Titolo: There's no compassion (all your warmth is gone)
Fandom: Origianale
Raccolta:
Per tutto bene, ma in famiglia meglioBeta:
cialy_girl (SANTA SUBITO)
Personaggi: Fabiano,
Bianca CeoliproRating: R
Parole: 3330 (fiumidisangue)
Prompt:
Cuscino Peloso @
CrittycombolaNote: Sono un genio.
- Titolo da Each time you break my heart di Nick Kamen
Disclaimer: MIOOOOOOOOOOOOOOOOH.
Ambra ha degli splendidi capelli biondi, lunghi fino alle spalle, occhi azzurri da cerbiatta, un culo che non smetteresti mai di fissare e due tette che potresti affogarci dentro. È considerata una delle ragazza più belle della scuola, tanto che persino Fabiano - classificato come il più figo della sua classe e decimo in tutto l'istituto - si sente onorato di essersi fatto rimorchiare dalla suddetta. A cavalcioni sopra di lui, Ambra smette di baciarlo - gli lancia una lunga occhiata languida prima di sorridere maliziosamente, poi comincia a scendere, baciandolo e strusciandosi, fino ad essere inginocchiata di fronte a lui. I jeans sono già aperti dato che la ragazza ci ha ravanato dentro, glieli sfila fino alle ginocchia e prende tra le labbra il suo membro. Fabiano sospira, appoggiandosi allo schienale e inarcando la schiena. Le mette una mano sulla testa, mormora un “Brava” - è vero quello che si dice, quindi - e ricomincia a mugolare.
È con una nota di isteria che si rende conto che nemmeno durante il pompino più bello della sua vita riesce ad evitare di dare un’occhiata al mobile dove quel cuscino è posato - quello con una sorta di pelliccia blu attaccata sopra, quello che gli è stato regalato tempo addietro. Dalla sua bocca esce un verso rauco, prova a chiudere gli occhi e si accorge che sta sudando.
Bianca glielo aveva regalato con un sorrisone - che, a dire il vero, lo aveva quasi spaventato, perché mai si era accorto di quanto fossero bianchi quei denti e di quanto... beh, di quanto il suo sorriso somigliasse a quello di uno squalo.
«Me ne vado.» aveva detto. Teneva in mano una borsa blu. «Devo trasferirmi con i miei. Hanno trovato una stupida casa in culo ai lupi, dove non prende niente.»
Fabiano l'aveva abbracciata, baciandole i capelli: «Mi mancherai da morire.»
«Tornerò.» si era scostata e aveva appoggiato la borsa tirandone fuori un cuscino assurdo. «Ecco, questo è il mio regalo per te.»
Fabiano aveva riso. Poi lei aveva preso anche una boccetta, abbastanza grande, con dentro un liquido dorato.
«Questo è il mio profumo. Versane due gocce sul cuscino ogni giorno: così la notte, abbracciandolo, ti sembrerà di stringere me.»
«Se i miei amici lo scoprissero diventerei lo zimbello del gruppo, sai? E poi tu non sei così pelosa.»
«Non lo sapranno. Quando il profumo sarà finito, tornerò.»
Fabiano aveva inclinato la testa: «Ma cosa stai dicendo?»
«Mi aspetterai?»
«Certo.»
«Mi sarai fedele?»
«Certo.» aveva mentito, perfettamente consapevole di farlo, baciandola. Era ovvio che lei non sarebbe mai più tornata, e non c'era niente di male nel regalarle una piccola illusione.
Non aveva pianto, ma sembrava triste quando prese il treno. Lo baciò un'ultima volta, prima di partire. Non era mai stato innamorato di lei - ma era una tizia un po' famosa, la figlia degli illusionisti, abbastanza intrigante, e andarci a letto non era stato quel gran male. Appena uscita dal suo campo visivo, però, per quanto lo riguardava, era uscita dalla sua vita.
I regali li avevi messi sopra un mobile. Ogni giorno eseguiva gli ordini che Bianca gli aveva dato, rovesciando due gocce sul cuscino, quasi automaticamente. E di sera, quando rientrava nella sua stanza, c'era l'odore forte di lei nella camera. Un giorno sua madre, entrando, ne era rimasta stupita.
«Ne vuoi un po', mamma?» le aveva chiesto. Lei l'aveva guardato sorpresa.
«No, grazie. Tienilo tu.»
Ed era un po' strano, perché sua madre adorava i profumi.
Una notte l'aveva abbracciato davvero, il cuscino. Se l'era preso accanto, messo sopra la pancia, la musica nelle orecchie, nella speranza di dimenticare la pessima giornata passata.
Non aveva ancora chiuso gli occhi che dentro a quello cominciò a muoversi qualcosa. Diventò pesante, e quando spalancò le palpebre quel qualcosa all’interno si stava agitando sotto alla stoffa, finchè non si strappò e ne uscì un braccio. Avrebbe voluto scappare o perlomeno urlare, ma il suo corpo era caduto in uno stato catatonico, non rispondeva a nessun comando. Dal cuscino uscirono le gambe e, infine, si ritrovò la testa di Bianca sopra di lui, con un sorriso malizioso. Lo baciò avidamente e Fabiano, quasi in trance, rispose al bacio posando le mani sui fianchi della ragazza e stringendola forte - il corpo che si era ripreso da quella insensibilità.
La mattina dopo il cuscino era accanto a lui, come se non fosse accaduto nulla. Con il fiato corto lo aveva rimesso via. Era la causa di quel sogno, ovviamente, l’odore così forte di lei gli aveva giocato un brutto tiro.
Poi si era stufato di mettere sempre quel cazzo di profumo. Spaventava le ragazze. Una mattina si decise a non rovesciarlo, semplicemente. Si vestì e mosse per uscire dalla camera. Arrivato davanti alla porta non riuscì a fare nient’altro, come se il suo corpo si fosse bloccato di colpo, non poteva alzare il braccio per afferrare la maniglia, non poteva nemmeno parlare. Eppure, quando provò a compiere dei passi indietro, ci riuscì. Come in trance, mise le due gocce sul cuscino, ed uscì da camera sua senza problemi.
Fece varie prove. Dalla bottiglia non scendevano più di due gocce al giorno, sempre e solo se il contenitore si trovava sopra il cuscino. La poteva tenere in alto per tutto il tempo, a testa in giù, ma non cadeva nulla. Ci mise dentro il dito, che non si bagnò neppure, ma profumava tanto da fargli girare la testa. I suoi compagni lo presero in giro per tutto il giorno.
Un'altra volta lanciò la bottiglia sul muro. Non si fece un graffio e non perse nemmeno una goccia. Tentò di strappare la stoffa del cuscino, di bruciarla, e non capitava mai nulla.
Sua sorella minore, che di solito toccava e distruggeva qualsiasi oggetto che gli appartenesse, non li guardava nemmeno. E così sua madre e suo padre. Provò a spostarli, prima in camera dei suoi genitori poi in sala, ma se li ritrovava sempre in stanza, alla fine.
Li prese entrambi e li buttò nella spazzatura. Il sollievo che provò in quell’istante fu anche troppo, si sentì decisamente stupido. Eppure poter entrare in camera sua - aprì la porta - e non vedere più quei maledett… - spalancò gli occhi: il cuscino e la boccetta erano di nuovo sopra il mobile, come a prendersi gioco di lui. Sudando, era tornato alla spazzatura, dove, ovviamente, non c'erano. Al limite della disperazione, tentò di bruciare il cuscino davanti a sua madre.
«Guarda.» disse, e accese l'accendino. Sua madre gli urlò dietro e mentre il cuscino, con suo grande stupore, prendeva fuoco. Lei lo mise sotto il getto di acqua fredda del lavandino.
«Ma sei impazzito?!»
«Io... non ha mai fatto così...»
«Fabiano, sei troppo grande per queste stronzate! Non farlo mai più, d'accordo?»
Il giorno dopo sul cuscino non c'era nemmeno una bruciatura. Glielo aveva portato davanti, felice, mostrandole la prova. Sua madre lo aveva guardato stupita.
«Ma di cosa stai parlando?»
«Di ieri! Quando ho bruciato il cuscino davanti a te!»
«Tesoro, hai fatto solo un brutto sogno.»
Viene con un sospiro soddisfatto. Ambra si alza, pulendosi con la manica. Fabiano la imita, aggiustandosi i pantaloni.
«Beh, ci vediamo ancora, mh?» gli sorride.
«Quando vuoi.»
Le apre la porta e lancia un’ultima occhiata preoccupata al cuscino e alla boccetta ormai vuota.
Gli incubi cominciano quella notte. Non riesce a ricordarli, il mattino, ma gli lasciano addosso per tutta la giornata una fastidiosa sensazione di inadeguatezza e paura, come se le persone intorno a lui stessero aspettando il momento giusto per pugnalarlo e ridere di lui. I giorni trascorrono con l’umore che non migliora, cercando di cazzeggiare con gli amici senza sembrare un rompipalle e rimorchiare ragazze.
Scende le scale a testa bassa, controllando le canzoni da ascoltare sull’i-pod, quando sente la voce di sua madre.
«Fabiano! Guarda chi è venuta a trovarci!»
Alza gli occhi e Bianca gli sorride.
Si è sentito malissimo per tutto il tempo che la ragazza ha passato a discorrere amabilmente con sua madre - senza toccare argomenti del tipo “Come diavolo sei arrivata qui”, “Dove sono i tuoi genitori”, “Che cosa vuoi?” -, il cuore che gli batte dentro il petto ad una velocità troppo elevata e la sensazione di angoscia che non si placa. È certo che lei sappia ogni cosa - ma allora? Che può succedere? Gli urlerà addosso che è uno stronzo e lo lascerà, fine. Questa preoccupazione è inutile, tenta di ammonirsi.
Ma poi Bianca si volta verso di lui e mostra quei denti da squalo.
Portarla in camera sua gli sembra una pessima idea, però non è che abbia poi molta scelta. Socchiude appena la porta quando sono entrambi dentro e mentre si avvicina a lei, le mani in tasca, sente la sente chiudersi come se fosse stata sbattuta. Non riesce nemmeno a voltarsi che Bianca gli si è lanciata addosso, le braccia dietro al collo.
«Ti sono mancata?»
«Ecco… dobbiamo parlare.»
Lei lo lascia di colpo, con l’espressione ancora sorridente: «Delle ragazze che ti sei scopato?»
Fabiano si gela.
«Io…»
Bianca inclina la testa di lato: «La pagherai.» promette.
È nervoso, il giorno dopo, i suoi passi pesanti risuonano per tutta la casa.
«Mamma? Mi accompagni da un fioraio?» dice ad un certo punto, entrando in cucina.
«Certo. È per una ragazza?» si informa, sorridendo in quel modo da ah-beata-gioventù.
«Per Bianca, sai. Un regalo per il suo ritorno.»
«Oh, è tornata Bianca? Non lo sapevo.»
Fabiano vacilla: «È stata qui ieri. Ci hai parlato.»
La donna si volta e lo guarda senza capire.
Un suo amico gli dà una forte pacca sulla schiena: «Ma si può sapere che cazzo hai?»
«Chi, io? Uh… sai… degli incubi… la mia ex…»
«Degli incubi sulla tua ex? Madonna Fabià, ce li avessi io degli incubi sulla tua ex, ehcheccavolo!»
«Pure io ho sognato la mia ex.» dice il ragazzo seduto davanti al suo banco: «Mi stava uccidendo. Dopo avermi torturato per quelli che mi sono sembrati secoli…» pare quasi stia parlando a se stesso, più che agli amici che ha intorno - i quali ghignano alla parola “tortura”: «E la cosa peggiore, sai, è che me lo meritavo.»
«Io no però,» bisbiglia Fabiano: «Io non me lo merito.»
Il sangue esce dalla porta. Non ha nemmeno il tempo di ragionare - l’unica cosa che fa è correre dentro casa, rischiare di scivolare e vedere i cadaveri dei suoi genitori e di sua sorella riversi per terra, mentre Bianca gli sorride, in mezzo a tutto quel rosso.
«Le promesse spezzate hanno un prezzo molto alto, sai?»
Si sveglia tremando. Porta le mani al viso e nel momento in cui le toglie Bianca è lì, seduta sul letto, accanto a lui. Urla, ovviamente, o almeno ci prova, ma non esce nemmeno un suono dalla sua bocca.
La ragazza gli afferra il mento con una mano e lo trascina verso di sé, baciandolo a lungo.
Sua madre è di buon umore.
«Che ne dici se andiamo a fare una gita? Io e te soli, per qualche giorno, in qualche luogo remoto? Posso prendermi una vacanza da lavoro e, beh, tanto a scuola peggio di così non può andare, giusto?» propone, raggiante.
Sua madre è di buon umore ma lui decisamente no. Alza gli occhi - che sotto hanno delle borse mica da poco - e borbotta un: «Come vuoi.»
Non smette di sbaciucchiare sua figlia, la coccola e le promette che, quando sarà grande, porterà anche lei a fare questi viaggi - non è nemmeno la prima volta per Fabiano, ogni tanto la mamma se ne salta fuori con idee così -, saluta a modo anche papà e alla fine si decide a salire in macchina.
Il ragazzo si appoggia al finestrino dell’auto e si addormenta quasi subito, cadendo in un sonno senza sogni.
La “vacanza” passa tranquillamente di città in città, si divertono a fare foto sceme e a visitare musei - okay, forse lì è la mamma che si diverte, e forse considerando che visitano solo quelli che parlano di roba che c’era nel suo programma scolastico si tratta di un velato “Devi studiare, cocco.” - e deve ammettere che è riuscito a svagarsi e a rilassarsi.
Ora, però, sono in macchina da troppo tempo su una strada montuosa con tante curve.
«Mamma, ma dove stiamo andando, adesso?»
La donna sorride: «A trovare Bianca.»
L’ha supplicata per tutto il tragitto - quella manciata di minuti che li dividevano dalla villa dei Ceolipro - ma lei non ha voluto sentire scuse. Dice di aver capito cosa lo turba e che il modo migliore è rivederla, mettere in chiaro le cose. Se fosse una relazione normale, quella con Bianca, le darebbe anche ragione.
Si fermano che è mezzogiorno, davanti al cancello.
Ad aprire è proprio Bianca, che sembra pallida e turbata dalla loro presenza. Per un attimo Fabiano si sente forte, in vantaggio: lei non sapeva che sarebbero arrivati, non l’ha messo in conto.
Sorride, però, li saluta con fare dolce e li fa accomodare in casa, dove ci sono i suoi genitori.
Di persona non li aveva mai visti - sulle copertine dei giornali, invece, ai telegiornali e nei programmi serali sì. Sono diversi, però, hanno un fascino che né la stampa né la televisione riesce a trasmettere.
La madre di Bianca ha un viso bellissimo, i lineamenti dolci e due occhi azzurri che sembrano ghiaccio - sembrano quasi bianchi, ecco -, è elegante e aristocratica in ogni suo gesto e parola, magra. Il padre ha dei capelli nerissimi - come Bianca -, occhi verde scuro e un atteggiamento che incute rispetto e soggezione, con le sue spalle larghe e il sorriso di chi, del mondo, ha capito tutto.
«È un piacere avervi qui.» dice la Ceolipro, avvicinandosi, e pare quasi che invece di camminare fluttui. Porge la mano alla madre di Fabiano.
«Donatella.» si presenta velocemente lei, con un caloroso sorriso.
«Silvana. Lui invece è mio marito, Manlio.»
Donatella ride: «Oh, lo so.»
La conversazione si trascina per un po’; non abbastanza secondo Fabiano, quando i genitori consigliano ai figli di salire in camera di Bianca, se vogliono parlarsi. Ha paura di stare solo con lei, ha paura di lasciare sua madre con i due Ceolipro, anche, ma l’occhiata che Bianca rivolge per un momento a Silvana ha un che di tranquillizzante. È come se la ragazza fosse sotto controllo, almeno a casa sua.
In ogni caso non smette di ascoltare con attenzione la voce di sua madre, mentre sale le scale, cercando di capire dal tono se le stia succedendo qualcosa. Ma lei pare calma, poi Fabiano si allontana troppo e non la sente più.
Bianca incrocia le braccia: «Carina l’idea di venirmi a trovare. Ti mancavo?»
Fa per risponderle, per spiegarle che è stata un’idea di sua madre, ma si zittisce. Non vuole immischiarla.
«O magari sei qui per implorare perdono?» domanda avvicinandosi, con quel sorriso smagliante. E dire che per un secondo ha pensato di essersi sbagliato, di essersele immaginate, tutte quelle cose.
«Dimmelo tu.»
Il ghigno si gela, la ragazza compie qualche passo indietro.
«Perché mi stai facendo questo?» chiede Fabiano.
«Perché te lo meriti.»
«Non è vero. Eravamo solo dei ragazzini. E tu lo sapevi.»
«Avresti dovuto essere sincero.»
«Bugiarda! Se lo fossi stato avresti cominciato prima!»
Bianca spalanca gli occhi, lo fissa visibilmente stupita.
«Oh.» scoppia in una risata acuta: «Hai ragione! È assolutamente vero! Ahahahah! Oh, povero Fabiano. A quanto pare hai fatto bene a divertiti.»
Cerca di riflettere a mente fredda sulla situazione. Non che sia semplice, ma ci prova.
Non può parlarne ad anima viva: nessuno gli crederebbe, al massimo lo manderebbero da qualche psicologo poco propenso a trovare spiegazioni sovrannaturali alle sue visioni. D'altra parte, se non trova un modo per liberarsi di Bianca e di qualunque cosa gli stia facendo, impazzirà comunque, saltando lo psichiatra e finendo direttamente al manicomio.
La situazione non ha vie d'uscita. Non conosce nessuno... come Bianca, non ha la minima idea di dove dovrebbe cominciare a fare ricerche sull'argomento - la biblioteca? Dio, e se passasse mesi a scoprire stronzate? - e ha paura che lei, intuendo qualcosa, si sbrighi a finire il lavoro.
Ma un modo deve esserci, giusto? Le ricerche sono un inizio. Tra la marea di stronzate sicuramente troverà un libro buono, una salvezza. Però l'idea di fronteggiarla nella sua materia ha un che di assurdo. Sembra un suicidio.
Fabiano non può combattere Bianca con la sua stessa moneta... ma forse qualcun altro sì.
«Ho dimenticato una cosa, mamma.» dice, mentre si avvicinano all'auto: «Mi aspetti qui?»
La donna gli sorride, annuendo.
Corre a perdifiato. Non hanno chiuso il cancello, grazie al cielo. Corre e raggiunge al Villa, col fiatone. Si accorge immediatamente di cosa sta succedendo - perché capita anche a lui, a volte -: Bianca sta per essere sgridata. I suoi genitori sono davanti alla ragazza, ben eretti, lei guarda per terra con le mani dietro la schiena, come una bambina che l'ha combinata grossa. Si acquatta e raggiunge la finestra - socchiusa - da dove si può assistere alla scena. Da lì le voci arrivano ben definite.
«Ne avevamo già discusso, Bianca. Non puoi comportarti così.» tuona suo padre, con un tono imponente che Fabiano non gli avrebbe mai affibbiato.
«Certo che posso.» sibila lei, la testa ancora bassa.
«Certo che- BIANCA! Sono umani! E' scorretto e stupido agire così. Devi assolutamente lasciare in pace quel ragazzo.»
«Perchè!» strilla lei, finalmente guardando negli occhi il padre: «Per quale ragione dovrei fermarmi dal fare quello che mi diverte?»
«E' sbagliato.»
«E' sbagliato quando sei morto. Quelli ci danno la caccia senza un motivo, ci uccidono come bestie, e io dovrei avere pietà dei loro simili?!»
L'uomo si innervosisce. Abbassa leggermente la testa, come un toro che sta per prendere la rincorsa.
«Ti ho ordinato di piantarla, Bianca. Non ammetto disubbidienze.»
«Peggio per te.»
In quel momento, Fabiano si affaccia per vedere meglio la scena. Arrivavano strani rumori e non riesce a capire da cosa siano prodotti. Quando gli occhi si posano sulla famiglia, resta inorridito.
Manlio si sta avvicinando alla figlia a grandi passi, mentre la sua pelle assume un colore rosso fuoco, le sue spalle crescono a dismisura fino a rompere la camicia, le mani diventano delle zampe enormi, squamate, e così il resto del corpo assume la forma di... di una specie di dragone mostruoso, con tre file di denti, piccoli occhi rossi, e il... muso squadrato.
«BIAAAAAAAHHHHHCAHHHHHH» urla il dragone, ad un millimetro dal viso della ragazza. Che non si scompone.
«Va al diavolo.» sibila, ed esce dalla stanza a passi pesanti.
Silvana si avvicina al mostro, accarezzandogli quello che una volta era il suo viso.
Fabiano corre di nuovo, pallido come un cencio, come se quel drago lo stesse seguendo. Non osa voltarsi indietro, riesce solo a correre ed inciampare, rialzarsi e correre ancora. Praticamente si butta dentro l'auto.
«PARTI!» urla a sua madre, che lo osserva sconvolta e, per una volta, fa quello che le è stato detto.
«Mi dici cosa diavolo ti è successo?! Dio, Fabiano, tesoro, sei tutto sudato...» gli sposta una ciocca di capelli dalla fronte, preoccupata. Ma il ragazzo non risponde.
Non ha nessuna voglia di andare a dormire, nonostante sia stanchissimo.
(Questo perché, in fondo, lo sa)
Guarda le coperte e il suo letto quasi fossero la sua tomba.
(Lo sono)
Lancia un'occhiata anche al cuscino blu e al profumo che
(lei si era presa)
sono ancora lì.
Alla fine si decide, coprendosi bene con le lenzuola, piangendo e pregando.
Non avresti dovuto... sibila Lei, che è vicinissima al suo viso.
Oh, povero Fabiano, non avresti dovuto...
Ma comunque si fosse comportato, la sua fine sarebbe stata quella.
Non avresti mai dovuto...
Ha così ragione. Non avrebbe dovuto.
Non avrebbe dovuto rivolgerle la parola. Amarla. Sorriderle. Nascere.
Non avresti dovuto...
Il cuscino si posa delicatamente sul suo viso, come un bacio. Poi lo schiaccia.
Non avresti dovuto...
Fa fatica a respirare, a stare sveglio, a sentirsi bene, ad ascoltare Lei. Sente il suo peso su di sé, però, un enorme macigno che non gli permette di muoversi.
Non avresti dovuto...
... e Fabiano smette.
Donatella entra in camera un po' incavolata. «Fabi! E' mezz'ora che ti chiamo, farai tard-»
Suo figlio ha gli occhi e la bocca aperti. Sembra sconvolto. E non sta respirando. Queste nozioni le attraversano il cervello in un istante. Si getta immediatamente al suo fianco: «FABIANO!» urla istericamente, scuotendolo. «FABI!» gli occhi le si riempiono di lacrime, la gola che improvvisamente non riesce più a produrre alcun suono.
Bianca li osserva dal davanzale della finestra. Guarda la madre urlare un'ultima volta il nome del figlio - un urlo lunghissimo e atroce -, guarda il padre entrare correndo, lo vede allontanarsi per chiamare l'ambulanza.
«Non avresti dovuto...» bisbiglia, stringendosi nelle ginocchia per non scoppiare a piangere, prima di sparire nel nulla.