così ridicolo che Merlin sentì l’impulso di baciarlo comunque.
“Niente.”
Arthur lo guardò, quasi calcolatore, poi annuì. Erano troppo vicini perché potesse davvero crederci. “Bene.”
“Già. Dovrei …”
“Dovresti.”
Fu Arthur a baciarlo per primo. Merlin represse un sorrisetto terrorizzato e aprì immediatamente la bocca.
“Lo sai,” Aveva detto Arthur con la sua aria pensierosa che, Merlin sapeva bene, indicava che stava per dire qualcosa che ci si aspettava da lui, ma a cui lui avrebbe tranquillamente evitato di pensare “forse dovremmo parlarne.”
“No.” Disse immediatamente Merlin.
Arthur sollevò il sopracciglio destro. “Io penso che dovremmo.”
“No. Vostra Altezza.” Aggiunse Merlin in un tentativo disperato “Sire. Maestà.”
“L’adulazione non ti porterà da nessuna parte.”
No, pensò Merlin, in effetti non c’erano precedenti da cui essere rassicurati. Si spinse avanti e cominciò a baciarlo come se il destino del mondo dipendesse dai mugolii che riusciva a strappar fuori ad Arthur.
E se fosse stato così? Avrebbe dovuto chiedere al Drago. Quello comunque funzionò.
C’erano stati segni premonitori di quello che stava per succedere, tra loro due. Non si erano svegliati una mattina scoprendo che avevano voglia di saltarsi addosso.
C’era stata, in tutta la situazione, una qualche sensazione di ineluttabilità che aveva spinto Merlin a pensare che quello fosse esattamente ciò che il drago intendeva per ‘due facce della stessa medaglia’.
Merlin ammirava Arthur per cose che dagli altri venivano o disprezzate o ignorate. Gli piaceva guardarlo perdere, ad esempio, perché Arthur (questo era un enorme segreto) certe volte riusciva anche a perdere con grazia. Gli piaceva parlare con lui quando si sentivano entrambi troppo irritati con il mondo per essere gentili. Apprezzava l’asprezza con cui si giudicava e si trovava mancante, l’umorismo tagliente che aveva con le persone a cui teneva, la convinzione infantile che non riusciva ad abbandonare di poter risolvere tutto con una spada e un dispiego inutile di coraggio.
E poi c’era l’Arthur luminoso, regale, che sedeva sul trono di Camelot e apparteneva a tutto il suo popolo, e che in segreto costringeva quasi Merlin a inchinarsi davvero.
Di notte, in quelle notti senza senso che avevano seguito il loro primo bacio, Merlin aveva pensato che Arthur era una persona di cui era facile innamorarsi per ciò che mostrava al mondo, per la sua potenza, la sua bellezza, la nobiltà che irradiava. Era tipico di Merlin essere andato controcorrente, ed essersi completamente infatuato dell’Arthur segreto.
Ogni volta, appena finito, quando ancora il loro ansimare riempiva la stanza, Merlin si metteva seduto per ritrovare i vestiti scalciati via. Qualche volta aveva provato a fare attenzione a dove li lasciava mentre li toglieva, ma la cosa non era andata a buon fine, perché Arthur era sempre stato troppo occupato a toccare o leccare per permettergli di pensare. Così era costretto a scrutare rapidamente nel buio, per poi afferrarli e infilarseli in tutta fretta.
Lui non voleva davvero andare via, era chiaro. Il letto di Arthur era molto comodo, e così il suo petto. Il respiro di Arthur addormentato era pacifico, e la sera era il momento in cui generalmente era più gentile, quindi Merlin sarebbe rimasto volentieri. Ma niente gli diceva che fosse permesso, e certe volte con Arthur Merlin si sentiva semplicemente troppo esposto per poter sopportare un fraintendimento.
Una volta, però, Arthur aveva calciato via la casacca di Merlin proprio mentre stava per recuperarla.
“Arthur.” Aveva detto Merlin, cercando di far capire che non era per niente divertente. “Ora sarà sporca.”
“Avresti dovuto pulire meglio il pavimento.”
“Sì, già, provvederò.” Gattonò verso il limite del letto, troppo stanco e soddisfatto per mettersi a discutere.
Arthur gli afferrò un polso con troppa forza.
“Ehi!”
“Scusa.” Con uno sguardo contrito, l’altro lasciò la presa. “Ho stretto troppo.”
“Mi hai lasciato i segni!”
“Ho chiesto scusa. Non volevo.”
Si guardarono, Merlin con le sopracciglia aggrottate che cercava di capire e Arthur con l’aria di uno messo alle strette. Merlin aggrottò ancora di più la fronte.
“Che succede?” Chiese alla fine.
Arthur si strinse nelle spalle, tornando a sdraiarsi completamente sui suoi cuscini bianchi. Con un movimento elegante cercò di coprirsi con il lenzuolo. Sfortunatamente, sopra il lenzuolo c’era Merlin, e non aveva nessuna intenzione di spostarsi.
Arthur sogghignò. “Qualcuno si vuole godere la vista.”
“Così sembra.” Rispose Merlin senza scomporsi.
“Ho un corpo perfetto.” Incalzò Arthur con il suo sorriso più feroce. “Il più bello di tutta la corte. Dovrei indire un concorso.”
“Sarebbe molto regale da parte tua esporti nudo al pubblico.”
“Mi ricorda qualcosa - una vecchia storia. A te comunque piacerebbe.”
Merlin non cercò di negare, fece solo un mezzo sospiro e poggiò i piedi sul pavimento.
“Vieni qui.” Sussurrò Arthur senza senso. Gli riprese il polso e, facendo più forza di prima, lo ritirò indietro. Lo fece distendere accanto a lui e gli baciò una spalla. “Anche a me piace il tuo corpo.”
Merlin rimase immobile, si limitò ad aprire appena la bocca quando l’altro lo baciò.
Arthur lasciò passare ancora qualche momento, e poi mormorò “E’ un anno che mio padre è morto.”
Merlin gli si strinse contro tutta la notte, cercando di fargli dimenticare come, dopo la morte di suo padre e la fuga di Morgana, fosse rimasto completamente solo.
Sebbene il Re di Camelot fosse Arthur, tutto ciò che gli orbitava attorno era rimasto intatto dalla morte di Uther. I consiglieri erano sempre gli stessi, forse erano cambiate le alleanze, ma l’intera composizione della corte non era mutata. Persino gli oggetti non erano stati sostituiti.
“Perché non ti fai costruire un trono più alto? Sei diventato più alto di tuo padre, non ha più lo stesso effetto.” Propose Merlin in una delle loro serate, subito dopo aver mangiato la torre di Arthur.
Arthur scosse appena la testa, concentrato sul gioco. “Quello che c’è va benissimo.”
“Ma potresti fartelo fare su misura. Non è nemmeno antico, l’hanno regalato a tuo padre appena qualche anno fa.”
“No.”
“Potresti chiedere a John, ha fatto cose meravigliose per il tavolo di Geoffrey. O potresti fartelo regalare.”
Finalmente Arthur si degnò di alzare lo sguardo. “Non ho idea di chi sia questo John.”
“E’ il - ”Cominciò Merlin, ma l’altro lo bloccò immediatamente, pensieroso.
“E nemmeno mi interessa saperlo. Allora pensi anche tu che io sia ancora troppo attaccato all’immagine di mio padre.”
Le parole in bocca ad Arthur stonavano, come se le avesse sentite già da altri. Merlin si affrettò a scuotere la testa. “Parlavo solo del trono.”
Arthur annuì, secco, e tornarono al loro gioco.
In realtà, e Merlin pensava dovesse essere chiaro a chiunque avesse gli occhi, il regno di Arthur non era ciò che era stato il regno di Uther, eppure molti faticavano ancora a scindere l’immagine del figlio da quella del padre. Non Merlin, questo era scontato, anche solo perché il figlio se lo portava a letto.
“Lo sai… Credo che sia vero. Avrei bisogno di un segno che faccia capire che tutto è davvero cambiato.” Disse Arthur pettinando distrattamente i capelli di Merlin “Spostati un po’ - più a destra - ahia! Non lì - ecco. Fermo. Hai i gomiti più aguzzi del mondo.”
“Hai chiesto a Kay?”
“Hm. Vede anche lui il problema.”
“E’ un uomo intelligente.”
“Già. Non vedo come mio padre potesse dargli così poco credito - comunque. In questo caso l’inutilità dei suoi consigli è stata quasi patetica.”
Merlin avvertì l’irritazione crescere in Arthur a ogni parola, così si girò appena appoggiandosi su un fianco e prese ad accarezzargli il petto con calmi movimenti circolari.
“Ad esempio?”
“Una tavola. Una tavola rotonda. Per far sentire tutti i cavalieri alla pari.”
“Non sembra male.” Commentò Merlin a mezza voce, mentendo. Sentiva che le palpebre gli si stavano chiudendo dal sonno, e doveva ancora pulire i piatti della cena. Si riscosse e si appoggiò su un gomito per sollevarsi. Gli occhi di Arthur brillavano di incredulità.
“Una tavola rotonda.”
In un attimo, scoppiarono entrambi a ridere, nudi e sporchi com’erano.
Merlin ignorò il problema forse troppo a lungo, dandogli poco credito perso com’era nel suo nuovo mondo composto dal corpo di Arthur, dall’assenza di Arthur quando era occupato altrove, da ciò che Arthur gli diceva e gli faceva. Fu Gwen ad aprirgli come al solito gli occhi.
“Arthur sembra preoccupato.” Commentò senza smettere di lavare i lenzuoli del palazzo.
Le cose per lei erano peggiorate da quando Morgana se n’era andata. Era stata tenuta a corte, ovviamente, e Arthur si fermava volentieri a parlare con lei, probabilmente più spesso di quanto facesse in precedenza, ma com’era tipico suo non si era minimamente accorto dei suoi vestiti un po’ più lisi o delle sue mani più screpolate. A Merlin era stato assolutamente proibito di dirgli qualunque cosa con un’intensità che raramente aveva visto in Gwen, così era rimasto in silenzio.
La verità era che Gwen era stata declassata, da damigella personale della figliastra del re a semplice cameriera, e senza suo padre a darle una mano le sue finanze non erano delle più rosee.
Merlin provava ad aiutarla, ma era come cercare di svuotare il mare con le mani.
“Preoccupato?” Sorrise tra sé e sé, pensando che la preoccupazione che aveva visto Gwen non era altro che spossatezza.
“Per la faccenda di Uther.”
Il sorriso si spense subito. “Quale faccenda di Uther?”
Gwen gli lanciò uno sguardo indagatore “Credevo te ne avesse parlato. Ha paura - con piena ragione, secondo me - che la gente abbia ancora difficoltà a pensare a lui come il nuovo re, invece che come il figlio di Uther. C’è il fantasma di suo padre sul trono di Camelot, si sente ancora.”
“Oh, quello. Mi aveva accennato qualcosa qualche giorno fa. Tu lo vedi preoccupato?”
Gwen annuì, dando uno strattone particolarmente forte al lenzuolo. “E sono d’accordo con lui, te l’ho detto. Ci vorrebbe qualcosa che stacchi con il passato, un segno chiaro che l’epoca di Uther è finalmente finita.”
Merlin annuì. Rimasero qualche minuto in silenzio, riflettendo, e poi si misero a parlare d’altro.
Come servo personale del Re, Merlin era obbligato ad assistere a più o meno tutti i banchetti, e alla metà dei consigli reali. Anche quando si trascinavano avanti per ore con il solo risultato di sfiancare o irritare tutti i presenti, e di rendere Arthur troppo stanco per il letto, dopo.
Non che Merlin pensasse davvero che il ruolo di Arthur fosse meno importante della sua felicità personale.
“… ma se voi prendeste in considerazione - ”
“Ho già preso in considerazione tutto il necessario! Tutto ciò che avete detto nell’ultimo mese!”
Il consiglio di quella mattina non era partito con il piede giusto, e Arthur aveva già cominciato a girare attorno alla tavola rotonda come un leone in gabbia, ringhiando contro i suoi consiglieri. Merlin era stato costretto a rimanere nell’angolo destro, con una brocca piena di vino in mano.
Arthur batté un pugno sul legno, facendo sobbalzare tutti i presenti. “Ho fatto esattamente ciò che avete suggerito, a partire da questa stramaledetta tavola rotonda!”
“Non basta.” Commentò senza scomporsi Kay, che , lungi dall’essere il più anziano dei consiglieri, era sicuramente il più pragmatico.
“Ma ho cambiato delle usanze! Ho abolito leggi, ne ho fatte di nuove, ho stretto patti e cambiato alleanze! Sto ottenendo la pace, non è abbastanza?”
Kay scosse rigidamente la testa “Il problema non è se sia o no abbastanza, Maestà, ma se riescano a vedere in voi il vero fautore di tutto questo, o solo la marionetta in mani più esperte.”
“Marionetta…” Ripeté furioso Arthur, e Merlin pensò che se lui fosse stato Kay si sarebbe alzato immediatamente dalla sedia, pronto alla fuga.
“Voi siete giovane. E se anche non è una colpa, il popolo fatica per questo ad aver fiducia in voi. A questo si aggiunge il legame che conservate tutt’ora con la memoria di vostro padre, di cui non vogliamo né oseremmo mai privarvi.” Si affrettò ad aggiungere, fissando la mano di Arthur che si chiudeva spasmodica sull’elsa della spada.
“E cosa dovrei fare, allora?” Chiese roco Arthur.
Kay si guardò intorno. Parecchi consiglieri annuirono di rimando, come spingendolo a riferire ciò che avevano già concordato. Merlin si spinse avanti per sentire meglio. Si fidava di Kay, e aveva fiducia che sarebbe riuscito prima o poi a trovare una soluzione.
“Crediamo che il segno più… immediato della vostra maturità sia sposarvi, Maestà. Avete bisogno di una moglie, preferibilmente una che vostro padre non abbia scelto per voi.”
A Merlin cadde la brocca dalle mani.