Titolo: Era estate, pioveva
Fandom: Originale
Beta:
cialy_girlGenere: Introspettivo/Romantico
Rating: PG14
Parole: 1.457 (W)
Prompt: Era estate, pioveva @
Criticombola [
tabella]
Note: o_o
* La canzone "Funhouse" mi ha ispirato tantissimo per questo scritto.
Disclaimer: Mio.
Echoes knocking on locked doors
All the laughter from before
I'd rather live out on the street
Than in this haunted memory
Pink - Funhouse
Ci sono regole ferree che dominano questo Universo, leggi che in alcun modo possono essere trasgredite. Per questo un corpo con una massa inferiore ad un altro viene attratto dal secondo, per questo la Terra gira su se stessa e intorno al sole, per questo la luna non ci è ancora caduta addosso.
Ma la Natura se ne frega. Ha cominciato a fregarsene quando abbiamo smesso di adorarla e rispettarla, e i suoi scherzetti - scioglimento dei ghiacci, buco dell’ozono - sono la punizione che giornalmente ci infligge, il suo modo di dirci che sta male e che, per questo, starà male ogni essere vivente.
Ci sono delle regole, regole che hanno permesso agli animali di sopravvivere e, ad alcuni, di estinguersi. Poi una coccinella diventa rossa, il colore del pericolo, quando non è per nulla pericolosa, e questo infrange le regole, poi c’è un terremoto dove non sarebbe il caso, poi compaiono insetti che sembrano bastoncini, tigri che si confondo con il paesaggio circostante, gazzelle veloci come un fulmine, umani troppo furbi perché non sia considerata un’ingiustizia.
La cara Madre Natura regala bellezza, intelligenza e forza come caramelle, senza badare a chi se lo meriti e a chi no, infrangendo, nuovamente, altre regole - quella della compensazione, per dirne una, quella della morale, quella delle giustizia. E ancora, se ne frega.
Magari non ha cominciato quando noi abbiamo iniziato a fare gli stronzi, magari lo è sempre stata un po’ così. Ci avrà sottovalutato, ritenendoci dei figliocci venuti anche abbastanza male, con quei modi goffi e la nostra fissa di stare retti sulla schiena. Non credo si sia commossa quando ci ha visto fare i primi passi, però si è certamente incazzata di brutto quando abbiamo sganciato le bombe su Hiroshima. Siamo i suoi figli, ma è probabile che non le piacciamo un granchè. È probabile che stia aspettando con ansia il momento in cui ci estingueremo, in cui le lasceremo campo libero per dedicarsi al resto della sua prole. Siamo il Caino della situazione, e per questo la pagheremo cara.
La Natura se ne frega, è sempre stato così. Le stagioni per lei vogliono dire ben poco, il fatto che per anni ci abitui alle estati calde e agli inverni freddi non significa nulla; se vuole può tranquillamente ribaltare tutto, a suo capriccio. Ha un umorismo tutto suo, Madre Natura. Per questo a volte, d’estate, piove.
Era estate, pioveva, semplicemente perché si potesse sottolineare l’ingiustizia di quell’avvenimento con un’altra ingiustizia. Sembrava arrivato il tanto atteso Diluvio Universale; non era una pioggia simpatica o estiva, una di quelle sottili che senti appena sulla pelle, una di quelle che puoi sopportare, che sembrano anche legittime, d’estate.
Era un temporale invernale, il cielo scuro non permetteva di vedere nulla e i tuoni facevano sobbalzare per lo spavento. Era tutto sbagliato, era tutto ingiusto.
Lui aveva urlato per ogni secondo, mentre guardavo fuori dalla finestra. Lui aveva scaraventato la nostra foto sul muro, rotto il vaso, gettato a terra il quadro, mentre io guardavo fuori dalla finestra. Lui aveva pianto, mentre io gli voltavo le spalle, lui mi aveva supplicato, mentre io lo ignoravo.
Alla fine si arrese, lo vidi nel riflesso portarsi le mani sui capelli in quel modo disperato. Faceva così solo quando si sentiva sconfitto e deluso. I suoi passi risuonarono per tutta la casa mentre prendeva le valige, le riempiva sbattendo dentro abiti a caso, usciva di fretta dalla porta quasi spaventato al pensiero di cambiare idea. Non mi salutò né disse qualcosa. Sentii i suoi passi sul pianerottolo, ma solo quando vidi con chiarezza le luci dell’auto uscire dal cancello scoppiai a piangere.
C’è qualcosa di sbagliato, nei temporali estivi. Sono spaventosi e non ti lasciano dormire bene. Ti avvolgi nelle coperte ma non è mai abbastanza e, se non c’è un’altra persona in casa con te, la paura raddoppia. Non c’era nessuno in casa con me, e non ci sarebbe stato mai più. Avrei dovuto abituarmi ai temporali di qualunque tipo, alla solitudine e al terrore.
Tornò per recuperare il resto dei suoi oggetti quando io ero a lavoro. Trovai la casa spoglia e un biglietto sul frigo. Si scusava, ma non riusciva ad affrontarmi nuovamente. Lo capivo: nemmeno io sono mai riuscita ad affrontarmi. Camminai per le stanze cercando di riconoscere le mancanze, come fosse un gioco. La foto di noi l’aveva messa su un tavolino, dopo aver pulito i vetri che io avevo lasciato per terra. I suoi cassetti erano vuoti, così il suo armadio. Si era preso il profumo e il dopobarba, ma erano rimasti nell’aria che io respiravo. La prova della sua assenza erano soprattutto i vasi, vuoti. Mi regalava sempre dei fiori, tanto da farmi credere che piacessero più a lui che a me. Ma lo adoravo anche per questo, perché rendeva l’ambiente allegro con quei fiori e quel sorriso. Invece ora le piante erano appassite e lui le aveva buttati via, lasciando i vasi vuoti e l’atmosfera grigia. Avrei potuto comprarmeli da me, eppure mi sembrava una cosa vile e inappropriata. Era un suo diritto e dovere, un qualcosa che lui amava fare per rendermi felice: acquistarli da sola era come fargli un torto.
D’altra parte, anche lasciarci era stato come farci un torto.
Buttai via tutti i vasi e nascosi le fotografie in una piccola scatola di legno, aprii ogni finestra per cacciare via il suo profumo, cambia lenzuola e posizione dei mobili. Ne comprai di nuovi, ne buttai di vecchi, stravolsi casa nostra che divenne casa mia.
Non bastò questo a farmelo dimenticare, non bastò questo a ridarmi il sorriso.
Ci siamo lasciati a giugno in una serata di pioggia, e oggi l’ho rivisto passeggiare per le strade della nostra città con la mano sul fianco di un’altra donna - ragazza, così più giovane e più bella di me. È una sera di agosto, piove, io sono sotto casa sua con quella pistola che avrei preferito non comprare ma per cui lui aveva insistito tanto - viviamo in un brutto mondo, aveva detto, e aveva ragione, viviamo in un mondo senza regole.
Piove e il rumore dei tuoni mi spaventa, lo ha sempre fatto. Esco senza ombrelli, con la maglietta e il pantalone di questo pomeriggio, gli indumenti che indossavo quando li ho visti, quando li ho seguiti. Mi dirigo con lentezza verso il palazzo, il portone è aperto, ed è un’altra regola infranta. Ma questa deve essere una notte priva di regole, a quanto pare. Lo sono tutte dall’istante in cui se n’è andato.
Lascio gocce sulla scala camminando, controllo ogni nome sotto i campanelli nella speranza di notare il suo o di non riuscire a scorgerlo. Invece lo trovo al secondo piano e mi blocco davanti a quella porta che non mi appartiene, di cui non so assolutamente nulla. Sono ancora in tempo per andare via, per ritornare al mio personale Universo fatto di leggi precise e sempre rispettate, sono in tempo per lasciarmi tutto alle spalle, per provare a dimenticarlo o a fingere che non sia mai successo. Ma quella porta è crudele e mi nasconde qualcosa di cui non so nulla: c’è un appartamento, lì dentro, che io non ho mai visto, ci sono mobili e ricordi che non mi appartengono, divani che non abbiamo scelto insieme e un letto su cui non abbiamo fatto l’amore, persone che sono entrare e che io non conosco. Lì dentro c’è una vita in cui io non c’entro niente, mentre sono costretta a vivere nelle mura impregnate di lui. Vorrei fare uno scambio, vorrei potergli restituire la casa per riavere il mio cuore, ma immagino che, anche volendo, non sarebbe possibile.
La mia mano decide per me, bussa alla porta maledetta ben tre volte, poi torna dritta lungo i fianchi come l’altra, quella che tiene la pistola. Sento una risata e sento i suoi passi - è così strano e familiare sentirli che ho i brividi, di freddo e di paura. Apre la porta e lo stupore sul suo volto è palese. Non nota la pistola: fissa solo i miei occhi e quando la sua bocca si apre è solo il sollievo ad essere presente nel tono.
«Sei tornata.» dice, quasi stesse ringraziando qualche dio benevolo. Non aspetta una mia reazione - anche perché io non saprei come reagire -, mi stringe forte e a lungo; io lascio cadere la pistola sul pavimento e piango sulla sua spalla. Quando si stacca mi bacia dolcemente, mi invita ad entrare e caccia via la ragazza di oggi pomeriggio.
Ho finito di fare il bagno e, avvolta nel suo accappatoio, mi accoccolo tra le sue braccia sul divano. Cominciamo a parlare con calma, mentre fuori Madre Natura scatena il Diluvio Universale in scala ridotta, tentando di spaventarmi a morte.
Ma io me ne frego.
Note: LO SOOOHHH O__O SONO SCONVOLTA QUANTO VOI!!! NON LI UCCIDE!!! FINISCE BENE!!! é_è ma è colpa di quell'uomo che l'ama e che ha visto solo lei e non la pistola e mica ci sperava che quella tornava da lui e... *delirio*
Mi sto rammollendo. Ecco.