[X] A sequel of decay

Oct 31, 2010 12:38

Titolo: A sequel of decay
Fandom: X
Personaggi: Subaru Sumeragi, Fuuma Monou (riferimenti infiniti e non tanto velati a Seishirou Sakurazuka e a Kamui Shiro)
Rating: R
Conteggio Parole: 1671 (Word)
Note: Scritta per l'Halloween Fest #3. Spoiler per il volume 16 (che avrà letto mezzo mondo) e shonen-ai. Niente di nuovo. *risata isterica*
Perchè è una maschera: Andiamo, Subaru e Fuuma? Se non fosse stato per l'Halloween Fest, non l'avrei scritta nemmeno sotto tortura - anche se il pairing può avere un suo fascino, a me rimane perlopiù precluso. Senza contare che X è un fandom a cui ritorno solo in casi eccezionali, e lo shonen-ai idem. Presenti anche clichè a volontà, ipotetica situazione pre-volume 19, ed il Sumeragi. Wow.


A sequel of decay

Si può amputare un arto ad un uomo e quest’ultimo continuerà a sentirlo ancora per molto tempo.
Proverà dolore, fastidio e movimento esattamente come se fosse ancora lì; il corpo continua ad agire meccanicamente secondo uno schema prestabilito, anche se la mente sa già che, al posto della sua gamba, del suo braccio, del suo occhio, non c’è altro che il vuoto o un pezzo di carne insensibile.
Subaru sa che al posto del cuore non ci dovrebbe essere altro che un muscolo morto, ma gli sembra di sentirlo ancora, qualche volta.

Incontra Kamui un paio di settimane dopo Ginza. Forse si stavano cercando a vicenda. Forse si stavano evitando. Rimangono in silenzio per un po’, senza avere nulla in particolare da dirsi. O forse, pensa Subaru, hanno troppo da chiedersi e non sanno da dove cominciare.
Kamui è lo stesso di sempre, alto, granitico, gli occhi dorati ed onniveggenti; lui invece è dimagrito, i capelli più lunghi e lo sguardo spaccato a metà. L’occhio di Seishirou deve essere l’unica cosa, in lui, che sembra viva: il resto è sprofondato oltre il velo opaco che precede la scomparsa.
«Dovresti mangiare di più» commenta Kamui, «Sembri uno spettro».
Subaru si chiede, stancamente, quando finirà. Ancora continua a cercare, con un’ansia febbrile che non gli appartiene più, qualcosa di familiare: e malgrado tutto, nel sentire la voce di Kamui, avverte ancora una venatura di nostalgia. Se guardasse ancora, cercherebbe le linee di somiglianza nel sorriso, nell’espressione, nei gesti. E le troverebbe.
«Credevo che non avrei più visto niente, in te» commenta, cercando di nascondere almeno un po’ l’amarezza.
«Prima vedevi quello che desideravi vedere. Adesso guardi quello che vuoi vedere».
«È la stessa cosa».
Kamui piega appena la testa verso di lui, come a guardarlo meglio. «Forse. Ma allora dovresti smettere di cercare».

Si ricorda vagamente di avere ancora un legame che lo trascina al di fuori di Tokyo. Sua nonna lo chiama e gli parla attraverso il ronzio dello statico, lasciando un messaggio dopo l’altro sulla sua segreteria telefonica, quasi supplicando di sapere qualcosa. Anche se si trova in casa, non alza mai la cornetta. Le concede risposte lapidarie ad orari improbabili. Prova a scrivere mezze scuse su fogli di carta che butta via ancora vuoti. Dentro di sé, sa che forse sua nonna ha avvertito qualcosa. Non vuole mentirle e non vuole dirle nulla.
a sera si tiene i piedi gelati e nudi fra le mani ed ascolta con la finestra spalancata il brivido e l’agonia di una città morente.

«Non è stancante?».
Kamui ride, scoprendo i denti. «Essere il capo dei Chi no Ryu? Non così tanto».
«Non è stancante» ripete lui, con pazienza, «Essere lo specchio dei desideri altrui?».
«Insopportabile, almeno all’inizio. Ma ci si abitua a portare qualsiasi peso, col tempo». Fa una pausa brevissima. «Anche l’altro Kamui ne diventerà consapevole, prima o poi».
«Adesso il peso delle sue scelte lo sta distruggendo».
«Sakurazukamori, io sono nato con lui. So quello che può fare e ciò che non può fare. L’altro Kamui si sta lasciando schiacciare di proposito. Si sta aggrappando con tutto se stesso ad un desiderio che crede vero. Finché non avrà la forza necessaria ad alzarsi in piedi, non potrà mai combattere contro di me e sperare di vincere».
«È questo che speri?».
L’altro sorride, e per un attimo Kamui è soltanto un ragazzo di diciassette anni con un’espressione che esprime una tristezza vecchia di secoli e priva di speranza. È come guardarsi attraverso uno specchio coperto di fumo.

A volte si concede di pensare ai suoi vecchi compagni. Kamui, Arashi, Sorata, Yuzuriha, Karen, Seiichirou. Anche alla principessa Hinoto. Non si chiede come stiano - non gli importa. Pensa ai rari momenti che li hanno uniti, anche se per poco tempo, al loro ottimismo, nonostante tutto, ai buchi di vuoto da riempire a forza con qualcos’altro. Pensa al coniglietto di pezza che Yuzuriha gli ha dato in mano, mentre lui si trovava ancora in ospedale. Pensa alle bende sull’occhio ferito, alla prima sigaretta dopo la morte di Seishirou. Al sangue raggrumato sul suo cappotto. A quello della sua seconda vittima. Ai suoi occhi perfettamente asciutti.

«Un giorno mi dirai qual è il tuo desiderio?».
«Il mio… O il suo, Sakurazukamori?».

«Una volta siamo venuti qui, durante la distruzione della linea Yamamote. All’inizio ho creduto che l’incontro fosse stato casuale, ma poi ho capito che il tuo predecessore non lasciava nulla al caso. Programmava tutto meticolosamente, faceva esattamente ciò che voleva. Se gli avessi ordinato di fare qualcosa, è probabile che mi avrebbe sorriso, annuito ed avrebbe fatto comunque di testa sua». Ride. «Devo ammettere che mi stava simpatico. Una volta abbiamo preso un gelato assieme a Mejiro, e poi siamo andati in un’ottima creperie».
«Eravate amici?» gli chiede. La domanda suona più irritata di quanto non dovrebbe, ma Kamui finge di non accorgersene.
«Diciamo che Seishirou Sakurazuka aveva trovato in me qualcuno con cui fosse interessante parlare».
«E tu?».
Kamui alza verso di lui gli occhi dorati. «Cos’è, esattamente, quello che ti sta tormentando in questo momento? Il sospetto o la certezza?».
«Mancherà anche a te» commenta Subaru. Si sente il bocca la bile, il sangue, le lacrime e la nausea, tutto mescolato assieme, quando Kamui accenna ad annuire. Una breve fiammata di gelosia dà un ultimo strattone al centro del petto, e poi svanisce.

Camminano in silenzio per la strada, nient’altro che due sconosciuti che si trovano a procedere affiancati per puro caso.
«Non troverai nulla di Seishirou in me. Solo somiglianze troppo vaghe per accontentarti e troppo minuscole per illuderti di qualcosa».
Lui non dice nulla. Non c’è bisogno di confermare o smentire. Lo sguardo di Kamui viene acceso da una scintilla di comprensione.
«Sono entrambi al di fuori della nostra portata. In un modo o nell’altro».
«Al contrario dell’altro Kamui, tu hai smesso di sperare».
«Ma non di ricordare» ribatte il giovane capo dei Chi no Ryu. «È la cosa peggiore. Questo lo sai meglio di me».

Ricordare è davvero la cosa peggiore. Si raggomitola sul letto del suo vecchio appartamento, cercando di far rivivere sua sorella, Seishirou, un Subaru più giovane ed ingenuo. Le visite all’ambulatorio veterinario, i passaggi in macchina sotto le luci del Raimbow Bridge, i pranzi, le cene, le gite al centro commerciale più vicino per accompagnare Hokuto a prendersi nuove stoffe per i vestiti, le risate, gli abbracci, gli scherzi, la convinzione che quel cerchio colorato, strano ed infinito non si sarebbe mai interrotto… È la sua forma di negromanzia, di parlare ai morti rivivendo la sua vita come un flash dietro l’altro, cadendo dentro la stessa spirale.
Si stringe le spalle tra le dita, cercando di spremere le lacrime fuori dagli occhi inariditi. Non piange. Rimane raggomitolato tra le coperte, le lenzuola attorno ai piedi. Non si è tolto i guanti dopo essere rientrato a casa. Sulla pelle nuda gli rimangono striature rosse di sangue ancora fresco, mentre l’odore di ciliegio in fiore riempie l’aria attorno a lui.

Una volta si sforzava di capire il perché di molte cose; era convinto che, se fosse riuscito ad entrare nella mentalità delle persone attorno a lui, il mondo avrebbe potuto diventare qualcosa di più chiaro e di più luminoso. Una semplice risposta poteva aprire una porta o un migliaio.
Ora subisce ciò che lo tocca da vicino. Non soffre più per la mancanza di spiegazioni o motivazioni.
Quando Kamui lo bacia, potrebbe fargli mille domande sul perché, su cosa ha risvegliato e che cosa ha ucciso dentro di lui. Ma non gli chiede nulla.

Una questione solo fra lui e Seishirou.
È a lui che continua a pensare. È il suo occhio quello che continua a guardare quando fissa lo specchio, è il suo sussurro l’ultima cosa che sente prima di addormentarsi, sono le sue ferite quelle che continua a toccare. È la sua morte quella che si vede scorrere davanti quando abbassa le palpebre.
È una questione che riguarda solo loro due; ma lui è sommerso dall’ombra di se stesso, è vittima di una sequenza di decadenza lentissima e progressiva - si sta distruggendo come prima, ma stavolta lo fa in silenzio.

Un Sakurazukamori è un maestro nel creare illusioni. Seishirou lo era. Lui dovrebbe essere capace di imitare la realtà con precisione, non di caderne vittima.
Ad occhi chiusi, invece, si concede di pensare all’irrealtà come a qualcosa di tangibile. Pensa che anche Seishirou lo bacerebbe così, lo toccherebbe così, con qualcosa che non è né urgenza né desiderio ma contiene elementi di entrambe. Non si sofferma a pensare ai fatti. Non concentra la sua attenzione sui minuscoli dettagli che romperebbero tutto. Delle dita gli premono sulle palpebre per impedirgli di aprire gli occhi, un morso leggero sul collo lo fa rabbrividire.
Avrebbe dovuto essere così, pensa, mentre la strozzatura che gli annoda la gola si fa più forte fino a soffocarlo.

Si infila la maglia ed i jeans. Il letto è di nuovo vuoto - la cosa è più un sollievo che una delusione. Kamui è sgattaiolato via prima di lui per evitare di fronteggiare l’illusione delle prime luci del mattino, che avrebbe svelato quello che in realtà sono: due relitti che si graffiano via lo sporco a vicenda per cercare di portare alla luce qualcosa di quello che erano un tempo. Le tracce di due persone che non potranno raggiungere, né ora né mai.

Si ferma a guardare i ciliegi in fiore. Kamui è a qualche metro da lui, ne avverte la presenza come se la sua aura fosse di piombo fuso, ma stavolta non si gira a guardare, e l’altro non lo chiama.
Inspira a fondo.
«Non posso dire che non mi avessi avvertito».
Sente una risata sommessa. «Credo che sia il mio destino. Avvertire e non essere mai ascoltato. Che vogliamo farci?».
Subaru rimane in silenzio per qualche secondo, lo sguardo fisso sui petali schiusi. «Sai, alla fine gli somigli davvero».
Quando il capo dei Chi no Ryu se ne va, aspetta di sentire i passi svanire prima di ricominciare a camminare.

Miseria, da quanto è che non scrivo una fanfiction? Quanti mesi? Temo di essere piuttosto arrugginita. Se non conto la mini-fic per la Crim di qualche giorno fa, direi che è da novembre dello scorso anno che non butto giù niente. Beh, vorrà dire che dovrò impegnarmi un po'.
Della fic non aggiungerò niente che non abbia già detto nelle note preliminari... Io ed il buon Subaru siamo troppo simili su certe cose per andare d'accordo. Ancora non mi rendo conto di aver scritto una fanfiction con un pairing del genere! Ma non lo aborrisco del tutto. Come risultato avrebbe potuto essere peggiore. Rimando la betatina ai prossimi momenti di lucidità :)

autore: dark_loveless, x, !challenge: halloween fest #3, fanfiction

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