Titolo: Was it a dream?
Autore:
ary_trueFandom: RPF - Liverpool FC
Personaggi/Pairing: Steven Gerrard, Xabi Alonso ♥
Rating: PG-13
Word Count: 529 ♥ (
fiumidiparole ♥)
Warnings: Slash, angst
Disclaimer: Questa fanfiction non è a scopo di lucro. Non si vuole offendere o essere lesivi nei confronti delle persone reali descritte. Niente di quanto narrato in questa fanfiction è realmente accaduto ma è frutto di fantasia, pertanto non si pretende di dare un ritratto veritiero di eventi o personalità.
Note: Scritta per il
F3.U.CK.S. Fest di
fanfic_italia, precisamente per la terza tappa, quella proposta dalla community
unknown_fandom.
(Onta e disonore su me e la mia progenie)
Steven ogni tanto ci ripensa, a com’era prima.
Ripensa a quando era più giovane e ogni cosa sembrava alla sua portata, perché aveva tutto il tempo del mondo davanti e una città letteralmente ai suoi piedi, pronta a intonare in qualsiasi momento un coro per il suo Capitan Fantastic; ripensa a quando il calcio era solo un gioco, un qualcosa che gli aveva dato modo di esprimere se stesso nella maniera migliore e più completa di tutte, e non una responsabilità dal triplice peso (stomaco di professionista, cuore di tifoso, braccio di capitano); ripensa a quando la vittoria era un’emozione ogni volta diversa, migliore, più intensa, di quelle che ti sciolgono le viscere e ti fanno credere di essere sul punto di morire, tanto sei sopraffatto e pieno, e non un dovere imposto dalle circostanze, dal bisogno, dalla più impellente necessità, perché va tutto male e ti senti ancora morire, sì, ma solo perché la terra ti crolla sotto i piedi e ti senti svuotato; ripensa a quando ha sollevato la Coppa a Istanbul, il corpo bruciante di stanchezza e incredulità e orgoglio puro, il rosso luminosissimo che gli inondava gli occhi ovunque guardasse, mentre lo stadio tuonava una You’ll Never Walk Alone così commossa da gonfiargli il cuore come mai niente era stato capace di fare, e poi a quando ha visto Maldini fare altrettanto ad Atene, due anni dopo, un sorriso simile al suo a increspargli le labbra mentre festeggiava con i suoi, lasciando la sua squadra (il suo cuore) a perdersi in piccoli pezzi tra quei fili d’erba stanchi, su quel campo amarissimo e traditore.
E mentre si perde tra i ricordi di una vita, mentre ripercorre ogni tappa importante della sua storia con il passo lento e sicuro di chi si gode lo spettacolo e non rinnega niente, mentre si lascia scorrere addosso la consapevolezza di essere diventato grande, di essere ormai un uomo, non può sottrarsi a quello, non può fare finta di niente e ignorare quella piccola puntura che sente nel petto, l’unica pecca di un quadro perfetto.
E quindi l’immagine improvvisa di un sorriso schivo, dolce, carico di non detti e pensieri nascosti, il suono noto di una risata incredibilmente bassa e quieta, di uno Steven mormorato troppo vicino, con un accento marcato e incredibilmente caldo, incredibilmente suo, il sapore salato di una bocca morbida, lontana, dolorosamente inaccessibile, desiderato così tanto, così a lungo, da restare piantato in gola come una spina affilata e impossibile da estrarre, l’odore pungente, mascolino, di una pelle più sua della propria, segnata dalle battaglie sul campo e dai baci di una moglie devota.
E quando arriva a quel punto, quando riconosce la presenza invadente e vivissima di Xabi in ognuno di quei momenti magici e indelebili, sbatte il muso sempre allo stesso modo, facendosi un male incredibile, mentre è costretto a chinare la testa e ad ammettere che un rimpianto, uno solo, se lo porterà addosso per sempre, come una croce e come il più dolce dei ricordi, tutto insieme.
Non averglielo mai detto. Non avergli mai detto Sei incredibile. Non avergli mai detto Non andartene, sei troppo importante. Non avergli mai detto Sei tutto. Non avergli mai detto Ti amo.