Titolo: Tradizioni elfiche da rispettare
Rating: Verde
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life
Personaggi: Elathriel Sunstriker, Jesthenis Sunstriker, Julia Sunstriker, Peone
Wordcount: 6171 (
fiumidiparole)
Prompt:
Simbologia della Rosa per la Missione 12 (settimana 7) del team Ysmaros per il
COW-T #7 @
maridichallengeNote: Het
«No regala più io fiorellini?» chiese a Elathriel con espressione triste. L’ultima volta era stato lui a regalarle dei fiori, che aveva faticato tantissimo a raccogliere in giro per Nagrand e lei era stata felice.
Elathriel gli accarezzò la testa pelata.
«Non è questo… si tratta di una rosa color pesca» spiegò.
«Rosa pesca…» ripeté lui lentamente, continuando a studiare il fiore.
«Esatto. Nella lingua dei fiori ha un significato preciso, vuol dire “mettiamoci insieme”» proseguì a spiegare la Sin’dorei «Voglio essere la tua fidanzata» puntualizzò, allungando una mano e appoggiandola sulla sua con infinito affetto.
Un’altra lunga e faticosa giornata a Wor’var giungeva finalmente al termine. Il Caposquadra Thazz’ril aveva appena annunciato sbraitando la fine del turno di lavoro per i suoi Peoni che uno di loro era già sgattaiolato via in direzione della locanda del piccolo insediamento.
All’interno dell’edificio la fresca aria serale - che stava diventando sempre più gelida - arrivava solo in parte e veniva immediatamente mitigata dalla calura prodotta dal focolare acceso.
Il Peone rimase fermo appena dopo la porta, guardandosi intorno alla ricerca di un tavolo libero: le guardie che non erano di turno, alcuni operai dell’armeria e soldati dell’Orda generici erano già lì per cenare, bere e rilassarsi dopo il lavoro della giornata.
L’Orco individuò un tavolo piuttosto lontano dal balcone che era rimasto vuoto e si affrettò ad occuparlo. Quando si fu seduto vide che c’era un folto gruppo di soldati al tavolo adiacente che gli copriva completamente la visuale diretta con il bancone. La cosa gli dispiacque ma non poteva cambiare posto. Quello era l’unico disponibile.
Il suo stomaco brontolò cupo, rinnovando la sua consapevolezza di quanto avesse davvero fame. Aveva faticato un sacco a lavoro quel pomeriggio e il suo corpo pretendeva il suo giusto tributo; ciononostante, non si azzardò a muoversi da dove era seduto. Rimase lì a guardarsi intorno con espressione malinconica per diversi minuti, abbassando lo sguardo puntualmente ad ogni brontolio del suo stomaco vuoto, fino a che una figura familiare non comparve dinanzi a lui.
«Sei arrivato prima del solito» commentò la locandiera, Elathriel Sunstriker, rivolgendo un sorriso al povero Peone affamato.
All’Orco pareva ancora più bella del solito, nonostante di base le Elfe del Sangue fossero meravigliose e lei in particolare lo fosse più di tutte le altre.
«Finito prima» spiegò semplicemente lui, abbozzando un sorriso colpevole.
Elathriel si appuntò le mani sui fianchi ed esclamò: «Immagino che tu sia affamato».
Il Peone annuì e la Sin’dorei si allontanò senza aggiungere altro, lasciandolo di umore molto migliore rispetto a poco prima nonostante avesse ancora fame.
Circa un quarto d’ora dopo Elathriel fece ritorno da lui con un bel carré di Talbuk accompagnato con una ricca e grassa salsa scura aromatizzata. Una bella porzione di patate arrosto era stata sistemata ad occupare metà del piatto, guarnita con qualche rametto di erba aromatica.
«Buon appetito!» esclamò l’Elfa del Sangue, lasciando sul tavolo un boccale di grog prima di andarsene, lasciando il Peone da solo di fronte alla sua cena.
Quest’ultimo era rimasto abbagliato dall’abbondanza del pasto e l’aroma invitante gli stava facendo venire l’acquolina in bocca.
Prima di dover fare i conti con una salivazione talmente eccessiva da risultare imbarazzante, il Peone si lanciò a mani nude a ghermire la carne e strapparla a morsi dalle ossa cui era ancora attaccata. Le inzuppava nella salsa e le sbranava con voracità, aggiungendo ad esse le patate - anch’esse portate alla bocca con le mani nonostante fossero più calde della carne - e infischiandosene di quanto rumore producesse mangiando. La cosa era poco rilevante: nel resto della locanda il rumore era tale da coprire tutti quelli che lui poteva fare.
Ripulì ciascun osso con cura e quand’ebbe terminato svuotò in un sorso solo il suo boccale. Ruttò piano e poi si raddrizzò e si stiracchiò sullo sgabello, sazio e sonnolento.
Si appoggiò al tavolo con entrambi i gomiti, guardandosi intorno per cercare con lo sguardo Elathriel. La vide intenta a sparecchiare alcuni tavoli e fu tentato di andare ad aiutarla quando la vide girarsi verso di lui e muoversi nella sua direzione.
Istintivamente lui le porse il suo piatto vuoto da mettere sopra gli altri che aveva accumulato e i loro occhi si incrociarono. La faccia del Peone si fece rovente quando la locandiera gli rivolse un bel sorriso seducente.
«Ti porto subito altro grog» disse. Lui annuì inebetito e rimase lì seduto ad ammirarla mentre si allontanava ancheggiando.
Elathriel lo rifocillò di altro grog e di altro cibo, portandogli porzioncine di svariati tipi di torta che l’Orco puntualmente divorava per manifestarle apprezzamento per la sua cucina.
Lentamente la locanda si svuotò intorno al Peone, che aveva occhi solamente per la Sin’dorei che continuava imperterrita a servirlo.
Ad un certo punto quando Elathriel gli si avvicinò il povero Peone sollevò entrambe le braccia in segno di resa.
«Pieno… dolci buoni ma… basta» gemette. Pur avendo bevuto decisamente troppo per lo standard di una normalissima cena, era ancora sobrio. A dargli quell’aria confusa era fondamentalmente il pasto abbondante.
Era così tenero quando la guardava in quel modo, come se non riuscisse nemmeno a capire cosa stava accadendo intorno a lui.
Elathriel si portò una ciocca di lisci capelli rossi dietro un orecchio affilato. Spostò uno sgabello di fianco a quello del Peone e vi si accomodò, guardandolo con espressione un poco imbarazzata.
«Non sono qui per portarti altro cibo» spiegò semplicemente «Ma per darti questa».
Così dicendo estrasse un fiore di una tenue colorazione di rosa, e lo appoggiò in grembo al Peone.
Quest’ultimo rimase a fissare il fiore con espressione perplessa. Lo prese per la parte finale e lo sollevò, ruotandolo per guardarlo da ogni angolazione. A Durotar non aveva mai visto un fiore del genere, con le spine lungo tutto lo stelo.
«No regala più io fiorellini?» chiese a Elathriel con espressione triste. L’ultima volta era stato lui a regalarle dei fiori, che aveva faticato tantissimo a raccogliere in giro per Nagrand e lei era stata felice.
Elathriel gli accarezzò la testa pelata.
«Non è questo… si tratta di una rosa color pesca» spiegò.
«Rosa pesca…» ripeté lui lentamente, continuando a studiare il fiore.
«Esatto. Nella lingua dei fiori ha un significato preciso, vuol dire “mettiamoci insieme”» proseguì a spiegare la Sin’dorei «Voglio essere la tua fidanzata» puntualizzò, allungando una mano e appoggiandola sulla sua con infinito affetto.
Il Peone la guardò con aprendo e richiudendo la bocca diverse volte senza però emettere nemmeno un suono: non riusciva a credere alle sue orecchie. Lui la amava, era praticamente la prima persona che incontrava che non abusava del suo povero posteriore e anzi, si comportava con lui in maniera gentile. Era anche bellissima e buona nonostante le dicerie che correvano riguardo a quanto potessero essere astuti e subdoli quelli della sua razza; tuttavia, era ben lungi dal credere che il suo sentimento fosse corrisposto in maniera così forte.
Lui, un semplice Peone come ce ne erano tanti che bazzicavano Wor’var, era riuscito a far breccia nel cuore di una femmina che era apparentemente ben lungi da quelle che erano le sue reali possibilità.
La confessione lo lasciò basito e tacque per diversi secondi, rimanendo a fissare in viso la sua interlocutrice senza di fatto guardarla realmente, tanto che lo sguardo di Elathriel si velò di tristezza: era rimasto così sconvolto dalla sua dichiarazione perché… non la voleva più? L’aveva considerata solo un’avventura per tenersi impegnato durante quel periodo passato in quella Draenor alternativa?
All’improvviso sentì la mano dell’Orco che si sottraeva al contatto con la sua, ma solo per tornare subito dopo a toccarla, stringendola nella propria. L’Elfa del Sangue si riscosse dalla momentanea trance e vide il suo compagno sorriderle apertamente, tanto che le zanne più grosse e ricurve ai lati della mandibola arrivarono a pungergli delicatamente le guance.
«Io felice!» esclamò quasi urlando il Peone. La sua espressione divenne di inebetita estasi.
La attirò a sé senza tante cerimonie e la strinse tra le robuste braccia verdi e nude. Elathriel rimase momentaneamente stupita dall’abbraccio, ma non si sottrasse. Il corpo del Peone era così solido e caldo e la avvolgeva completamente senza alcuno sforzo.
L’Elfa del Sangue si spostò dallo sgabello alle sue gambe, ricambiando la stretta come poteva e baciandolo. Il Peone divenne di fuoco nel percepire la sua bocca minuta e delicata contro la sua. Ricambiò ma cercando di fare attenzione a non farle male con le zanne più pronunciate, tra le quali il visetto affusolato di Elathriel entrava quasi tutto.
La Sin’dorei si strinse maggiormente a lui e l’Orco sentì i suoi seni premere contro il suo petto. Sobbalzò leggermente, desideroso di toccarli, ma cercò di trattenersi per non offenderla. Non voleva che si allontanasse.
Rimasero uniti in quel tenero abbraccio a lungo e il Peone non fu più così scontento di quella lunga e stancante giornata.
Lunargenta si stagliava in lontananza, gli edifici più alti che riuscivano a sovrastare le possenti mura che erano state erette a protezione della capitale degli Elfi del Sangue.
Il Peone si guardò intorno, incurvandosi ulteriormente rispetto alla sua postura eretta normale come per rifuggire il contatto con l’ambiente boschivo e rigoglioso in cui si trovava. Non era abituato a tanta vegetazione tutta insieme. Neanche a Nagrand c’era così tanto verde, figurarsi a Durotar.
I Boschi di Cantoeterno avevano un’atmosfera così ovattata e pacifica che non riusciva a sentirsi a suo agio. Era un posto radicalmente diverso da Durotar.
Elathriel camminava al suo fianco sfoggiando un bell’abito color crema che le arrivava fino ai piedi e decorato con arabeschi dorati lungo il bordo inferiore della gonna e le maniche. I suoi lunghi capelli rossi spiccavano nettamente sul tessuto.
Al Peone pareva molto più a proprio agio lì che non a Wor’var: camminava dritta e con passo più deciso e la sua espressione era più rilassata che mai. Lui per contro si sentiva estraneo in un luogo dall’aspetto così idilliaco; inoltre, gli pareva così assurdo che non appena erano ritornati dalla spedizione a Draenor, dopo la sconfitta dell’Orda di Ferro, Elathriel gli avesse chiesto di accompagnarla a Lunargenta per conoscere la sua famiglia.
«Visto che siamo una coppia, devo presentarti ai miei genitori» aveva addotto come spiegazione quando lui aveva cercato di capire il perché di una simile richiesta da parte sua.
Tra gli Orchi non era usanza che le coppie dovessero presentare il partner ai parenti per essere accettati. La scelta del compagno - o compagna - era una cosa che riguardava solamente la coppia.
Evidentemente per gli Elfi del Sangue la cosa funzionava diversamente.
A differenza di Elathriel, il Peone non aveva nessun abito migliore della sua divisa da lavoro da indossare ed era pertanto andato con quella: un paio di brachette che gli arrivavano al ginocchio e una canotta, tutto rigorosamente rosso.
Ben presto l’ingresso principale di Lunargenta si stagliò dinanzi a lui, con l’enorme statua di un Elfo del Sangue che sembrava studiarlo e i due corridoi laterali dai quali si accedeva alla città.
Elathriel superò entusiasta quella specie di “cancello” e il suo Peone la seguì da vicino, intimorito dall’idea di rimanere da solo in quella terra aliena.
La città oltre le mura era maestosa, raffinata, elegante. Incarnava lo stereotipo degli Elfi del Sangue alla perfezione. L’Orco rimase abbagliato dalle pareti bianche degli edifici, che parevano brillare di luce propria. Erano così in contrasto con gli edifici rozzi in legna e ferro di Orgrimmar da sembrargli appartenere ad un mondo ultraterreno.
Dinanzi a lui c’erano due lunghi viali paralleli, lastricati e percorsi ordinatamente dai cittadini della capitale. Guardie stazionavano ad ogni angolo o percorrevano la strada insieme agli altri, ed erano tutti Elfi del Sangue.
Il Peone notò un esorbitante numero di femmine avvenenti che passeggiava lungo la strada. La sua Elathriel era molto più bella di loro ovviamente, eppure rimase profondamente colpito da quella visione.
Elathriel non si era accorta dello stato di trance del suo accompagnatore. Era tutto così bello per lei, così familiare nonostante i lunghi mesi che aveva passato lontano da casa! A Wor'var si era trovata bene nonostante fosse un accampamento semplice e rustico, ma Lunargenta era tutta un’altra cosa. Era una città che la riempiva di vitalità.
Inspirò a fondo l’aria ed esclamò: «Finalmente a casa!».
Il Peone notò diversi Sin’dorei di passaggio girarsi a guardarlo con sguardi arroganti e disgustati. Abbassò mortificato gli occhi verso il pavimento, a disagio, ma Elathriel gli si accostò e gli strinse tre dita con la mano, il massimo che poteva fare con la sua manina esile e minuta.
«Vieni, ti porto a casa. Sono sicura che ti piacerà!» disse l’Elfa del Sangue, avvicinandoglisi ed appoggiandosi contro una delle sue possenti spalle.
L’Orco annuì col capo e si lasciò condurre attraverso il viale senza opporsi minimamente. L’aroma di Elathriel gli arrivava addosso direttamente, essendo lui giusto alle sue spalle. Sapeva che si era sistemata a dovere prima di partire da Wor’var per andare là. Doveva essersi lavata con cura perché sentiva il profumo del suo sapone come se si stesse lavando in quello stesso momento. L’odore copriva qualsiasi altra cosa che avesse potuto percepire in una città come quella.
Quasi tutti gli Elfi del Sangue che incrociavano si spostavano per farli passare lanciando occhiatacce al suo indirizzo, tanto che dopo un po' il povero Peone dovette suo malgrado tornare a fissare a terra per cercare di ignorare il peso di quelle espressioni denigranti.
Elathriel lo condusse attraverso l’intera città tramite una lunga via tortuosa piena zeppa di Sin’dorei, fino a che non giunsero in una enorme piazza. La superarono e continuarono a camminare rapidamente, fino ad un’altra piazza, più modesta.
«Questa è la Piazza dei Farstriders» spiegò l’accompagnatrice del Peone, certa che lui non avesse mai visto Lunargenta fino ad allora - come poi di fatto era - «… e là c'è casa mia!».
Così dicendo indicò uno degli edifici che si affacciavano sulla piazza. Non si distingueva molto dagli altri palazzi. Aveva un balcone al primo piano sul quale erano esposti dei fiori in vaso.
L’Orco vide un’Elfa del Sangue uscire proprio in quel momento sul balcone, seguita a mezz’aria da un annaffiatoio. Era avvenente, con lunghi capelli lisci e biondi che le arrivavano sino alle spalle. Con un gesto della mano fece scorrere l'annaffiatoio sulle piante, soddisfando la loro tacita sete.
Elathriel si girò a guardare nella stessa direzione del suo compagno e quando vide l’Elfa corse avanti verso la casa, lasciando indietro l’Orco e levando una mano per salutare la bionda e al tempo stesso attirarne l’attenzione.
Il Peone, rimasto tutto solo al limitare della Piazza dei Farstriders, si affrettò a raggiungerla, correndole dietro. Aveva fatto allenamento a Wor'var, imparando a correre davvero veloce per cercare di sfuggire ai calci punitivi del Caposquadra Thazz’ril e del Comandante quando osava fare il lavativo. Non avrebbe mai immaginato che una simile dote gli sarebbe servita in un’occasione del genere.
Elathriel giunse a poca distanza dal balcone e si sporse in punta di piedi, continuando ad agitare entrambe le braccia per farsi notare dall’Elfa bionda.
Quest’ultima non ci mise molto e quando la vide i suoi occhi si allargarono e un’espressione emozionata le comparve in viso. Rientrò in casa e si affrettò a scendere al piano di sotto.
«Jesthenis! Jesthenis, caro sbrigati! La nostra bambina è tornata!» esclamò passando davanti alla cucina, dove suo marito stava cominciando a preparare alcune cose per il pranzo.
L’Elfo del Sangue si affacciò dalla cucina, i lunghi capelli biondi raccolti in una coda dietro la testa e un grembiule pulito legato indosso per proteggere gli abiti. Per l’occasione aveva tolto l’armatura da paladino e aveva indossato una camicia bianca col colletto alto e inamidato e un paio di pantaloni aderenti che sottolineavano quando le sue gambe fossero snelle e toniche. Un paio di stivali neri completava il look.
«Oh, è già qui? Avevo capito dalla lettera che sarebbe arrivata verso l’ora di pranzo...» disse, togliendosi il grembiule e raggiungendo la moglie nel soggiorno «Julia, amore mio, stai calma» aggiunse sentendo la sua metà emanare una palpabile aura di calore.
«La mia bambina… ha scelto un fidanzato lontano da Lunargenta…» disse Julia con commozione.
«Ma lo ha portato a farcelo conoscere» le fece notare Jesthenis in tono pacato «Andrà tutto bene, vedrai. Non sei contenta che finalmente Elathriel abbia trovato qualcuno che la renda felice?».
Julia ripensò alla lettera che la figlia aveva spedito loro alcuni giorni addietro per comunicare che la guerra su Draenor era terminata e che sarebbe tornata a casa da loro per presentare il suo fidanzato. Non aveva specificato niente di più in merito a chi fosse, ma dal tono della lettera era risultato evidente che fosse felice. L’unica cosa che aveva puntualizzato era che voleva preparare il pranzo insieme a suo padre come facevano sempre prima che partisse. Non era una richiesta difficile da esaudire, tutto sommato.
Julia si prese qualche istante per calmarsi, poi annuì e rispose: «Hai ragione, caro».
Ciò detto, la Sin’dorei andò verso la porta di casa ed aprì.
«Mamma!» esclamò Elathriel immediatamente, non appena la vide, abbracciandola con affetto.
Julia la strinse a sé con altrettanta gioia, accarezzandole il capo con una mano. Era diventata ancor più bella in quei mesi di lontananza, come se dover vivere lontana da casa l’avesse fatta crescere moltissimo come donna; inoltre, profumava di fiori e il suo vestito era meraviglioso.
«Tesoro mio! Come sono contenta di rivederti!» esclamò per contro «Spero sia andato tutto bene con la spedizione… non ti sei messa in pericolo inutilmente, vero?» domandò, accarezzandole il viso ed ispezionandolo come alla ricerca di qualche minuscola ferita o altra imperfezione, ma i suoi occhi attenti non evidenziarono niente sulla liscia e perfetta pelle della figlia.
«No, mamma tranquilla. La spedizione è stata un successo!» riferì Elathriel con un sorriso.
«Bambina mia!».
Jesthenis si materializzò nel vano della porta, subito alle spalle di sua moglie. La sua espressione era di pura gioia se paragonata con quella decisamente più ansiosa di Julia.
«Papà!» lo scatto della giovane Elfa del Sangue verso suo padre lasciò completamente libera la visuale della madre sul Peone, che era rimasto per tutto il tempo fermo dove si trovava, a poca distanza dietro la sua compagna. Non voleva interrompere quella riunione familiare dalla quale si sentiva palesemente escluso e inoltre era in attesa che Elathriel gli desse delle istruzioni su come comportarsi. Non aveva idea di cosa dovesse dire o fare.
Julia guardò verso di lui con espressione di sufficienza, domandandosi perché sua figlia avesse dovuto scegliere proprio un insulso Peone per far portare i bagagli suoi e del suo fidanzato. Realizzò solo allora che del fidanzato che Elathriel doveva portare a far conoscere loro non c’era nessuna traccia.
Si guardò intorno alla ricerca del fortunato Elfo del Sangue che era riuscito a guadagnarsi le attenzioni della sua bambina ma non vide nessuno, e non vide nemmeno alcun bagaglio. Davanti alla porta della loro casa c’era solamente quel Peone.
Julia era una donna intelligente e non le ci volle molto a fare l’unico collegamento possibile in un simile frangente. Guardò costernata quell’Orco insignificante che la guardava con cipiglio imbarazzato e stupido insieme e sentì una voragine di terrore aprirsi dentro di lei. Non riusciva a credere che potesse essere successo davvero.
Subito dopo la sua mente acuta realizzò un’altra cosa, una logica e inconfutabile conseguenza che la lasciò ancora più delusa e affranta.
Julia scoppiò in lacrime all’improvviso e senza nessuna apparente motivazione, cogliendo di sorpresa tutti quanti, specialmente il povero Peone, che sobbalzò impaurito. Temette di essere stato lui a fare qualcosa di profondamente sbagliato semplicemente avendo incrociato lo sguardo della madre della sua partner.
Timidamente l’Orco si avvicinò alla Sin’dorei e le batté qualche pacca sulla spalla, cercando di non picchiare troppo forte per non farle male. Dopotutto, pur essendo un semplicissimo Peone, era pur sempre un Orco, e siccome Elathriel pareva tenere molto al parere dei suoi genitori nei confronti della loro relazione, di certo lussare una spalla a sua madre non era la strada migliore per farsi ben accettare.
«Io dispiaciuto» disse in tono triste, sperando di riuscire a consolarla almeno in parte.
Purtroppo l’effetto che ottenne fu l’opposto, perché la Sin’dorei esalò un grido lamentoso ed esclamò: «Non potrò avere dei nipotini da accudireeee…!».
Elathriel e Jesthenis si erano già voltati verso Julia quando era scoppiata in lacrime, ma capirono che era il momento di intervenire solo quando la sentirono urlare in quella maniera.
Il Peone, vedendoli girarsi entrambi verso di lui, arretrò d’istinto come per non essere sospettato di coinvolgimento in quella scenata pietosa. Numerosi passanti rallentarono per assistere alla scena, fatto che mise l’Orco ancora più a disagio.
«Mamma… non fare così, ti prego…» cercò di consolarla Elathriel, stringendola tra le braccia mentre l’attenzione di Jesthenis andava a concentrarsi sul Peone.
Si avvicinò a lui senza staccargli gli occhi di dosso e il poveretto cercò di raddrizzarsi per riuscire a sostenere al meglio il suo sguardo. Temeva che potesse malmenarlo - o magari prenderlo a calci nel sedere - per la violenta reazione della moglie, ma voleva comunque dimostrare che in fondo era un vero Orco anche lui.
Contro ogni possibile previsione, l’Elfo del Sangue si guardò bene dall’usargli violenza o dallo scoppiare in grida e pianto come aveva fatto sua moglie; piuttosto gli si gettò addosso e lo strinse in un bell’abbraccio.
Il Peone rimase immobile tra le braccia del Sin’dorei, che a fatica riusciva a cingergli per intero l’ampio torace muscoloso, per paura che facesse qualcosa di assurdo come l’altra. Percepì la sua stretta modificarsi leggermente, come se non stesse più cercando di abbracciarlo ma di testare qualcosa del suo fisico che gli sfuggiva completamente.
Dopo alcuni secondi, il Peone poté giurare di sentirlo emettere un versetto di apprezzamento che aveva sentito fare solamente ad Elathriel in alcune occasioni a Wor’var prima di fare l’amore, quando lei gli si stendeva accanto e gli accarezzava il possente torace e l’addome pieno della cena che aveva appena consumato. Contemporaneamente, il suo abbraccio si trasformò in una serie di strizzate di intensità altalenante.
«Julia, ma perché piangi?» chiese l’Elfo del Sangue alla sua metà, senza lasciar andare il Peone «Guarda che bell’Orco morbido che è riuscita a trovare la nostra Elathriel!».
La faccia della vittima si fece di fuoco: era la prima volta che qualcuno usava “morbido” come aggettivo per descriverlo, anziché affibbiargli epiteti puramente offensivi. Doveva ammettere che era piacevole ricevere un complimento da un estraneo per una volta, anche se gli strattoni che continuava ad impartirgli quello stesso cominciavano ad essere un po’ eccessivi. Per sua fortuna non aveva ancora mangiato, altrimenti avrebbe seriamente rischiato di vomitare tutto.
Julia si liberò dalle braccia di sua figlia e con voce incrinata dalla disperazione esclamò: «È un Peone!».
Quelle tre parole colpirono il diretto interessato più in profondità di quanto era realmente nelle intenzioni della donna. Era consapevole di non essere niente di eccezionale e in più di un’occasione si era già chiesto che cosa ci avesse trovato Elathriel in lui, ma sentirselo dire in maniera così esplicita era comunque doloroso.
Jesthenis lo lasciò finalmente andare, ma solo per posizionarsi al suo fianco e stringergli con entrambe le mani le grandi spalle verdi e scoperte, stringendole per verificarne la tonicità.
«È un Orco, amore mio, e se la nostra Elathriel lo ha scelto, per me va più che bene» asserì il Sin’dorei in tono solenne, prima di dargli una pacca a mano aperta sul ventre e rivolgersi direttamente a lui con un sorriso allegro «Finalmente qualcuno che possa apprezzare la buona cucina! Immagino tu non faccia complimenti a tavola, dico bene?».
Il Peone si stupì di essere stato interpellato direttamente e si affrettò a rispondere per non sembrare scortese: «Io felice, Elathriel brava cuoca».
Sorrise, tentando di non mostrare troppo le zanne più piccole che fuoriuscivano dalla mandibola, lateralmente a quelle più grosse e aguzze che non avrebbero mai potuto essere nascoste in alcuna maniera.
Jesthenis gli diede una pacca sulla schiena e gli fece l’occhiolino.
«Le ho insegnato io a cucinare quando era piccola… è stata un’ottima allieva. Tale padre tale figlia» si vantò in tono allegro. Elathriel arrossì e lo guardò con aria di finta offesa.
«Oh, papà! Dovevi proprio dirglielo?» disse.
«Non c’è niente di male, tesorino mio. Il tuo fidanzato non è uno sciocco, si era già accorto da solo di che ottima cuoca tu fossi» si difese Jesthenis, prima di separarsi dal nuovo acquisto di famiglia per tornare dalla moglie. Le cinse i fianchi esili con un braccio e con la mano libera le accarezzò una guancia, guardandola dritta in viso.
«Su, su…! Julia, mia cara, asciughiamo queste lacrime ed entriamo tutti in casa… Elathriel e il nostro ospite avranno viaggiato molto per arrivare fin qui, il minimo che possiamo fare per ora è farli riposare, mh?» disse.
L’Elfa del Sangue guardò verso il Peone al di sopra delle spalle del marito ed emise un lieve singulto, poi annuì. Si staccò da lui e si asciugò le lacrime mentre si avviava per prima in casa.
«Venite, forza» esortò Jesthenis nei confronti della coppia.
Elathriel prese il suo Peone per un braccio, avvolgendosi ad esso come se ne andasse della sua stessa vita, e lo guidò all’interno. Entrarono finalmente in casa.
Lanterne magiche erano sospese vicino alle pareti ed illuminavano il grande soggiorno senza lasciare neppure un angolo in ombra. Il mobilio aveva un aspetto raffinato e delicato e quando Elathriel fece un cenno all’Orco perché si accomodasse sulla poltrona, quest’ultimo temette che si spezzasse in due sotto il suo non indifferente peso. Contro ogni suo timore, la poltrona in questione resistette alla perfezione e non solo: riuscì ad accogliere persino il suo largo deretano senza nessuno sforzo.
I cuscini erano comodi e lo schienale alto e dritto era un supporto molto ben gradito per la sua schiena abituata a rimanere curva per intere giornate. Elathriel lo forzò a rilassarsi contro lo schienale, lasciando la presa attorno al suo braccio. Sua madre prese contemporaneamente posto sul divano. Pareva un po’ più rilassata.
«Rimani qui con la mamma mentre io e papà andiamo a preparare il pranzo, va bene?» disse Elathriel a bassa voce «Cerca di farla stare calma» soggiunse quasi in un soffio.
Il Peone annuì con un debole cenno del capo. Non sapeva come fare per far rimanere calma quella femmina, non dopo che gli era esplosa a piangere davanti senza che lui le avesse fatto niente di male.
Con un sorriso e un bacio sulla testa pelata, Elathriel lo abbandonò in compagnia di Julia. Un silenzio così pesante da poter essere tagliato con un coltello calò nel soggiorno come una cappa. Il Peone non sapeva come fare per interrompere quel momento di enorme imbarazzo, temendo una reazione esagerata a qualsiasi suo tentativo di avviare una conversazione. Per di più, non aveva idea di cosa dire alla madre della sua fidanzata: non era solito frequentare Elfi del Sangue.
Fu Julia a toglierlo d’impiccio domandando: «Come hai conosciuto Elathriel?».
L’Orco si agitò leggermente sulla poltrona, a disagio, poi rispose: «Me fa zug-zug a Wor’var. Elathriel tiene locanda a Wor’var».
Era una risposta semplicissima e del tutto innocente e Julia non poté non abbozzare un sorriso di fronte ad essa.
Il Peone si tormentò le grosse mani callose, abbassando lo sguardo verso le sue ridicole scarpe basse da lavoro.
«Io dispiaciuto noi no può fare… nipotini» borbottò, senza guardare la sua interlocutrice in faccia per la vergogna «Io solo… semplice Peone. Elathriel buona con me. Io felice lei vuole bene me».
Julia lo guardò alzare esitante la testa verso di lei e capì di essere stata troppo frettolosa nel giudicarlo. Tutto sommato, pareva buono pur essendo un Orco.
L’Elfa del Sangue si spostò in una metà del divano, poi picchiettò con una mano affusolata il vuoto al suo fianco.
«Vieni a sederti accanto a me. Vorrei conoscerti un po' meglio…» disse, con espressione stranamente più dolce.
Il Peone, sorpreso da quel repentino cambio di atteggiamento nei suoi confronti, goffamente si alzò e si spostò vicino alla Sin’dorei.
Quest'ultima lo interpellò ancora a lungo su ciò che era accaduto a Wor’var, ma in tono molto più leggero e cordiale. L’Orco rispose cortesemente, sforzandosi di parlare meglio che poteva per fare bella figura.
Quando Elathriel tornò in soggiorno due ore più tardi li trovò intenti a parlare. Sua madre stava cercando di istruire il suo Peone per fargli articolare una frase più complicata di quelle che lui solitamente utilizzava per rispondere.
Sorrise teneramente per la scena e si avvicinò da dietro lo schienale del divano pian piano per non disturbarli a metà del discorso. Non appena fecero una minuscola pausa, ne approfittò per annunciare: «Il pranzo è pronto!».
Il Peone scattò in piedi come se avesse una molla nelle gambe e Julia lo imitò poco dopo con molto meno entusiasmo.
«Oserei dire che il nostro ospite sia affamato» commentò con un sorriso Julia.
«Non ancora per molto» rispose allegramente Elathriel, lieta che sua madre avesse stabilito un rapporto positivo di qualche tipo con il suo Peone.
Si spostarono nella sala da pranzo, che si trovava annessa direttamente alla cucina. La tavola era stata imbandita lussuosamente con una quantità di cibo che il Peone non aveva mai visto prima di allora raccolta tutta insieme. L’aroma era delizioso e da solo bastò a creare un eccesso di saliva nella bocca dell’Orco, che si accostò al tavolo più attirato da quello che da altro.
Il suo stomaco brontolò forte, a sottolineare bene il suo appetito.
Presero tutti posto, quindi venne servito il primo piatto: una minestra con netta prevalenza di pomodoro nella ricetta.
Utilizzando il cucchiaio - l’unica posata che l’Orco non era in grado di usare - il Peone cercò di sorbire la minestra imitando i movimenti della famiglia Sunstriker. Non essendo per niente ferrato in materia, finì col mangiare la minestra tirandola su rumorosamente dalla posata. L’eco del suo risucchio parve amplificata dal silenzio che regnava nella stanza.
Elathriel cercava disperatamente di non ridere dell’impaccio palese del suo fidanzato; Julia e Jesthenis tentavano di non riprenderlo. Il Peone non sapeva come fare per essere più silenzioso.
Finalmente dopo quello che parve un interminabile lasso di tempo la minestra fu consumata tutta e il Peone ne fu estremamente lieto.
A quel punto fu il turno del secondo piatto, che in realtà si rivelò essere un insieme di portate di carni diverse. L’Orco si leccò istintivamente le labbra, ansioso di assaggiare tutto quanto. C’erano cosce e petti di uccelli, carré di talbuk, bistecche. Elathriel doveva aver spiegato a suo padre che genere di dieta aveva seguito su Draenor.
«Questo penso sarà di tuo gradimento» esclamò con un sorriso allegro Jesthenis.
Sua figlia prese un paio di grosse pinze da cibo e allungò una mano aperta per prendere il piatto del suo Peone.
«Cosa vuoi?» gli domandò.
«Io mangia poco di tutto» rispose l’Orco, guardandola mentre gli riempiva il piatto con un po' di carne di tutti i tipi.
Il Peone si sforzò di non gettarsi famelico sul cibo non appena lo vide comparire dinanzi a sé, aspettando che anche gli altri fossero serviti. Una volta a Wor'var Elathriel gli aveva detto che era buona educazione fare così.
Non appena tutti ebbero avuto il piatto pieno, il Peone si lanciò nel più grezzo metodo di soddisfazione per il cuoco o cuoca di turno: mangiò con le mani tutto, persino la bistecca. Non considerò neppure per un attimo l’ipotesi di impiegare forchetta e coltello. La sua mandibola masticava instancabilmente e i rumori gutturali che emetteva di quando in quando indicavano quanto fosse soddisfatto del pasto.
Elathriel era abituata a vederlo mangiare così e fu contenta che il pranzo fosse di suo gradimento. Julia ebbe cura di non guardarlo troppo spesso, per non perdere appetito. Jesthenis era in qualche modo incuriosito dalla sua maniera rozza di alimentarsi.
Il Peone aveva occhi solo per il suo cibo e non si accorse di nient’altro, neanche quando chiese alla sua fidanzata se poteva avere altra carne.
Si rimpinzò a dovere, annaffiando saltuariamente il tutto con qualche bicchiere di dolcissimo vino elfico. Quand’ebbe riempito la pancia, si abbandonò sazio contro lo schienale con espressione beata e represse provvidenzialmente ben due rutti, cosa di cui Elathriel fu contenta e soddisfatta.
«Io pieno» comunicò agli altri commensali «Pranzo buono».
«È bello sentirselo dire!» esclamò Jesthenis, pulendosi la bocca nel tovagliolo «Spero tu abbia ancora posto per il dolce».
Julia gli rivolse un’occhiata di ammonimento.
«Ha già mangiato abbastanza, poveretto. Non vorrai farlo sentir male?» esclamò.
Gli occhi del Peone guizzarono di rinnovata energia al sentir nominare il dessert: i dolci di Elathriel erano squisiti, e se era vero che suo padre le aveva insegnato a cucinare allora i suoi dovevano essere eccezionali.
Si raddrizzò goffamente sulla sedia e disse: «Io assaggiare».
Il suo entusiasmo era palese nonostante avesse appena dichiarato di essere sazio.
Elathriel gli accarezzò la testa pelata con affetto.
«Ha sempre spazio per il dolce» commentò.
Jesthenis si alzò in piedi e svuotò il suo calice di vino, quindi disse: «Allora vado a prenderlo prima che cambi idea».
Si allontanò verso la metà della stanza adibita a cucina, separata dal tavolo solo da un elegante separè in metallo dorato e seta viola.
Elathriel si alzò poco dopo: «Prendo dei piattini puliti».
Se ne andò dietro al padre, lasciando Julia e il Peone di nuovo soli. L’Elfa del Sangue terminò di mangiare con calma i suoi ultimi bocconi di carne.
«Mio marito si diverte sempre a creare dolci terribilmente pesanti persino dopo il cenone di Grande Inverno. Se non ti va non fa niente…» lo avvertì cortesemente, pulendosi la bocca con il suo tovagliolo.
L’Elfo del Sangue in questione fece ritorno poco dopo trasportando con entrambe le mani un vassoio argentato sul quale riposava una enorme torta al cioccolato che si ergeva su ben due piani e glassata con una cascata di crema. Solo a vederla il Peone si rese conto che l’avvertimento della madre di Elathriel non era stato poi tanto casuale e che forse non aveva poi così tanto spazio per il dolce; tuttavia, sicuramente si sarebbe impegnato per crearne un po'. Dall’aspetto pareva talmente buona che non poteva non assaggiarne almeno una fettina.
Dietro il capofamiglia arrivò anche sua figlia, trasportando dei piattini tra le braccia e dei cucchiai sopra le stoviglie pulite. Si affiancò al padre e le dispose separatamente sul tavolo dopo aver accatastato da parte i vassoi di carne ormai vuoti.
Jesthenis adagiò il vassoio sul tavolo poco distante da lei e prese il coltello che aveva appoggiato vicino alla base della torta. Tagliò la prima fetta - che non era esattamente piccola - e la depositò sul primo piattino, quindi Elathriel lo porse al suo Peone.
L’Orco non era del tutto sicuro di farcela a finire l’intera fetta, ma rifiutarla gli sarebbe sembrato scortese. La prese ringraziando e se la piazzò davanti.
Quando tutti furono serviti, mangiarono. L’aroma di cioccolato e crema si mescolava piacevolmente in bocca all’Orco, ma era anche decisamente pesante come sapore, specialmente dopo tutta la carne che aveva ingurgitato.
Si sforzò di mangiarlo tutto quanto, pur essendo strapieno già dopo metà, e ci riuscì.
Quand’ebbe finito si alzò lentamente da tavola e tornò in soggiorno, seguito dappresso da Elathriel. I suoi genitori invece si trattennero per sparecchiare e lavare i piatti.
Il Peone andò a sedersi sulla poltrona, abbandonandosi sullo schienale con un moto di sollievo: in quella posizione non aveva lo stomaco compresso, il che era decisamente bello visto quanto aveva mangiato. Elathriel si accomodò sulle sue gambe e si posizionò di traverso, appoggiandosi contro una sua spalla. Con il braccio più vicino l’Orco le cinse la curva della schiena con delicatezza, trattenendola contro di sé.
Quando Julia e Jesthenis tornarono in soggiorno, la felice coppia si era addormentata. I due Elfi del Sangue non trovarono nessun motivo per disturbarli e li lasciarono riposare in pace.
«Siete sicuri di voler ripartire così presto?».
Julia e Jesthenis erano sulla porta di casa, al tramonto, insieme ai loro ospiti.
Il Peone aveva l’aria assonnata e sbadigliò vistosamente per tutta risposta. Aveva dormito buona parte del pomeriggio e nonostante ciò aveva ancora parecchio sonno.
«Dobbiamo andare a Orgrimmar. È meglio non andare troppo in giro a notte fonda...» spiegò ai suoi genitori la giovane Elfa del Sangue «… inoltre penso che sia meglio evitare un altro pasto abbondante come il pranzo per il mio Peone...» soggiunse in un sussurro udibile solo dai suoi parenti, i quali sorrisero entrambi.
«Tornate presto a farci visita… continua a scriverci, d’accordo tesoro?» esclamò Julia.
«Va bene» replicò la figlia annuendo.
«Magari tornate per una festività!» si aggiunse Jesthenis.
Il Peone si immaginò che cosa avrebbe potuto essere un pasto per una festività importante come la Vigilia di Grande Inverno e fu contento di non aver sperimentato la cucina del padre di Elathriel in una simile occasione senza alcun tipo di preparazione.
La famiglia Sunstriker si abbracciò e Jesthenis invitò anche il Peone ad unirsi all’effusione. Con le sue braccia enormi, l’Orco riuscì ad abbracciarli tutti e tre insieme senza alcuna difficoltà. Rimasero uniti così per alcuni istanti, poi si separarono.
Mentre si allontanavano in direzione della Piazza Reale, diretti all’ingresso di Lunargenta, il Peone si rivolse a Elathriel.
«Tu no vuole restare?» chiese confuso «Qui casa tua».
«Non essere sciocco» l’Elfa del Sangue lo guardò e sorrise, abbracciando il suo braccio, stringendo forte «L’ho visto che sei a disagio qui, sai? E io sono a casa ovunque possiamo stare insieme».
Il Peone avvampò in faccia a quelle parole colme di sentimento, e tutto ciò che riuscì a dire, di nuovo, fu: «Io felice».