La doccia fu lunga e rilassante, mi servì a calmarmi e schiarirmi leggermente le idee. Indossai un morbido asciugamani rosso e andai in camera mia a cambiarmi. Avrei indossato il pigiama, era già tardi. Ma, orrore degli orrori, appena aprii la porta trovai Adomus con addosso la mia biancheria intima che faceva il pollo davanti allo specchio!
Doveva aver bevuto. Appena mi vide assunse un’espressione sorpresa e pentita. Io non ci vidi più dalla rabbia e iniziai a urlargli contro.
“Razza di stupido extraterrestre! Non hai proprio capito nulla! Chi ti ha dato il permesso di frugare nella mia roba? Ti ho chiesto io di indossare la mia biancheria intima!? Sparisci subito da questa casa! Non ho più voglia di sopportare le tue idiozie! Togliti subito di dosso quegli indumenti!” Adomus obbedì, trascurando il fatto che gli avessi chiesto di non denudarsi più davanti a me, ma almeno uscì dalla mia stanza. Non avevo più privacy, e per una come me, abituata a vivere da sola, nella pace più assoluta era un trauma non facilmente assimilabile.
Mi vestii e mi infilai subito sotto le coperte. Che facesse quel che gli pareva, non era più un problema mio.
Dormii profondamente, sognandolo a spezzoni. A un certo punto sognai anche il bacio. Stranamente iniziai a sentire uno strano odore, pungente, forte... Mi svegliai e iniziai a vedere tutto annebbiato. Ci misi poco a capire cosa stava succedendo. La casa stava andando a fuoco!
Uscii di corsa dalla stanza tappandomi la bocca, entrai in cucina. Era tutto invaso dalle fiamme. Adomus era steso sopra il pavimento, inerme.
Mi prese il panico. Lo trascinai fuori di li, mentre tossivo.
Nel frattempo arrivarono i pompieri, grazie all’allarme antincendio e spensero subito il fuoco. Chiamai subito il numero d’emergenza e in dieci minuti Adomus fu trasportato al pronto soccorso. I pompieri mi consigliarono di restare a casa per controllare le varie apparecchiature della cucina e accertarsi che l’incendio non si sia sviluppato a causa di qualche fuoriuscita di gas e simili. Ero preoccupatissima per Ad. Non si muoveva, non so neppure se respirava. Era così indifeso...
I pompieri mi dissero che forse stava preparando la colazione, cercava di fare delle frittelle ma incredibilmente sembra abbia appiccato l’incendio di volontà sua buttando un rotolo di carta sopra il fuoco. Pensai che probabilmente non aveva mai visto il fuoco. C’era d’aspettarselo. Magari li cucinavano col laser, chissà...
Appena congedati i pompieri mi fiondai al pronto soccorso. Domandai subito di un certo Adomus, i medici mi chiesero chi fosse, domandarono che relazione di parentela ci legava, volevano un suo documento. Panico. Lui per la Terra non esisteva. Dissi che era un mio amico e che non avevo documenti da mostrare loro.
Li pregai di farmelo vedere e loro mi portarono in uno stanzino angusto e senza finestre. Adomus stava aldilà di una tenda azzurrognola. Era disteso su un letto bianco e stretto. Mi avvicinai e lui aprì gli occhi lentamente.
“Hei Ad! Come stai?” gli chiesi cercando di non sembrare preoccupata.
“Io sto bene, benissimo. Tu invece? La cucina è a posto? Come stai?” chiese lui, a raffica.
“Stai calmo, non preoccuparti per me, sciocchino. Pensa alla tua salute.”
“Non era mia intenzione. Credevo che quelle fiamme rosse fossero innocue...”
“Sshh. Lascia stare. Ne parliamo un’altra volta. Non qui. Il problema è che non ti lasceranno uscire senza un documento.”
“E come faremo?”
“Non ne ho idea.”
Invece un’idea ce l’avevo. Ma prima dovevo assicurarmi che Ad stesse bene e che nessuno potesse vederci. Saremmo scappati dalla finestra del corridoio.
“Ad, tu stai bene?”
“Io sto benissimo, i medici hanno detto che ho solo respirato troppo fumo e sono svenuto.”
“Te la sentiresti di scappare? Potremmo finire nei guai se qualcuno scopre che tu sei senza identità!”
“Si, me la sento.”
Per fortuna il pronto soccorso era deserto. I medici se ne stavano a fumare beatamente in sala d’aspetto e noi potevamo farla franca. Peccato che fuori pioveva e ci saremmo beccati un bel raffreddore.
Ad si alzò, era ancora in pigiama, poverino. Lo presi per mano istintivamente e controllai che il corridoio fosse deserto, poi aprii la finestra e lo aiutai a uscire fuori. Era fatta. Adesso dovevo uscire io.
Mezza gamba era fuori, stavo per uscire anche la testa quando sentii un grido: “Signorina! Cosa sta facendo?”
L’adrenalina saliva, ero rimasta incastrata in mezzo alla finestra, chiesi ad Adomus di tirare e lui mi tirò fuori con forza. Finii per terra, con la faccia in mezzo al terreno infangato.
Mentre alcuni medici uscivano dal pronto soccorso, tentando di fermarci, noi scappammo in mezzo alla pioggia finchè non li seminammo. Fu un crescendo di adrenalina e di risate. Ormai ridevamo così tanto da avere i crampi allo stomaco. Arrivammo in dieci minuti a casa, bagnati fradici, sporchi e affumicati. Ma ridevamo tanto, eravamo felici.
Adomus mi sollevò da terra, sotto la pioggia fredda e scrosciante. I suoi occhi brillavano, sopra gli zigomi sporchi di fuliggine.
Ci fissammo per qualche istante, ancora sorridenti.
Poi, con le mani che tremavano, lo baciai all'improvviso e lui rispose al bacio, appassionatamente. Come se avesse sempre saputo cosa provavo...