Chi: Nathan, Peter
Dove: Casa Petrelli
Cosa: Peter è tornato dal suo "ritiro" per impare a dominare i propri poteri, Natale è alle porte e Nathan non è cambiato di una virgola.
Quando: Lunedì 24 Dicembre 2007. Tarda mattinata. Pomeriggio. Sera. Notte.
Stato:
Finito (
La prima lezione che Nathan Petrelli avesse mai appreso nella sua vita di adulto era che i panni sporchi si lavano in famiglia )
Peter levitava di fronte alla sua finestra chiusa (era pure dicembre, perdio) in una decisa imitazione del suo omonimo col flauto e la calzamaglia verde. (Poi il pensiero di Peter come Peter Pan ne richiamò un altro, decisamente più imbarazzante, che Nathan si affrettò a cancellare dalla mente prima che potesse salire a colorirgli le guance.)
Aprì la finestra in tutta fretta. "Entra, svelto" gli disse, un po' più brusco di quanto avesse voluto. "Che diavolo ti è saltato in mente? Ci sono più di venti persone là sotto!"
Dio, Peter. Non era neppure tornato e già gli creava problemi. Roteò mentalmente gli occhi al cielo mentre si affacciava dalla finestra per controllare che nessuno stesse urlando in preda al panico. Sembrava di no.
Chissà perché neanche tre minuti prima stava pensando a quanto Peter gli fosse mancato. Sembrava un pensiero molto stupido, adesso che Peter era lì e tutto era esattamente come prima: semplicemente imbarazzante.
Da quanto non lo vedeva, comunque? No, non aveva contato i giorni. Be', comunque non le ore.
Sospirò profondamente e si voltò verso di lui.
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Scrollò le spalle, quindi toccò Nathan sulla spalla, e strinse. "Oh, non mi ha visto nessuno. Superiamo la velocità del suono, ricordi?"
Mormorò il nome di Nathan più per sè stesso che per il fratello, e l'abbracciò: non l'abbracciava così da quella volta sul tetto. Non c'era bisogno di dirgli che gli era mancato: anche senza leggergli la mente, Nathan l'avrebbe capito. Capiva sempre.
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Le spalle di Peter sembravano più larghe, le braccia più forti - il fisico, nel complesso, più asciutto e allenato. Abbracciarlo adesso gli dava sensazioni diverse. Peter era stato un bambino pelle e ossa dagli occhi troppo grandi, e nel corso degli anni era rimasto sempre troppo magro per i canoni salutistici di Nathan Petrelli. O forse semplicemente portava vestiti troppo larghi, perché non sapeva scegliere le taglie. Ripensò a quando l'aveva accompagnato a comprare il completo da cerimonia per il suo matrimonio con Heidi. Probabilmente era così.
Sollevò una mano dalla schiena di Peter e gliel'appoggiò sulla nuca, strofinandogli il pollice contro la guancia non rasata. Un giorno o forse due. (Nota mentale: barbiere.) Lo guardò in faccia. I capelli erano impresentabili, ma lo erano sempre. (Barbiere e parrucchiere.) Nessuna cicatrice visibile, specie nessuno sfregio diagonale da parte a parte del viso. Bene. Una bugia in meno da rifilare agli ospiti.
Soddisfatto dell'ispezione, sollevò l'indice della mano destra in un gesto ammonitore. "Te lo dirò una volta sola, Peter. Stai fuori dalla mia testa."
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Non lo faceva neanche apposta, davvero. Non poteva scegliere cosa leggere e cosa no.
...Be', Parkman non era lì per smentirlo, in ogni caso.
"Giurin giurello, mano sul cuore", recitò solennemente, staccandosi da Nathan solo quel poco che bastava a mettersi davvero la mano sul cuore. L'altra restava saldamente ancorata alla spalla del fratello. Non che ce ne fosse davvero motivo - non era caduta dalla bicicletta nuova, non stava volando quindici metri da terra o qualcosa del genere - ma non aveva mai avuto bisogno di un motivo per aggrapparsi a Nathan.
"Allora, che c'è di nuovo?"
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Si spostò di lato, versandosi un altro po' di scotch nel bicchiere. "Qui tra i comuni mortali? Niente di nuovo. Simon ha detto a Monty che Babbo Natale non esiste e Monty gli ha risposto che lo sapeva già, perché Babbo Natale non può avere una carta di credito tanto grande." Sorrise. "Scotch?"
"Come procede il...", fece un gesto vago, non sapendo come definirlo, "sì, insomma, l'addestramento? Ti hanno dato la libera uscita per Natale o sei scappato dal bunker sciogliendo i muri con lo sguardo laser?"
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"Almeno non è rimasto traumatizzato. Dopo la notizia, quanti giorni sono rimasto in camera mia senza mangiare, prima che tu mi tirassi fuori?" Bevve un sorso di scotch, ricordandosi l'aspetto di Nathan ventenne attraverso il velo delle lacrime: sguardo pieno di logica persuasione, consolatorio. Già da allora, avrebbero dovuto capire che era destinato a diventare un politico.
Scosse la testa leggermente alla domanda.
"Sono qui, Nathan. Per restare. Voglio dire, tra qualche giorno posso tornare nel mio appartamento, ma" accennò il suo mezzo sorriso, allargando un po' le braccia ad indicare la casa, la festa incombente, la famiglia "è la Vigilia."
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Qualunque cosa gli avesse fatto l'addestramento, doveva aver superato ogni aspettativa se il risultato era questo.
La differenza tra un sorriso e un sorriso, sulla faccia di Nathan Petrelli, era questione di millimetri, minuscoli movimenti di minuscoli muscoli facciali che trascinavano con sé minuscole rughette d'espressione.
Un sorriso era quello che per mesi, ogni mattina, aveva salutato New York dai manifesti e i volantini Vote Petrelli.
"E' fantastico, Pete. Davvero. Non me l'aspettavo." Ecco, questo invece era un sorriso. "Okay, allora dobbiamo mandarti subito a fare barba e capelli e a comprarti qualcosa di decente per stasera" attaccò, la cornetta del telefono già incastrata tra l'orecchio e la spalla. "Possibilmente prima che ti veda Mamma. E la tua stanza è rimasta uguale a... quando è stato? All'ultima volta. Ci sono ancora le sbarre al lettino."
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L'avrebbe abbracciato di nuovo, se non fosse che lo stava minacciando. O almeno, le parole 'barba e capelli' sarebbero stati una seria minaccia per il Peter di uno o due anni fa.
Peter Petrelli, dall'età di cinque anni, era sempre stato l'unico bambino che temeva il parrucchiere come il dentista. Non per il dolore, ma per la noia infinita di stare seduto, e addirittura fermo, per più di dieci minuti. Il fatto che ora lui fosse capace di stare immobile per giorni, ma per istinto provasse ancora fastidio all'idea della tortura della sua infanzia, lo divertiva.
"Basta che mi lasci scegliere la cravatta", rispose ricambiando il sorriso. "Porto la mia roba in camera, saluto Mamma e vado a prepararmi."
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Riprese la cornetta e cominciò a spostare fogli e cartellette che ingombravano a valanghe la scrivania, alla ricerca dell'agenda telefonica. "Credo che Mamma sia in salotto, cercala lì. Ah, e... Peter?" soggiunse, alzando gli occhi come se avesse improvvisamente ricordato qualcosa. "L'unica volta che ti lascerò scegliere una cravatta sarà al mio funerale."
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"Non aspettarmi per pranzo. Ho già mangiato, e ho bisogno di una doccia. Ci vediamo dopo."
Con un ultimo sorrisetto, uscì dallo studio, quando gli tornò in mente qualcosa.
"Ah, comunque..." fece capolino sulla soglia "saresti una Wendy fantastica, Nate. Le ciglia giuste ce l'hai." ammiccò, e scomparve.
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