"Innominata" per ladymacbeth77

Jul 09, 2008 10:19

Titolo: Innominata
Autore: katrinbisiani
Fandom: Originale
Rating: NC17
Avvisi: Non-con



La strada era sporca, buia.
L’immondizia ne ricopriva il selciato, assieme ai saltuari corpi di qualche mendicante od ammalato impegnato a tossire la propria fine.
Le pianelle di seta leggera della ragazza non provocavano quasi rumore, tranne quando finivano con l’entrare nelle pozzanghere di piscio o vomito in cui era facile finire.
Reggeva tra le dita la gonna dell’abito di buona fattura e si guardava costantemente alle spalle, gli occhi dilatati in un’espressione di orrore e paura quasi ancestrale.
Le guance erano rigate di lacrime e quella che un tempo era stata una bella bocca si schiudeva, ora sanguinante e rovinata, per permetterle di inghiottire brevi e rasposi respiri.
Inciampò, sulla gamba di qualcuno steso a terra, ed atterrò con il viso in una pozza di un liquido vischioso.
Il sapore ferroso, quasi identico a quello che aveva sentito fino a pochi secondi prima sulle proprie labbra, le rivelò che era sangue.
Gli occhi dilatati per la paura, la ragazza puntò le mani sul terreno e cercò di sollevarsi mentre si rendeva conto che quello su cui era inciampato era il cadavere di qualcuno, impossibile definire chi nella mancanza di luce della piccola strada.
Cercò di sollevarsi sui piedi e riprendere la sua corsa, ma una mano da dietro le afferrò i capelli, un tempo finemente acconciati ma ora mezzi liberi ed aggrovigliati, e la strattonò indietro facendola ricadere al suolo.
Un suono disperato le sfuggì di gola nel vedere la forma della figura che le torreggiava sopra. Alzò un braccio come istintiva difesa ed il bastone che il suo assalitore stava calando con violenza lo prese in pieno, facendo rompere l’osso con uno schiocco secco.
Il grido arrochito che le sfuggì dalle labbra non parve impietosirlo, se non nella misura del lanciare a qualche metro di distanza il bastone, facendolo urtare contro un muro con un suono sordo.
Fu tuttavia ben chiaro, dai suoi gesti successivi, che non era stato un atto di misericordia ma bensì un semplice toglierle un’eventuale arma di difesa di torno ed il liberarsi di un impaccio per slacciarsi le brache.
Quasi ammutolita dal terrore, e dal dolore che le annebbiava la vista irradiandosi con un pulsare sordo dal suo braccio, la ragazza cerco di strisciare a terra, via dal suo aggressore.
Un gesto inutile, perché lui le fu subito sopra, spingendola a terra con il proprio maggior peso e sollevandole rudemente la gonna per mettere in vista le sue gambe e l’inguine.
La chiamò “sorella”, nella loro gutturale lingua, e le allargò le gambe con le mani nodose, in modo da renderla completamente esposta ed indifesa quando si calò su di lei.
Attraverso il velo che il dolore aveva posto sui suoi sensi lei avvertì la sensazione della sua pelle butterata sulla propria, del suo pene inviscidito dal suo stesso sperma che si strusciava sul suo interno coscia mentre lui cercava la giusta posizione.
Poi venne il nuovo dolore, acuto per un momento ma non tanto da strapparla in maniera permanente a quella nebbia che cercava di calarle addosso e che lei cercava di combattere, così come cercava di combattere con le sue deboli forze l’atto che stava avvenendo.
Il respiro di lui sul collo, le sue parole inframmezzate ad ansiti che quasi erano grugniti, il suo rimproverarle di essere nata da una madre plebea, priva di quella bellezza che era particolare della corte.
E le spinte, le spinte che lo portavano dentro di lei e che gli permettevano di violarla e buttarle dentro il proprio seme, che avrebbe potuto generare un figlio bastardo degno della bellezza di suo fratello e della famiglia di cui non avrebbe mai potuto fare parte.
Lei, la deforme.
Con i suoi capelli morbidi, la sua pelle liscia e delicata, le sue labbra piene, la sua schiena dritta … così orrenda e ributtante da meritare quella fine.
Così ripugnante da poter ambire solo al ruolo di sfogo fisico per la rabbia del fratello, che ora la possedeva stringendole le mani attorno al collo e maledicendola per non avere una gobba come la sua o la gotta della madre di lui oppure il viso segnato e con gli occhi strabici del padre.
Onta della famiglia.
Stupida puttana.
Furono le ultime parole che sentì prima che la mancanza d’aria le facesse infiammare i polmoni e le annebbiasse definitivamente la vista, mentre lui le si svuotata dentro.
Lui, suo fratello … il suo splendido fratello.
Morì così, con un suono strozzato, rea soltanto di non essere nata con i tratti distintivi della casta nobiliare … figlia di una madre cameriera.
Morì e non ci fu altro da dire.

!challenge: mad tea party, originale, autore: katrin

Previous post Next post
Up