Titolo: La valvola
Fandom: Originale
Rating: PG
Conteggio parole: 880 (W)
Scritta per: Scrittura Creativa, Lezione I
L’uomo dagli occhi celesti si rigirò la fede intorno all’anulare, una volta e poi un’altra, nervosamente. Sulla faccia pallida e liscia come un verme aveva disegnato un sorriso isterico; le guance erano pallide anch’esse, salvo per due chiazze grosse come lividi, di un rosa acceso tendente al cremisi.
Attraversò l’intera stanza e appoggiò la mano sul tavolino di mogano, che scricchiolò leggermente. Sul tavolino, la bottiglia di brandy e i bicchieri tremarono aggrappati al loro vassoio come ostriche nella tempesta.
“Come hai potuto?” domandò. Sorrideva ancora, sorrideva sempre, perché non poteva farne a meno, e Sophie pensò non per la prima volta che era stanca di quel suo ghigno idiota.
Lasciò cadere un lembo del foglio d’istruzioni sulle gambe accavallate e consultò l’orologio.
“Io pensavo che tu mi amassi.”
“Donald, caro, stai solo rendendo le cose più difficili per tutti e due” gli disse Sophie, irritata dal suo vagare avanti e indietro per la stanza.
E intanto rileggeva il foglio ingiallito e si ripeteva: mai più senza referenze. Mai più. Semplicemente non sono affidabili. Mio padre aveva ragione.
“Ma perché?” domandò Donald, il sorriso agonizzante sulle labbra carnose, la voce che si alzava di tono ma senza mai superare il limite consentito dall’educazione. “Perché?”
“Donald, caro, siediti” disse Sophie distrattamente, giocherellando col piccolo crocifisso d’oro che le affondava tra i seni. “Mi fai venire il mal di testa.”
E intanto pensava alla bottega di Mr. Fittleworth e alla vaga eccitazione di scegliere un nuovo acquisto, presto, molto presto. Rigorosamente fatto a mano, stavolta. Niente più schifezze a basso costo dalla fogna delle colonie.
Il suono del campanello la riscosse. Donald artigliò i braccioli della poltroncina come se volesse staccarli.
“Tesoro” sussurrò, con un filo di voce. “Io ti amo.”
“Donald” disse Sophie, amabilmente. “Caro.” Riportò lo sguardo sul foglio, largo come un lenzuolo, e iniziò a ripiegarlo con ordine. “Sii gentile, vai ad aprire la porta.”
Donald si alzò rigido come un ciocco, come se tutti i suoi muscoli lottassero per tenerlo giù e una forza aliena lo sollevasse invece per un ciuffo di capelli. “Non farmi questo” bisbigliò Donald, sorridendo.
Ma mentre lo diceva le gambe l’avevano già portato a destinazione, le dita si erano già strette intorno alla maniglia, e l’estraneo entrò in casa prima che Sophie si degnasse di rispondergli.
“Albert, finalmente” sospirò, alzandosi per andargli incontro. “Non sai che mattinata d’inferno mi ha fatto passare. È fuori controllo.”
L’uomo, un tipo alto e distinto con un grosso paio di favoriti biondi, le baciò la guancia e posò la borsa di pelle rigonfia sul divanetto. Non sorrise. Inforcò gli occhialetti, aprì la borsa, ne trasse fuori il fonendoscopio e se lo sistemò intorno al collo.
“Non hai nessuna vergogna, amore mio?” disse Donald. Era sempre e solo “amore mio”, “cara” o “tesoro”. Anche questo sarebbe cambiato, decise Sophie. Era stanca di stucchevolezze. “Invitare il tuo amante a casa nostra, in pieno giorno! Dio mio, tesoro. Dio mio.” Il sorriso tremò leggermente agli angoli.
“Donald, il dottor Russell è il tuo medico. Lo conosci da anni. Ora siediti e non imbarazzarmi di fronte a un ospite, ti dispiace? Da bravo.”
Albert Russell infilò il dischetto metallico sotto la camicia di Donald, auscultando un punto al centro del petto, poi uno sulla schiena e infine, per quasi un minuto intero, la fronte.
“La valvola cardiaca è molto consumata” dichiarò, sfilandosi gli occhiali e ripulendo le lenti nel fazzoletto. “È questo a causargli gli sbalzi d’umore. Si può sistemare senza troppi problemi…”
“Oh, no, no” disse Sophie.
“Il problema serio è un altro. Il modello non si prestava alle modifiche che hai fatto implementare quando l’hai comprato. I modelli delle colonie hanno spesso questo problema. È un difetto di fabbrica, temo, e c’è poco da fare.”
Sophie respirò un po’ più liberamente. C’erano regolamenti severi a proposito della rimozione di automi perfettamente funzionanti. Un difetto di fabbrica, d’altra parte, era tutta un’altra storia.
“No, non dovresti avere problemi” la rassicurò Russell, indovinando i suoi pensieri. Rovistò per un attimo nella borsa, traendone fuori un modulo prestampato. L’intestazione diceva “Certificato di Soppressione”. “Compilo questo, poi tu dovresti firmarlo.”
“Amore mio…” pigolò Donald, facendo per alzarsi.
“Seduto” ordinò Sophie. “Possiamo sbrigarci, Albert? Ho un appuntamento in città tra un’ora.”
“Solo un momento. Hai chiamato quelli della rimozione?”
“Li chiamo subito. Non ero ancora sicura che si potesse fare. Non sai che peso mi togli, Albert. L’idea di spegnerlo e buttarlo in cantina mi dava i brividi. Voglio dire… non so, come un… un cadavere. Non ci posso pensare.” Si allontanò per andare a telefonare.
“Sophie” bisbigliò Donald, supplichevole. “Amore mio. Tesoro. Non andare.”
Albert Russell gli piegò il capo in avanti, sollevando la pelle sul retro del collo e svitando cautamente le quattro minuscole viti. Quando aprì il pannello e rimosse la sua valvola di controllo, Donald rimase completamente immobile.
Un minuto dopo, Sophie rientrò nella stanza a ritmo di valzer, canticchiando come una bambina.
“La perdita di liquido è normale” le disse Russell, senza alzare gli occhi dal modulo che stava compilando. Indicò la faccia di Donald, i due rivoletti trasparenti che ormai gli avevano raggiunto gli angoli della bocca. “Pare che non siano ancora riusciti a sistemarla, neppure nei nuovi modelli.” Le porse il foglio e la penna. “Firma qui.”