Titolo: A thousand paper cranes
Autore:
p-willFandom:
Hanna is not a boy's namePersonaggi/pairings: Hanna/Zombie
Rating: PG
Avvertimenti: fluff, pre-slash
Conteggio parole: (FDP)
Disclaimer: HINABN è il bellizzimo webcomic di Tessa Stone e io non c'entro niente :D
Note: Scritto per il prompt Zombie/Hanna, a thousand paper cranes di
eyes_of_venom <3 (
Notte Bianca #2 @
maridichallenge)
È una cosa di cui si accorge una notte, all’improvviso, quando fa per appoggiare il libro che ha appena finito a terra per prenderne un altro e sente un piccolo scricchiolio. Lo sposta, e scopre abbandonata sul pavimento una gru di carta rosa, storta e stropicciata per il colpo. Si lascia cadere il libro in grembo, la prende in mano e se la avvicina al viso, il rosa che diventa un rosso leggero illuminato dal bagliore dei suoi occhi, per studiarla meglio.
Mentre spiana le ali e raddrizza con attenzione la coda e il becco sottile dell’origami, si rende conto che non è il primo fatto da Hanna. Fissa la piccola gru per qualche secondo e poi si volta verso Hanna, che si rigira nel sonno mormorando qualcosa di incomprensibile come se sentisse il suo sguardo su di sé.
E da quel momento, come se si fosse chiuso un circuito, nota anche gli altri. Ci sono gru sparse per tutto il loro buco di appartamento, da sole, appaiate, a grappoli interi nei posti più strani; ce n’è una, triste e umidiccia, al posto del sapone sotto la doccia, e ne trova quattro di un giallo splendente in una pentola, in fila sul fondo di acciaio come una famigliola di paperelle. È come se la casa rigurgitasse origami, all’improvviso, e ad un certo punto non c’è angolo su cui possa posare lo sguardo senza trovare gru in miniatura di ogni colore.
Un pomeriggio finalmente trova Hanna a gambe incrociate sul divano con il grembo cosparso di fogli di carta, intento a piegarne uno in un triangolo perfetto, la fronte arricciata in concentrazione e la punta della lingua tra i denti. Si avvicina, mentre il ragazzo piega gli angoli di quello che adesso è un quadrato, e si siede silenziosamente accanto a lui. Solo a quel punto Hanna si accorge di non essere solo e sussulta, facendo svolazzare a terra tutti i fogli e quasi cadendo anche lui in un agitarsi di braccia e gambe.
“Ehi, Rodolfus, amico, vuoi farmi prendere un infarto? La prossima volta puoi, tipo, battere le mani o qualcosa del genere quando te ne vai a spasso di soppiatto in quel modo, insomma…”
“Perché lo stai facendo?”
Hanna lo guarda, sbattendo le palpebre, poi abbassa gli occhi sul pezzo di carta tra le sue mani e arrossisce un pochino. “Mettono allegria, vero? Ho pensato che, ehi, devo ammazzare il tempo e la carta non costa niente, soprattutto quando me la, uhm, presta Conrad, quindi tanto valeva portarsi avanti col lavoro!”
Si guarda intorno, nella stanza così stipata di origami che quasi non riesce più a vedere i mobili sotto di essi. “Lavoro?”
“Sicuro!” Hanna sorride, un sorriso fiero che gli illumina il viso. “Sono a ottocentosettantadue! Non ti ricordi, mille di questi piccoletti per-”
“Un desiderio,” mormora. “Cosa desideri?”
“Io? Naah.” Hanna scrolla le spalle, tornando al suo quadrato di carta, ma lui continua a guardarlo, piegando appena la testa di lato come se in quel modo fosse più facile leggere Hanna Falk Cross.
“È per me?” dice infine, quando Hanna sta lisciando la coda dell’ultima gru.
Questo sorriso è più discreto, come se stesse ridendo di una battuta segreta, ma riesce comunque a riempire i suoi occhi azzurri di calore ed altre cose che, purtroppo, non sa ancora riconoscere. “Lo so che per te va tutto bene e non hai bisogno di niente, ma si può sempre trovare qualcosa, no?”
Hanna non lo guarda negli occhi, chinandosi a prendere qualche altro foglio, ma lui lo blocca. Prende la nuova gru, bianca, fragile, e la appoggia con delicatezza sulla spalliera del divano.
Poi si abbassa a raccogliere tutti i fogli caduti, e li passa diligentemente ad Hanna. Il sorriso ritorna a piena potenza. “Grazie, Sebastian.”
Quando Hanna gli passa un pezzo di carta a pois blu, già tutto preso di nuovo dalla sua missione, sente una sensazione lieve all’altezza del petto, e non sa spiegarsi se sia per il sorriso di Hanna, per la magia che l’ha risvegliato, o perché gli pare di aver intravisto qualcosa che potrebbe desiderare davvero.
Titolo: Three is a crowd
Personaggi/pairings: Conrad/Lamont/Worth
Rating: PG13
Avvertimenti: slash, language
Conteggio parole: 315 (FDP)
Note: Scritto per il prompt Conrad/Lamont/Worth, "SHOVE OVER!" di
eyes_of_venom <3 (
Notte Bianca #2 @
maridichallenge)
“E scansati, cazzo.”
Una spintarella. “Worth, forse non te ne sei accorto, ma-” Un’altra spinta, un po’ più convinta. “-il letto è finito.”
“Quanto spazio stai cercando di prendere, uh? Pesi venti chili bagnato, come riesci ad occupare tutto questo spazio?!”
“È colpa del tuo culone da checcha,” dice Worth, pizzicando la parte anatomica in questione da sotto il lenzuolo. Ridacchia rauco e deliziato quando Conrad sussulta e per poco non fa cadere Lamont dal materasso con una ginocchiata mal piazzata.
“Come- cosa-” il vampiro si raddrizza gli occhiali, furioso, trovando persino il coraggio di dargli una gomitata. “Cos’hai da lamentarti, adesso?”
“Mi serve spazio,” Worth ricambia la gomitata e ow, dannazione, doveva saperlo che era una sfida persa in partenza con quella specie di stecchino umano.
“Signori, volete chiudere quelle cazzo di bocche?” brontola Lamont, con il viso affondato nell’unico cuscino superstite. “Uh, per favore.”
Worth grugnisce. “Ma che brava signorina, sempre educata,” dice, continuando a punzecchiare Conrad con un gomito assurdamente affilato nel tentativo di farlo scorrere più in là o semplicemente di farlo infuriare fino a farlo scoppiare (e non è nella prima che sta riuscendo meglio). “Perché non ti levi dai coglioni? Stai occupando tutto il mio letto.”
“Il tuo cosa?!”
“No, sai, hai ragione,” esclama Lamont, tirandosi a sedere per ripescare i vestiti da dove giacciono abbandonati sul pavimento. “Invece di stare qui a sentire la tua voce posso andare a fare cose utili come guadagnare dei soldi.”
“Ecco, sì, bravo,” aspetta che l’altro si alzi per infilarsi i pantaloni e si appiccica a Conrad, salendogli addosso come un koala. “Lasciaci un po’ di spazio.”
“No- cosa- Monty! Monty, non osare uscire da questa fottutissima casa e lasciarmi qui con lui!”
Lamont si infila la giacca e si volta verso il letto, sorridendo. “Scusa piccolo, ma il sole è alto.” Gli dà un bacio sulla guancia e se ne va, canticchiando, accompagnato dalle urla di Conrad e dalla risata gracchiante di Worth.
Titolo: In the eye of the beholder
Personaggi/pairings: Conrad/Worth
Rating: PG13
Avvertimenti: slash, language
Conteggio parole: 397 (FDP)
Note: Scritto per il prompt le occhiaie possono essere attraenti di
s0emme0s (
Notte Bianca #2 @
maridichallenge)
Worth non è ciò che si potrebbe definire bello, non esattamente, non in questa realtà e a dirla tutta neppure in quella di un film sugli anni sessanta in cui il protagonista porta i segni della propria dannazione addosso come una medaglia.
Worth non è romanticamente pallido, non è sottile ed elegante, è emaciato, tutto angoli e spigoli, ed è di un grigio che lo fa sembrare malato. È sporco, trascurato, e guardandoli insieme non si direbbe minimamente che dei due il vampiro è Conrad, se non fosse per il fatto che ha due - be’, okay, una zanna e che non respira.
Worth non è bello e a lui non piace, per l’amor di dio. È un cazzone odioso e pieno di sé per una laurea fasulla, che viene da lui a farsi mordere solo perché è totalmente pazzo e non riesce a farselo alzare senza un morso o due e, naturalmente, perché vive per sfottere a morte e rendere la sua non-vita un inferno. Se Worth smettesse di inquinare il mondo con le sue sigarette e la sua irritante presenza sarebbe tutto più bello.
Conrad odia Worth, davvero.
“‘n mi toccare.”
“Non lo sto facendo,” dice Conrad, sfiorandogli la fronte. Sembra quasi sereno quando dorme, o cerca di dormire. Un bimbo addormentato, con i tratti più affilati di un coltello e una bocca che sa di alcol e nicotina.
“Sm’tila,” biascica, agitando debolmente una mano nel tentativo di allontanarlo. “Se vuoi parlare dei tuoi sentimenti vatti a chiudere in bagno a piangere.”
Conrad sbuffa. “Sentimenti, ti piacerebbe.”
Worth apre un occhio iniettato di sangue e lo guarda male, anche se smette di protestare e si stringe un po’ a lui, addolcito un po’ dal sesso, un po’ dall’improvvisa anemia, un po’ da qualsiasi cosa abbia preso prima di presentarsi davanti alla sua porta. “Finocchio,” borbotta, e okay, forse non proprio addolcito.
O forse Conrad deve essersi bevuto troppa di quella roba che Worth aveva nel sangue, se trova tenero il modo in cui chiude gli occhi e piega la testa verso il suo petto.
Ma Worth non è tenero. Non è gentile, non è bello, e di sicuro non ci sono sentimenti di mezzo. E lui - si ripete, mentre disegna il contorno delle sue occhiaie con la punta delle dita, appena lo sente russare piano contro la propria spalla - non è e non sarà mai, nemmeno tra cent’anni, un po’ innamorato di lui.