Titolo: Read my lips (qualcosa che inizia per S)
Autrice: Fae (
faechan)
Beta, Consulente e Motivatore:
el_defe Challenge:
Come as you're not @
fanfic_italia; bar (
50 Places @
casti_puri)
Fandom: RPF AC Fiorentina (/RPF Sampdoria)
Personaggi/Pairing: Alberto Gilardino/Stevan Jovetić, side!established! Giampaolo Pazzini/Riccardo Montolivo
Rating: PG
Warnings: AU, slash, crackfluff, gente che scrive in fandom di cui non sa nulla
Parole: 2276 (FDP)
Disclaimer: tutti i personaggi sono realmente esistenti e non sono miei, e di mestiere giocano a calcio e non fanno queste cose. Credo. Il titolo è parzialmente un'autocit. *indica il link nelle note sghignazzando*
Riassunto: del Principe dei Cappuccini e della Principessa Ricciolidoro. O, del tizio che faceva il filo al barista.
Note/Perché è un costume: perché è soccerdom, e io + soccerdom = cosa che avviene una volta l'anno *ride* Ma
avevo promesso a
chia25 e
janetmourfaaill che se ne avessi scritto di nuovo sarebbe stato sulla Fiore, perché li ho in simpatia e perché per il Gila ho una mezza crush randomica. Per cui. E' uscito un AU demente che di soccerdom non ha tipo niente, ma boh, volevo provarci, just for the sake of it. EDIT (29/12/2010): leggero restyling, con uno scintillante finale in omaggio \o/
--
"…No, guarda, lasciamo perdere. E' evidente che non ce la posso fare."
"Sì che puoi."
"Ti dico di no."
"Ti dico di sì."
"E io ti dico di no."
"Perché sei un coglione e non ti sbatti a concentrarti un secondo, ecco perché. Jove, diglielo tu."
Il silenzio di tomba che segue le parole di Riccardo si protrae per un numero di secondi che, in una situazione normale, travalicherebbe i confini dell'imbarazzante. Fortunatamente, in mezzo al chiacchiericcio e al rumore di stoviglie e alla radio che spara Lady Gaga a tutto volume e in generale al casino che è un bar all'ora di pranzo, non ci si fa troppo caso.
"Jove?"
"…eh?" farfuglia Stevan, trasalendo e voltandosi così rapidamente da far collidere un gomito con il bicchiere della coca, che solo per miracolo mantiene abbastanza equilibrio da non cadere. In compenso non ne mantiene abbastanza da non urtare l'unica matita che in tre hanno ricordato di portare, che rotola fino al bordo del tavolo e si schianta rovinosamente a terra in una nuvoletta di grafite.
"…sì vabbè, buonanotte." Giampaolo si porta drammaticamente una mano alla fronte, sospirando. "Senti, ti scongiuro, fai un favore all'umanità intera: vai lì e provaci. Alla peggio ti dice di no."
"Grazie per l'incoraggiamento" borbotta Stevan, raccogliendo la matita e lanciandola a Riccardo.
"E' più produttivo stare qui a fissarlo, secondo te?" ribatte quello, prendendola al volo ed arricciando la bocca in una smorfia nel contemplarne la punta spezzata a metà.
"Sì, ma…" Stevan si morde incerto le labbra, giocherellando con la cannuccia. "…voglio dire, non è come provarci con una ragazza. Magari l'idea gli fa anche schifo."
"E in quel caso è una testa di cazzo, tu lo lasci perdere e torni alla tua vita. E fai tornare noi alla nostra."
Stevan sbuffa in modo platealmente infantile, a tanto così dal mettersi a fare le bollicine nel bicchiere. Lui non ha assolutissimamente rubato la vita di nessuno, è che i suoi amici sono degli stronzi, ecco tutto. Non è che tanto avessero altro da fare, comunque. Non è che avrebbero potuto andare a mangiare altrove e starsene da soli in santa pace come la coppia di checche in amore che sono, invece di accompagnarlo per non fargli fare completamente la figura del coglione. E non è che questa cosa vada avanti da chissà quanto. Una settimana di seguito non è chissà quanto, insomma.
"…non so nemmeno come si chiama!" si lagna.
"Alberto." Stevan volta di scatto la testa verso Riccardo, fissandolo a bocca aperta come se avesse appena rivelato il terzo segreto di Fatima. Riccardo alza gli occhi al cielo, evidentemente provato. "Si chiama Alberto" prosegue. "Ce l'ha scritto sulla targhetta, che saresti riuscito a vedere anche tu se fossi - la butto lì, eh? - andato da lui, invece di sbavargli dietro a distanza di sicurezza."
"…Quindi cosa, vado e gli dico 'ehi, ho letto il tuo nome sulla targhetta, usciamo insieme'?"
"Jove, sei senza speranza" sentenzia Giampaolo, chiudendo rumorosamente il libro che ha davanti per dare più enfasi alle proprie parole. "Lascia stare. Dimenticalo."
"…ma se trenta secondi fa mi hai detto di provarci!"
"Ho cambiato idea. Poi scusa, che te ne fai di uno così?"
Stevan sgrana gli occhi, a metà tra il sentirsi drammaticamente sconvolto e il sentirsi genuinamente oltraggiato.
"…va bene, è carino, te lo concedo" lo anticipa Giampaolo, alzando le mani prima di poter essere interrotto. "Ma per dire, l'hai mai visto sorridere? Dai, sembra che abbia una scopa infilata nel culo."
"…non so quanto parlare di cose infilate nel culo serva a farglielo dimenticare…"
"Sta' zitto, amore, sto cercando di garantirci un futuro tranquillo. Probabilmente è noioso" continua imperterrito. "Parla di roba noiosa e ascolta musica noiosa. E non so, vogliamo parlare delle sue scarpe?"
"…che hanno?" domanda Stevan perplesso, tentando di trovare un qualunque nesso tra le scarpe e il resto della conversazione.
"...sono rosse e verdi!" gracchia Giampaolo, scandalizzato. "Fanno a pugni con tutto ciò che c'è di buono e santo nel mondo! Saranno una qualche imitazione tarocca comprata dai cinesi, come minimo. E' evidentemente uno che cerca di fare il figo."
"Beh…" osserva sottovoce, distogliendo gli occhi e trattenendo a stento il sorriso minuscolo e cretino che minaccia di incurvargli le labbra "…in effetti ci riesce."
Giampaolo si prende il viso tra le mani, stremato.
"…No, basta, io ci rinuncio" dichiara, alzandosi in piedi. "Sai che ti dico? Cavatela da solo. Noi andiamo a fare un giro."
"Noi dovremmo studiare, amore " lo rimbecca Riccardo, inarcando un sopracciglio.
"Lo faremo" stabilisce categorico, con l'aria di chi sta per avere una crisi di nervi "lontano dal Principe dei Cappuccini."
Stevan apre la bocca, fa passare lo sguardo dall'uno all'altro mentre entrambi radunano le loro cose e poi tenta inutilmente di richiuderla. "…no, ma begli amici di merda che siete, eh!" urla loro dietro indignato mentre si allontanano.
"Non rompere, Jove" lo zittisce Giampaolo, circondando con un braccio le spalle di Riccardo e guidandolo fuori prima che possa pensare di cambiare idea. "Ti lasciamo la piazza libera, non sei contento? Vai e colpisci."
Stevan incrocia le braccia sul tavolo e ci seppellisce dentro la testa per cinque minuti buoni. Poi sospira e, lentamente, lancia uno sguardo furtivo in direzione del bancone.
--
Lo sgabello gli si sgonfia sotto il culo non appena si siede, con un rumore altamente d'effetto. Il lato positivo è che Alberto è voltato di spalle, leggermente chino sulla macchina del caffè, e quindi chissà, magari non se n'è accorto o magari può averlo preso per un fruscio casuale o per uno spostamento d'aria o per un effetto randomico della radiazione cosmica di fondo. Il lato negativo è che Alberto voltato di spalle e leggermente chino sulla macchina del caffè è una visione che non aiuta in nessun modo le sue facoltà cerebrali.
"Dimmi pure" bofonchia all'improvviso una voce da qualche parte oltre le spalle, e Stevan sobbalza e compie sforzi sovrumani per non emettere versi imbarazzanti. Gli ci vogliono un paio di secondi per riuscire a parlare, e in quel paio di secondi - che forse più che un paio sono cinque o dieci, d'accordo - Alberto fa in tempo a girarsi, terminare di pulirsi le mani con uno straccio, gettarlo da una parte e inarcare un sopracciglio con aria educatamente perplessa.
"Un…" farfuglia Stevan, e la parola successiva comincia a formularsi nella sua mente come caffè e termina come cappuccino e quando gli scivola fuori dalle labbra si tramuta in qualcosa che suona all'incirca "caffspghfghfccino."
"…un caffè o un cappuccino?" chiede Alberto lentamente, mentre la sua aria passa da educatamente perplessa a educatamente irritata.
"Cappuccino. Caffè. No, un cappuccino va bene. Cappuccino."
Alberto registra la risposta con un cenno del capo e si volta di nuovo, e Stevan - dopo essersi mentalmente dato dell'idiota senza speranza un paio di volte di seguito - deve imporsi di non ricominciare a fissare il tessuto bianco della t-shirt che gli aderisce alla schiena, o il retro dei jeans che occhieggia tra i lembi del grembiule nero annodato appena sopra, o persino le maledette scarpe rosse e verdi, fanculo Giampaolo e Riccardo e il mondo intero. Quando due minuti dopo se lo ritrova di fronte con in mano il suo cappuccino, se non altro, è sufficientemente tranquillo da accettarlo con un sorriso e versarci dentro lo zucchero riuscendo a sembrare una persona normale. Alberto non ricambia il sorriso, non spiccica parola e non lo guarda neanche per più dello stretto necessario. Stevan abbassa gli occhi, soffia leggermente sulla schiuma e nel mandare giù il primo sorso sente la gola farsi fastidiosamente stretta.
"…mi sa che il Pazzo aveva ragione" mormora sconsolato tra sé e sé dopo qualche secondo, a voce così bassa che persino lui fa fatica a sentirsi.
"Su cosa?"
Stevan sobbalza di nuovo, ed è solo per una fortuita coincidenza che riesce a non farsi finire il cappuccino nel naso. "...eh?" balbetta alzando gli occhi di scatto, e Alberto è lì che lo fissa, le braccia incrociate sul petto, la bocca invariabilmente modellata in una linea dritta e senza espressione e lo sguardo indecifrabile. "No, io - niente. Parlavo di. Cioè. Niente."
"Sulle scarpe, sulla musica noiosa o sulla scopa nel culo?"
"…oddio." boccheggia appoggiando la tazza sul bancone, la testa che gli crolla istintivamente in avanti.
Alberto si limita a tossicchiare leggermente, senza scomporsi. "Le scarpe" comincia in tono casuale, come se stesse parlando del tempo che fa fuori "me le ha regalate mia madre, ci ha speso un sacco di soldi ed è convinta che siano una di quelle cose all'ultima moda che tutti vorrebbero, per cui capisci che ho qualche problema a dirle che fanno cagare. Musica non ne ascolto molta perché non ho tempo, e nel culo in linea di massima non ho mai infilato niente." Si ferma per un istante, pensandoci su. "E se non sorrido quando sono al lavoro" aggiunge "è perché ho la sfiga di fare un lavoro che non mi piace. C'è altro?"
Stevan riesce solo a pensare che ha bisogno di morire. Ha bisogno di morire lì e ora, in modo rapido e indolore e possibilmente senza sporcare. No, ripensandoci ha bisogno di uccidere Giampaolo, prima, in modo lungo e atroce e con abbondante spargimento di sangue. E poi di morire. O, beh, almeno di sprofondare sotto il pavimento. Per almeno qualche centinaio di chilometri. Possibilmente insieme allo sgabello.
"…oddio, ti - ti chiedo scusa" pigola dopo qualche secondo, rialzando a fatica gli occhi e odiando il tono patetico della propria voce. "E' il mio amico che - cioè, è un deficiente. Non sa quello che dice. E' caduto da piccolo o qualcosa del genere. Ignoralo, ti prego."
Alberto sospira, pianta entrambe le mani sul bordo del bancone e lo guarda per la prima volta negli occhi. "Senti, Ricciolidoro" comincia, secco.
"…non sono biondo" azzarda flebilmente Stevan, sentendosi ancora più idiota nell'istante stesso in cui le parole gli escono di bocca.
Alberto lo liquida con un gesto noncurante. "E' uguale. Senti, io magari non sono il massimo dell'allegria, però ho di buono che non sono nemmeno cieco. Ora, il tuo amico deficiente ha ragione su una cosa: devi smettere di fissarmi quando sono qui dentro. Nel senso, sono lusingato e tutto, ma sta diventando imbarazzante. Per cui dobbiamo trovare una soluzione."
Stevan abbassa gli occhi mortificato, fissando il cappuccino che va freddandosi nella tazza. "Potrei" sussurra dopo un attimo "smettere di venire qui?"
"Potresti" annuisce Alberto. "Però io perderei un cliente."
"…okay" sospira, stringendo le labbra e cercando di recuperare un'aria quantomeno dignitosa. "Allora cercherò di non -"
"Facciamo così" lo interrompe Alberto, e all'improvviso si sporge verso di lui, appoggiandosi sugli avambracci, e si inumidisce le labbra. "Esci con me."
Stevan - che sta ancora visualizzando omicidi efferati e pavimenti che si aprono pietosamente per inghiottirlo - sente il cervello spegnersi all'improvviso. Potrebbe addirittura giurare di aver sentito il clic delle sinapsi che si disconnettono lasciando la sua mente a galleggiare nel nulla. Ed è evidentemente colpa del blackout improvviso se ha sentito quello che ha sentito, perché insomma, non può averlo sentito davvero.
"…scusa?" annaspa, sbattendo le palpebre.
"Esci con me" ripete Alberto, come se fosse la cosa più logica del mondo. "Così almeno avrai una buona ragione per fissarmi."
Stevan apre la bocca, la richiude e la riapre e poi la richiude e la riapre ancora, mentre le sue sinapsi gli fanno la benedizione di tornare lentamente a collegarsi. "…Si può fare" riesce ad articolare alla fine, in quella che spera sembri una voce matura e indifferente al punto giusto e non uno squittio.
"Io stacco alle otto. Andiamo dove ti pare, basta che non sia niente di simile a un bar."
"…Una pizzeria conta come simile?"
Alberto sorride. E il nulla torna poco a poco a riempirsi e non ci sono più cadaveri di amici stronzi e voragini nel pavimento, è tutto bianco e morbido e pieno di brillantini e arcobaleni e unicorni rosa. Il mondo è improvvisamente un posto meraviglioso, non ci sono più guerre né fame né reality show e probabilmente è scomparso anche il buco nell'ozono.
"Si può fare" acconsente con una smorfia divertita, facendogli il verso.
Stevan ricambia il sorriso, mordendosi involontariamente le labbra."…Ci sono riuscito" mormora.
"Pare di sì" conferma Alberto, avvicinandosi un po' di più e sollevando una mano a sfiorargli casualmente i capelli. "Devi avere dei poteri, Ricciolidoro."
--
"Vedi qualcosa?"
"No che non vedo, cretino, c'è gente seduta davanti."
"Ma se magari ci spostiamo in un punto più…"
"…no, allora, io mi sento già abbastanza demente così, se tu vuoi fare lo zerozerosette di 'sto cazzo fallo senza di me."
"Che palle che sei."
"E poi magari sta andando bene e noi gli roviniamo le cose, scusa."
"Ma figurati, cioè, sarà già tanto se è riuscito a parla- "
"…scusate?"
Giampaolo trasale in perfetto unisono con Riccardo e perde di colpo l’equilibrio, evitando per miracolo uno schianto altamente coreografico contro il marciapiede. Stevan, affacciato sulla porta del locale, si porta una mano alla tempia e chiude gli occhi, evidentemente raccomandandosi a una qualunque divinità in ascolto.
"Non per disturbarvi" comincia, cercando di restare serio "ma Albi mi ha detto di dirvi che se smettete di alitare sulla vetrina vi offre un caffè."
"Non stavamo alitando" puntualizza Riccardo, indignato.
"…beh, amore, tu un po’ sì, in realtà…"
"…sta' zitto. E comunque" continua, inarcando divertito un sopracciglio "da quando è diventato Albi?"
Giampaolo spalanca gli occhi, come realizzando solo in quel momento l’intera questione. "…ohoho, Jove ha fatto colpo!” ghigna compiaciuto, avvicinandosi a Stevan per assestargli una pacca sulla schiena. "Sapevo che sarebbe successo. E tutto grazie ai miei consigli, non c’è dubbio."
"…no, ma certo che hai la faccia come il culo, eh..."
"E infatti hai sempre detto che ho il culo migliore del mondo. Allora, questo caffè?" preme, avviandosi verso l'interno e trascinandosi Riccardo dietro.
Stevan fa del suo meglio per guardarli male, senza riuscirci granchè. "Lasciamo stare" si limita a sospirare, scuotendo la testa e sorridendo di nascosto ad Alberto mentre la porta si chiude dietro di lui.