Chi: Nathan, Peter
Dove: Casa Petrelli
Cosa: Peter è tornato dal suo "ritiro" per impare a dominare i propri poteri, Natale è alle porte e Nathan non è cambiato di una virgola.
Quando: Lunedì 24 Dicembre 2007. Tarda mattinata. Pomeriggio. Sera. Notte.
Stato:
Finito (
La prima lezione che Nathan Petrelli avesse mai appreso nella sua vita di adulto era che i panni sporchi si lavano in famiglia )
"Ci metto un attimo. Resta."
Avrebbe dovuto rivalutare la questione del 'parlare prima di pensare', un giorno di questi. Ma non era mai stato bravo a rivalutare, e questo lo portava ad azioni che avevano come conseguenza un'aria diversa mentre si vestiva davanti a suo fratello, e non era assurdo? Non poteva essere sempre stato così.
Distolse lo sguardo, e si girò, cercando d'identificare un qualunque paio di boxer sul letto pieno di abiti stropicciati.
Inspirò profondamente, pensando - Dio, a cosa se non quello? - la stessa cosa che Nathan stava pensando (e non aveva bisogno nè voleva leggergli la mente per esserne certo.)
Si rese conto di stare evitando di pensare, come se qualcuno potesse leggere la mente a lui - il che non era troppo falso. Nathan gli aveva sempre letto tutto in faccia: si ringraziò per aver dato le spalle al fratello.
Con rapida efficacia, sciolse il nodo sul suo fianco sinistro e s'infilò un semplice paio di boxer neri di cotone.
Avrebbe quasi voluto tirare un sospiro di sollievo, mentre afferrava jeans e maglietta, e cominciava a mettersi questa mentre si rigirava verso Nathan.
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Ma il peggio erano le domande.
Sarebbe accaduto lo stesso se... Cosa sarebbe stato se il giorno dopo non avessero... E poi come avrebbero potuto continuare a vivere, se...
I cambiamenti non erano facili per Nathan. Peter era molto più adattabile, un piccolo insetto a sei zampe capace di resistere a un olocausto nucleare. Nathan era un grosso mammifero con un solo habitat possibile, che i cambiamenti troppo drastici portavano dritto all'estinzione.
Perciò continuò a guardare dall'altra parte e a pensare ad altro, ma in maniera più rassegnata, perché negare era inutile e ancora di più visto che in quel che era successo nessuno dei due aveva avuto veramente colpa. (Questo serviva sempre ad alleggerire il peso.)
"A giudicare da quanto ci hai messo, sospetto che non aveste docce là in mezzo al deserto."
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Peter si sentì vagamente esasperato dalla situazione, infilandosi i jeans e dicendosi che non poteva portare a galla l'argomento(perchè se Nathan se ne stava sbarazzando legandogli una pietra al collo, un motivo c'era.) E considerato che la colpa era di Peter? Forse era meglio lasciare l'argomento decomporsi sul fondo dell'oceano, senza farsi problemi.
"Se due litri di acqua insabbiata al giorno per te sono una doccia, sicuro. Sto cercando di rimuovere l'esperienza."
Di nuovo, non pensando prima di parlare, si rese conto solo dopo di non capire che cosa aveva esattamente detto. O meglio, di cosa stava parlando. Immaginava che per Nathan fosse più semplice, almeno per abitudine. Peter aveva bisogno di sbattere in faccia alle cose, non sapeva come comportarsi con... questo. L'aggirare, il non parlare, il fare tutto ciò per cui Peter aveva bollato la maggior parte dei suoi parenti come 'ipocriti' da quando aveva dodici anni.
Certo, aveva delle attenuanti per questo comportamento. Ma non significava che fosse facile.
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Il tono era una spaventosamente somigliante imitazione del materno "non hai idea di quanto sei stato fortunato", che a Nathan riusciva davvero bene solo quando non ci pensava troppo. Qualcosa a che fare col DNA e con l'inconscio, sospettava. (Sospettava anche che la storia della sua famiglia avrebbe fatto scoppiare il cuore di felicità a un redivivo Sigmund Freud.)
Non era una conversazione delle loro. Non perché non avessero passato una quantità infinita di tempo a parlare di cose prive d'importanza - l'avevano fatto - ma perché non avevano mai parlato di cose prive d'importanza per mascherare quelle che un'importanza l'avevano. Ed era una sensazione brutta, vischiosa e amara come il sapore del sangue in bocca. Era una cosa da Petrelli, nel senso peggiore. E Nathan non era così - almeno, non era così con Peter. Avrebbe dovuto alzarsi e andarsene e aspettare che la cosa si allontanasse, invece di cercare di tenere a bada la tigre con un tagliacarte.
Nondimeno rimase dov'era, ad arrovellarsi e aspettare che Peter facesse la sua parte nella pessima recita di famiglia.
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Guardò il fratello con quello che avrebbe dovuto essere il suo sguardo da mi sembra di sentire Mamma e invece era un confuso ammasso di non pensieri, che Peter avrebbe voluto non avere e sputar fuori allo stesso tempo.
Si sedette sul letto per indossare le sue scarpe da tennis (senza calzini, e se non fosse stato distratto dall'amarezza di non poter parlare di qualcosa con suo fratello, si sarebbe sorpreso del mancato rimprovero), non tanto vicino a Nathan quanto avrebbe fatto solitamente.
Allacciate le scarpe, dopo un momento tornò a guardare Nathan.
"Okay, sono pronto."
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"Andiamo."
Mentre attraversavano il corridoio e scendevano le scale, Nathan fece nota mentale dei posti in cui dovevano andare e del tempo che avrebbero speso in ognuno di essi, aggiungendo quello necessario per gli spostamenti e per tornare a casa. Probabilmente tre ore sarebbero state sufficienti, il che dava loro il tempo di prepararsi per la cena. Si massaggiò la radice del naso. Non erano ancora le quattro e già aveva mal di testa, e non c'era speranza che riuscisse ad andare a letto prima di altre dodici ore di sorrisi smaglianti.
Comunque, almeno Peter non era più rinchiuso in un bunker in mezzo a un fottuto deserto. Forse dopotutto c'erano speranze anche per la loro famiglia.
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