Titolo: Il Servo
Autore: body-ko
Fandom: RPF Storico
Personaggi: Arthur Rimbaud, Paul Verlaine
Rating: Pg15
Conteggio parole: 800 (W)
Prompt: dittatura @
fuoco_dal_cieloScritta per: Seconda settimana (
fuoco_dal_cielo) @
F3.U.C.K.S. Fest di
fanfic_italia Verlaine entra nel vecchio caffè certo di trovarci la sua gente, vede subito Piers Luttrell e Charles che giocano a biliardo, con un piccolo gruppo di Maudits che osserva silenzioso; si dirige con indolenza verso i suoi amici.
Charles lo vede per primo avvicinarsi: «Hey Paul, com’è andata?».
L’uomo sorride arrendevole: «Sembra che si sia qualche spiraglio», risponde Verlaine, liberandosi di pastrano e cappello, «forse posso ancora convincere Mathilde a non separarsi».
«Beh, devi provarle tutte, amico», concorda Piers, mentre si prepara a colpire la palla otto. Sbaglia il colpo e si libera della stecca con un gesto di stizza; porta le mani al portamonete e paga un Charles sorridente che, istrionico, gli s’inchina garbatissimo.
«Ho sentito che Rimbaud sta per lasciare la città», si lascia scappare Piers distrattamente, «non vorrà veramente tornare in quel buco sperduto in cui ha avuto la sventura di nascere, spero?».
Verlaine non riesce a nascondere la sua sorpresa e Piers se ne accorge.
«Non lo sapevi, dunque», conclude distaccato, «ma non eravate intimi?».
«Non mi ha detto nulla», afferma Verlaine lisciandosi i baffi.
«Sarà stato impegnato nei preparativi», commenta l’uomo che non nasconde il sorriso soddisfatto, quando Verlaine abbandona il locale a passo di marcia.
Verlaine piomba nel negozio di Peter Marie, dove Arthur sta aiutando la vecchia modista a sistemare nel magazzino pesanti rotoli di tessuto di Lione.
«Perché non me lo hai detto», comincia puntandogli contro il dito accusatore.
«Paul…», cerca di intromettersi Peter Marie.
«Hai intenzione di andartene dalla città e non me lo hai detto, stronzo», continua l’uomo, ignorandola.
«Paul questo non è il modo di…», insiste lei.
«Lei non s’immischi!», le inveisce contro furibondo, guardandola solo per un attimo, poi la sua attenzione torna a focalizzarsi sul bel ragazzo dagli occhi dolci.
«Dovevamo essere sinceri: rispondi», dice con voce ferma, dominatrice.
«Marc!», chiama la donna agitata, poi rivolgendosi ad un Verlaine visibilmente fuori controllo, «Paul credo che sia opportuno che lei se ne vada»; il garzone del negozio arriva nel magazzino e afferra Paul per un braccio, per trattenerlo in quella sua furia inconsulta. L’uomo lo ignora bellamente.
«Ci dovevamo dire tutto», urla sempre rivolto alla sua bionda nemesi, «e invece mi hai preso in giro: non hai parlato»
«Andiamo Verlaine, datti una calmata», gli dice il ragazzo nerboruto, che rinforza la sua stretta sul braccio del poeta, e lo trascina verso l’uscita.
«Me ne vado da solo», urla liberandosi con uno strattone, «toglimi quelle sporche mani di dosso».
Mentre Verlaine se ne va, il suo sguardo è fisso su Arthur, ed è colmo di un’acre promessa.
Peter Marie e Arthur rimangono soli nel magazzino, il ragazzo ha le spalle curve, quasi portasse un peso che gli affatica il passo e la vita.
«Non mi lascerà mai», dice nella sconfortante rivelazione dell’ovvio.
«Gli parlo io», cerca di tranquillizzarlo la donna, visibilmente preoccupata.
«Non c’è speranza», continua senza dar segno di averla sentita, «sono fregato».
Arthur mangia mestamente: la trattoria è quasi deserta, il cibo è freddo ed insapore. All’improvviso Verlaine arriva, il suo gruppo di fedeli accoliti è con lui e blocca lo sguardo dei pochi astanti, mentre l’uomo gli si siede accanto.
«Ciao, mio caro», lo saluta Paul; Charles si accomoda dall’altro lato, «ti dispiace se mangiamo qui con te?», gli chiede col suo sorriso da squalo.
Il ragazzo si guarda intorno, alla ricerca di aiuto: fa per alzarsi ma un paio di robuste mani sulle spalle lo tengono al suo posto.
«Senti», dice volgendosi implorante verso il suo antico amante, «mi dispiace di non averti detto che me ne andavo. Ma mia madre mi ha scritto: ha bisogno di me».
«Non inventare cazzate», gli risponde Verlaine sprezzante, «tu non te ne vai, stronzo, lasciando me a marcire qua».
Verlaine da un morso all’arancia di Arthur e gliela sputa nel piatto, Charles beve un sorso del suo vino e poi versa tutto il contenuto della caraffa sul suo cibo.
«E ripulisci questo porcile», ordina Verlaine prima di andarsene.
Arthur guarda il gruppetto di uomini elegantemente vestiti che si allontana. Sono i padroni del mondo in cui Rimbaud ha vissuto da quando aveva diciassette anni, un mondo che adesso si chiude su di lui a coprire il bagliore delle stelle. Conosce Paul, la verità del suo cuore, la ferocia della sua volontà, e forse soltanto lui riesce a comprendere la reale profondità del loro legame: quell’abisso oscuro che divora ogni luce, e che porterà entrambi alla rovina. Verlaine non sa, non conosce: egli può soltanto sentire, ed il suo sentire intenso esplode in distruttiva rabbia. Per questo Rimbaud lo teme, e sa di avere tutte le ragioni per temerlo. Eppure, neppure il grande Paul Verlaine può impedirgli di spiegare le sue ali e volare. E’ pronto a tutto, anche a rinunciare alla sua poesia se necessario.