Chi: Nathan, Peter
Dove: Casa Petrelli
Cosa: Peter è tornato dal suo "ritiro" per impare a dominare i propri poteri, Natale è alle porte e Nathan non è cambiato di una virgola.
Quando: Lunedì 24 Dicembre 2007. Tarda mattinata. Pomeriggio. Sera. Notte.
Stato:
Finito (
La prima lezione che Nathan Petrelli avesse mai appreso nella sua vita di adulto era che i panni sporchi si lavano in famiglia )
Dopotutto, Peter aveva appena sei anni, allora, e anche se quella finale era stata la prima partita di baseball che lui avesse mai visto (e l'ultima...chissà perchè, eh?), non gli era rimasta impressa. Non per il gioco in sè, almeno.
Vinta la coppa delle World's Series (e se solo Peter, oggi, avesse potuto fidarsi dei suoi ricordi, avrebbe detto che Nathan era sull'orlo delle lacrime), qualche giocatore degli New York Mets si era fermato a lasciare autografi, e Nate era riuscito ad ottenere addirittura un autografo di *Wilson* sulla sua pallina, e Peter davvero non capiva. Insomma, anche lui sapeva scrivere il suo nome (a volte mancava una L, ma "Peter" già lo scriveva tutto giusto), che c'era di speciale?
Ma l'entusiasmo del fratello l'aveva trascinato, e l'idea di stringere la pallina-trofeo si faceva più affascinante ogni momento, mentre uscivano dallo stadio con gli altri tifosi.
Non ricordava come aveva chiesto a Nathan il prezioso cimelio, ma dopo solo qualche raccomandazione (l'emozione doveva aver offuscato lo spirito fin troppo responsabile di Nathan, fatto più unico che raro) la pallina era tra le sue mani.
Per esaminarla meglio, Peter aveva smesso di camminare e se l'era rigirata bene tra le mani, cercando quel qualcosa di speciale che la pallina doveva avere.
Dopo qualche secondo, alzò lo sguardo e Nathan non c'era più.
C'era, però, un'uomo, più grande di Nathan, con una lunga giacca con molte tasche piene di roba, capelli disordinati e un po' di barba.
"Ciao, Peter." gli disse l'uomo, sorridendo.
"Ciao. Sei un parente?" chiese Peter, guardandolo con attenzione. Nathan una volta aveva detto che, se uno sconosciuto sapeva il suo nome, o era un parente, o un, un...malinpensionato. E che in entrambi i casi, Peter doveva scappare. Peter non aveva capito molto bene.
"Una specie," rispose l'uomo, ridacchiando. Poi continuò:
"Senti, Peter, è molto importante che tu mi dia quella pallina, ora. E' importante per Nathan e per me-te...per noi. A lui non devi dirlo, però. Okay?"
Nathan diceva anche che lui era imprudente, sempre, e Peter credeva di sapere cosa significava, ma Peter sentiva di potersi fidare di quell'uomo. Pronunciava il nome di Nathan come la gente che lo conosceva bene. Quindi, Peter gli diede la pallina.
L'uomo ringraziò, sorrise e scomparve. Poco dopo Nathan riapparve, sull'orlo di un infarto, e Peter gli disse che gli dispiaceva di aver perso la pallina, ma l'uomo aveva detto di non dirlo e che era importante.
A Peter (quello di oggi, ventisei anni) l'idea di tornare indietro nel tempo era venuta mentre ripensava agli Heroes conosciuti finora, nel periodo in cui si era esercitato ad 'esplorare le sue potenzialità' - così era segnato sul programma. Aveva dovuto essere molto cauto, e fare parecchie prove generali, prima di essere in grado di arrivare nel posto giusto al momento giusto. Ma ne era valsa la pena.
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Alzò lo sguardo, le labbra semiaperte per lo stupore, poi richiuse la bocca e serrò la mascella. Corrugò la fronte, serio. "Tu. Eri tu il pedofilo."
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Riusciva a malapena a parlare, scosso dalle risate incontrollate. "T-tu davvero pensavi...perchè ho detto che..."
Riuscì a calmarsi e ad asciugarsi gli occhi dopo un minuto. O due. Durante i quali Nathan era rimasto fermo e serio davanti a lui. Peter, ancora sorridendo, gli mise una mano sulla spalla e recuperando una sorta di compostezza disse: "Mi dispiace averti fatto preoccupare così tanto."
Guardò suo fratello negli occhi, e aggiunse un "Davvero.", anche se il sorriso ancora non era scomparso.
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Non era arrabbiato, non davvero, ma quella era stata la prima volta in cui si era veramente reso conto che Peter non poteva essere lasciato solo, e il pensiero non era stato piacevole. E' vero, era solo un bambino, ma dopo più di vent'anni la regola continuava a sembrare valida. E, come sempre, Nathan non sapeva cosa pensare in proposito.
Alzò di nuovo lo sguardo. Peter aveva l'aria vagamente ferita. Gli appoggiò una mano sulla guancia, abbozzando un sorriso. "Apri il tuo regalo."
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Guardò il pacchetto nelle sue mani, simmetrico ed elegante (nulla a che vedere col suo pacchetto di carta da riciclo) e lottò con il nastro per qualche secondo, per poi aprire il cofanetto. Ne tirò fuori un rolex così dorato da abbagliare - e anche se Peter non era sicuro del prezzo, sapeva che era più di quanto lui avesse mai guadagnato, nella sua passata carriera d'infermiere.
"Wow, Nate, è stupendo."
Abbracciò il fratello, sorridendo, poi voltò leggermente il viso e gli sussurrò nell'orecchio: "Grazie."
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"Permetti?"
Esitò un istante, incerto su quale fosse il polso giusto, poi ricordò che comunque Peter portava raramente l'orologio. Bene, un'ottima ragione per cominciare. Forse sarebbe riuscito ad arrivare in orario almeno una volta, da questo momento in poi (anche se Nathan aveva ragione di credere che l'avrebbe piuttosto perso o che se lo sarebbe fatto rubare in metropolitana). Gli infilò l'orologio al polso sinistro, ignorando il proprio riflesso nel vetro lucido del quadrante, poi gli voltò la mano con il palmo verso l'alto per richiuderlo. Quando gli sfiorò inavvertitamente la piccola vena blu del polso con un'unghia, si immaginò che Peter sussultasse lievemente.
Gli girò nuovamente la mano. Gli stava un po' lento, ma non sarebbe caduto. In perfetto orario, il Rolex d'oro di Peter Petrelli segnava le undici e cinque minuti.
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Peter sentì un tocco leggero sulla pelle sensibile del polso e si dimenticò a cosa stava pensando, esattamente. Chiuse gli occhi un istante, poi guardò Nathan, che aveva ancora gli occhi sull'orologio.
"Dovremmo tornare a cena." disse Peter, senza controllare l'ora.
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Tentò di ricominciare da capo, senza guardarlo negli occhi. "Le cose non sono cambiate molto da un anno fa. Voglio dire..."
Proprio allora qualcuno decise di bussare alla porta, e il momento sfumò. Nathan sospirò, rigirandosi la pallina da baseball nella mano libera, mentre l'altra stava appoggiata sullo schienale del divano dietro la schiena di Peter.
"Avanti."
La porta si aprì con una curiosa lentezza, e il faccino di Monty, accigliato, fece capolino nella stanza. "Ciao, papà. Ciao, zio Peter. Posso... posso stare qui con voi per un po'?" domandò, aggrappato alla maniglia della porta, con lo sguardo fisso a terra e i piedi che continuavano ad accavallarsi nervosamente.
Nathan corrugò leggermente la fronte, poi sorrise. "Chiudi la porta e sei dei nostri."
Monty si illuminò in viso e richiuse diligentemente la porta prima di raggiungerli e arrampicarsi sul divano in mezzo a loro. "La zia continuava a farmi così" borbottò, afferrandosi le guance con le mani e stirandole di lato più che poté.
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"Non dovresti chiamare Simon per difenderti da - era zia May, vero? - da grosse rane velenose e mostri simili?"
Peter non aveva mai avuto bisogno di chiamare Nathan, perchè lui arrivasse a portarlo via da zie eccessivamente affettuose (tra le quali c'era già Zia May - quanto era vecchia, esattamente?)
Gli ci erano voluti anni per convincersi che no, la sua faccia non si sarebbe allargata a forza di buffetti. Ma era ancora convinto che fosse una tortura alla quale nessun bambino avrebbe dovuto essere sottoposto, specialmente se c'era in giro un fratello maggiore con dolorosa esperienza in proposito.
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Monty andò con gli occhi da Peter a Nathan e poi strinse le braccia al petto, sporgendo in fuori il labbro inferiore. "Io e Simon siamo bisticciati" borbottò, con una vocina compassata, seria seria. "E' cattivo. Lo odio."
"Ehi, ehi" replicò Nathan, sollevandogli il mento per farsi guardare in faccia. "Che cos'è questo tono? Chi te le insegna queste parole?"
Monty strinse il labbro inferiore tra i denti, tremante, senza rispondere.
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"Monty, cos'ha fatto Simon di cattivo?" si chinò per mettersi al livello del nipote, e aggiunse con tono cospiratorio "Non si è comportato da fratello maggiore? Non ha creduto a qualcosa che hai detto? Ti ha dato del pazzo e ti ha detto di buttarti dal Ponte di Brooklyn?"
Si rendeva più o meno conto che erano possibilità remote di litigio tra un bambino di sette e uno di cinque anni, ma la faccia che faceva Nathan ne valeva comunque la pena.
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Nathan evitò con decisione di incrociare lo sguardo del fratello. "Monty, rispondi alla domanda."
Il bambinò sospirò, infelice. "Ha detto che... che Babbo Natale non esiste" spiegò, a voce bassa.
"Sì, e tu gli hai risposto che lo sapevi già" ribatté Nathan, perplesso. "La storia della carta di credito. Gliel'hai detto stamattina."
Monty borbottò qualcosa di inintelligibile.
"Monty? Non ho capito."
"Non è vero!" esclamò il bambino. "Non è vero che non esiste! Gliel'ho detto apposta. Babbo Natale sa fare tutto, ha la cartadicredito più grossa dell'universo. Vero? Vero, zio Pete? Vero?" E accompagnò ogni "Vero?" con un deciso strattone alla cravatta da femminucce di Peter.
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Peter sospirò - il dolore che provava era fisico. Non poteva certo spezzare il cuore di un bambino di cinque anni, che lo stava guardando con gli occhioni spalancati, blu come quelli di Heidi. Ma non poteva neanche mentire, perchè mentire a un bambino di cinque anni, che lo stava guardando con gli occhioni blu spalancati, era sbagliato.
Perchè? Perchè? La cravatta rosa non era una sofferenza sufficiente?
Poi vide la sua via d'uscita.
"Vedi, Monty...purtroppo Babbo Natale non è ricco quanto credi. La carta di credito è di Papà. Babbo Natale vive in Lapponia, e dato che non è magico, non ha i soldi per fare regali a tutti i bambini americani, quindi lascia che i bambini con i genitori ricchi si lascino comprare i regali da loro. E' solo un essere umano che a Natale, se dei bambini lapponi gli scrivono, manda dei regali. E' tutto vero, puoi controllare su - su Wikipedia."
Ed era vero, e Peter si ringraziò da solo per aver ascoltato ogni singolo aneddoto che i suoi pazienti gli avessero raccontato, nella sua passata carriera.
Se lui fosse stato Monty, sarebbe rimasto traumatizzato lo stesso, ma Monty era figlio di Nathan e Heidi - questo doveva pur significare qualcosa.
Guardò il bambino, abbozzando un sorriso e sperando in una reazione positiva.
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Monty sgranò ancora di più gli occhi azzurri e sembrò che il suo cuoricino di bambino di cinque anni stesse per frantumarsi in mille minuscoli pezzettini. "Ma... ma... se non è magico..."
Nathan pensò che non lo si poteva biasimare. Un Babbo Natale senza renne volanti né carta di credito era una cosa un po' triste in cui credere.
"Non è che non sia magico" replicò, indirizzando un'occhiataccia a Peter e attirandosi gli occhioni da cucciolo di Monty su di sé. "E' che... praticamente... a volte le carte di credito si scaricano. Come le batterie. E siccome Babbo Natale prepara sempre prima i regali per i bambini meno fortunati... a volte capita che la carta di credito si scarichi prima del previsto, e allora i genitori dei bambini ricchi... come te... ricevono una telefonata da Babbo Natale..." Finse di accostare un telefono all'orecchio. "Pronto, parlo con Nathan Petrelli? Sì, sono io, chi parla? Sono Babbo Natale. Ah, salve signor Babbo Natale, cosa posso fare per lei? Ecco, guardi, mi si è scaricata la carta di credito, non posso portare i regali ai suoi figli. Come non può portare i regali ai miei figli? Eccetera eccetera. Allora tuo padre..."
Monty tirò su col naso, leggermente sospettoso ma rianimato. "Stamattina, quando non sei venuto a giocare con le costruzioni, eri al telefono con Babbo Natale?" domandò, studiandolo con uno sguardo che a Nathan ricordò spaventosamente quello di Peter alla sua età.
"Esatto. Ma non devi dirlo a Simon. E' un segreto."
Monty annuì, serissimo. "Giurin giurello, mano sul cuore" recitò solennemente.
Nathan pensò che due Peter in una volta erano decisamente troppi per un uomo solo.
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Se era disposto a fare cose del genere per i suoi figli, non era un padre cattivo come pensava di essere (Peter non l'aveva assolutamente letto apposta: era capitato, tutto qui.)
Peter sorrise intenerito, e se fosse improvvisamente entrato un gattino nella stanza, avrebbe fatto davvero saltare in aria la casa, per eccesso di adorabilità raggiunta nella stanza.
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Il bambino annuì e saltò giù dal divano, puntando la porta.
"Dimenticato niente, Monty?"
Monty si voltò, pensoso. Poi si illuminò, contento di aver trovato la soluzione, si alzò sulle punte e posò un bacio sulla guancia del padre. Ripartì verso la porta, più deciso.
"Monty."
Stavolta il bambino si voltò con una piroetta e l'espressione decisamente perplessa. Nathan gli indicò Peter con un cenno del capo.
"Ciao, zio Peter" salutò il bambino, dando un bacio sulla guancia anche a lui. "Ciao, papà."
Nathan seguì il figlio con lo sguardo, poi, quando furono rimasti soli, scoccò a Peter un'occhiata intimatrice. "Tu non hai visto niente."
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