[RPF - Inter F.C.] Who's Living Upstairs

Oct 26, 2009 18:39

- Zlatan? - lo richiamò alla realtà Helena, piantando entrambe le mani sui fianchi e fissandolo con aria enormemente disapprovante, - Allora? Hai sentito almeno una parola di quello che ti ho detto?
- Uh? - ribatté lui, cercando di concentrarsi su di lei ma tornando immediatamente a volgere lo sguardo altrove, puntandolo nel bel mezzo del nulla, distratto dai rumori tutt’altro che casuali che provenivano dalla soffitta.
- Zlatan! - urlò quindi lei, schioccandogli le dita proprio davanti al naso, - Lascia perdere i dannati topi nel sottotetto e ascoltami, una buona volta!
- Ma sì, sì, ti ho ascoltato… - borbottò lui, tornando a guardarla e cercando di simulare una qualsivoglia presenza di spirito, per evitare di restare lì ancora almeno altre due ore a riascoltare la spiegazione di sua moglie (spiegazione della quale, per inciso, non aveva colto una parola, ed alla quale peraltro, al momento, non poteva interessarsi di meno, con José a fare tutto quel rumore al piano di sopra), - Penso che sia un’ottima idea.
Dubbiosa, Helena inarco le sopracciglia.
- Davvero? - chiese, incrociando le braccia sul petto.
- Davvero. - le sorrise lui, condiscendente, accarezzandole una spalla, - Penso che sia un’idea molto carina, - inventò, cercando di far tesoro dell’unica regola che in tutti quegli anni aveva imparato a proposito delle donne (“i complimenti sono la via per il successo in ogni frangente”), - e penso anche che sarai grandiosa come sempre, tesoro. - concluse con un sorriso smagliante, tirandosi in piedi ed abbracciandola brevemente.
- …sei proprio sicuro? - cercò di sincerarsi ancora lei, scrutando nei suoi occhi un minimo cenno di incertezza. Zlatan, se possibile, tirò fuori un sorriso ancora più smagliante: mai mostrare debolezza davanti a una donna. - Mi era parso di capire che-
- Non ci sarà assolutamente nessun problema! - insistette, - spingendola verso la porta, - Anzi, perché non vai a fare un po’ di shopping? - suggerì, dato che con Helena lo shopping sembrava sempre funzionare alla perfezione.
- Be’, in effetti mi servirà almeno-
- Ecco, vedi? - la esortò compiaciuto, mentre da sopra sembrava che José volesse tirar giù il soffitto a furia di saltare come un bue isterico, - Vai, tesoro, e fammi sapere se poi ti serve aiuto a portar su le buste, ok? A più tardi.
L’eco delle parole di Helena - un confuso “ma amore!” sussurrato appena saltellando di gradino in gradino verso il vialetto che portava al garage - si perse dietro il legno spesso della porta, nel momento in cui Zlatan se la chiuse alle spalle e, ringhiando come un animale, salì le scale tre alla volta per raggiungere José in soffitta. Dal rumore che aveva sentito fino a quel momento, avrebbe dovuto aspettarsi di trovare come minimo la branda divelta dal pavimento e il tavolino con elegante sedia in pura plastica nera che gli aveva trovato rovesciato al contrario in un tripudio di fogli, a fare da coreografia all’apocalisse dalla quale si sarebbe salvato solo il palmare che gli aveva regalato un paio di giorni prima e che José venerava come un dio in terra.
Naturalmente, quando aprì la porta, José stava ordinatamente seduto sulla propria seggiolina di plastica e guardava video su YouTube con i suoi graziosi auricolari Sony ben piantati nelle orecchie, in perfetto e religioso silenzio.
- Oh, non provarci. - cominciò, puntandogli contro un indice accusatorio, - Non provarci nemmeno, José, non ho più vent’anni e non puoi prendermi per il culo come facevi allora!
- Non sapevo neanche che faccia avessi, quando avevi vent’anni. - gli fece notare educatamente José, senza nemmeno sfilare gli auricolari, - Ti ho conosciuto che eri molto più vecchio, ma in effetti potevo prenderti tranquillamente per il culo anche allora, quindi non vedo perché non continuare. Non è difficile. - precisò, agitando il palmare come a indicarlo come ovvia causa di tutte le sue gioie.
- José. - grugnì Zlatan, passandosi una mano sulla fronte, - Piantala.
- Voglio uscire! - scattò lui, pestando i piedi come un bambino, - È una settimana che sto chiuso in questa topaia! Voglio uscire!
- Sei uscito due giorni fa! - precisò Zlatan, allargando scandalizzato le braccia ai lati del corpo.
- Mi hai portato sul balcone! Quello non è uscire! Io voglio andare fuori, - si lagnò José cominciando a vagare per la stanza come l’anima in pena che in effetti avrebbe potuto essere, - girare la città, vedere gente, andare a mangiare in qualche bel ristorante…
- Tu sei morto! - cercò di ricordargli Zlatan, le mani nei capelli, - Quante volte devo dirtelo?! Hai dei desideri assurdi! Non ti basta esserti fatto l’account su FaceBook ed aver tirato su un casino colossale dicendo a tutti che eri proprio quel José Mourinho nella tua home page?!
- Ma nessuno ci ha creduto! - borbottò lui, - Ed era anche ovvio che non ci credessero, volevo solo divertirmi!
- Divertirsi, dice lui! - sospirò Zlatan, lasciandosi ricadere sulla brandina, improvvisamente sgonfio, - José, io seriamente non so che dirti. - cercò di ragionare, mentre José si sedeva al suo fianco, come in attesa di una qualche risposta ad una domanda che aveva accidentalmente dimenticato di porre, - Ho deciso di tenerti qui perché ovviamente non potevo mandarti da nessun’altra parte, e-
- Ah. - lo interruppe José, secco, inarcando le sopracciglia ad allontanandosi di qualche centimetro con aria disgustata, - Non perché mi volevi qui, no, eh? Perché non potevi mandarmi da nessun’altra parte.
- Gesù, ti prego. - piagnucolò lui, passandosi una mano sugli occhi, - Ti prego, non ricominciare.
- Io non ricomincio! - strillò José, come un’aquila isterica.
- No, tu non ricominci, perché a tutti gli effetti tu non smetti mai!
José aggrottò le sopracciglia, visibilmente offeso, e completò le operazioni di allontanamento andando a sedersi nel punto più distante possibile da Zlatan, pur restando sul letto.
- Va bene. - disse gravemente, - Allora torna pure di sotto a fare quello che vuoi e lasciami qui ad ammuffire. D’altronde, è quello che mi spetta, no? - aggiunse con un sorriso di vago scherno, - Sono morto, dovrei stare a decompormi dieci metri sottoterra. Posso farlo qui, almeno è comodo.
- José… - roteò gli occhi Zlatan, avvicinandosi impercettibilmente, - Okay, senti, ricominciamo. Abbiamo evidentemente sbagliato approccio. - ragionò calmo, annuendo pacatamente. José gli rispose con un lungo sguardo indispettito, prima di sospirare e sciogliere le spalle, tornando ad avvicinarsi a propria volta.
- Sto impazzendo a restare chiuso qui, Zlatan. - confessò, la voce bassa e seria, - Non ti sto dicendo che devi farmi uscire adesso e non ti sto neanche dicendo che devi risolvere da solo questa situazione del cazzo, ma una soluzione dobbiamo trovarla, perché io non so cosa mi succederà domani o anche solo fra due ore, ma c’è la possibilità che io ti resti fra le palle a lungo, e non vorrei dare più fastidio di quanto ne do già.
- Tu non-
- Oh, non provarci. - gli fece il verso José, sorridendo appena, - Non provarci nemmeno, Zlatan. - sospirò ancora, rimettendosi in piedi per andare a poggiare il palmare sul tavolo, prima di avvicinarsi alla minuscola finestra che adornava la parete esposta al sole di mezzogiorno. - Sai che non sono venuto fuori dalla tomba? - disse all’improvviso, osservando il giardino con aria un po’ persa.
- No? - chiese Zlatan, avvicinandosi a lui e sbirciando attraverso il poco spazio che gli restava senza per questo doversi avvicinare troppo, - Sei, tipo, apparso?
- Credo di sì, anche perché sarebbe stata dura prendere un aereo per venire fin qui. E comunque non ricordo di averlo fatto. - ridacchio, costringendo Zlatan ad una risatina simile, - Ho aperto gli occhi ed ero davanti al Duomo. Il sole mi ha abbagliato, e la prima cosa che ho pensato è stata che questo sole di ghiaccio, tutto luce e niente calore, il sole di Milano, mi era mancato tantissimo.
Zlatan deglutì, sorridendo un po’.
- Sì, è strano, no? - annuì, - Quando vai via da Milano ti dici sempre che è stupendo andarsene, che una città così assurda non ti mancherà per niente. E invece poi ti manca.
- È per questo che sei tornato? - chiese José, curioso, voltandosi a guardarlo.
- Chissà. - scrollò le spalle Zlatan, - Forse. In realtà Helena sentiva la mancanza dei ragazzi, solo che naturalmente non potevamo essere in due stati diversi contemporaneamente. Perciò ci siamo detti “andiamo a Torino, almeno stiamo con Maxi”, ma non ci siamo trovati bene. Così, semplicemente, quando è arrivata l’offerta non ci ho nemmeno pensato troppo su. E siamo tornati a Milano.
José rise, poggiandosi con le spalle contro la parete e guardandolo con aria furba.
- A-ha. - annuì interessato, e Zlatan sospirò, ridacchiando complice.
- Okay, sì, quando è arrivata l’offerta mi sono messo a saltare di gioia. - ammise, - Non me lo aspettavo e morivo dalla voglia di rivedere Appiano. L’hanno ampliato ancora, sai? Sembra un cazzo di centro sportivo olimpionico, tipo. È fantastico. Dovresti- - si interruppe, mordendosi un labbro prima di concludere la frase, per quanto fosse ormai evidentemente tardi. - Intendevo…
- Esattamente quello che hai detto- o meglio, che non hai detto. - rise José, sospirando piano, - Dovrei vederlo. Vorrei vederlo. Chissà, magari lo vedrò pure.
- Quanto ottimismo tutto assieme! - lo prese in giro Zlatan, tirandogli un colpetto lieve contro la spalla, - Attento, rischi di sorridere troppo. Poi ti si paralizza la faccia e non è bello.
- Che stronzo. - sbottò José, ricambiando il colpetto e ghignando divertito, - Sono fresco come una rosa, nonostante sia morto. Profumo di buono e sono morbido come un bambino.
- Ma la tua migliore qualità resta sempre la modestia. - annuì compitamente Zlatan, fra le sue risate compiaciute.
Il silenzio che si stese fra loro, per una volta, non li infastidì. Ricordò piuttosto ad entrambi il periodo in cui silenzi del genere erano abituali, fra loro. Quando, dopo un’intera giornata passata insieme fra campo e palestra, non riuscivano comunque a trovare motivazioni sufficienti per separarsi, e non avere nient’altro da dirsi sembrava assolutamente indifferente, soprattutto nel momento in cui la cosa più importante in assoluto pareva essere il rimanere lì a respirare nello stesso rettangolo d’aria, l’uno l’ossigeno dell’altro. Non avevano mai chiarito cosa fosse quel bisogno, ma in effetti era stato principalmente perché non ne avevano mai sentito il bisogno.
- Penso che non sarei più andato via. - disse José sottovoce dopo poco, tornando a sedersi sulla sponda del letto, stavolta visibilmente più rilassato, - Se non fossi morto, intendo, non me ne sarei più andato da Milano.
- Tu? - chiese Zlatan, inarcando dubbioso un sopracciglio, - Scherzi?
- No! - rise José, sistemandosi più comodamente contro la parete alle proprie spalle, - Sai cosa? Venti minuti prima che si concludesse la finale di Champions, quando il Real era già sotto di due gol e il Bernabeu sembrava San Siro per quanto urlavano i tifosi dell’Inter… Davide era seduto accanto a me in panchina. Io stavo lì, - ridacchiò teneramente, - non avevo niente da ridire sulla squadra ed era la prima volta da quando li allenavo. Mi godevo i fraseggi di Mario, gli assist di Diego per Samuel, le volate di Lucio fino ad oltre la linea di centrocampo, e Davide - rise ancora, - Davide prende e mi afferra un braccio. Allora io mi volto a guardarlo, pure un po’ stupito, ma non gli chiedo niente. E nemmeno lui mi dice niente, perché sta guardando il campo come se volesse divorarlo, e io… - si prese un momento per inspirare ed espirare. Zlatan guardò il suo petto gonfiarsi e poi sgonfiarsi e si chiese se avesse davvero bisogno di qualcosa di simile, essendo morto. Poi José riprese a parlare, e la questione divenne improvvisamente insignificante. - L’ho spedito in campo il minuto dopo, e dieci minuti dopo aveva insaccato una doppietta. E mentre lo guardavo correre in tondo e saltellare e lasciarsi atterrare a centrocampo da Mario, io ho pensato “resto”. E sarei rimasto per sempre. - si fermò ancora, sospirando profondamente e voltandosi a guardare Zlatan con un sorriso tanto tenero e nostalgico da dargli il batticuore fino a fargli dolere il petto. - Come sta il mio bambino, Zlatan? Come stanno tutti i miei bambini?
Zlatan resistette all’impulso di scattare ad abbracciarlo solo perché sapeva che a José avrebbe dato fastidio, e schiuse le labbra per rispondergli che i suoi bambini stavano benissimo, che Mario finiva per essere capocannoniere in Serie A un anno sì e un anno no, che Davide era uno dei migliori capitani che l’Inter potesse vantare in una storia di capitani sempre eccellenti, che Rene aveva fatto benissimo all’Inter per tutto il tempo in cui era rimasto e che s’era ritirato due anni fa dopo aver disputato una splendida stagione col Chelsea nonostante un tremendo infortunio al ginocchio, e soprattutto che - dannazione - avrebbe dovuto vedere Zuca. Avrebbe dovuto vederlo correre come un pazzo per il campo e bersagliare la porta avversaria con un’ostinazione tanto simile alla sua da rasentare l’assurdo, fino a segnare più di prepotenza che di tecnica. Avrebbe dovuto vederlo allenarsi con impegno e sopperire al fisico sottilissimo con una velocità, un’agilità ed una grazia che avevano dell’incredibile, avrebbe dovuto vederlo combattere in area di rigore avversaria e staccare tutti anche di un metro saltando per colpire di testa. E avrebbe dovuto vederlo l’anno prima, quanto sembrasse grande con la Coppa dei Campioni fra le braccia, quanto il suo sorriso risplendesse di orgoglio e di gioia.
Non ci riuscì, perché la voce di Helena, squillante e vagamente irritata, lo raggiunse dal piano di sotto come un fulmine a ciel sereno, costringendolo a scattare in piedi ed allontanarsi all’improvviso.
- Zlatan! - continuò ad urlare sua moglie, - Ma dove cavolo sei?! - e Zlatan deglutì.
- Io… - biascicò, - torno dopo. - annuì serio, - Stanotte.
- No. - sorrise José, - Tu dopo vai a dormire. Con tua moglie. Come sarebbe giusto.
- Jo-
- No, ti prego, non ricominciare. - rise José, alzandosi in piedi e tornando a sedersi alla scrivania, prima di prendere il palmare fra le mani, - Ne abbiamo già parlato.
- No, non ne abbiamo parlato. - borbottò Zlatan, deluso, - Senti, mi pare ridicolo continuare a ignorare quello che sta succedendo quando la prima cosa che hai fatto rivedendomi è stata baciarmi.
- Non è stata la prima. - gli fece notare José, ma Zlatan lo liquidò con un gesto spiccio.
- Dettagli. - sbottò, - Seriamente, io non capisco-
- No, sono io che non capisco. - rise ancora José, tornando a girovagare per YouTube, - Sembri sempre avere ben chiaro in mente che sono morto, tranne quando si tratta di mettermi le mani addosso. A quel punto, improvvisamente torno vivo. Ma non ti fa pure un po’ schifo toccarmi?
- Zlatan!!! - chiamò ancora Helena, esasperata, - Giuro che se non scendi subito faccio una strage! Di te e anche di quelle piaghe sociali dei tuoi figli!
Zlatan sospirò, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi in un mugolio esasperato.
- Ne riparliamo. - borbottò deciso all’indirizzo di José, mentre il portoghese lo salutava agitando distrattamente una mano per aria e si lasciava distrarre dalle highlight di una recente partita dell’Inter commentata con incredibile passione da Materazzi.
Al piano di sotto, Helena stava già indossando la giacca.
- Ma da quanto sei tornata? - le chiese Zlatan, salutandola con un lieve bacio su una guancia.
- Da abbastanza tempo per godermi l’inizio della drammatica videochiamata quotidiana dei tuoi due figli, Dio mio. - sospirò lei, recuperando la borsa, - Te li lascio ben volentieri, tanto più che ho ordinato prima due ghirlande ma pare che il fioraio non riesca a recuperare le rose blu che ho chiesto, per cui tanto vale vada a controllare di persona.
- Due ghi- Helena, a cosa ti servono due ghirlande?! - cercò di informarsi lui, mentre dal salotto proveniva il berciare un po’ metallico dei suoi due figli isterici.
- Zlatan, sciocchino. - ridacchiò Helena, imboccando la porta, - Due ghirlande sono assolutamente indispensabili, nella situazione contingente!
Fece per chiederle a cosa esattamente si riferisse, ma Helena era già sparita nel battito di ciglia successivo, e tutto ciò che restava a riempire la casa - a parte il battere secco e regolare di José dal piano di sopra, per ricordargli che era ancora lì - era il continuo strillare di Maxi e Vinny dalla stanza accanto, perciò Zlatan si decise ad affrettare il passo e raggiungere finalmente il salotto, dove - attraverso gli schermi e le webcam collegate in rete - i suoi due unici figli si tiravano addosso insulti della peggior specie coinvolgendo nelle offese anche la loro innocente madre, parlandone peraltro con lo stesso irriguardoso sdegno col quale avrebbero parlato della madre di chiunque altro, rivolgendole epiteti di dubbio gusto.
- Ragazzi! - strillò inorridito sull’ennesimo “puttana sarà tua madre” vomitato rabbiosamente nei confronti di Vinny da un Maxi che evidentemente dimenticava come la madre suddetta fosse la stessa per entrambi, - Datevi una calmata! È sempre la stessa storia, Dio mio! Che avete adesso?!
- Quello stronzo - sbraitò Maxi, indicando suo fratello a chilometri di distanza attraverso lo schermo, - s’è fregato la mia maglietta portafortuna!
Zlatan roteò gli occhi con un lamento sommesso, mentre Vinny metteva il broncio ed incrociava le braccia sul petto, guardando altrove.
- Maxi, ti prego… siete primi in classifica, non hai davvero bisogno di una maglietta portafortuna!
- Stronzo pure tu! - continuò a urlare il ragazzo, puntando il dito anche contro di lui, - State dietro a un punto e guardacaso domenica c’è Inter-Juve! Ho bisogno della mia maglietta portafortuna! Di’ allo stronzo di rispedirmela.
- Te lo puoi scordare, e vaffanculo. - concluse Vinny, interrompendo la chiamata senza una parola di più.
- Oh, si fotta. - commentò gentilmente Maxi, e quando Zlatan lo vide allungare una mano verso il pulsante, sbuffò platealmente.
- Non ci provare nemmeno! - lo fermò, puntandogli contro un dito a conti fatti inutile ma dotato ancora dell’aura di autorità paterna che ogni tanto i suoi figli ricordavano di dover temere, - Maximilian, dimmi cosa diavolo sta succedendo fra voi due. Ormai i vostri litigi si stanno facendo insopportabili! - sospirò, passandosi una mano fra i capelli, - Quando è rimasto da te un paio di giorni, dopo il turno di Champions, sembravate stare bene insieme. Eravate carini. Che cosa è successo dopo?
- È successo che lo stronzo s’è portato via la mia cazzo di maglia. - ringhiò Maxi, guardando altrove, - E lo sa che odio che mi spariscano le cose da sotto il naso. Doveva chiedermela! - insistette gesticolando, - Non gliel’avrei comunque data, ma doveva chiederla!
Zlatan si lasciò sfuggire un lamento sofferente, coprendosi il volto con le mani, mentre qualcuno suonava il campanello.
- Mi date il mal di testa, davvero. - commentò, stirandosi contro lo schienale della sedia, - Resta in linea. Chi è? - chiese, azionando col telecomando il videocitofono accanto alla porta. Davide apparve sullo schermo un istante dopo, sorridendo timidamente mentre agitava una mano per salutare. - Dade? - borbottò Zlatan, stupito, - Ma che diavolo ci fai qui?
- Come che ci faccio qui? - chiese a propria volta lui, ugualmente stupito, - Devo posare il barbecue, Helena mi ha detto di portarlo.
- Il barbecue?! - sbottò, spalancando gli occhi. - Mia moglie è impazzita. Maxi, - ripeté, rivolgendosi a suo figlio dall’altro lato dello schermo, - tua madre è impazzita. Prima le ghirlande, ora il barbecue, vuole invitare il vicinato per una festa in giardino?
- Uh? - chiese Maxi, inclinando lievemente il capo, - Ma come una festa in giardino? Sta-
- Ok, senti, aspetta. - lo fermò, tornando a rivolgersi al citofono. - Aperto! Dade, vieni dentro, su.
- Senti, pa’, se è un problema ci risentiamo dopo, tanto non è importante. - biascicò confusamente Maximilian, grattandosi la nuca prima di rivolgere un cenno di saluto a Davide che passava sullo sfondo, il suo ingombrante carico fra le braccia e un “dove lo metto?” un po’ impacciato sulle labbra.
- Nel ripostiglio, Dà. - rispose sbrigativamente lui, prima di rivolgersi a Maxi, - No, senti, noi ora ne parliamo e risolviamo questa cosa, perché così non può continuare, è evidente. Oltretutto, a Natale vi voglio entrambi qui e gradirei non dover raccogliere i vostri resti sparsi in salotto dopo che vi sarete presi a mazzate prima, durante e dopo il pranzo, per dire.
- …non credo che accadrà niente del genere. - sospirò Maxi, poggiando i gomiti sulla scrivania e piegandosi un po’ in avanti, i capelli biondissimi che scendevano sulla fronte fin quasi a coprirgli gli occhi.
- Se ora mi dici che non intendi venire a Natale, giuro che prendo il primo aereo per Torino e ti prendo a mazzate come non ho mai fatto in ventidue anni di vita, anche se te lo saresti meritato spesso. - lo minacciò con aria cupa, e Maxi scosse il capo.
- No, non intendevo quello. - ammise con un mezzo sorriso stanco, - Verrò a Natale. Sta’ tranquillo.
Zlatan schiuse le labbra e fece per chiedergli quale fosse il motivo di tutta quell’improvvisa arrendevolezza, ma non riuscì. L’urlo di Davide, dal piano di sopra, lo travolse come una valanga, e Zlatan ebbe appena il tempo di realizzare cosa quell’urlo stava a significare, che portò le mani ai capelli e fissò suo figlio con aria allucinata.
- Pa’…? - lo chiamò Maxi, preoccupato, ma Zlatan scattò in piedi prima che potesse concludere la domanda.
- Dopo. - disse sbrigativamente, prima di interrompere la chiamata, - Mi faccio sentire io.
- Tu! - strillò Davide, apparendo dalla tromba delle scale e puntandolo con un dito come sembrava ormai uso in quella casa, - Tu sei- sei- un vecchio porco!
- Ti avevo detto di metterlo nel ripostiglio! - strillò a propria volta Zlatan, evidentemente a corto di argomenti, - Non in soffitta!
- Non è il punto della questione! - insistette Davide, prendendo a girovagare per il salotto, visibilmente turbato, - Diosanto, ma che cos’è?! - chiese, più al soffitto che a Zlatan stesso, - Un- Un androide, una statua di cera, lui imbalsamato?! Cosa cazzo è?! Cosa cazzo ci fa qui?!
- Davide- - cercò di spiegarsi Zlatan, ma l’uomo lo zittì con un’occhiata furiosa.
- Niente Davide! - ringhiò, - Cazzo, non hai rispetto! Per te sarà stato probabilmente solo un allenatore stronzo qualsiasi, uno da dimenticare subito dopo essertene andato da Milano, ma per me… - si interruppe, tirando su col naso e resistendo stoicamente alla voglia di chiudere gli occhi e lasciare le lacrime libere di scivolare lungo le guance coperte appena dalla barba cortissima, - per me è stato come un padre, Zlatan, e mi è praticamente morto fra le braccia. Tu non puoi nemmeno immaginare… - singhiozzò, passandosi una mano sulla fronte a tirare indietro la frangia caduta davanti al viso nella concitazione degli ultimi minuti. - …Qualsiasi cosa sia, fallo sparire. - Zlatan provò a replicare, ma Davide non glielo lasciò fare, preferendo concludere il proprio discorso. - Non voglio più vederlo e di certo non mi sposerò in una casa con dentro una roba del genere. - e lasciandolo sbigottito.
- …tu cosa, dove, quando e perché?! - strillò inorridito, scattando all’indietro. Davide inarcò un sopracciglio, sospettoso.
- Oh, bene, se pensi di distrarmi dalla mia rabbia facendo finta di non sapere che tua moglie ha organizzato qui il matrimonio, sei completamente fuori strada. - sbuffò con un sorriso sarcastico.
- Io non fingo! - sbraitò Zlatan, gesticolando come un ossesso, - Non lo sapevo! Nessuno in questa casa si degna mai- oh, porca miseria! - realizzò quindi in un mugolio di dolore, portando le mani alla testa e ciondolando per casa in cerchi irregolari e confusi, - Ecco di cosa mi ha parlato Helena stamattina! Dannazione, dannazione! Ma sono un deficiente!
- Piantala di fare questa parte ridicola, Zuzu!
- Non chiamarmi Zuzu, sai?! Non in questa situazione di merda nata perché in primo luogo a te convivere non bastava, no!, tu vuoi adottare!, e ci sono possibilità maggiori se si fa parte di un nucleo familiare stabile e bla bla bla, perciò o matrimonio o morte!
- Il mio matrimonio - ribatté Davide, piccato, - non c’entra niente col fatto che tu sei un porco pervertito che tiene in soffitta una bambola gonfiabile a immagine e somiglianza di José!
- Oh, finiscila, non-
- Finitela tutti e due. - li interruppe la voce seria e pacata di José. Si voltarono entrambi a guardarlo con evidente confusione negli occhi, e lo trovarono ai piedi della rampa di scale, un paio di pantaloni un po’ stropicciati e la camicia aperta sul petto quasi per metà, che si grattava la testa con un’aria a metà fra l’indispettito e l’assonnato. - Se anche fossi stato ancora morto e sepolto, con tutto questo casino avreste trovato comunque il modo di svegliarmi.
- …mister… - annaspò Davide, irrigidendo le braccia lungo i fianchi.
- Non sono una bambola gonfiabile, bambino. - lo apostrofò severamente, guardandolo dritto negli occhi, - Per quanto possa essere assurdo chiamarti ancora così a quest’età. E non sono neanche una statua di cera o qualche altra diavoleria simile, sono io.
- Sei vivo! - puntualizzò, la voce resa acuta dall’agitazione e dalla sorpresa.
- Non esattamente. - scosse il capo José, - Io e Zlatan non siamo ancora riusciti a capire cosa mi sia successo. Non che ci abbiamo veramente provato, in realtà. - scrollò le spalle, - Comunque sia, per adesso diamo per scontato il fatto che sono risorto. O qualcosa del genere. - sospirò, schiudendo le braccia ed atteggiando le labbra ad un sorriso tenero, - E che evidentemente potrò esaudire in un colpo solo entrambi i desideri che serbavo nei tuoi confronti.
Davide scattò sulle gambe svelto come avesse dovuto involarsi sulla fascia per portare un compagno a rete, seguendo l’ordine di quelle braccia spalancate come un imperativo categorico assoluto.
- Quali erano, mister? - chiese fra le lacrime, stringendoselo contro dall’alto della decina di centimetri che li separava.
- Vederti capitano. - rispose José con una mezza risata, - E vederti sposato.
Zlatan li guardò a lungo, crogiolandosi un po’ nell’offesa - perché lui restava Zuzu, ma José, nonostante gli anni, era rimasto il mister - e un po’ nella tenerezza. Lasciò vagare gli occhi oltre l’abbraccio di due delle persone cui tenesse di più al mondo, perché non voleva intromettersi in quello che sembrava un momento tanto intimo, e lo sguardo cadde sull’ampia finestra del salotto, quella che dava sul giardino principale, davanti al porticato.
- …e no, questo no, però! - strillò inorridito, spalancando la porta e correndo di fuori, - Accetto tutto, il matrimonio, il barbecue, perfino di fare da dannato testimone di nozze, per quanto ritenga tutto ciò una solenne quanto ridicola pacchianata, ma il gazebo arabeggiante in seta bianca decorato con disegni floreali nerazzurri no, perdio!

*

Note. Sbrigativamente: povero Zlatan. E comunque sappiate che ho provato a resistere all’UST Ibracest con tutte le mie forze, davvero, fino all’ultimo. Non c’è stato verso. *piange*

!challenge: halloween fest #2, rpf: sport, autore: lisachan, fanfiction

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