Titolo: Rules.
Autore:
geo_lupinFandom: Doctor Who
Personaggi: Madame Vastra/Jenny Flint
Parte: 1 di 1
Rating: K+
Prompt: Alle 5 del pomeriggio
Parole: 3334
Riassunto: A Vastra non piacciono le regole del mondo umano, a parte una.
Note: Nessuna.
Tabella:
♔ ♚ Com’è strana la società delle scimmie, sempre attenti a ciò che dicono e fanno quando sono in pubblico, con le loro strane abitudini e rituali. Da quando vivo con questa piccola scimmia, Jenny, ho dovuto imparare le molte regole che compongono le buone norme della loro civiltà.
La prima volta che l’ho portata a casa faceva tutta una serie di inchini e riverenze, non avevo capito come mai questo suo nuovo rituale, se fino a qualche ora prima si era comportata in modo del tutto differente. Aveva detto che ero la sua padrona, e da quel momento in poi si sarebbe comportata in quella nuova maniera, ma nella società dei Siluriano non esiste che uno della nostra stessa razza sia superiore e comandi nella vita di tutti i giorni un altro Siluriano. Invece in questo strano mondo c’è chi è più ricco e compra delle altre persone affinché lo venerino e rispettino come quasi un dio. Non fanno nulla da soli, sono i suoi servi a preparargli il pranzo, a sistemare la loro dimora e addirittura a vestirlo, tutto questo per me è altamente ridicolo.
Lei ha insistito perché potesse pulire ogni giorno, quello era l’unico compito che pensavo potesse svolgere.
Ogni giorno mi insegnava, o meglio mi mostrava novità che assorbivo come una spugna, e ho notato spesso dei comportamenti così simili a quelli del mio popolo che a volte me ne viene da riderne. Il Dottore mi aveva detto che dovevo pagare per i suoi servigi nella mia dimora, ma io non sapevo allora quasi nulla sulla moneta di questo popolo, e Jenny me lo insegnò. È sveglia e penso che mi piaccia la sua compagnia, non intendo come quella di un piccolo animale da passeggio no, quel genere di intrattenimento non è conosciuto tra il mio popolo, potrei dire che si potrebbe trattare della prima amicizia umana che io abbia mai contratto. Mi affascina il modo in cui al mattino passa il pettine tra i suoi capelli neri per poi appuntarli rigorosamente dietro la testa in una crocchia, per poi tornare ad essere una colata scura quando la sera si fa tarda.
Ecco un’altra regola umana che cerco di comprendere da tempo: perché le cameriere devono indossare ridicoli vestiti, quando ci sono vesti molto più belli da poter indossare? Certo, non posso dire che le stia male, a essere sincere qualsiasi cosa potrebbe starle bene, ha un corpo piccolo e proporzionato, la spio di nascosto mentre mi gironzola attorno mentre fa le sue pulizie, non si ferma mai e a volte mi fa girare persino la testa. Le dico di sedersi accanto a me e bere qualcosa di caldo, allora si scandalizza come se avessi detto una bestialità, e ancora non capisco perché secondo lei non possiamo semplicemente essere amiche, mi teme a tal punto? Mi risponde sempre: «Non sta bene ma‘am.» Oppure «Non è conveniente.» Regole, regole, stupide regole umane. E sempre «Madame.» «Ma‘am.» Quando tornerà mai a dire il mio nome, a volte penso che se lo sia addirittura scordato.
Inizialmente le trovavo, strane, eccessive, a volte ridicole e assurde, mano a mano che il tempo passava le accettavo sempre più inconsapevolmente.
Avrei voluto più compagnia da parte di Jenny la sera, mi lasciava sola nella mia serra a sorseggiare il mio tea, più volte ho provato ad invitarla ad intrattenersi e inizialmente si appellava alle sue regole umane di comportamento corretto, con il tempo sono riuscita a scalzare queste inutili pratiche e lei sedeva placida di fronte al camino nelle fredde sere invernali, iniziai ad istruirla, nonostante per lei fosse strano e inappropriato, scoprii così che la cosa che mi rendeva più felice era sovvertire le regole di questo mondo umano.
Non era bene che una giovane cameriera sapesse difendersi con un’arma, e le insegnai ad usare la spada, inizialmente era titubante ma mano a mano che i giorni e le ore trascorrevano nell’armeria diventava agile e veloce nel corpo e nel pensiero d’azione, fui entusiasta della mia piccola scimmia, apprendeva ad una velocità sorprendente. La sera ci ritiravamo nel soggiorno a leggere e scambiare idee e opinioni sulle nostre letture. Le raccontai delle mie avventure con il Dottore e lei pendeva letteralmente dalle mie labbra. Piano piano il suo atteggiamento si faceva sempre più amichevole e meno formale, mi chiedeva sempre più spesso di raccontarle di storia e di astronomia e io ero ben felice di intrattenermi con un così curioso cucciolo umano. Una di queste famose sere discutevamo di abbigliamento e di come le donne a quell’epoca erano estromesse dall’abbigliamento maschile, era tutto così assurdo, dei pantaloni erano solo dei pantaloni in fondo, non potevano far del male a nessuno, così senza pensarci due volte il giorno dopo la portai dal miglior sarto di Londra perché confezionasse per lei un paio di pantaloni e un gilet su misura per i nostri combattimenti. Jenny era radiosa nel suo nuovo completo, le comprai anche una sontuosa camicia e una bella cravatta per renderla ancora più bella. Mi ero accorta da qualche settimana che l’aspetto così sgradevole che avevo inizialmente attribuito alla razza umana si era radicalmente rovesciato, iniziai ad accorgermi della bellezza di Jenny, il fatto di non avere altra compagnia non aiutava ad essere obbiettiva ma non ero molto interessata all’obbiettività in quel momento. Mi piaceva come i suoi capelli cadevano scomposti dallo chignon dopo un allenamento, mi piacevano i suoi occhi sorridenti e attenti, le sue curve erano diventate un’attrazione più che piacevole da osservare mentre faceva le pulizie attorno a dove studiavo i miei casi o semplicemente leggevo un libro di anatomia o astronomia.
Mi accorsi dei miei sentimenti una fredda sera d’inverno: ero appena tornata da una missione, non feci alcun rumore al mio rientro pensando che Jenny fosse già a dormire mi recai nella stanza da bagno per riscaldami con un rilassante bagno caldo ma il locale era già occupato, Jenny era appena uscita dalla vasca, i capelli bagnati erano una nera colata sulla sua schiena pallida, lasciai scorrere il mio sguardo sul suo sedere e le gambe, dovetti deglutire un paio di volte, si girò così da poter osservare i suoi seni tondi e la sua pancia perfetta, non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso e avrei tanto voluto che il telo non l’avesse coperta proprio durante la mia visione. Prima di farmi trovare a spiarla sparii nella mia stanza con il cuore in gola le mani mi tremavano senza motivo e un sorriso beota mi era spuntato sulla faccia. Mi schiaffeggiai imponendomi di tornare in me stessa ma quella notte la visione di Jenny era come stampata dietro le mie palpebre mandandomi fitte piacevoli nello stomaco e senza rendermene conto cominciai a toccarmi immaginano Jenny al posto della mia stessa mano, e in quel momento dovetti ammettere che l’amavo.
Quello sarebbe stato un problema non da poco, se si passava sopra al fatto che appartenevamo a due specie completamente differenti, l’appartenenza allo stesso genere era considerata per l’epoca un abominio. Una regola piuttosto severa del mondo umano che non avrebbe mai permesso che io e Jenny condividessimo affetti e lo stesso giaciglio.
Nonostante la mia propensione a ribaltare l’ordine delle regole umane non me la sentii di andare contro una tale volontà, soprattutto perché non ero la unica coinvolta, non era come comperare un paio di innocui pantaloni. Cercai di allontanarmi da lei, compii addirittura un viaggio per cercare di scordarmi dei miei sentimenti, l’abbandonai a casa da sola, per mesi senza quasi farmi sentire, la paura di un suo rifiuto era più forte della solitudine e la tristezza che mi accompagnarono in quei mesi di duro lavoro.
Vagavo per il deserto tra le piramidi e ogni alito di vento mi pareva la voce di Jenny che mi richiamava a casa, dietro ogni bancarella del mercato mi pareva di scorgere la sua figura, ma ogni volta che voltavo l’angolo per afferrarla spariva tra la folla. In un posto così lontano da casa imparai che ogni popolo aveva regole differenti, e che quello che valeva a Londra non era strettamente valido anche per il Cairo.
Una piovosa mattina di maggio tornai a casa, con il cuore che mi martellava nel petto, entrai e la più calorose delle accoglienze mi fu riservata. Le poche lettere che le avevo spedito erano impilate con ordine sulla sedia dove solitamente Jenny prendeva posto davanti al camino, erano macchiate e umide, non capii subito cosa potesse essere loro capitate ma quando osservai gli occhi di Jenny notai che erano arrossati come se non avesse fatto altro che piangere tutta la notte.
«Siete voi? Siete DAVVERO voi, ma‘am?» Mi domandò esitando mentre la sua voce faticava ad uscirle dalla gola.
Non seppi cosa risponderle così presi la sua mano che stava sospesa tra di noi e me la poggiai sulla guancia. Mi abbracciò e ricordo che fu la sensazione più bella che avessi mai provato fino a quel momento della mia vita. La strinsi a me cercando di non farmi prendere dall’emozione del momento, ero tornata a casa con la promessa di non fare mai nulla che avesse potuto in qualche modo nuocere alla mia giovane cameriera.
I giorni che seguirono il mio rientro fu pieno di storie e aneddoti che Jenny volle conoscere fino ad impararli a memoria.
«Così mi sembra di averli potuti vivere a mia volta.» Mi disse una sera quando mi rifiutai di raccontarle per la quinta volta del tempio che mi avevano dedicato in Egitto.
«Prima o poi, quando sarò assolutamente sicura che tu possa badare a te stessa potrai venire con me, te lo prometto.» Il giorno successivo scesi all’armeria e notai il manichino per gli allenamenti completamente devastato di colpi, immaginai il corpo di Jenny ancora più tonico dell’ultima volta anche se dovetti immediatamente ripetermi che non dovevo assolutamente pensarci. Quando mi chiamò per il pranzo mi accorsi subito che qualcosa era cambiato, c’era una strana tensione nell’aria, lei era diventata più fredda, ma non quando si rivolgeva a me con le parole, ma se per errore la sfioravo o durante il combattimento finivamo corpo a corpo lei si scostava bruscamente, le sue guance diventavano rosse e cominciava a balbettare cose senza senso. Il contatto fisico per una vittoriana era cosa assai difficile, ma dopo l’abbraccio che ci eravamo scambiate al mio arrivo speravo che le cose fossero cambiate, purtroppo lei era ancora troppo soggetta alle regole della sua società.
Fu solo quando si ammalò, in inverno che le cose si fecero chiare.
Tornò una mattina dal mercato e notai subito quanta fatica stava facendo nel portare la busta della spesa, nonostante questa fosse quasi vuota, l’aiutai vedendola in difficoltà, le sue guance erano diventate di colpo scarlatte nonostante non ci fossimo minimamente sfiorate.
«Tutto bene mia cara?» Le domandai. Mi piaceva usare quel nomignolo con lei, era così innocuo ma così pieno di significato per me, era la mia cara scimmia, anche se lei non lo sapeva. Non riuscì a rispondermi perché cadde svenuta, mi allarmai subito, la presi tra le braccia per adagiarla su una superficie morbida, era rovente, il suo corpo tra le mie braccia era così caldo che pensavo di potermi scottare. La adagiai sul mio letto e la spogliai velocemente pensando di poter così raffreddare la sua temperatura, corsi nella biblioteca alla ricerca di qualche libro che potesse indicarmi come dovessi comportarmi in questi casi. Presi tutto quello che poteva essermi utile e lo portai nella stanza. Tremava. Ancora più spaventata la coprii con le mie lenzuola e ravvivai il fuoco, lessi più velocemente possibile alla ricerca di informazioni, come da manuale bagnai una pezza con dell’acqua e glie la poggia sulla fronte, ripetevo questa operazione più volte anche quando non ce n’era un reale bisogno. Passarono le ore, e non sapevo cosa fare, chiamare il Dottore mi sembrava sciocco, non aveva certo tempo da perdere con una vecchia lucertola e la sua cameriera, non sapevo più cosa fare così camminavo freneticamente su e giù dalla stanza fino a che non sentii un lamento provenire dalle coperte. Si stava svegliando. Corsi al suo capezzale inginocchiandomi ai piedi del letto, posando una mano sul suo volto sperando che la temperatura si fosse abbassata.
«Mia cara, stai bene?» Mi rendevo conto io stessa di essere patetica in quel momento, fortunatamente Jenny era troppo stordita per accorgersi del mio patema.
Borbottava qualcosa che non riuscivo a comprendere, un delirio da febbre, avevo letto mentre attendevo il suo risveglio.
«Andrà tutto bene, ci sono io con te.» Cercavo di rassicurarla anche se non sapevo esattamente se le mie parole fossero state o meno recepite.
«Ti prego no, non portarmi alla polizia. Non lasciare che i Tong mi prendano, portami via con te.» Poco più che un sussurro spaventato.
«Sei al sicuro qui.» Continuo a parlarle e lei continua a delirare, cielo, non sapevo proprio cosa fare. Se avessi potuto piangere in quel momento l‘avrei fatto, ma dovevo tenere i nervi saldi, almeno per lei.
«Sei così bella.» Sussurrò guardandomi e se non avesse avuto la febbre così alta l’avrei sicuramente baciata, ma mi limitai ad accarezzarle la guancia. La vidi sospirare al contatto e mi venne un’idea.
Mi spogliai e mi infilai sotto le lenzuola, il mio corpo era freddo e forse poteva aiutarla ad abbassare la sua temperatura, mi avvicinai con timore ma lei mi prese di sorpresa e mi si avvinghiò così stretta che trattenni il respiro. Il suo corpo era eccitantemente caldo, il mio stomaco si contorceva di piacere anche se per la situazione, in cui si trovava la mia amata, non era corretto ma il normale calore per una persona a sangue freddo come me era risvegliante, il suo era dieci volte più piacevole. Accarezzai la sua schiena sopra la leggera camiciola di cotone, rimasi tutta la notte a vegliarla in quel modo, ogni tanto apriva gli occhi, ma non era mai conscia del tutto anche se non aveva più parlato e la sua temperatura stava lentamente calando. Finalmente meno in tensione potei addormentarmi tenendola stretta, era l’unica occasione che avevo avuto ma la stanchezza era arrivata anche per me.
Quando mi risvegliai molte ore dopo lei era ancora lì, stretta tra le mie braccia i capelli sciolti sparsi sulla mia pelle creavano uno strano contrasto ma quello che mi colpì più di tutti fu il suo respiro, capii subito che era sveglia e potei immaginare il suo tremendo imbarazzo per quella situazione, nessuna delle due osava muoversi: io ero completamente nuda e la tenevo stretta al mio corpo, lei era in biancheria abbracciata ad una donna che era anche il suo datore di lavoro. Cercai di muovermi da quella posizione e se anche lei faceva finta di essere ancora addormentata io sapevo la verità, ma nella mia mente la ringraziai per quella piccola bugia. Uscii dal letto e mi rivestii per andare a preparare qualcosa di commestibile. Dopo parecchi minuti e qualche tazza rotta riuscii a mettere insieme una decente colazione umana e la portai alla camera da letto. Jenny era seduta sul letto tenendo le coperte fino al suo collo, un accenno di rossore sulle gote pallide. Appoggiai il vassoio tra di noi mentre prendevo posto sul letto. Guardammo il vassoio per troppi secondi per cui decisi di rompere quel silenzio imbarazzato.
«Credo che il peggio sia passato, ma vorrei che tu riposassi oggi.» Cercai di dirlo nel modo più neutrale possibile, ma io stessa mi rendevo conto che la mia voce doveva essere apparsa imbarazzata.
«Sono un po‘ confusa ma‘am. » Ammise prendendo la tazza che le porgevo.
«Non ricordo molto di quel che è successo, come sono finita nel vostro letto?» Domandò affogando di vergogna nella sua tazza di tea.
«Sei svenuta non appena sei tornata a casa, non sapevo cosa fare, per cui ti ho portata qui. Hai dormito un giorno intero.» Sgranò gli occhi increduli e mi venne da ridere alla sua espressione buffa. Finimmo la colazione e una volta tolto di mezzo il vassoio potei concentrarmi di nuovo su Jenny. Poggiai la mia fronte sulla sua per valutarne la temperatura, squittì irrigidendosi ma non si allontanò, era ancora calda, certo non come lo era qualche ora prima, ma il calore tendeva ancora a farmi sragionare.
Senza davvero rendermene conto, cominciai a strusciare la mia guancia sulla sua, scesi sul suo collo e lo baciai. Sentii il battito accelerato di Jenny e questo mi eccitò ulteriormente.
«Mi dispiace, sei così calda.» Riuscì a sussurrarle prima di stringerla a me, stavo quasi per baciarla, ma mi fermai in tempo. Regole Vastra, mi dicevo, ma Jenny fu completamente e sorprendentemente audace e mi baciò.
Le sue labbra tremanti erano ancora più calde del resto del suo corpo, le forzai senza rendermene contro facendola gemere ed esplorai la sua bocca senza pensarci due volte.
«Vastra.» Gemette e mi risvegliò dalla confusione che albergava nella mi amante.
«Mi dispiace, non ho saputo resistere.» Mi sentii sprofondare nelle viscere della terra.
«No io … va bene, se va bene a te, voi, insomma certo, solo che non voglio passare alcuna malattia.» Il suo volto era nuovamente paonazzo e mi chiesi se per caso le era salita nuovamente la febbre.
«Oh, mia cara, non hai davvero nulla di cui preoccuparti, i Siluriani non sono esposti alle vostre malattie, inoltre avevamo vaccini molto potenti.» La rassicurai sorridendo. Mi buttò le braccia al collo e tornai a baciarla con ancora più vigore che in precedenza.
Quel giorno stemmo a letto fino al pomeriggio a baciarci a confessarci i nostri sentimenti e a ridere della ridicolezza delle nostre paure, e così scoprii che a volte anche a Jenny non piaceva stare alle regole.
Quello stesso giorno imparai ad amarla totalmente, mi piaceva come la sua pelle si increspava amabilmente mentre la mia lingua la percorreva, mi piaceva il suo sapore e il suo odore, mi piaceva come gemeva incontrollatamente mentre la facevo mia e mi piaceva come mi faceva sentire mentre mi donava piacere.
Fu solo qualche tempo dopo che mi accorsi che ancora non mi bastava, volevo spingermi oltre, fu quando il Dottore ci reclutò nel suo piccolo esercito, che spezzai definitivamente ogni regola umana vittoriana del diciannovesimo secolo.
Nel bel mezzo della battaglia di Demons Run, quando molti dei nostri erano ormai caduti mi sorpresi di trovare tanto coraggio, ma l’adrenalina in circolo era veramente alle stelle e vedere così tante vite spezzate mi diede la giusta spinta, potevo morire da un momento all’altro, i monaci senza testa erano forti avversari, più di qualunque io abbia mai affrontato, e non volevo morire senza che Jenny avesse saputo quanto l’amavo.
«Mia cara, mi vuoi sposare?» Le domandai come se le avessi chiesto se preferiva per cena pasta o riso. Si guardò attorno un po’ confusa e poi parlò.
«Non ti sembra il momento meno adatto per fare certe proposte ad una ragazza?» Mi gridò mentre squarciava abilmente il ventre di un nemico.
«Ho solo pensato che potevo morire oggi senza avertelo mai chiesto.» Le rispondo all’erta schivando un colpo dietro l’altro.
«Quindi cosa mi dici?» Se non fossi stata impegnata in un combattimento probabilmente avrei avuto una tale ansia nell’attendere la sua risposta, ma l’adrenalina aiutava davvero un sacco, in queste situazioni.
«Si, la mia risposta è definitivamente ufficialmente SI! E tu sei una pazza vecchia lucertola!» Scoppiai a ridere di felicità e per festeggiare squarciai un monaco come se fosse stato fatto di gelatina.
Quella stessa sera festeggiammo la proposta di matrimonio con una tale intensità che ogni angolo della casa aveva potuto ascoltare le esternazioni colorite che solo Jenny sapeva fare in quei momenti, e il giorno dopo decidemmo di accogliere Strax nella nostra casa, il quale portò scompiglio e regole guerriere che fui ben felice di eliminare seduta stante.
Ho lottato nel mondo umano affinché riuscissi a fare regole mie, essere libera di amare Jenny e il nostro matrimonio sono quelle che meglio mi sono riuscite, c’è solo una regola umana che non cambierei per nulla al mondo: alle cinque del pomeriggio: tea.
Fine