Mi chiamo Margaret.
Abito in una piccola villetta a Storico Trifoglio. Oggi, dopo due anni, voglio raccontarvi l’esperienza che mi ha cambiato la vita.
La notte dell’otto Agosto di due anni fa guardavo il cielo, come d’abitudine. Finalmente quel giorno avrei avuto l’occasione di vedere la millenaria cometa Stardust, che dopo duecento anni passava nuovamente a trentamila anni luce dalla terra. Era tutto pronto. Avevo preso la mappa celeste e calcolato esattamente la traiettoria che, secondo gli studiosi della Nasa, avrebbe dovuto compiere. Avevo posizionato il mirino del mio nuovo telescopio seguendo esattamente le coordinate della mappa e mi ero messa lì ad aspettare che una bellissima scia luminosa illuminasse quel ritaglio di cielo così scuro.
Il tempo passava ed io ero così impaziente. Ormai erano le 23 passate e Stardust sarebbe dovuta passare intorno alle 21:45, almeno così avevo letto sul sito della Nasa. Iniziai a pensare che avevo sbagliato coordinate o che mi ero distratta per un momento perdendo quella preziosa occasione. Continuai a tener d’occhio l’obiettivo.
Ad un certo punto, inaspettatamente, sentii un grosso boato e riuscii a vedere solo un’intensa luce azzurra circondata da un alone rosso fuoco. La luce mi accecò quasi, la prima cosa che pensai fu che non poteva essere Stardust. Mi allontanai, spaventata, dal telescopio, cercando intorno a me quella luce stranissima. Ma era tutto tranquillo. Tutto come qualche istante prima del botto.
Innervosita rientrai in casa. Ero rassegnata, non avrei più visto Stardust. L’indomani mattina mi sarei collegata ad Internet per leggere qualche notizia sulla cometa e per vedere qualche foto.
Mi appisolai sulla comoda panca della mia stanza da letto, pensando che magari più tardi avrei ritrovato la voglia di mettermi al telescopio, ma un altro fragoroso rumore mi svegliò qualche minuto dopo.
Stavolta ero decisa a scoprire di che diavolo si trattava. Uscii di casa e lì trovai un uomo accasciato per terra, proprio davanti la veranda. Non riuscivo a crederci. Era morto? Qualcosa dentro di me mi diceva di no...
Indossava una strana tuta, sembrava una tuta spaziale. Aveva capelli lunghi, castani, che gli coprivano il volto sporco e graffiato. Non sapevo che fare, ero terrorizzata e tremavo. Dopo averlo osservato per qualche istante, preoccupata, mi precipitai in casa per chiamare l’ambulanza, ma qualcosa mi fermò.
Quell’uomo aveva gridato, si era alzato. Era lì di fronte a me e mi osservava spaesato. Io ero ancora convinta di essere più spaventata di lui.
Non riuscivo a spiccicare una sola parola. I suoi occhi diventavano sempre più vuoti, intorno a me tutto sembrava svanire, avevo la mente annebbiata, non avevo più la forza di muovermi. Sentii il mio corpo cadere pesante.
Ero calma. Riposata. Piena d’energie. Avevo dormito tanto e avevo voglia di fare colazione, una bella colazione nutriente e sostanziosa. Sbadigliai sonoramente alzandomi dal letto. Fuori c’era il sole. Gli uccelli cinguettavano beati. Era un bel giorno. Finchè non ricordai la sera scorsa. Cosa mi era successo? Feci ordine nella mia mente. Un flash. Due occhi verdi. Vivi, vispi, luminosi, belli. Chi era?
Dovevo ricordare. Ero quasi convinta di aver sognato. Mi avviai verso la cucina pensando ancora a quell’uomo. E quando lo vidi lì, di fronte a me, che mi sorrideva aprendo le braccia calorosamente ebbi il coraggio di dire: “Ciao.”
Ciao? Un momento... CIAO?! Ma chi era quello e cosa ci faceva in casa mia? Sentii la stessa sensazione della sera prima attraversarmi dentro e il mio corpo si accasciò nuovamente a terra, fuori dal mio controllo.
Mi svegliai qualche istante dopo, sulla sedia della mia cucina, di fronte a lui. Cercava di farmi bere dell’acqua. Io non volevo acqua! Io volevo spiegazioni. Lo guardavo spaesata.Ero sconvolta e incredula, ma lui cominciò a parlare, finalmente. “Mi rendo perfettamente conto dello shock che hai provato vedendomi piombare a casa tua, ridotto così, in questo stato... Mi dispiace davvero tanto, ma vorrei spiegarti chi sono. Non vengo da questo pianeta. Questo ti farà ridere, non mi crederai subito, lo so... ma se solo potessi fidarti di me, io...”
“Un momento” lo interruppi io prendendo perfettamente coscienza di ciò che mi stava accadendo “tu stai cercando di dirmi che sei un alieno?”
“Esatto!” mi rispose lui sfoggiando un sorriso a trentadue denti. “Sono capitato qui per sbaglio, e adesso sono in un mare di guai. Ho solo bisogno di protezione.”
“E questa protezione dovrei dartela io?” Ero confusa e allibita. Un alieno? No, queste cose si vedono solo nei film. Mi rifiuto di crederci. La mia mente si rifiuta. Ma qualcosa mi spinge a fidarmi di quegli occhi.
No. Devo scoprire la verità.
“Sei l’unica che mi ha visto. Non posso rischiare di farmi scoprire da nessun altro. La mia Tempus è completamente andata! Sono nel panico più totale, non ho idea di come tornare lassù, ne tanto meno di come poter comunicare con la mia famiglia. Questo doveva essere solo una vacanza di piacere, mi sarei fermato sulla Luna per 2 giorni e lì mi avrebbero raggiunto i miei amici. Ma purtroppo un maledetto meteorite mi ha letteralmente tagliato la strada e dopo 4 giorni passati nel vuoto dell’atmosfera sono precipitato fin qui...”
Ma che cosa stava blaterando questo pazzo? Tutto ciò era assurdo. Volevo una prova delle sue origini extraterrestri. Glielo dissi. Lui corse fuori in giardino e rientrò con un oggetto grigio fra le mani. Io guardavo interessata. E lui iniziò a plasmare quell’oggetto trasformandolo in un bellissimo diamante. Me lo diede. Era proprio un diamante, non c’erano dubbi. Avevo imparato a riconoscerli sin da piccola, quando i miei possedevano ancora una gioielleria. Prima che fallisse. Rimasi scioccata. Lui prese in mano il diamante e stavolta lo plasmò fino a farlo diventare un rotolo di carta igienica. Era buffo. Risi. Sulla carta c’erano disegnati dei fumetti. Adesso tutto diventava più credibile. Feci colazione e preparai qualcosa da mangiare pure per lui, lanciandomi in questa pazza avventura.
Dopo colazione decisi di mostrargli lo stanzino dove avrebbe dormito. Non ci dormivo mai lì, non ci aveva dormito mai nessuno ancora.
Lui mi ringraziò, forse non si aspettava un’accoglienza così.
Mi guardava con quegli occhi a cui difficilmente avrei detto di no.
Contemplammo per un po’ quella misera stanzetta in disuso e poi gli proposi di farsi dare una sistemata, avendo così il pretesto di sperimentare le mie doti nascoste da parrucchiera. Lui era entusiasta. Mentre con le forbici accorciavo i suoi capelli, lui mi parlava del suo pianeta. Aveva un nome talmente strano e impronunciabile che subito mi venne un dubbio. Allontanai bruscamente le forbici dalla ciocca di capelli che stavo per tagliare ed esclamai: “Un attimo! Ma tu come diavolo fai a parlare in italiano?” e lui rispose tranquillo più che mai: “Ecco, mi chiedevo perché non me l’avessi domandato prima.” E mi mostrò un ciondolo rotondo, abbastanza brutto. “Questo è un traduttore di cultura, ha un chip interno che contiene più di 4000 lingue diverse, tu lo indossi, cambi le impostazioni e parli la lingua che vuoi. “ Questa cosa mi incuriosì troppo, tanto che volli provare. Ma lui mi disse che il chip funzionava solo col proprietario e per darmi una dimostrazione iniziò a parlare in cinese, greco e peruviano. Io mi stavo sbellicando dalle risate. Dopo il breve momento di euforia ripresi a tagliargli i capelli. Ciocche castane cadevano sul pavimento. Lui sorrideva. Sarà stata dura vivere per quattro giorni dentro un abitacolo senza comunicare con nessuno. Ma lui sorrideva.
E con il nuovo taglio di capelli e il viso ripulito i suoi occhi verdi risplendevano ancora di più. L’ultima cosa da fare era procurargli degli abiti decenti da indossare. Per fortuna abito a due passi da un negozietto sportivo molto carino e in fretta e furia corsi a comprargli una maglietta e dei pantaloni. Nel complesso mi piaceva. Tanto.