Titolo: Let the Curtain Fall
Fandom: Final Fantasy VII
Personaggi: Tseng/Aerith
Rating: Giallo
Riassunto: Il sipario si sta per chiudere sull'esistenza di Tseng, in un modo che mai avrebbe potuto prevedere... Scavando nel passato, tuttavia, è possibile ritrovare idee ed emozioni ormai dimenticate...
Note: One-Shot
Let The Curtain Fall
Se il dolore che mi pervade il petto e il disgustoso sapore del sangue in bocca non mi contraessero le labbra in questa smorfia grottesca, probabilmente starei sorridendo.
Non sarebbe di certo un sorriso di gioia - di rado si manifesta sul mio volto tale emozione - ma semplicemente un'amara resa nei confronti della vita, che con la sua spietata ironia si diverte a distruggere una dopo l'altra le mie più profonde certezze.
E mentre rimango qui, in questo maledetto tempio, con la schiena appoggiata alla gelida pietra di una colonna, mentre della speranza non rimane che un ricordo sbiadito, mentre attendo freddamente che cali il sipario sulla mia esistenza, non posso fare a meno di pensare a ciò che ho fatto della mia vita.
Anni fa avrei riso di questa debolezza, nello stesso identico modo in cui disprezzavo beffardamente quella stupida credenza popolare, alimentata più che altro da insulsi libri e pellicole cinematografiche, che sostiene che ogni uomo, negli istanti precedenti al decesso, sia sottoposto a una panoramica degli eventi più importanti della sua vita.
Solo ora comprendo la mia presunzione; solo ora mi rendo conto che non si tratta di un processo automatico nato dal semplice terrore della morte, come ho sempre pensato. Non è necessario essere uno scienziato per capire che, quando ogni altra cosa perde di significato e non abbiamo più la possibilità di nasconderci dietro menzogne o false ipocrisie, sentiamo infine il bisogno di esaminare le nostre azioni e giudicare la nostra vita. Non è la natura, ma l'individuo stesso a imporsi la necessità di riesaminare la propria essenza finale e il cammino intrapreso per raggiungerla.
Così, perfino con una lama piantata nel corpo e lo sguardo sempre più annebbiato, mi sovvengono i ricordi della mia infanzia; i primi a emergere, i più veloci a scomparire. Sono popolati unicamente da volti effimeri che non hanno mai significato molto per me, come quello di mio padre. Che sia una colpa o un merito, non è in loro che trova radice l'uomo che sono diventato.
Per questo motivo, non sono affatto sorpreso nel notare come il mio pensiero si rivolga in fretta alla ShinRa, l'organizzazione alla quale ho votato la mia intera esistenza, e più specificatamente ai Turks.
Negli anni, ho lentamente maturato un crescente disprezzo verso la prima, così satura di dirigenti falsi e ignoranti e dei loro leccapiedi senza personalità. Ormai non mi rimane alcun dubbio riguardo la decadenza morale e psicologica di quei vermi, tuttavia, fin dagli inizi, ho sempre apprezzato l'operato complessivo della compagnia; con le sue innovazioni, la ShinRa ha rivoluzionato il mondo intero, migliorando la qualità della vita di migliaia di persone. Solo degli ingenui criminali come i terroristi di Avalanche possono davvero ritenere possibile un passo indietro nella storia dell'umanità come l'abbandono dell'energia Mako. È per questo motivo che ho continuato a servire la ShinRa, nonostante i miei superiori si facessero di anno in anno più avidi e spregiudicati.
Per impedire che l'ignoranza delle masse facesse precipitare il mondo in un nuovo Medioevo, ero pronto a sottopormi a qualunque ordine, per quanto esso comportasse spesso uno o più azioni illecite. Mi sono macchiato della maggior parte dei crimini esistenti nel codice penale, e senza alcun rimorso. Date le pressioni della ShinRa sul governo, la mia ascesa nella compagnia fu rapida e indisturbata. Presto tuttavia, i miei ideali iniziali vennero meno, e quando ebbi completato il percorso che mi condusse fino alla posizione elevata di cui godo ancora oggi, non avevo più bisogno di illudermi di una presunta giustizia nelle mie azioni.
L'orgoglio provato alla celebrazione di ogni mio successo mi rese schiavo come una droga, soppiantando l'etica che mi aveva spinto a entrare nei Turks agli inizi. Non avevo più un obiettivo, né un percorso prefissato; non mi importava nient'altro, se non la missione successiva. In quei giorni, benché io fossi già lontano dal normale stile di vita dei miei colleghi, ero ancora una persona rispettata e benvoluta, guardata con profonda ammirazione dai membri più giovani e con orgoglio dai più anziani. Anche questa fase si rivelò presto mutevole, e prima che potessi fermarla, una situazione ben peggiore prese il suo posto. Non fui io il primo ad accorgermene, e probabilmente capii pienamente cosa mi era successo anni più tardi; notavo però gli sguardi sempre più diffidenti, le parole malevole pronunciate alle mie spalle, e un senso di estraniazione dal resto del mondo.
Accecato dalla stessa diligenza che ritenevo il mio maggior punto di forza, avevo iniziato a interessarmi solamente alla mia posizione nella ShinRa, in una corsa folle verso un obiettivo indefinito, guidata dalla smania di accrescere la mia influenza nell'organizzazione. Non mi curavo più dei singoli traguardi, ma agivo meccanicamente accogliendo i successi che prima mi gratificavano enormemente con freddezza. Impegnato a raggiungere il vertice della piramide, non mi rendevo conto che ad ogni gradino guadagnato, ad ogni ostacolo scavalcato nella mia ascesa, la mia morale e la mia stessa umanità sprofondavano inesorabilmente nell'oblio.
Se a quel tempo fossi ancora stato in grado di riflettere e di pensare al mio futuro, non avrei mai sospettato di poter uscire dalla situazione in cui mi trovavo; avrei creduto impossibile che anche un solo barlume illuminasse la mia coscienza, o almeno mi facesse tornare alla mente di averne una.
Ma la vita aveva ancora qualche sorpresa da mostrarmi, e non si sarebbe mai limitata a vedermi vivere come un automa per il resto dei miei anni. Nulla mi aveva preparato alla catena di eventi che stava per travolgermi, e se anche ci fossero stati dei segnali, la mia mente atrofizzata non mi avrebbe permesso di coglierli.
Era una notte qualsiasi, quando ogni cosa prese una piega molto diversa rispetto al passato; una notte che, secondo le mie aspettative, sarebbe dovuta consistere in un profondo sonno senza sogni.
La giornata appena terminata era stata nulla più che semplice routine; alle prime luci dell'alba, prima dell'apertura, avevo convinto un negoziante dalle idee sovversive a non mettersi in attività senza il benestare della compagnia. Il pomeriggio stesso, ero stato incaricato di condurre una donna dei bassifondi al quartier generale, per sottoporsi ad un interrogatorio.
In effetti, ormai da anni, nessuna missione era più che semplice routine.
Eppure, quella stessa notte mi svegliai di soprassalto, fradicio di sudore. Non era da me un comportamento simile. Sapevo bene come il sonno quieto e ininterrotto fosse la chiave per fornire le migliori prestazioni durante la giornata, e il mio corpo non aveva mai opposto resistenza a questa precauzione.
Mi alzai e mi diressi verso il bagno, incerto sul da farsi; tornare a dormire sarebbe stato inutile, a poche ore dall'alba, e in ogni caso l'emicrania non mi avrebbe certo permesso di addormentarmi in fretta. Dopo aver lavato via sudore e lacrime, mi vestii velocemente e decisi di uscire a prendere un po' d'aria, per sciogliere i muscoli e calmare la mente.
Raggiunta la silenziosa oscurità dei quartieri alti di Midgar, iniziai a riflettere, come non facevo ormai da tempo. La mia priorità rimaneva quella di indagare sullo strano sconvolgimento che mi aveva colpito, ma ciò bastò ad allentare le catene che impedivano i miei pensieri.
All'improvviso, una voce mi riportò alla realtà circostante. Alzai lo sguardo, che fino a quel momento avevo tenuto fisso sul terreno a qualche metro da me, solo per essere accecato dalla luce al neon, brulicante di insetti, che indicava l'ascensore verso i bassifondi.
Il fante di guardia chiuse la conversazione al cellulare e mi rivolse un cenno di saluto, dopo aver tentato senza risultato di accendere una torcia elettrica visibilmente rotta. Sicuramente non mi aveva ancora riconosciuto.
Come previsto, la mano si abbassò di scatto appena il mio volto fu reso visibile dalla luce, e il soldato trasformò la sua posa rilassata in un impeccabile saluto militare. Di solito tendevano a evitarmi, ma quando non avevano altra scelta, la maggior parte si comportava così.
Senza saperne il motivo, entrai nell'ascensore e scesi nel mercato sottostante.
Quando provai a ritornare sulle mie riflessioni, non ricordavo nemmeno su che cosa vertessero; i miei passi, tuttavia, continuavano a muoversi in una direzione ben precisa, come se stessero correndo sui binari di un treno. Mi sembrava di essere guidato da mani altrui, come un burattino, ma non avevo la voglia né la forza di ritornare sui miei passi. Il mio percorso mi portò sempre più lontano dal centro, dalle urla e dalle luci. Quando pensavo di essere ormai a pochi metri dal confine con il settore 6, una costruzione emerse dall'oscurità di fronte a me. Evidentemente qualcuno all'interno stava prestando molta attenzione: nonostante i miei passi sul selciato producessero un rumore poco più forte di quello di una macchina da scrivere, la luce di una finestra si accese di scatto appena mi fui avvicinato alla casa.
Fu in quel momento che capii tutto. Capii cosa mi avesse svegliato pochi minuti prima, cosa mi avesse guidato tanto lontano dai miei alloggi, cosa avesse finalmente rotto la gabbia nella quale io stesso avevo rinchiuso la mia mente. Quella casa l'avevo visitata quel pomeriggio. Lo stesso pomeriggio in cui il mio sguardo aveva incontrato per la prima volta gli enormi occhi spaventati che ora mi fissavano attraverso il vetro sporco della finestra, cercando di stabilire la mia identità nonostante il buio. Quella ragazzina avrà avuto dieci anni al massimo, e la madre non era ancora tornata dall'interrogatorio a cui io stesso l'avevo costretta.
Finalmente riuscì a ricollegare il mio volto alle vicende a cui aveva assistito qualche ora prima.
Mi voltai, cosciente che in pochi istanti si sarebbe rifugiata sotto le coperte, tremando come una foglia. La luce si spense velocemente, e sentii un veloce rumore di passi che non fece altro che avvalorare la mia ipotesi.
Poi percepii qualcosa alle mie spalle.
I miei riflessi, affinati per anni in centinaia di missioni, quella notte sembravano non rispondere agli stimoli. Riuscii solamente a voltarmi, prima che le mie gambe fossero strette in una morsa e che qualcosa di soffice e bagnato mi si attaccasse allo stomaco.
Feci per estrarre la pistola dalla fondina, quando Aerith alzò la testa e mi fissò, continuando ad abbracciarmi con le esili braccia tremanti. Per un attimo rimasi pietrificato, chiedendomi per quale assurdo motivo quell'esserino stesse abbracciando il rapitore di sua madre, poi capii.
Non poteva sapere.
Mi aveva visto parlare con la madre solo per qualche secondo, prima di essere mandata bruscamente in camera sua, e dalla finestra aveva potuto vedere solo i fanti della ShinRa che la portavano sul furgone. Ai suoi occhi, non dovevo essere stato altro che un ospite o un amico di famiglia.
Irritato, tentai di allontanarla con il dorso della mano, per ritrarmi da quel contatto tanto indiscreto.
Non ottenni risultato, se non quello di far aumentare la stretta.
Alzai la mano, pronto a togliermela di dosso con la forza, ma qualcosa mi fermò.
La ragazzina alzò di nuovo la testa, spalancando quegli occhi assurdamente grandi rispetto alla faccia. Lessi la paura nel suo sguardo, il terrore di aver giudicato male il mio ruolo nelle vicende, il peso della solitudine che veniva lentamente soppiantato dall'angoscia.
Non so cosa successe dentro di me quel giorno, o perché la compassione abbia deciso di manifestarsi proprio in quell'occasione, quando di stupidi mocciosi in lacrime ne avevo già visti a centinaia.
Mentre la mia mente faticava a razionalizzare la situazione, le venne in aiuto quello straccio di istinto umano che ancora possedevo; senza sapere nemmeno perché, piegai le gambe e ricambiai l'abbraccio. Mentre le sue lacrime mi bagnavano il petto scorrendo in piccoli rivoli sulla mia giacca, mi accorsi all'improvviso di star piangendo anch'io.
La frustrazione accumulata nel corso degli anni, gli stimoli e le emozioni inconsapevolmente represse, tutto uscì insieme alle lacrime in quell'assurda notte.
Quando all'alba me ne andai, non ero più lo stesso. Al palazzo ShinRa nessuno lo notò, ma qualcosa dentro di me era cambiato; continuavo ad eseguire le missioni, continuavo a incutere timore negli altri, ma il mio cuore aveva smesso di essere sordo alle suppliche e cieco alle lacrime. Un senso di profonda oppressione si era impossessato di me, e si ingigantiva ogni volta che uccidevo, corrompevo e rapivo. Ero sull'orlo della disperazione, quando due anni dopo le mie mansioni cambiarono, in occasione del rinnovamento della sezione Turk.. Mi dissero che le loro ipotesi erano state confermate, e che Aerith andava sorvegliata costantemente, in quanto si sarebbe presto rivelata di fondamentale importanza.
Questi nuovi ordini mi permisero di riprendermi. Ogni pomeriggio mi recavo di nascosto alla chiesa dove le piaceva tanto rifugiarsi, e, guardandola attraverso le finestre sporche, dimenticavo la crudeltà di ogni missione precedente. Presto iniziai a dimenticare la discrezione, ed entrai volontariamente in contatto con lei. Ormai era diventata una ragazza a tutti gli effetti, e non nego che la sua bellezza mi stupisse sempre di più ogni giorno, ma non era certo questo il motivo che mi spingeva a ricercare la sua compagnia anche più frequentemente di quanto mi fosse richiesto.
Insieme a lei diventavo un'altra persona, capace di esprimersi, di confrontarsi, e perfino di essere felice. Con Aerith al mio fianco, diventavo la persona che sarei potuto essere, ma che per colpa della ShinRa non ero. Lei era l'unica in grado di capire cosa si fosse risvegliato sotto la dura maschera che mi ero imposto di portare, e presto iniziai a trattarla come non avevo mai trattato nessuno: alla pari.
Non sono certo di poter chiamare amore ciò che provavo verso quella ragazza; in effetti, non sono nemmeno convinto che quel sentimento di cui sento tanto parlare possa davvero esistere nell'essere umano, sempre pronto a voltare le spalle agli altri per il proprio tornaconto personale. Qualunque cosa fosse, mi permise di aprire gli occhi, e di riprendermi il libero arbitrio sulla mia vita. Fu il periodo più bello della mia vita, nonostante io faticassi a capire il motivo.
Ogni cosa proseguì nel migliore dei modi, e nessuno dei due sentiva il bisogno di una spiegazione per il tempo che passavamo insieme; non avevamo alcun problema, e ci adattavamo alla situazione senza pensare troppo al futuro.
Tuttavia, qualche anno non basta a dimenticare completamente il proprio passato, ed ebbi modo di scoprirlo solamente molto tempo dopo, quando ormai il mio rapporto con Aerith era diventato un cardine insostituibile della mia esistenza.
Fui costretto a scegliere tra lei e la ShinRa, e le ombre che credevo di aver dimenticato ritornarono a farmi visita ancora una volta.
La mia ingenuità nel fidarmi nuovamente di coloro che già una volta avevano tentato di rovinarmi la vita mi ha portato qui. Mi ha portato a tradire l'unica persona a cui volevo bene, a seppellire la mia compassione sotto un nuovo torrente di sangue. Mi ha portato alla morte.
E, come in quelle stupide commedie che mi hanno sempre disgustato, ripenso ai miei errori e piango. Proprio come quella notte.
Una volta raggiunto il fondo del baratro, riesco ad espellere ogni cosa, e a ritornare ciò che vorrei essere. Ma questa volta, non ci sarà una rinascita; non ho più la possibilità di dimenticare ciò che ho fatto e continuare a vivere come se niente fosse. Questa ridicola rappresentazione tragicomica finisce qui, e fortunatamente scenderà insieme a me nella tomba, risparmiandomi almeno le espressioni divertite dei posteri.
Fortunatamente, c'è ancora qualcosa che posso fare per risollevare le sorti di questo atto finale.
Nemmeno lei stessa lo saprà, ma anch'io avrò fatto la mia parte per aiutarla. Con la mano pallida e scossa dai brividi, riesco a raggiungere il palmare incrostato di sangue nella tasca della giacca e a premere quel maledetto tasto.
-Mission Abort-
Mentre i fanti inviati da Scarlet alle porte del tempio abbandonano la posizione rinunciando all'imboscata senza fare ulteriori domande, mi colpisce l'ironia di tutto questo. La mia tanto odiata reputazione e la posizione di comando per la quale mi sono sacrificato, alla fine, sono valse qualcosa. Mai avrei immaginato che i frutti della mia perversione avrebbero potuto aiutare qualcuno, neppure davanti al giudizio finale.
Sto per perdere i sensi, ma non me ne curo particolarmente; non ho rimpianti, o forse ne ho troppi per poterci pensare. Ciò che conta è che, infine, ho preso una decisione, e per quanto possa sembrare assurdo accorgersene ora, la mia vita ha avuto un senso.
L'oscurità prende il sopravvento, e non riesco nemmeno a chiedermi se mi risveglierò mai.
Il freddo abbandona il mio corpo, e il sipario cala.
Finalmente, il mio sonno sarà tranquillo.