[Harry Potter] Visto quel che succede

Dec 30, 2009 00:38


Titolo: Visto quel che succede
Autrice: shinu (cuorefreddo)
Fandom: Harry Potter
Personaggi: Draco Malfoy, Remus Lupin
Parte: 1/1 (credo)
Rating: PG15
Genere: Angst, Hurt/comfort, Introspettivo
Avvertimenti: accenni di slash, si parla di disturbi mentali, accenni a morti di personaggi avvenute in passato, (evidenziare per leggere - possibili spoiler)
Beta: ernil_wtf
Conteggio parole: 1566 (Criticoni)
Disclaimer: non miei, non lucro, non realtà. Un bel niente, insomma.
Note: partecipa alla Criticombola, prompt n° 30 (il pezzo di Battiato ad inizio storia).
[è anche su nocturne alley]
Soundtrack: Rasoio, Mattatoio, Pazzatoio - Tre Allegri Ragazzi Morti]


E guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale,
ed io avrò cura di te.
[La cura, Battiato]

Prova a camminare su questo rasoio
senza cadere dentro al mattatoio
Prova a camminare su questo rasoio
e uscire vivo da 'sto pazzatoio
[Rasoio, Mattatoio, Pazzatoio,
Tre Allegri Ragazzi Morti]

*  *  *

La pazzia è una chiave che apre molte porte, dicono.

Draco ogni tanto ci pensa, a quali porte si siano aperte per lui.
Come adesso, mentre fa bollire in una pentola quello strano aggeggio babbano, il feletono, assieme a tutti i cucchiaini che è riuscito a trovare in casa. Vuole vedere se il calore dell’acqua farà staccare i numeri dalla tastiera e le grandi B corsive dell’argenteria di casa Black dalle posate - così poi lui le raccoglierà con il passino e le lascerà sgocciolare vicino al fuoco, prima di cercare di convincerle a diventare altre lettere.

Non è che possa fare molto con un branco di B e i numeri dallo zero al nove, del resto, ma è sicuro che se glielo chiederà gentilmente loro gli faranno il favore di mutare un pochetto. Gli servono una elle, una coppia di e, una emme, una erre, una ti, una o, una a, una ipsilon o una i, è lo stesso. Possibilmente ripetute più volte - deve capire - ma non in quest’ordine. Un vero peccato che nella frase non ci sia neanche una sola, misera B maiuscola, ma che importanza ha in fondo? Non sarà certo lui a correre il rischio di alterarla.
Perché la chiave non è la pazzia, oh no. La chiave è in quella sequenza di lettere.

E loro non lo lasciano più scrivere, quei maledetti. È per questo che aspetta l’ebollizione speranzoso.
“Visto quel che succede ogni volta, la sua ossessione non va incoraggiata,” ha detto qualcuno con voce seria, e lo Sciatto ha annuito triste.

Che poi non capisce perché lo guardi sempre con quel sorriso sbilenco e malinconico.
In fondo si fanno compagnia a vicenda, ed è intrappolato lì tanto quanto lui - Draco non l’ha mai visto uscire. Ci sono solo loro due nella casa, o almeno così gli sembra nelle giornate luminose, anche se quando cala la sera non ne più così sicuro: allora ha paura persino di andare in bagno, perché delle cose potrebbero afferrarlo dalla tazza del gabinetto mentre non guarda, e le ombre gli ricordano troppo memorie rosse e appiccicose tra le dita, che gli assordano le orecchie di urla e gli impastano il naso e la bocca del loro sentore metallico e ferroso. Ma poi quello strano guardiano lo trova e lo abbraccia troppo stretto, e gli inumidisce i capelli di rassicurazioni e borbottii lievemente bagnati.

Draco fa finta che quei momenti non esistano - tanto sono solo lui e lo Sciatto, e se si concentra nel negare quelle carezze metà del lavoro è fatto. Si crogiola in silenzio nel suo calore, e di solito chiude gli occhi mentre restituisce timidamente la stretta. Il fatto di agire in maniera così sbagliata non fa altro che supportare la constatazione che per forza quegli istanti non esistano. Non si è mai visto un M - Draco non ricorda bene che parola andrebbe qui, sa solo che questi M sono qualcosa di rispettabile e importante e che lui ne fa parte - comportarsi in quel modo, e mai si vedrà se non nelle fantasie dei folli. E siccome Draco lo è, un folle (li ha sentiti parlare della sua malattia, che cosa credono) e di fantasia ne ha tanta, i conti tornano perfettamente.

L’abbraccio però non basta a cancellare il suo bisogno di scrivere. Adesso. Con lettere vere, non con quei graffi che lascia con la forchetta di fianco al piatto mentre lo Sciatto è di là a prendere la sua minestra leggera, dal vago retrogusto di pozione (come se potesse non accorgersene). E l’acqua bolle e ribolle, ma nessuna lettera si stacca, nessun numero. Il feletono sembra deformarsi sul fondo, ma nulla di più. Draco ha uno scatto di rabbia, ha uno scatto di paura, e poi si accoccola per terra mentre la pentola comincia a schiumare e l’odore di plastica bruciata si diffonde nell’aria. Vorrebbe gridare, ma non può liberare quel bruciore che ha nel petto se non vuole che gli diano altre minestre e altra incoscienza tutto in una volta. Deve capire, questa volta.

Non c’è una penna in tutta la casa - “La sua ossessione non va incoraggiata”- e in quanto alla sua bacchetta, Draco non la vede da - da prima di… No. Lui non ha una bacchetta, è andata persa in qualche modo, e se l’avesse non vorrebbe toccarla.
E non ci sono coltelli nel cassetto, non ci sono neanche più forchette se è per questo, dopo che lo Sciatto si è reso conto del tavolo tutto inciso; resta solo qualche superstite di quei dannati cucchiai che ora ribollono nell’acqua tra i resti plasticosi del feletono. Lo Sciatto gli ha detto in un orecchio, scostandogli delicatamente i capelli e solleticandolo con la barba, che dopo che - dopo un bel niente - gli hanno lanciato un incantesimo gli impedisce di farsi del male, ma che non bisogna sfidare la sorte. In un lampo rivede delle lettere scritte col sangue su un muro, ma è troppo rapido per poter capire.

Per cui non gli resta che ripeterle a voce, anche se è una cosa che odia. È più difficile così.
Le estrae a fatica da quel gheriglio che è la sua mente, stretto contorto e ben difeso, e per la prima volta da - da niente - richiama alla mente un’immagine in modo chiaro.

“Leyèm Orta.” Così gli dicono nel suo ricordo, e sono esattamente le parole che cercava. Si abbraccia le ginocchia e comincia a dondolare piano, cercando di concentrarsi mentre si fa rotolare i suoni sulla lingua. Era così anche quella volta - quella volta che niente, sa solo che oscillava avanti e indietro e qualche liquido si raffreddava sulle sue mani, della stessa consistenza delle sue memorie-ombra, e che qualcuno cercava di toccarlo, di spostarlo da lì. E glielo dicevano, così.
“Leyèm Orta.”

Come allora quelle parole gli premono in testa in modo quasi doloroso, come doloroso e frustrante era (è) non capire quel che succede. Quel cuneo di lettere gli si insinua dentro, tenta di separargli in due metà divise gli emisferi cerebrali, ma a lui piacciono così, uniti, per cui se le lascia scappare di bocca per dare loro sfogo. “Leyem orta leyem orta leyemmorta leyemmortaleyemmortaleyèm…”
Si stringe la testa cercando di tenerla insieme, e il suo mormorio sale sempre più di tono fino a diventare indistinto, un fischio acuto che taglia il vapore della cucina, sfonda il soffitto e si perde nel cielo, e Draco non capisce più se quel rumore è dentro o fuori o dappertutto; e quando si guarda intorno attraverso il velo di lacrime per capire che cosa lo stia emettendo, non vede nessuno se non la pentola che ancora sibila e borbotta. Nessuna teiera, nessun animale in agonia sul pavimento che possa giustificarlo.

E poi si sentono dei passi affrettati che scapicollano giù per le scale e compare lo Sciatto - “Shh, sono io, Remus, va tutto bene, va tutto bene” - e per un lungo, buffo momento a Draco pare di venire consolato da un albero scricchiolante, alto e nodoso. Poi da quel tronco-veste verde bottiglia spuntano due rami che lo circondano e lo stritolano e lo sollevano, e la cima dell’albero sussurra parole gentili mentre le radici si muovono e lo portano via, senza badare ai suoi singhiozzi. Si sdraiano insieme su un letto, e lo Sciatto gli si accoccola sopra e lo protegge fino a quando il suo mormorio rallenta e torna nella gamma dei suoni udibili. “….ortaleyèmmortaleyèm… Orta. Ley-èm-or-ta. Ley-è-mo-rt-a. Lei-è-mor-ta. Lei. È. Morta.”

E mentre al piano di sotto l’acqua si riversa su tutto il pavimento e spegne il fuoco, e i cucchiaini formano un unico grumo nella gomma fusa sul fondo della pentola; e mentre Remus lo stringe forte, per bloccarlo, per farlo sentire vivo e amato e al sicuro, perché sa che cosa sta succedendo e che cosa succederà; e mentre i suoi balbettii si fanno sempre più flebili e fragili, dei volti straziati di donna cominciano a comparire davanti ai suoi occhi, e in qualche modo ci sono delle parole collegate - Madrepansymadre! lei è morta! - e ancora ombre rosse e appiccicose e ferrose sulle sue mani, e un flash di lui inginocchiato tra dei corpi, la sua bacchetta spezzata e inutile, e ricoperto del loro -

E i pezzi tornano improvvisamente al loro posto, solo per poi crollare tutti insieme.

*  *  *

Quando si riscuote non ha idea di che cosa ci faccia sdraiato sul letto con lo Sciatto addosso, che lo stringe troppo forte e gli inumidisce i capelli di borbottii e rassicurazioni un po’ bagnate.
Ma tanto questo momento non esiste, come molti altri non sono esistiti prima di esso e non ne esisteranno dopo. Per un attimo si permette di assaporare quel calore; ma poi l’urgenza lo stritola di nuovo.

Deve scrivere. Adesso.

E quei maledetti non lo lasciano fare, lo ha sentito lo Sciatto che discuteva con Voce-Seria.
“Visto quel che succede,” eccetera.
Ma lui ha bisogno di quelle parole, ha bisogno di capire. Elle, e, ipsilon (o i?), emme, o, erre, ti, a. Riassumono tutto, spiegano tutto, se solo riuscisse a decifrarle. Quasi scoppia in una risata isterica, perché gli sembra di non fare altro da secoli, e i sussulti trattenuti nel suo petto assomiglierebbero ad un pianto incontrollato se non fosse che le lacrime sul suo viso si sono ormai asciugate.
Lo Sciatto lo stringe più forte tra i suoi sussurri, e Draco si accoccola grato tra le sue braccia mentre riflette.

Ha bisogno di un nuovo piano.

autore: shinu cuorefreddo, harry potter, fanfiction

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