Autore: Geilie
Titolo: Ordinaria amministrazione
Fandom: The Avengers
Personaggi: Tony Stark, Steve Rogers, Clint Barton, Bruce Banner, Doctor Doom
Rating: verde; Pg
Avvertimenti: Movieverse con mini-incursione nel Comicverse (i.e. Doom e i Doombot)
Parole: 1320 (Word)
Note: partecipa alla
Caccia al Tesoro organizzata per festeggiare il primo compleanno di
Pseudopolis Yard. Dedicata a quell’amorevole creaturina che è
Elos, che ha davvero risvegliato la mia Musa interiore, per quanto inconsapevolmente. Questa è infatti la versione ridotta, pesantemente modificata e decisamente migliorata dell’incipit di una storia che avevo iniziato a scrivere per un suo contest. Non c’è (tanto) Bruce, ma ci sono le esplosioni. ;)
Prompt: 1.1 à Coraggio
Ordinaria amministrazione
Con tre Doombot che tentano di incenerirlo, due Avengers fuori sede e uno irreperibile per ragioni di quiete pubblica e un pantagruelico megaschermo pubblicitario che pende minacciosamente sulle teste dei frequentatori di Time Square e rischia di rovinare al suolo da un momento all’altro, Tony decide che non è il giorno migliore per essere Iron Man. Non è il peggiore, il che la dice lunga su tutte le brutte giornate che gli sono capitate, o almeno su quanto sia distorto il suo metro di giudizio, ma non è particolarmente piacevole. O rilassante.
Il fatto è: quando Tony è nervoso, Tony straparla. È risaputo, è uno dei suoi metodi preferiti di gestione dello stress e, francamente, meglio dare aria alla bocca che attaccarsi alla bottiglia e sfondarsi di scotch e whiskey dal tramonto all’alba. Steve pare pensarla così, Pepper pare pensarla così, Natasha e Bruce paiono pensarla così e Tony ha imparato che è meglio non contrariare troppo i membri più letali della squadra - Pepper sa essere estremamente letale, quando vuole. Nella privacy del suo cervello, può perfino ammettere che non hanno tutti i torti.
In ogni caso, con una mano intenta a reggere il megaschermo traballante e l’altra a sparare una raffica dietro l’altra contro le bellicose controfigure di Doom, restare in silenzio non è un’opzione contemplata.
«Senti, Vic, io ti ammiro» dice al primo Doombot che gli capita a tiro. Parlare con Doom e parlare con i suoi giocattolini è la stessa cosa, tanto gli aggeggi sono indistinguibili dal loro creatore: Victor ha portato il concetto di “a propria immagine e somiglianza” a un livello superiore. «Sul serio, ci vuole coraggio per uscire di casa conciati in quel modo, tutto quel verde e - mancato, ritenta e sarai più fortunato! - e quel mantello che onestamente è un pugno in un occhio e - non forzarmi la mano, Vic… - e davvero, fidati del miliardario con i consulenti di marketing strapagati: l’aspetto conta! Ma voi supercattivi e il verde avete mica un’affinità mistica? Perché tra te e Loki e - ehi, questa è scortesia!»
Uno dei Doombot ha appena tentato di prenderlo alle spalle mentre gli altri due lo tenevano impegnato, e se il colpo è andato a vuoto (di poco, ma comunque a vuoto) Tony lo deve esclusivamente a Jarvis. Si scansa all’ultimo minuto e la fortuna lo assiste, sicuramente aiutata da una buona dose di pianificazione da parte di Jarvis, quando la scarica elettrica che era destinata a lui finisce dritta in mezzo agli occhi di un altro dei bot e gli fa saltare mezza faccia.
«Io sto qui a chiacchierare civilmente e tu mi pugnali alla schiena? Ma non ve lo insegnano il galateo alla scuola serale per supercattivi?» si diverte a chiedere, sapendo che Victor ha un senso dell’umorismo risibile.
«Tony, per l’amor del cielo…» arriva la voce di Steve dall’auricolare. Tony non fa in tempo a sentire il resto perché il tutto viene coperto dal boato di un’esplosione - il Doombot senza faccia è stato preso in pieno da un missile prima che potesse ricostruirsi e Tony ora ha un nemico in meno di cui preoccuparsi - ma, a giudicare dal tono esasperato, doveva essere un rimprovero. Qualcosa come “smettila di offrire tè e pasticcini al nemico e fagli saltare le chiappe”. Non in questi precisi termini. Steve non direbbe mai la parola “chiappe” in pubblico.
«Scusa, Cap, mi sono perso l’ultimo pezzo. C’è una fastidiosa interferenza» e sottolinea le ultime parole con un colpo dei repulsori a ciascuno dei Doombot rimanenti. Deve tirarsi fuori da questa situazione, e in fretta. Iron Man o no, c’è un limite ai problemi che può gestire contemporaneamente: i robottini di quel pazzo egocentrico di Doom sono fastidiosamente persistenti, sconfiggerne più di uno alla volta è già abbastanza complicato quando non deve anche badare a tenere intatta Time Square. Con la squadra dimezzata, tra l’altro. Sono questi i momenti in cui gli mancano i grossi pugni verdi di Hulk…
«Ehi, Barton?» chiama, perdendo quasi la presa sul megaschermo pericolante per mettere a segno un altro colpo. «Hai mica cinque minuti da dedicarmi? Non disdegnerei un aiutino, qui…»
La risposta di Clint non è ripetibile davanti a bambini - o a Steve, che sicuramente è arrossito come un peperone sotto il suo caschetto patriottico non appena l’ha sentita, battaglia imperversante o meno. L’aiuto arriva comunque, sotto forma di un trio di frecce arpionanti venute fuori dal nulla che si conficcano nel megaschermo come chiodi ipertrofici e liberano Tony da una delle sue incombenze.
«Splendido assist!» dice, ed è il suo modo di ringraziare.
Due contro uno è quasi un combattimento alla pari.
***
Molti improperi, esplosioni e un’inattesa quanto gradita apparizione di Hulk più tardi, Tony sta seduto su uno dei suoi tanti divani con Steve da un lato, Clint dall’altro e un bicchiere in mano. Bruce si è ritirato a meditare nel suo sancta sanctorum con una brocca piena di camomilla e nessuno di loro ha intenzione di disturbarlo.
Sono tutti un po’ ammaccati, chi più chi meno: Clint sfoggia un bernoccolo dall’aria dolorosa sulla fronte e una fasciatura nuova di zecca gli circonda buona parte dell’avambraccio sinistro; Steve, dannati i suoi geni perfezionati in laboratorio, non mostra danni visibili, ma è abbandonato sul divano con tutta l’aria di chi non intende muoversi per almeno un giorno intero; Tony se l’è cavata con una caviglia slogata, un labbro spaccato e un intenso desiderio di sushi. Nel complesso, la giornata è andata bene. A Doom è andata assai peggio e non ci sono state vittime tra i civili, ed è quello che conta davvero. Con tutti quei Doombot e solo tre di loro a disposizione (tre più uno, con mille grazie a Brucie), le cose sarebbero potute diventare molto brutte molto in fretta.
Tony ripensa a quello che ha detto scherzando a uno dei robot giusto qualche ora prima: ci vuole coraggio. Non ci riflette mai granché, perché per lui non si tratta tanto di coraggio quanto di totale assenza di istinto di conservazione, ma spostando lo sguardo sui suoi due compagni decide che sì, ci vuole coraggio.
Ci vuole coraggio per strizzarsi in una tutina a stelle e strisce e andare a prendere a pugni il cattivo di turno, ogni volta con la consapevolezza che le cose potrebbero andare più storte del solito, che qualcuno di loro potrebbe non farcela, che sulla testa del capitano ricade la responsabilità di ogni azione della squadra (o almeno della maggior parte, perché Tony tende ad agire di testa sua e Hulk, be’, Hulk è autorizzato ad agire di testa sua, per ovvie ragioni).
Ci vuole coraggio per prendere arco e frecce e farsi depositare sul tetto di un grattacielo, sapendo di avere vie di fuga molto limitate, spesso quasi inesistenti, sapendo che un soffio di vento imprevisto potrebbe significare colpire qualcuno che non doveva essere colpito o mancare qualcuno che sarebbe stato meglio non mancare.
Ci vuole coraggio per scegliere di dare adito alla rabbia nel cuore pulsante di una città abitata da migliaia e migliaia di persone, con i fantasmi del passato sempre in agguato, con il terrore di andare troppo oltre e di non riuscire più a tornare indietro.
Deve volerci del coraggio perfino per ficcare le proprie umanissime e vulnerabilissime terga in un’armatura rossa come una Ferrari e andare a scaricare missili sul nemico, anche se per Tony è un divertimento (ok, è anche un divertimento) più spesso di quanto non sia una missione umanitaria.
E quindi Tony alza il bicchiere e brinda silenziosamente al coraggio. E allo spirito di squadra che, davvero, non pensava che sarebbe mai riuscito a tirar fuori da se stesso. E poi al sushi, perché il ragazzo delle consegne a domicilio è appena arrivato e Tony sta morendo di fame.
Non è una delle giornate migliori per essere Iron Man, forse, ma tutto sommato è una buona giornata per essere Tony Stark.