We dream in prison like fools (4)

Nov 24, 2009 14:47

Quarta parte.

Per prima cosa, da dietro la collina comparve Morgana, sola.
Merlin riuscì a sentire distintamente il respiro trattenuto di tutti gli uomini che avevano accanto, insieme ad un odio totale e ferito contro la traditrice che li aveva venduti tutti.
Morgana cavalcava senza elmo, i capelli al vento che le sferzavano la schiena, una spada che mandava strani bagliori argentei nella sua destra. Il sole la illuminava da davanti, facendole splendere la sottile cotta di maglia decorata che le ricopriva il petto. Gli uomini sussultarono, e Merlin con loro: Morgana portava dipinta sul petto la corona di Camelot e i due draghi intrecciati dei Pendragon.
I soldati si guardarono l’un l’altro, incerti.
“Fermi ai vostri posti!” Urlò Arthur ai suoi uomini, mentre arrivava l’eco degli ordini del Re “Aspettate il segnale! Che nessuno si muova!”
Morgana continuò a cavalcare fino a metà del pendio, poi senza motivo apparente si fermò.
Il silenzio si spanse come fumo, e Merlin stesso si scoprì a trattenere il respiro, in attesa che la ragazza si muovesse.
Ma lei rimase immobile. Arrivò, invece, la sua voce, amplificata di cento volte e incantata in modo che entrasse come un sussurro nell’orecchio di tutti i presenti.
“Arrendetevi.” Disse, morbida e dolce come miele “Non vi succederà niente. Noi non vogliamo farvi del male, vogliamo aiutarvi. Lasciateci entrare. Venite con noi, e Camelot vivrà una prosperità mai vista. Non sarà distrutta, non succederà niente alle vostre case, né ai vostri cari.”
Merlin guardò Arthur, allarmato e indeciso su cosa fare, se intervenire, e riuscì a catturare il suo sguardo dalla fessura dell’elmo. Arthur gli fece cenno di non muoversi.
“O altrimenti,” Continuò a mormorare la voce di Morgana “Soffrirete. Soffrirete molto. Non potete niente contro di noi, non ve l’hanno spiegato? Possiamo bruciarvi tutti come legno secco o annegarvi come gattini in un sacco. Possiamo passare sopra i vostri cadaveri,” Merlin sapeva che né Arthur né tantomeno Uther sarebbero riusciti a non reagire ancora per molto, ma sapeva anche che ordinando un attacco avrebbero fatto esattamente il gioco di Morgana “o avvelenare il sangue delle vostre vene. Consegnateci Uther Pendragon e Camelot.”
Merlin vide le mani di Arthur serrarsi sulla spada e sulle briglie e si decise ad intervenire. Chiuse gli occhi e sussurrò qualche parola al vento, ma prima che riuscisse a finire la voce di Morgana parlò ancora, e questa volta gli fece scendere un brivido lungo la schiena.
“Merlin, so che sei qui.” Disse. “Non hai alcuna speranza di vincere, spero tu lo sappia. Lo ucciderà davanti ai tuoi occhi, vedi,” La voce sembrava sinceramente dispiaciuta. Merlin non riuscì a non guardare gli occhi spalancati e sorpresi di Arthur, fissi su di lui, sentendo crescere dentro la furia e la paura. “Lo farà a pezzi ai tuoi piedi. L’avremmo risparmiato, te l’abbiamo detto, ma tu non hai voluto ascoltarci e l’hai condannato a morte. Quando suo padre cadrà, la sua morte sarà il regalo di Mordred per te.”
L’orrore si fece strada in Merlin e gli serrò la gola, mentre il sangue accelerava la sua corsa e gli accecava la vista. Vide gli occhi di Arthur, fermi su di lui, scurirsi come dovevano aver fatto i suoi, e lo amò, lo amò più di quanto potesse sopportare.
Non ti perderò. Gli promise in silenzio. Lascia solo fare a me.
“Uhyer wende ovall moranye” Sussurrò, e alzò le braccia a richiamare la sua magia: la spinse a uscire dal suo corpo, dal suo petto, la sentì accumularsi sulle sue dita e pesare sulle sue mani finché non fu pronta, finché non ne fu pieno, e allora lasciò che uscisse tutta insieme.
Rapido come il vento, un rivolo d’acqua scivolò giù dal suo indice e guizzò nell’erba secca, scorrendo avanti tra le gambe dei soldati ignari come una serpe di lago, veloce e silenzioso, si arrampicò sulla collina e lì cominciò a ingrandirsi, a spandersi.
Quando vide il cavallo di Morgana cercare di scalciare e nitrire, Merlin sorrise.
Morgana non riuscì a capire subito cosa succedeva al cavallo, perché continuò a parlare di morte e distruzione per ancora qualche istante. Poi però il cavallo sgroppò, e Merlin la vide abbassare la testa, come interdetta, per scoprire che il suo cavallo aveva le zampe affondate nel fango. La voce rimase in silenzio mentre la ragazza agitava le braccia e scuoteva la testa, impegnata a cercare di tirarsi fuori dal pantano.
Non era stato che un trucco, ma Arthur lo guardò con una scintilla nello sguardo, e Merlin fece il suo unico sorriso vero sul campo di battaglia.
Improvvisamente, il cavallo di Morgana fece uno scatto avanti e riuscì a poggiare di nuovo gli zoccoli sulla terraferma.
Qualcuno aveva distrutto l’incantesimo di Merlin.
Anche se non fu una sorpresa per Merlin, veder comparire da dietro la collina un bambino a cavallo fu comunque un duro colpo per gran parte dei soldati di Camelot.

Mordred era una figura troppo nitida per esser così lontano, quindi Merlin intuì subito che l’aria attorno a lui era satura di magia. Il vento si teneva a distanza da lui come se si aprisse al suo passaggio, faceva oscillare le cime degli alberi più vicini in direzioni diverse, proprio come se da lui fosse generato.
Teneva le spalle dritte e cavalcava rigidamente un enorme cavallo bianco che a Merlin ricordò l’unicorno che Arthur aveva ucciso, riuscendo a sembrare così piccolo e così pericoloso. Dietro di lui apparve l’esercito dei druidi.
Il nome esercito non era davvero appropriato, visto che non esistevano posizioni definite e che non si sarebbero potute trovare due armi uguali. Era una folla disposta su poche fila, ma che copriva l’intera estensione della collina, e qua e là si distingueva qualche bandito, qualche contadino, e tutta la popolazione dei boschi che Uther non era mai riuscito a trascinare dalla sua parte.
“Pronti al segnale!” Urlò Arthur rompendo il perfetto silenzio che aveva fatto da sfondo all’arrivo dei nemici.
L’urlo echeggiò tra le truppe di Camelot, ripetuto dieci volte. Merlin riusciva a sentire la paura degli uomini accanto a lui, il terrore puro per la magia che Uther aveva contribuito a creare. Più di un soldato chiuse gli occhi, come cercando di ricordare perché fosse lì, o forse dando già il suo addio a cose che comunque non avrebbe più potuto rivedere.
L’esercito sulla collina scalpitò, fermandosi esattamente dietro Morgana e il bambino.
“Fermi ai vostri posti!” Urlò Uther in lontananza.
“Nessuno si muova!” Ripeté Arthur ai suoi uomini.
“Emrys…” Chiamò il bambino dentro la testa di Merlin. Merlin sapeva che questo momento sarebbe arrivato.
“Mordred.” Disse nella sua testa, risoluto. Era la prima volta che chiamava il bambino con il suo nome, e la prima che lo riconosceva per quello che realmente era: un’alternativa che l’Antica Religione opponeva ad Arthur Pendragon, niente a che fare con il bambino spaventato e solo che Merlin ricordava.
“Li stai lasciando morire.”
“Sto cercando di proteggerli.”
Il bambino rise (una risata così piacevole! Tintinnante e fresca come acqua di fonte). “Non avrai davvero intenzione di cercare di salvarli tutti? Perché non puoi farcela, lo sai anche tu. Appena voltata la testa ti troverai il corpo del tuo amato Pendragon sul bastione più alto.”
Merlin non rispose. La paura attorno a lui era quasi palpabile, adesso che l’attesa si prolungava. Arthur fissava il nemico e accarezzava piano il collo del suo cavallo.
“Non puoi neppure proteggerli tutti e due, lo sai? Non ci riusciresti mai. Non puoi farci niente, Emrys, Uther è già nostro.”
Per un istante l’unico rumore fu il vento, poi “Paura?” Sussurrò il bambino al suo orecchio.
“Adesso!” Urlò il Re, e i due eserciti si mossero come un sol uomo nel più sfrenato galoppo.

Merlin aveva seguito Arthur, solo Arthur, tenendo lo sguardo fisso sulle insegne che aveva sulla schiena, e si era ritrovato in mezzo alla battaglia. Il primo impulso che aveva avuto era stato di tapparsi le orecchie. Il rumore era assordante, doloroso, ferro su ferro e ferro su carne e urla e grida e la polvere ovunque, che gli entrava in bocca e negli occhi; la terra tremava sotto di lui.
Aveva abbassato un istante gli occhi lacrimanti e un uomo era morto davanti a lui, la bocca aperta in un ultimo grido che Merlin si era sentito dentro.
Era tornato a guardare Arthur.
Combatteva senza la grazia che Merlin gli aveva visto sfoggiare ogni altra volta, persino a Ealdor, ma con una furia quasi animale, uccideva e falciava dall’alto della sua giumenta come se fossero gli uomini a terra i responsabili di tutto il suo dolore, e urtava come impazzito contro altri uomini ancora, e avanzava e spronava il cavallo oltre la marea di uomini in movimento. Merlin lo seguì nel varco che si stava creando, deviando frecce e spade il più possibile con gesti secchi della mano, cercando di tenere a bada il vomito che continuava a risalirgli in gola.
Alzò lo sguardo e si accorse che Arthur era diretto dritto contro Morgana.
Morgana era rimasta leggermente in disparte rispetto alla battaglia, ferma, e aveva già abbandonato la spada. Le mani protese in avanti e gli occhi splendenti per lo sforzo, stava saccheggiando l’esercito di Camelot deviando cavalli e persone alla ricerca di qualcosa. Uther.
Quando Merlin la vide abbassare di scatto le mani e sorridere, si voltò freneticamente anche lui alla ricerca del punto che stava fissando.
Uther era ancora indietro rispetto a lui e ad Arthur, e guidava la metà dei cavalieri contro i cavalli più massicci della gente dei boschi. Accanto a lui, Merlin scoprì, Tristano gli guardava le spalle, come aveva promesso di fare e come avrebbe fatto, Merlin era sicuro, fino alla morte o alla vittoria. Aveva perso l’elmo, e adesso anche a distanza si distingueva la smorfia risoluta che aveva sul viso, mentre la sua bocca continuava a mormorare parole spezzate come una preghiera (Merlin sapeva cosa stava sussurrando, a chi stava pensando, perché anche nella sua testa risuonavano solo le spade e ArthurArthurArhurArthurArthurArthurARTHUR).
Ma intanto Arthur era già avanzato, e Merlin dovette spronare il cavallo ad andare più veloce, ignorando cadaveri e polvere, per non perderlo. L’odore dolciastro del sangue era ovunque.
Un uomo gli cadde addosso, e lui lo spinse via con un calcio, lo lasciò a terra come fosse un sacco vuoto e, Dei, era la cosa più orrenda che avesse mai fatto, ma tutto quello a cui riusciva a pensare era il male che ora gli faceva il ginocchio dove la corazza dell’altro aveva battuto.
“Arthur!” Gridò, ma il nome si perse subito nel frastuono, e Arthur continuò dritto per la sua strada, spezzando e uccidendo tutto quello che incontrava, verso Morgana, gli occhi ciechi fissi sul viso di lei.
Il vento gli sferzò il viso ma Merlin non lo sentì. Morgana stava guardando lui.
La vide sorridere ancora e aprire la bocca rossa in un grido, ma se anche il grido aveva articolato parole, lui non le aveva capite. Accarezzata dal vento e dal sole, immobile mentre attorno a lei morivano, Morgana non era più lei.
Era Nimue, e Mordred, e il druido nella foresta, e il Drago; l’Antica Religione era dentro di lei, completamente. Morgana era sua come Merlin era di Arthur, ed era bella da vedere.
La magia era bella, il potere immenso di Morgana sul suo cavallo nero.
“Morgana!” Urlò Arthur più avanti, e questo Merlin lo sentì, lo sentì dentro, addosso, nel sangue, perché aveva dentro tutto il disprezzo e l’amore tradito che Morgana non si era mai meritato. “Morgana!”
Ma Morgana non aveva occhi che per Merlin, e continuava a sorridere mentre il mondo attorno a lei moriva combattendo, e Merlin capì il perché non appena riuscì ad allontanare gli occhi da lei. Giusto in tempo per accorgersi che Arthur si era allontanato troppo, e che il bambino era a pochi passi di distanza.
Si slanciò immediatamente avanti.
Troppo tardi, lo sapeva lui e lo sapeva Arthur, che fece in tempo solo ad accorgersi di Mordred e della sua mano destra tesa contro di lui e a rivolgere un ultimo sguardo dietro, verso Merlin, prima di venire sbalzato via da cavallo da una forza invisibile.
Arthur! Urlò ogni parte di Merlin.
Invece che cadere a terra, Arthur si fermò sospeso a mezz’aria, le braccia e le gambe abbandonate, come se fosse rimasto appeso per l’armatura al cielo, la testa riversa indietro. Il bambino rise.
L’elmo cadde, e il rumore in Merlin coprì ogni altra cosa.
“Arthur!”
Merlin pensò di essere stato lui a gridare, finché non vide il cavallo di Uther arrivare al galoppo contro di loro.
Arthur non riaprì gli occhi, rimase solo lì, appeso.
Senza pensare ad altro che non fosse Arthur, ritirandosi in quel posto scuro della sua mente dove la sua magia non aveva bisogno di parole e lui doveva agire e basta, Merlin richiamò a sé ogni forza risparmiata per quel momento, ogni speranza di vedere Arthur uscirne vivo, e la sua magia crebbe.
Crebbe e divenne immensa, e Merlin la fece vischiosa, densa, così densa che fece male permettere che uscisse fuori, fu come strapparsi lembi di pelle, ma Arthur, Arthur valeva tutto questo.
Lanciò indietro la testa e urlò, mentre le sue forze venivano spinte tutte all’esterno, per il dolore e la furia, e alzò le mani verso Arthur. La sua magia si lanciò in aria e trovò Arthur e subito si unì a lui, inglobandolo, adagiandolo gentilmente in un involucro dorato, facendogli splendere i capelli e l’armatura.
Si insediò nei fori che aveva lasciato l’incantesimo del bambino, curando e lenendo ogni dolore, e quando Merlin seppe che bastava, che Arthur sarebbe sopravvissuto, sentì la magia scivolare giù fino in terra come miele da un vaso, la sentì spandersi sul campo di battaglia raggiungendo ogni nemico di Merlin. Bloccandolo. Come se fosse fatta del suo sangue la sentì dilaniarlo nell’allontanarsi, nello spingersi fino ad ogni uomo che era contro di lui, ricoprendolo e fermandolo.
Quando Merlin aprì gli occhi, si accorse dell’immobilità. I cavalieri e la gente di Camelot si guardavano intorno, stupefatti, in una battaglia in cui loro solo combattevano. Gli altri erano tutti caduti a terra, svenuti o privi di vita. Merlin sorrise. Poi cadde da cavallo, stremato.
Riuscì a non farsi troppo male (la sua magia ricopriva ancora il terreno), e gli occhi gli si annebbiarono solo per un istante.
“Arthur!” Era Uther che urlava, ancora, non sapeva che Arthur stava bene, che ci aveva pensato Merlin, che Merlin ci avrebbe pensato per sempre. “Cosa gli hai fatto!”
“Cosa gli ho fatto?” Era la voce del bambino. Merlin cercò di rimettersi in ginocchio. Il suo corpo era d’impiccio, non collaborava, ogni muscolo urlava quando lo costringeva a muoversi. “Non voglio ucciderlo. Non mi interessa se vive o se muore, purché se ne vada da una terra che non è la sua.”
Con un immenso sforzo, puntellandosi al fianco del suo cavallo, Merlin riuscì a rimettersi in piedi.
Anche Uther era sceso da cavallo, e ora teneva il corpo ancora esanime di Arthur tra le braccia, stringendoselo al petto. Il bambino lo sovrastava, qualcosa di isterico nello sguardo e nella voce.
“Tu, invece,” Continuò “Tu devi morire. Devi pagare per quello che hai fatto.”
Merlin cercò dentro di sé ogni altra stilla di magia, gli occhi fissi sul bambino. Erano parole vuote, lo sentiva, perché Mordred in fin dei conti aveva perso e lo sapeva, e aveva gli occhi disperati e furiosi. Ma se l’altro si fosse mosso, se avesse sussurrato una formula, Merlin se ne sarebbe accorto e sarebbe intervenuto.
Era così concentrato sul bambino, che non si accorse di Morgana finché non fu troppo tardi. La magia di Merlin con lei non era servita, non era riuscita a intrappolarla.
“Anan cheyfe deathleys”
Merlin sbatté gli occhi, accecato dal lampo verde che aveva squarciato l’aria, e quando li riaprì Uther era ancora in piedi.
Sulla terra scura, riverso, tra Morgana e il suo Re, Tristano non respirava più.

Morgana fu bloccata immediatamente dai cavalieri di Camelot e condotta in ginocchio davanti ad Uther.
Merlin si era lanciato verso il corpo di Tristano, si era gettato a terra e lo aveva stretto tra le braccia, lo aveva toccato e abbracciato e accarezzato come non aveva mai potuto fare quando li separava una parete di sbarre, ma non era servito a niente. Tristano non aveva avuto nessuna possibilità, Morgana aveva colpito per uccidere e, anche se la sua magia non era forte la metà di quella di Merlin, c’era riuscita.
Mordred era fuggito immediatamente, approfittando della distrazione generale, e ormai cavalcava già verso la foresta. Uther non aveva neppure ordinato che lo inseguissero, forse nemmeno si era accorto della sua fuga.
Merlin avrebbe potuto riprenderlo, probabilmente, ma non aveva più la forza di fare niente, e in fondo (come poteva ammetterlo? Erano morti in così tanti, dovevano essere morti per qualcosa, lui doveva pagare!) in fondo voleva solo che tutto finisse.
Morgana ora invece era lì, inginocchiata e vinta, negli occhi la stessa espressione sconfitta e disperata di un cervo colpito da una freccia inaspettata.
Uther la guardò.
Merlin, e tutti i cavalieri con lui, distolsero lo sguardo. Non c’era niente da dire, niente da vedere, del dolore che il Re poteva provare. Non c’era niente da fare per l’amore che comunque, sotterraneo e nascosto, continuava a esistere tra un padre e una figlia.
“Vattene.” Disse Uther, e Morgana si alzò in piedi con tutta la dignità rimasta, prese un cavallo a caso per la briglia e montò in sella senza dire una parola. “Ricordati che mi devi la vita.” Aggiunse Uther, duro e disperato, e Morgana cavalcò via.
Merli non si sarebbe mai più, nemmeno dopo anni e anni, nemmeno dopo altre guerre, altri tradimenti, altre vite, dimenticato della visione di Morgana che cavalcava via dalla sua casa, i capelli neri sporchi di sangue e polvere che ancora le ricadevano morbidamente sulle spalle, e di Uther che la guardava andarsene e perdeva per sempre gran parte della sua forza.

Quando arrivò il tramonto, trovò Merlin e Arthur da soli su quello che era stato il campo di battaglia.
Arthur si era risvegliato poco dopo la fuga di Morgana, ed era stato rapito da Gwen e dalle sue attenzioni gentili.
Quando in tutto il palazzo l’agitazione si era leggermente calmata, Merlin era andato a recuperare il principe, e se lo era portato dietro fino allo spiazzo ormai deserto.
L’odore del sangue era ancora ovunque.
“Mi dispiace che sia morto.” Disse Arthur, interrompendo il silenzio.
Merlin annuì. La morte di Tristano gli si era incisa dentro, ma ormai aveva riflettuto e capito, e sapeva cosa doveva fare al riguardo. Non era più il ragazzino che piange davanti ad una pira, sentendosi inutile e abbandonato. Aveva imparato che il dolore poteva servire, che spesso lo faceva, e che non poteva impedire al dolore di esistere ma poteva impedirsi di rimanere inerme.
E poi, Camelot gli era diventata troppo estranea per quell’anno.
“Vado via.” Annunciò.
Se si era aspettato sorpresa, rimase deluso. Arthur annuì e fece semplicemente scivolare la mano nella sua. “Tornerai.”
“Sì.”
“Allora va bene.”
Merlin sorrise tra sé e sé. Gli sarebbe mancato come l’aria, ma una volta tornato l’avrebbe amato ancora di più, e sarebbe finalmente stato in grado di guidarlo sulla via che il Destino aveva segnato per lui. “Dov’è lei?” Chiese, dopo qualche minuto di confortante silenzio.
Arthur gli strinse più forte la mano. “A Nord. In un piccolo paesino, a dieci giorni da qui, in un castello. Ti darò una lettera da consegnare a suo padre.”
“Grazie.”
Si guardarono, e Merlin non riuscì a resistere e lo baciò appena. “Promettimi,” gli sussurrò sulle labbra “Che non mi lascerai mai indietro. Che qualunque cosa succeda, quando sarai Re mi permetterai di proteggerti per sempre.”
“Te lo prometto.”
Merlin sarebbe partito la sera stessa, aveva sellato il suo cavallo e preparato tutto il necessario per andare a Nord, per trovare il paesino e il castello, per dare la lettera al padrone e riuscire a parlare con la figlia. E dirle che il suo amore, il suo unico, immenso amore, era morto da eroe, e da eroe sarebbe stato ricordato a Camelot.
“Mi puoi dire una cosa?”
Arthur annuì.
“Come si chiama?”
Fu Arthur questa volta a stampargli un bacio leggero, prima di aprirsi in un enorme sorriso. “E’ davvero un bellissimo nome. Si chiama Isotta.”
“Isotta.” Mormorò Merlin.
Con un po’ di fortuna, solo un po’, sarebbe riuscito a portarla a Camelot, e con un altro po’, sarebbe andato tutto bene.

Ritorno alla terza parte

mie storie, merlin

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