Titolo: Thriler!
Fandom: Glee
Pairing: Kurt/Dave
Genere: Horror, un pò romantico
Avvertimenti: AU, slightly OOC, deathfic, pre-slash
Conteggio Parole: 876 (
fiumidiparole )
Note: 1. Richiesta da
kurenai88 :)
2. Anche per la tabellina del
kurtofsky_ita con il prompt "Horror", anche se fa parte di un'altra tabellina, cioè di quella mista. Vedi
Kurtofsky challenge.
Gli aveva detto di aspettarlo lì, accanto alla porta della classe di Francese. Gli aveva detto che sarebbe tornato, che l'avrebbe preso con sé e che l'avrebbe portato via da quel paese troppo piccolo per le sue ambizioni. E così lui l'aveva atteso, per giorni, settimane e mesi, sempre alla stessa ora fino alla chiusura della scuola. All'inizio si era detto che forse David era malato, che forse era in ospedale, ed aveva chiamato a casa più volte senza ricevere risposte che andassero oltre il "David non c'è". Kurt non capiva. Iniziò presto a chiedersi se avesse fatto qualcosa di troppo sbagliato nel confrontarsi con Dave, e dopotutto non riusciva a darsi torto. Aveva reagito esattamente com'era giusto quando i due erano in cattivi rapporti, non l'aveva mai ferito più del necessario. E invece Dave, rimanendo assente tutto quel tempo senza farsi sentire, gli stava instillando dei sensi di colpa che non pensava di meritarsi.
Anche mentre rifletteva da solo riesaminava ogni conversazione - o meglio, "scontro" - che aveva avuto col corpulento ragazzo, eppure non trovava alcuna parola di troppo, o gesto azzardato, o sguardo di ammonizione. Lui era stato bravissimo, quindi quel senso di colpa era completamente sbagliato ed irrazionale. Anche Blaine la pensava così, ma in verità Blaine era decisamente di parte e non contava poi molto. Gli disse mille volte che probabilmente Dave aveva solo deciso di andarsene senza avvertirlo, senza dare un'altra possibilità alla loro amicizia. Probabilmente aveva solo paura. Probabilmente era solo molto stupido.
Kurt non ci credeva, alle parole del suo ragazzo. Sapeva che c'era qualcosa di sbagliato, preoccupante e strano nel modo in cui Karofsky era sparito. E quello che lo disturbava davvero era come non riuscisse a levarselo dalla testa. Si ripeteva che avrebbe dovuto lasciar perdere, che in fondo era solo un'altra persona che lo abbandonava, ma il non riuscire a venirne a capo era un'ossessione ormai. Odiava non combinare niente con quella sua naturale curiosità che spesso aveva del morboso. Voleva sapere e lo voleva subito.
Quando decise di andare a casa sua, si aspettava tutto fuor che un'abitazione abbandonata. Almeno all'apparenza. Le tapparelle abbassate, il silenzio innaturale, il vento fresco che accarezzava inutilmente i muri ed il tetto. Ed un presentimento innaturale che titillava i suoi sensi. Per qualche motivo avvertì un brivido lungo la schiena e ripassò i consigli che dava agli attori dei film horror. Andarsene, non indagare. Mosse qualche passo all'indietro e ricordò che nei film l'assassino mutante era proprio dietro il protagonista, con tanto di ghigno malefico. Si voltò di scatto ma non c'era nulla. Eppure il silenzio, anche nel vicinato, era inquietante. Ricordava di essere passato nel quartiere qualche volta, e non l'aveva mai visto così deserto. Nemmeno d'estate.
Deglutì, dicendosi che ecco, la sua curiosità poteva dirsi saziata. Dave si era trasferito, chiaramente. E con lui tutto il vicinato?
Sentiva il cuore battere sotto la pelle e contemporaneamente il sangue ritirarsi velocemente dagli arti. C'era qualcosa di malato nell'aria, ecco qual era il problema. Era successo qualcosa e lui era l'unico a rendersene conto, perché il resto degli abitanti di Lima ai quali aveva chiesto un'opinione si erano limitati a sorridere educati e a dirgli che no, non c'era niente di strano, che forse Dave aveva la febbre. E gli dicevano così anche dopo settimane e anche dopo un paio di mesi. "Oh, allora ha preso proprio una febbrona da cavallo, dovresti andarlo a trovare." Da qui, Kurt si disse una volta di più che erano tutti stupidi. E tendeva a non menzionare la faccenda nel Glee Club, perché onestamente non voleva che tutti sapessero che a lui interessava davvero qualcosa di quel bullo che l'aveva solo maltrattato e quasi sessualmente molestato - parole di Sam - per un sacco di tempo. Anche Mercedes gli avrebbe dato del pazo se le avesse detto che era preoccupato, così tanto da farne un chiodo fisso.
Guardò il cielo ed era completamente sgombro, guardò attorno a sé e non era cambiato nulla. Prese qualche respiro veloce ma i puntini che erano apparsi nel suo campo visivo proprio non volevano andarsene. Aveva paura, e non sapeva nemmeno di cosa. Mosse qualche passo difficoltoso verso la casa, poggiandosi al muro e desiderando vagamente un gelato. Una stecca di cioccolato, una scatoletta di liquirizie. Qualcosa. Il cuore batteva forte, più d'eccitazione che di paura, e questo non sapeva spiegarselo. O forse le due cose coincidevano.
Quando aprì gli occhi annusò l'aria d'erba fresca, avvertì il sole palpitare forte sugli occhi tanto che dovette chiuderli e riaprirli più volte per mettere a fuoco, l'aria fresca accarezzava dolcemente il suo viso. Era disorientato, e non comprendeva perché il suo corpo stesse rabbrividendo nonostante il caldo. Si accigliò e finalmente sospirò. Doveva aver avuto un calo di pressione, ecco tutto.
Poi sentì qualcosa di terroso afferrargli piano la mano, in modo quasi dolce, e voltò la testa, immobilizzandosi subito. Quello che vide ghiacciò il respiro nei polmoni, fermandolo per dei lunghissimi secondi.
Accanto a lui, steso sull'erba, c'era il corpo familiare eppure quasi irriconoscibile di David Karofsky. Era magro, pallidissimo, soprattutto freddo. E ricoperto di terriccio umido, tagli leggeri e sangue rappreso.
Voltò il viso verso di lui, pietrificandolo con un sorriso infantile e dolce che forse si addiceva poco ad un corpo morto.
«Sei venuto. Per me!» Esclamò Dave, felice.