Non era servito. Né lavarsi la faccia con l’acqua gelida, appena arrivato, né farsi due ore dopo una doccia, altrettanto gelida, né uscire a correre così, dal nulla, praticamente in pigiama, con le guance ancora infiammate e un unico pensiero martellante in testa: che cos’ho fatto, che cos’ho fatto, che cos’ho fatto. Ho ringraziato un amico, si rispose mentalmente, sotto le coperte, nel buio della stanza, cercando di essere razionale, una persona che mi è sempre stata vicina, che c’era prima che gli altri ci fossero, che c’era anche quando gli altri non c’erano, che ci sarà sempre e che adesso nello specifico è qui, a un metro da me. Haruka sospirò. Quando era rientrato Makoto era ancora sveglio, lo stava aspettando. Non ne avevano parlato, però, non aveva detto niente, solo «ora sei più calmo?» riferendosi - sperava - al nervosismo per la gara, quello a cui stava imputando praticamente tutte le colpe, quella sera, e lui aveva soltanto detto «mh», ficcandosi ancora sotto la doccia e strofinandosi la pelle con la spugna usando tutte le sue forze, dicendosi che poteva anche grattarsela di dosso, quella cosa, ma strisciava sopra di lui calda come una lingua, umida e lenta, insistente. Una lingua in particolare, molto precisa, della quale si scoprì a immaginare la trama, il sapore, la sensazione che gli avrebbe dato sulla gola, sugli addominali, lungo tutta la spina dorsale. Aveva permesso alla mano di scivolare in basso, ma non di toccarsi, no, l’aveva allontanata di scatto, convinto che anche solo quel gesto, quell’unico gesto privato, avrebbe cambiato per sempre qualcosa. Non che non si fosse mai masturbato pensando a Makoto. Succedeva spesso, in verità, da quando era entrato in pubertà o forse persino prima, quando ancora si sfregava inquieto sulle superfici senza sapere perché, né che cosa inseguisse. La vaga idea di Makoto era sempre con lui, in quei momenti. Adesso era più consapevole, ma innocuo. Non pensava solo a Makoto. Pensava anche a Rin, e soprattutto a Makoto e Rin, insieme tra loro, o insieme con lui. Ma era solo quello, masturbazione. Tutti si masturbano, e se avesse scoperto che anche Makoto pensava a lui, ogni tanto, lo avrebbe forse un po’ incuriosito (cosa immaginava di fargli?, in quali situazioni, e quali erano le sue reazioni? Coincidevano con quelle che Haruka avrebbe davvero avuto? Considerando la conoscenza che Makoto aveva di lui, probabilmente sì), ma non stupito. Però era diverso, ora, non poteva farlo, nient’altro. Non con lui nella stanza accanto, non dopo avergli detto quelle cose. Poche parole semplicissime, innocenti, che però la sua reazione - se ne rendeva conto - aveva svelato come qualcos’altro, il tentativo a lui stesso sconosciuto e sorprendete di dirgli dell’altro, molto altro. Adesso si pentiva amaramente di essersi fermato.
Non riusciva a calmarsi, figuriamoci a dormire. Sentiva la vicinanza di Makoto avvolgerlo come lo avrebbero avvolto le sue braccia, con una stretta uguale a quella della sua mano, forte, e salda, rassicurante, ma alla quale era impossibile sottrarsi - perché lui non lo lasciava farlo, perché Haruka non lo voleva. Perché quando gli prendeva la mano, Haruka sapeva che poteva abbandonarsi a lui. Che Makoto non l’avrebbe lasciato cadere. E immaginò che quel momento si allungasse, che si dilatasse all’infinito, riempiendo la stanza come acqua, che lo sommergesse. Immaginò che lui lo circondasse, lo inglobasse, che gli fosse dentro, tutto attorno. Voleva che Makoto lo scopasse. Forte, e a lungo, guardandolo in faccia, studiando la sua espressione come faceva sempre, per cogliere i suoi desideri e tacitamente assecondarli, come faceva sempre. Aprire le gambe per lasciare spazio ai suoi fianchi, accoglierlo in sé generando un incastro, le cosce tese, le mani aperte sui muscoli della sua schiena, i dianti piantati nelle sue spalle, sentirlo sussultare, lamentarsi che gli sta facendo male però a voce bassa, sussurrando, sorridendo - un sorriso come quello sull’isola, Haruka ancora se lo ricorda - e sarebbe implacabile come un’onda, possente come le sue bracciate, ma sempre lo stesso Makoto, dolcissimo, paziente, concentrato su di lui, sul suo piacere, che sussurrerebbe «Haru» per tutto il tempo - «sei caldo, Haru», «è così bello, Haru», «stai godendo, Haru?». Haruka era rimasto sdraiato sul fianco, ma con la manica della maglietta in bocca, la faccia premuta contro il cuscino. Voleva accarezzarsi, solo questo, ma si stava masturbando. Nel letto a fianco a quello di Makoto, la notte prima di una gara importante, poche ore dopo essere letteralmente scappato da lui. Voleva andare in bagno, almeno, ma lui si sarebbe di certo svegliato, e allora avrebbe sentito tutto, lo avrebbe aspettato, avrebbe…no, la verità era un’altra. La verità era che Haruka in realtà sperava - perché ci sperava, perché non ammetterlo, adesso? - che lui lo sentisse, che si alzasse dal letto, che scostasse le coperte e senza dire niente sostituisse la sua mano. Aderendo a lui con tutto il corpo, respirandogli sul collo, sfregandogli il suo sesso eretto contro il sedere. Haruka venne con un singhiozzo strozzato, soffocato nel cuscino, nella manica sbavata della maglia. Rimase così, ansimante, spaventato dal silenzio perché amplificava ogni suono. Almeno gli stava venendo sonno, anche se prima avrebbe dovuto pulirsi. Non che gli andasse. I suoi pensieri, invece, scivolarono nella calma che segue l’orgasmo, ma non lo lasciarono; immaginò ancora Makoto che lo stringeva, che respirava con lui, che dolcemente premeva le labbra sui suoi capelli. Allora, forse, Haruka avrebbe capito che cosa voleva davvero dirgli. Non sapeva quanto tempo fosse passato, né se si fosse effettivamente addormentato, con la mano ancora nelle mutande e - eew, cattiva idea - il seme che si era in parte seccato sulle dita. Pensò che ora doveva per forza andare a lavarsi, ma quando si decise a girarsi vide che Makoto non era nel letto accanto, e che la luce del bagno era accesa. Gli scappò un sorriso, e velocemente scivolò di nuovo nel sonno.
Io boh, amo la caratterizzazione e la bellezza di tutto questo e piango perché la KyoAni ha censurato questa scena (che io sono sicura Utsumi-san abbia girato di nascosto <3)
Haru, mannaggia a te, la bocca si usa per parlare, non solo per... INSOMMA, SE TU AVESSI PARLATO, Makoto ti avrebbe fatto roba che avresti zoppicato per un mese. E nulla, tutto ciò è bellissimo, anche se mi fa star male <3
Adesso si pentiva amaramente di essersi fermato.
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Voleva che Makoto lo scopasse.
Forte, e a lungo, guardandolo in faccia, studiando la sua espressione come faceva sempre, per cogliere i suoi desideri e tacitamente assecondarli, come faceva sempre. Aprire le gambe per lasciare spazio ai suoi fianchi, accoglierlo in sé generando un incastro, le cosce tese, le mani aperte sui muscoli della sua schiena, i dianti piantati nelle sue spalle, sentirlo sussultare, lamentarsi che gli sta facendo male però a voce bassa, sussurrando, sorridendo - un sorriso come quello sull’isola, Haruka ancora se lo ricorda - e sarebbe implacabile come un’onda, possente come le sue bracciate, ma sempre lo stesso Makoto, dolcissimo, paziente, concentrato su di lui, sul suo piacere, che sussurrerebbe «Haru» per tutto il tempo - «sei caldo, Haru», «è così bello, Haru», «stai godendo, Haru?».
Haruka era rimasto sdraiato sul fianco, ma con la manica della maglietta in bocca, la faccia premuta contro il cuscino. Voleva accarezzarsi, solo questo, ma si stava masturbando. Nel letto a fianco a quello di Makoto, la notte prima di una gara importante, poche ore dopo essere letteralmente scappato da lui. Voleva andare in bagno, almeno, ma lui si sarebbe di certo svegliato, e allora avrebbe sentito tutto, lo avrebbe aspettato, avrebbe…no, la verità era un’altra. La verità era che Haruka in realtà sperava - perché ci sperava, perché non ammetterlo, adesso? - che lui lo sentisse, che si alzasse dal letto, che scostasse le coperte e senza dire niente sostituisse la sua mano. Aderendo a lui con tutto il corpo, respirandogli sul collo, sfregandogli il suo sesso eretto contro il sedere.
Haruka venne con un singhiozzo strozzato, soffocato nel cuscino, nella manica sbavata della maglia. Rimase così, ansimante, spaventato dal silenzio perché amplificava ogni suono. Almeno gli stava venendo sonno, anche se prima avrebbe dovuto pulirsi. Non che gli andasse. I suoi pensieri, invece, scivolarono nella calma che segue l’orgasmo, ma non lo lasciarono; immaginò ancora Makoto che lo stringeva, che respirava con lui, che dolcemente premeva le labbra sui suoi capelli.
Allora, forse, Haruka avrebbe capito che cosa voleva davvero dirgli.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, né se si fosse effettivamente addormentato, con la mano ancora nelle mutande e - eew, cattiva idea - il seme che si era in parte seccato sulle dita. Pensò che ora doveva per forza andare a lavarsi, ma quando si decise a girarsi vide che Makoto non era nel letto accanto, e che la luce del bagno era accesa. Gli scappò un sorriso, e velocemente scivolò di nuovo nel sonno.
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Ti amo ;_; #feels
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E nulla, tutto ciò è bellissimo, anche se mi fa star male <3
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